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5. Soluzioni de iure condito

5.2. Le violazioni sostanziali

Si è sopra evidenziato come esistano casi in cui l’accertata violazione di un diritto sostanziale, garantito dalla Convenzione europea, possa trovare adeguato ed idoneo ristoro solo attraverso la riapertura del procedimento penale. Tuttavia, si è altresì osservato come le vicende giurisprudenziali che maggiormente hanno impegnato gli interpreti in ambito penale, i.e. i casi Scoppola e Contrada, afferendo alla violazione – sotto diversi aspetti – del principio di legalità sostanziale di cui all’art. 7 Cedu, effettivamente non imponessero una riapertura siffatta.

Anche con riguardo alle violazioni sostanziali, dunque, vale il sopra menzionato avvertimento della Corte Costituzionale – contenuto nella sentenza n. 113 del 2011 ed avente come destinatari i giudici comuni – a tenere conto delle indicazioni provenienti dalle sentenze della Corte europea della cui esecuzione si tratta e ad operare i dovuti distinguo con riguardo ai caratteri della violazione accertata nel caso concreto. In altri termini, occorre avere bene a mente il contesto di riferimento e l’obiettivo perseguito dai giudici di Strasburgo nella singola vicenda sottoposta al loro scrutinio.

Nel caso Scoppola, invariato l’accertamento contenuto nella sentenza di condanna pronunciata dai giudici nazionali, si trattava di operare la mera rideterminazione della pena convenzionalmente illegittima199.

Nel caso Contrada, viceversa, non era il quantum del trattamento sanzionatorio ad avere determinato la violazione dell’art. 7 Cedu, bensì, in apicibus, l’an della pena, essendo essa stata irrogata in relazione ad un fatto – nella prospettiva convenzionale – non ancora previsto dal “diritto” interno (comprensivo della “fonte” giurisprudenziale) come reato.

198 R.E.K

OSTORIS, ivi, 480, il quale propone come parametro alternativo di legittimità costituzionale

anche l’art. 111, comma 3 Cost. In senso analogo, G.UBERTIS, La revisione successiva a condanne della Corte di Strasburgo, cit., 1547. In termini adesivi, R.M.GERACI, L’impugnativa straordinaria

per la violazione della Cedu accertata a Strasburgo, cit., 86.

199 In ipotesi siffatte lo strumento dell’incidente di esecuzione sarebbe stato quello preferibile, come

evidenziato dalla dottrina. Cfr. M.GAMBARDELLA, Il “caso Scoppola”: per la Corte europea l’art. 7 Cedu garantisce anche il principio di retroattività della legge penale più favorevole, cit., 2030.

In ipotesi del genere, come abbiamo cercato di dimostrare supra, l’impiego dell’art. 670 c.p.p. si giustifica alla sola condizione di ritenere il vizio convenzionale causa della mancanza, sub specie di inesistenza giuridica, del titolo esecutivo. In via subordinata, qualora si acceda ad una lettura della revisione europea in chiave di sussidiarietà, ovvero in via alternativa, qualora invece si accolga un’impostazione che riconosca la piena autonomia dello strumento200, non vi sono ragioni per escludere l’esperibilità dell’impugnazione straordinaria di origine pretoria.

Si è consapevoli – è bene ribadirlo – dei difetti di entrambi gli strumenti citati; ma, allo stato, si tratta delle uniche strade percorribili, se rettamente e “strettamente” intese, quanto meno dal punto di vista della sussistenza dei

presupposti.

In ulteriore subordine ai due itinerari processuali appena descritti, si prospetta un’ulteriore soluzione, ancorché si tratti di sentiero impervio201: la questione di costituzionalità dell’art. 673 c.p.p., per contrasto con gli artt. 117 Cost. e 46, par. 1, Cedu, nella parte in cui non prevede il caso della revoca della sentenza di condanna per dare esecuzione alle decisioni della Corte edu202.

Infine – ed è una consapevole provocazione – si profila un’ultima, radicale, possibilità. L’assenza di uno strumento processuale idoneo ad ottemperare ai dicta della Corte di Strasburgo non può condurre il giudice interno ad interpretazioni che forzano il perimetro letterale delle norme, atteso che il principio di legalità processuale ha dignità costituzionale. Occorre, dunque, mettere il legislatore di fronte alle proprie responsabilità.

