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Una postilla: le conseguenze ordinamentali della sentenza De

5. Soluzioni de iure condito

1.6. Una postilla: le conseguenze ordinamentali della sentenza De

La correttezza del ragionamento sviluppato nei paragrafi precedenti è testimoniata dagli esiti di una nota vicenda giurisprudenziale, i cui legami con le sopra citate saghe dei “fratelli minori” non sono stati indagati fino in fondo. Si fa riferimento, in particolare, alle conseguenze sull’ordinamento interno della sentenza De Tommaso c. Italia29.

In estrema sintesi, la sentenza in parola ha sancito la contrarietà alla Convenzione, per contrasto con la libertà di circolazione di cui all’art. 2 Prot. 4 Cedu, di alcune prescrizioni imposte dalla misura di prevenzione della sorveglianza speciale prevista dal c.d. codice antimafia. Per quanto interessa in questa sede, la citata sentenza ha espresso un giudizio complessivamente critico nei confronti della legge n. 1423 del 1956 e, conseguentemente, del d.lgs. n. 159 del 2011, nella misura in cui questo recepisce i contenuti fondamentali della disciplina originaria. Nello specifico, i giudici di Strasburgo hanno riconosciuto l’estrema vaghezza e genericità del contenuto delle prescrizioni imposte all’interessato di «vivere onestamente e rispettare la legge» di cui all’art. 8 d.lgs. 159 del 2011.

Adottando un’interpretazione convenzionalmente conforme del dato testuale dell’art. 75 comma 2 d.lgs. 159/2011, che punisce l’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con l’obbligo o il

28 O più genericamente «quando ciò sia necessario per uniformarsi ad una sentenza della Corte

europea dei diritti dell’uomo che abbia ritenuto lo Stato responsabile di una violazione della legalità convenzionale di cui all’art. 7 C.E.D.U.», come evidenziato da F.FALATO, L’efficacia estensiva delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, cit., 33. Per questa posizione cfr. altresì F. P. LASALVIA, Il giudice italiano e la (dis)applicazione del dictum Contrada: problemi in vista nel

“dialogo tra le Corti”, cit., 20. Sembrano propendere per questa soluzione altresì P.MAGGIO, Nella

“revisione infinita” del processo Contrada i nodi irrisolti dell’esecuzione delle sentenze Cedu, cit., 3452; O.MAZZA, Cedu e diritto interno, cit. 14. Per una critica a tale ipotesi, B.LAVARINI, I rimedi

post iudicatum, cit., 120, in nt. 115.

29 Corte eur. dir. uomo, Grande Camera, 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, in

www.echr.coe.int., con nota di F. VIGANÒ, La Corte di Strasburgo assesta un duro colpo alla disciplina italiana delle misure di prevenzione personali, in Dir. pen. cont., 2017, 3, 370 ss.

divieto di soggiorno – tra le quali sembrerebbero ricomprese, per effetto del citato richiamo, anche le prescrizioni generiche relative al «vivere onestamente» e «rispettare le leggi» –, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nel caso Paternò30 hanno formulato il seguente principio di diritto: «[l]’inosservanza delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall’art. 75, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni c.d. specifiche; la predetta inosservanza può, tuttavia, rilevare ai fini dell'eventuale aggravamento della misura di prevenzione».

Il Supremo Consesso ha dunque adottato un’interpretatio abrogans della fattispecie incriminatrice in parola, nella parte in cui sanziona l’inosservanza delle prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi”, che, certamente applicabile nei procedimenti ancora sub judice, pone il problema dei relativi effetti sulle sentenze di condanna passate in giudicato.

La questione è stata portata all’attenzione della seconda sezione penale della Corte di Cassazione31, la quale ha condivisibilmente osservato che «l’adeguamento alla (…) interpretazione abolitiva offerta dalla sentenza Paternò non legittima alcun intervento sul giudicato e, dunque, non consente al collegio di effettuare il doveroso controllo di legalità sul giudicato». Ed infatti, l’operazione ermeneutica posta in essere dalle Sezioni Unite «non può essere assimilata ad un

30 Cass., Sez. Un, 5 settembre 2017, n. 40076, Paternò, in C.E.D. Cass. 270496. In dottrina cfr. F.

VIGANÒ, Le Sezioni Unite ridisegnano i confini del delitto di violazione delle prescrizioni inerenti alla misura di prevenzione alla luce della sentenza De Tommaso: un rimarchevole esempio di interpretazione conforme alla CEDU di una fattispecie di reato, in www.penalecontemporaneo.it, 13 settembre 2017; I.PELLIZZONE, L'impatto della sentenza "De Tommaso" secondo le Sezioni Unite: la

disapplicazione della legge interna come soluzione alla carenza di prevedibilità, in Quad. cost., 2017, 906 ss.; F.MAZARA GRIMANI, Limiti applicativi dell'art. 75, comma 2, D.Lgs. n. 159/2011 nella giurisprudenza delle Sezioni unite penali della Corte di cassazione: una prima ricaduta in materia di misure di prevenzione dopo la sentenza CEDU "De Tommaso", in Cass. pen., 2018, 2348 ss.; V. MAIELLO, La violazione degli obblighi di "vivere onestamente" e "rispettare le leggi" tra abolitio

giurisprudenziali e giustizia costituzionale: la vicenda Paternò, in Dir. pen. proc., 2018, 777 ss.; F. BASILE, Quale futuro per le misure di prevenzione dopo le sentenze De Tommaso e Paternò?, in Giur. it., 2018, 452 ss.

31 Cass., Sez. II, ordinanza 26 ottobre 2017, n. 49194, in www.penalecontemporaneo.it, 21 ottobre

2017, con nota di F.VIGANÒ, Ancora sull’indeterminatezza delle prescrizioni inerenti alle misure di prevenzione: la seconda sezione della Cassazione chiama in causa la Corte costituzionale, in Dir. pen. cont., 2017, 10, 272 ss.

evento abolitivo di matrice legislativa o costituzionale e non consente l’incisione del giudicato».

In proposito, «la Corte costituzionale [nella sentenza n. 230 del 2012] ha affermato che “al fine di porre nel nulla ciò che, di per sé, dovrebbe rimanere intangibile – il giudicato, appunto – il legislatore esige, non irragionevolmente, una vicenda modificativa che determini la caduta della rilevanza penale di una determinata condotta con connotati di generale vincolatività e di intrinseca stabilità”; connotati che non vengono riconosciuti alla giurisprudenza delle Sezioni unite in quanto “vi si oppone anche, e prima ancora – in uno alla già più volte evocata riserva di legge in materia penale, di cui allo stesso art. 25, secondo comma, Cost. – il principio di separazione dei poteri, specificamente riflesso nel precetto (art. 101, secondo comma, Cost.) che vuole il giudice soggetto (soltanto) alla legge” (…). Tale inidoneità delle sentenze della Cassazione a costituire “fonte del diritto” sopravvive anche nell’attuale panorama normativo, dato che la speciale vincolatività assegnata ai principi espressi dalle Sezioni unite dall’art. 618 comma 1 bis cod. proc. pen. è funzionale a stabilizzare l’interpretazione, introducendo anche nel nostro ordinamento una sorta di “vincolo del precedente”, ma non assegna al massimo organo della Cassazione alcun ruolo normativo. (…) Deve pertanto essere ribadita l’impossibilità di rilevare l’abolizione del reato previsto dall’art. 75 comma 2 del D.lgs n. 159 del 2011 facendo (esclusivo) riferimento alla interpretazione abrogatrice offerta dalle Sezioni unite nella sentenza Paternò»32.

Tanto premesso, «[i]l ricorso all’interpretazione adeguatrice, strumento a vocazione casistica, si rivela inadeguato a garantire la certezza del diritto necessaria quando sia in gioco la definizione dell’area delle condotte penalmente rilevanti, ovvero quando sia in predicato una “interpretazione abolitiva” a vocazione generale, che, come nel caso di specie, pretenda di travolgere il giudicato. (…) Si ritiene, pertanto, necessario un intervento della Corte

costituzionale, ovvero dell’unico organo che ha la capacità di incidere sulla legge con efficacia retroattiva e che può assegnare alla condotta prevista dall’art. 75

comma 2 del D.lgs n. 159 del 2011 la connotazione “stabile” necessaria per

garantire la prevedibilità della sanzione ed il sostanziale rispetto del principio di legalità»33.

Aderendo all’impostazione proposta dal giudice di legittimità, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 25 del 201934, ha dichiarato parzialmente illegittimo l’art. 75, commi 1 e 2, d.lgs. 159/2011 nella parte in cui sanziona penalmente la violazione delle prescrizioni di «vivere onestamente» e di «rispettare le leggi» imposte con la misura personale della sorveglianza speciale. In particolare, la Consulta, qualificando expressis verbis il principio di diritto enucleato nella sentenza europea De Tommaso quale «approdo giurisprudenziale stabile»35 e «diritto consolidato»36, ha ritenuto la questione fondata nel merito, con riferimento all’art. 117, primo comma Cost., in relazione agli artt. 7 Cedu e 2 Prot. n. 4 Cedu.

È di tutta evidenza che, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice, lo strumento processuale attivabile al fine di ottenere la revoca della sentenza di condanna passata in giudicato è quello previsto dall’art. 673 c.p.p.: i soggetti sottoposti alla misura personale della sorveglianza speciale che siano stati condannati in via definitiva per avere violato le prescrizioni generiche di “vivere onestamente” e di “rispettare le leggi” potranno, dunque, rivolgersi al giudice dell’esecuzione, attivando il rimedio esecutivo in parola. Nel pieno rispetto della legge processuale.