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I nodi problematici dell’educare

Uno delle questioni che contraddistingue il nostro tempo, nella nostra so- cietà occidentale, come evidenzieremo in questo lavoro, consiste nel pre- servare le funzioni educative di fronte a una crisi sempre più generalizzata del discorso educativo, sia sul piano dei modelli di riferimento sia a livello delle pratiche nelle due principali agenzie educative (la famiglia e la scuo- la). Come si potrà leggere nel corso del presente lavoro, madri e padri fati- cano ad esercitare la funzione educativa paterno-normativa e questa evapo- razione delle funzioni educative si raccorda, più in generale, all’evaporazione degli adulti che permea la società nel complesso, con evi- denti conseguenze in ambito familiare, sociale e politico.

Sembra, infatti, che la funzione paterno-normativa venga subordinata alla funzione affettiva: i genitori appaiono sempre meno autorevoli (protettivi e contenitivi) e sempre più affettivo-relazionali nei confronti dei figli, con il conseguente declino di modalità educative imprescindibili.

La necessità di rinnovare l’educare che ăbita il nostro tempo non deve an- dare verso una ricerca di modelli ideali, di potere, di gerarchie ma piuttosto di com-prendere ciò che resta (Recalcati, 2011) della famiglia o, per meglio dire, delle sue funzioni educative.

Come afferma Milani (2002), la complessità dei fattori in gioco è troppo elevata, certo è che educare oggi non significa più ripetere modelli consoli- dati, ma trovare equilibri complessi, in un faticoso lavorìo quotidiano, tra

l’eccesso di amore e l’indifferenza, il permissivismo e l’autoritarismo, la quantità e la qualità del tempo e l’orientare la crescita delle nuove genera- zioni.

Ai genitori di oggi vengono richieste competenze educative nuove e com- plesse; la famiglia non sempre può trovare al suo interno tutti gli strumenti e le risorse che le servono per rispondere a questo compito educativo (Cor- si, 2002).

Dobbiamo constatare che il prezzo di cambiamenti, così profondi sia a li- vello sociale che familiare, a partire dagli anni Sessanta, è molto alto: esso corrisponde ad una condizione generale di vita in cui si è sostanzialmente più soli anche se più autonomi, con un marcato indebolimento dei legami solidaristici (Caldin, 2007²).

Le famiglie, fino agli anni Sessanta del secolo scorso, erano cresciute con uomini e donne che ci comportavano in base alle “antiche” regole, in linea con la struttura del contesto socio-culturale, religioso e politico di quegli anni (Corsi, 1988). Uomini e donne, appunto, hanno riprodotto nel corso dei decenni, il comportamento dei loro genitori, i quali a loro volta imita- vano i loro padri e le loro madri, e così via dicendo.

Ora che i principi che regolano le famiglie sono radicalmente cambiati, i genitori in assenza di modelli di riferimento esterni, stabili e tramandati, rischiano di non trovare dei punti di riferimento autorevoli dai quali attinge- re, per affrontare le questioni educative e i nuovi assetti in seno alla fami- glia.

Inoltre, la trasformazione della famiglia da centro di produzione a centro di consumo, oltre che favorire in tutti i membri della famiglia una mentalità utilitaristica (Bertolini, 1988) – insieme agli effetti delle politiche consumi- stiche – hanno portato ad incrementare i livelli di dipendenza economica e materiali dei figli nei confronti dei genitori che vivono sempre più a lungo con loro nella famiglia d’origine. La permanenza prolungata in famiglia,

gravata anche dalla precarietà del mercato del lavoro e dalla crisi economi- ca, non permette ai figli di divenire adulti socialmente responsabili e total- mente autonomi nella gestione della propria vita, anche negli aspetti mera- mente materiali e/o economici.

Le trasformazioni sociali e familiari, inoltre, hanno ridotto in maniera con- siderevole la dimensione gerarchica e di potere dei rapporti familiari sia per quanto concerne le relazioni di genere (maschile e femminile) che per le relazioni tra le generazioni (nonni/genitori/figli). Tuttavia, i figli hanno bi- sogno di genitori che siano in grado di rappresentare e sostenere la diffe- renza generazionale e le responsabilità educative che tale asimmetria com- porta (Recalcati, 2011).

L’indiscutibile incremento della complessità all’interno dei modelli edu- cativi cosiddetti ordinari pone la questione di comprendere come i genitori possano esercitare le funzioni genitoriali in maniera autorevole (protezione e contenimento) a fronte di nuove sfide educative e relazionali. I genitori nella loro valenza educative, necessitano di essere sostenuti poiché i saperi necessari alla riuscita del compito educativo non sono innati (Miron, 1999): i genitori hanno bisogno di essere accompagnati nel loro ruolo per rinforza- re le loro capacità educative in una direzione autentica dell’aver cura. In tal senso, la riflessione pedagogica sottolinea come le principali pro- blematiche educative siano in buona parte collegabili alla crisi che investe le relazioni interpersonali più significative e che pervade tutto il tessuto so- ciale (Milan, 2004). La questione di fondo riguarda, perciò, la qualità delle relazioni educative che intercorrono nella famiglia: i soggetti in età evoluti- va hanno bisogno di una coppia genitoriale autorevole che sappia esercitare in maniera positiva e bilanciata le funzioni educative per promuovere la crescita dei figli.

La costruzione identitaria e il processo di crescita delle persone viene osta- colato quando le difficoltà genitoriali a sostenere entrambe le funzioni –

ossia quella materno-affettiva e paterno-normativa – si traducono in moda- lità educative che potremmo definire disfunzionali, ossia scarsamente bi- lanciate come lungo un continuum, ma polarizzate o in un eccesso (E) o in un difetto (D), ossia nei due estremi opposti, di presenza genitoriale (Milan, 2004).

---<---<---<---<---<--- D

------------------ E

Le modalità educative dovrebbero, infatti, esplicitarsi – come lungo un con- tinuum – sia sul “polo” della protezione, dell’accoglimento, del sostegno del bambino, sia sul “polo” della separazione e dell’autonomia in modo da accompagnare e orientare il processo di crescita attraverso una declinazione armonica della soddisfazione del bisogno e delle richieste di crescita gra- duate all’età e alla maturità psico-affettiva del bambino (Pietropolli Char- met, 2000).

--- --- --- --- --- Posizioni intermedie, senza eccessi di E o D

Entrambe le modalità educative sopra menzionate – eccesso o difetto di presenza genitoriale - fanno emergere aspetti problematici legati alla distor- ta relazione che si verifica attraverso:

 o stili educativi troppo deboli, da un punto di vista normativo, orientati a un lassismo/permissivismo che si traduce vieppiù in una mancanza di regole funzionali, confini e limiti. Assistiamo a genitori che faticano ad educare alle regole, al senso del limite, in “balĭa” dei bisogni - e allo loro tempestiva soddisfazione - dei figli ;

 o stili educativi caratterizzati da un controllo eccessivo che signi- fica sostituirsi al figlio nella decisone di cosa fare, cosa pensare e quali emozioni provare. Come afferma Meringolo (2002) il con- trollo è un “aspetto pericoloso e inefficace […] perché per quan- to esteso possa essere il controllo, è praticamente impossibile che copra tutte le situazioni di vita quotidiana, mentre crea aggressi- vità che impedisce la richiesta di aiuto all’adulto e, paradossal- mente, porta a sperimentare situazioni sempre più rischiose (p. 46)”;

 o stili educativi caratterizzati da un’eccessiva vicinanza interper- sonale orientata ad un’iperprotezione, talvolta invischiante che minaccia la reciprocità Io-Tu nel legame dialogico genitori-figli. In merito a questa modalità educativa, Milan (2004) afferma che ritroviamo “adulti troppo possessivi, perennemente ansiosi per la sorte del figlio, il suo profitto scolastico, le sue buone o cattive compagnie, la qualità della sua alimentazione, la sua pulizia per- sonale, i pericoli più che quotidiani nei quali potrebbe incorrere; egli [il figlio] cresce, ma agli occhi dei genitori rimane piccolo, bambino indifeso da tutelare nella sicurezza di un nido chiuso, ben protetto, all’interno di una famiglia centripeta, ermetica, fat- ta di relazioni invischiate” (p. 26);

 o stili educativi caratterizzati da un’eccessiva distanza interper- sonale orientata a (un eccesso di) spinte emancipative precoci per

il bambino sia in relazione alla sua età sia in relazione alle sue esperienze compiute fino a quel momento, nonché al suo livello di maturità psico-relazionale e affettiva. Si tratta di bambini che crescono “in fretta”, tendenzialmente lasciati soli a se stessi sen- za un autorevole supporto (protettivo e contenitivo) da parte di adulti significativi. In questi casi, possiamo osservare bambini con un’autonomia solo apparente, appunto, per un eccesso di au- tonomia, e perciò bambini non (ancora) pronti per affrontare il mondo esterno e ancora bisognosi di essere accompagnati me- diante la presenza e l’esempio dei genitori.

Nelle famiglie con figli con disabilità riscontriamo tra i principali nodi edu- cativi quelli legati all’eccesso di una presenza genitoriale, come accade an- che nei modelli educativi ordinari (poiché come abbiamo più volte ribadito e come cercheremo di dimostrare nel corso di questo lavoro, esistono enorme comunanze tra le famiglie con e senza figli con disabilità). La pro- tratta dipendenza dei figli, la mancanza di spinte emancipative, l’eccessiva protezione genitoriale e l’incapacità di educare alle regole e alla norma so- no i punti nevralgici sui quali ci soffermeremo nei prossimi capitoli, attra- verso la disanima che ruolo del padre e i risultati della ricerca oggetto di questa lavoro (seconda parte).

Capitolo terzo

Il padre