Qualora la legge, pur interpretata in modo convenzionalmente orientato, non permetta di reperire un rimedio adeguato, salvo improvvide forzature del dato testuale, ed abbia altresì avuto esito negativo l’eventuale sollecitazione di ulteriori

200 Per questa impostazione cfr. Cass., Sez. I, Dell’Utri, cit., che, anzi, sottolinea «la priorità logica

dello strumento della revisione».

201 In primo luogo, perché richiederebbe una nuova sentenza additiva di principio da parte della Corte

costituzionale; in secondo luogo, perché potrebbe portare, salva espressa delimitazione da parte dell’eventuale pronuncia della Consulta, ad una indebita estensione al di là del caso di specie.

202 Sulla falsariga di quanto già avvenuto rispetto all’art. 630 c.p.p. con la sent. n. 113 del 2011 della

Corte costituzionale. Cfr. F. P. LASALVIA, Il giudice italiano e la (dis)applicazione del dictum

Contrada: problemi in vista nel “dialogo tra le Corti”, in Arch. pen., 2016, 3, 20. Sembrano propendere per questa soluzione altresì P.MAGGIO, Nella “revisione infinita” del processo Contrada i nodi irrisolti dell’esecuzione delle sentenze Cedu, cit., 3452; O.MAZZA, Cedu e diritto interno, cit. 14. Per una critica a tale ipotesi, B.LAVARINI, I rimedi post iudicatum, cit., 120, in nt. 115.

interventi additivi della Corte Costituzionale sulle norme interne che consentono di superare o correggere il giudicato, il giudice interno adito per l’esecuzione del dictum della Corte di Strasburgo non può fare altro che arrestarsi, adottando una pronuncia di inammissibilità dello strumento illegittimamente attivato dalla vittima della violazione convenzionale. Non di resa ad un «comodo non liquet»203 si tratta, bensì di semplice rispetto dei confini delle proprie prerogative istituzionali. Ed infatti, dell’inadempimento dello Stato agli obblighi internazionali, come anticipato, non risponde la sola magistratura, ma una pluralità di organi «chiamati ad agire nei limiti dei poteri loro conferiti dall’ordinamento statuale di appartenenza. La surrogazione non è allora che un’arbitraria invasione di prerogative che nell’attuare regole (talora solo presunte) di matrice sopranazionale elude canoni e principi del sistema in cui queste dovrebbero inserirsi»204.

Una soluzione di tal fatta, da un canto, comporterebbe evidenti carenze dal punto di vista della giustizia sostanziale, risolvendosi in un “déni de justice

flagrant”205 nei confronti della vittima della violazione convenzionale; ma, d’altro canto, esporrebbe lo Stato italiano ad una procedura di infrazione ai sensi dell’art. 46, commi 4 e 5, Cedu. Forse che, in una situazione siffatta, il legislatore si deciderebbe ad intervenire? Probabilmente sì, e finalmente il nostro Paese si allineerebbe agli altri Stati aderenti alla Convezione, che, in prevalenza, hanno espressamente regolato la materia per via legislativa.

È appena il caso di ribadire che si tratta di impostazione che può essere accolta esclusivamente in via di extrema ratio, qui solo provocatoriamente proposta. Resta il senso di smarrimento dell’interprete di fronte ad un vuoto normativo difficile – se non impossibile – da colmare in via ermeneutica.

203 In questo senso, invece, F.C

ALLARI, La revisione, 276.

204 L.CORDÌ, L’efficacia delle decisioni della Corte europea dei diritti dell’uomo nell’ordinamento

italiano, cit., 123.

205 Il riferimento è a Cass., Sez. I, 1° dicembre 2006, n. 2800, Dorigo, cit., che, viceversa, proprio per

evitare un simile “flagrante diniego di giustizia”, ha ritenuto di dovere dare esecuzione alla sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo, in mancanza di un mezzo idoneo ad instaurare un nuovo processo, attraverso l’utilizzo improprio dell’art. 670 c.p.p.

CAPITOLO TERZO

L’ESECUZIONE DELLE SENTENZE DELLA CORTE

EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO NEI CASI ANALOGHI A

QUELLI SOTTOPOSTI AL SUO SCRUTINIO

1. Le violazioni sostanziali: la formula dei “fratelli minori”

1.1. L’efficacia “espansiva” delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo