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5. Soluzioni de iure condito

1.5. L’impiego ultra partes dei rimedi esecutivi

Sgombrato il campo dall’applicabilità della revisione europea rispetto ai c.d. “fratelli minori” di Contrada, occorre verificare l’esperibilità dei rimedi esecutivi, analiticamente descritti nel capitolo che precede. Un’apertura in questo senso pare emergere dalle conclusioni rassegnate dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza Ercolano. In tale arresto, la Suprema Corte ipotizza l’utilizzabilità dello strumento processuale dell’incidente di esecuzione ove, oltre alla identità della questione controversa rispetto a quella decisa dalla Corte edu ed alla relativa “serialità”, sussista altresì la possibilità di interpretare la normativa interna in senso convenzionalmente orientato (salvo, in caso di impossibilità, procedere con incidente di costituzionalità della norma all’origine della violazione).

Orbene, recuperando le categorie più volte menzionate nel corso del presente lavoro, è solo riguardo al contenuto dell’obbligazione diretta, i.e. il principio di diritto espresso dalla Corte edu, che si può parlare di sentenza c.d. “pilota” o di “indirizzo consolidato” della giurisprudenza del giudice di Strasburgo (come suggerito dalla sentenza n. 49 del 2015 della Corte Costituzionale). Diverso è il discorso per quanto concerne l’obbligazione indiretta, il cui contenuto si sostanzia nel quomodo, come incidere sul giudicato per applicare detto principio di diritto.

Le Sezioni Unite Ercolano, laddove ipotizzano in astratto l’eseguibilità delle sentenze della Corte europea nei casi identici, purché vi sia la possibilità di interpretare la normativa interna in senso convenzionalmente orientato, omettono di affrontare proprio questo punto: una volta che l’obbligo diretto, il principio di diritto espresso nella sentenza europea sia considerato chiaro e consolidato, occorre reperire lo strumento processuale idoneo a renderlo applicabile in tutti i casi, erga omnes. Per fare ciò, non basta verificare la possibilità di un’interpretazione convenzionalmente orientata della norma all’origine della violazione convenzionale, atteso che resta pur sempre il limite del giudicato penale, il quale deve essere necessariamente superato per conseguire l’effettiva soddisfazione dei soggetti che versano nella medesima situazione del ricorrente vittorioso a Strasburgo.

Tanto ciò è vero che nella vicenda Ercolano le Sezioni Unite si sono viste costrette a sollecitare l’intervento della Corte Costituzionale. In altri termini, l’obbligazione diretta è stata adempiuta mercé l’intervento della Consulta, non potendo offrirsi un’interpretazione differente, ancorché convenzionalmente conforme, del dato letterale emergente dall’art. 7 d.l. n. 341 del 2000. Proprio tale intervento, che ha sancito l’illegittimità costituzionale della norma penale sanzionatoria, ha consentito di reperire lo strumento più adatto, preesistente all’intervento della Consulta, per incidere sul giudicato penale, e cioè il combinato disposto degli artt. 670 c.p.p. e 30 comma 4 L. 11 marzo 1953, n. 87, che impone di eliminare gli effetti penali di una condanna fondata su una norma dichiarata incostituzionale.

Per tirare le fila del discorso, se fosse stata possibile un’interpretazione convenzionalmente conforme della norma all’origine della violazione convenzionale, l’esito sarebbe stato lo stesso? Si ritiene di no, atteso che sarebbero venuti meno i presupposti per l’attivazione del rimedio esecutivo, in assenza di una norma equiparabile all’art. 30 comma 4 L 87/1953; disposizione che fa esclusivo riferimento alla dichiarazione di illegittimità costituzionale di una norma penale, incriminatrice o sanzionatoria, con ciò che ne consegue in termini di efficacia erga

omnes della pronuncia.

Laddove, dunque, un’interpretazione convenzionalmente orientata del diritto interno sia già possibile sulla base della lettera della legge, attraverso il mero

mutamento dell’orientamento giurisprudenziale, l’unico modo per dare attuazione alla sentenza della Corte di Strasburgo nei confronti dei c.d. “fratelli minori”, in assenza dei presupposti per l’attivazione del rimedio esecutivo, è la proposizione di una questione di legittimità costituzionale della norma processuale disciplinante lo strumento di volta in volta preso in considerazione, “nella parte in cui non prevede che…”.

Se, dunque, le Sezioni Unite avessero affermato l’efficacia ultra partes del principio di diritto enucleato dalla Corte Edu nel caso Contrada – i.e. la non prevedibilità in senso oggettivo della fattispecie del concorso esterno in associazione mafiosa in epoca precedente alle Sezioni Unite Demitry del 199425 – le strade percorribili sarebbero state sostanzialmente due: da un lato, come già anticipato nel capitolo precedente, sollevare questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis c.p., per violazione degli artt. 117 Cost. e 7 Cedu (quale norma interposta nel giudizio di legittimità costituzionale)26, con la precisazione che l’efficacia abolitiva ex tunc della sentenza costituzionale dovrebbe arrestarsi alla data del deposito della sentenza Demitry; da un altro lato27, sollevare questione di costituzionalità dell’art. 673 c.p.p., per contrasto con gli artt. 117 Cost. e 46 par. 1 Cedu, nella parte in cui non prevede la revoca della sentenza definitiva di condanna per dare esecuzione alle decisioni della Corte europea, nelle ipotesi in cui la fattispecie incriminatrice, di origine legislativa o giurisprudenziale, sia stata

25 Premessa tutt’altro che scontata già prima dell’intervento delle Sezioni Unite, giusta la sussistenza

di posizioni divergenti al riguardo sia in giurisprudenza, come visto supra, sia in dottrina. Propendono per l’estensione del dictum Contrada a tutti i casi di condotta di concorso esterno in associazione mafiosa, contestata prima della data dell’intervento delle Sezioni unite del 1994, N. RECCHIA, Concorso esterno in associazione mafiosa. La Corte di cassazione alle prese con gli effetti nel nostro ordinamento della decisione Contrada della Corte EDU, in Giur. it., 2017, 5, 1205 ss.; F.VIGANÒ, Pena illegittima e giudicato. Riflessioni in margine alla pronuncia delle Sezioni unite che chiude la saga dei “fratelli minori di Scoppola”, in www.penalecontemporaneo.it, 12 maggio 2014; D. N. CASCINI, Dopo la sentenza Contrada: tra carenze strutturali dell’ordinamento interno ed esigenze di

adattamento al sistema convenzionale, in Arch. pen., 2019, 2, 13.

26 Per questa soluzione propende B.L

AVARINI, I rimedi post iudicatum, cit., 120. Solo in tal caso – ma il discorso è estensibile a tutte le ipotesi in cui fosse considerata convenzionalmente e costituzionalmente illegittima la stessa incriminazione del soggetto ingiustamente condannato – sarebbe astrattamente giustificabile l’utilizzo dell’art. 673 c.p.p. Si tratterebbe, infatti, di un impiego congruo, atteso che vi sarebbe una sentenza della Corte costituzionale che dichiara l’illegittimità della norma incriminatrice.

27 Trattasi di soluzione avanzata, ancorché in subordine, dalla difesa di Contrada nel ricorso che ha

dato luogo alla sentenza Cass., Sez. I, 20 settembre 2017, n. 43112, oggetto di commento nel precedente capitolo.

ritenuta causa della violazione convenzionale28 (sulla falsariga di quanto già avvenuto rispetto all’art. 630 c.p.p. con la sentenza n. 113 del 2011 della Corte costituzionale).

1.6. Una postilla: le conseguenze ordinamentali della sentenza De Tommaso c.