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3. I rimedi esecutivi

3.2. La revoca della sentenza di condanna ex art 673 c.p.p

Come anticipato, l’impiego dell’art. 673 c.p.p. in funzione esecutiva dei dicta dei giudici di Strasburgo è stato ipotizzato dalla dottrina all’indomani della pubblicazione della sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo sul caso Contrada. Quest’ultimo aveva successivamente attivato un incidente di esecuzione, proprio ai sensi dell’art. 673 c.p.p., di fronte alla Corte d’Appello di Palermo, la quale aveva ritenuto l’istanza inammissibile138.

La questione era giunta alla Corte di Cassazione, la quale aveva adottato la sentenza sopra commentata139, preferendo l’art. 670 c.p.p. al prospettato art. 673 c.p.p. Nonostante la domanda del ricorrente fosse volta ad ottenere la revoca della sentenza di condanna, in adempimento del dictum della Corte europea, i giudici di legittimità hanno escluso espressamente – con motivazione alquanto stringata – l’esperibilità del rimedio previsto dall’art. 673 c.p.p., poiché risultavano pacificamente insussistenti le condizioni ivi considerate: id est, l’abrogazione o la dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma incriminatrice.

137 Si rinvia al prossimo capitolo per i doverosi riferimenti dottrinali e giurisprudenziali.

138 Corte app. Palermo, Sez. I, 24 ottobre 2016 (11 ottobre 2016), ord. n. 466, in

www.penalecontemporaneo.it, 24 gennaio 2017.

È indubitabile che, dal punto di vista del risultato pratico, degli effetti, tale rimedio sarebbe stato il maggiormente appetibile per il ricorrente140. Tuttavia, è evidente la mancanza dei presupposti.

Non è, peraltro, condivisibile la posizione dottrinale, pur autorevolmente sostenuta141, fautrice di un’applicazione analogica in bonam partem dell’istituto in esame. È d’uopo, infatti, rammentare che le norme che incidono sul giudicato, proprio perché rimettono in discussione la certezza del diritto in esso compendiata, dovrebbero considerarsi norme eccezionali142; sulle quali, ai sensi dell’art. 14 preleggi, nessuna operazione analogica è consentita.

Se anche non si concordasse con una simile ricostruzione, peraltro, affinché operi l’analogia, è pur sempre necessaria, oltre alla lacuna normativa, altresì la

eadem ratio. Ebbene, non pare di potersi sostenere che abolitio criminis e

dichiarazione di incostituzionalità di una norma incriminatrice, da un lato, e sentenza della Corte europea che rileva una violazione della Cedu, dall’altro lato, abbiano una

ratio comune.

Affermare il contrario, infatti, condurrebbe ad equiparare la sentenza di condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo ad una legge abolitrice, paragone al momento riservato alla sola giurisprudenza eurounitaria143, ovvero ad una sentenza della Corte costituzionale, ipotesi quanto mai azzardata ed invisa alla stessa

140 Cfr. B.L

AVARINI, I rimedi post iudicatum, cit., 118; E.LORENZETTO, Violazioni convenzionali e

tutela post iudicatum dei diritti umani, cit., 16.

141 V.MAIELLO, Consulta e CEDU riconoscono la matrice giurisprudenziale del concorso esterno, in

Dir. pen. proc., 2015, 1026; O.DI GIOVINE, Antiformalismo interpretativo: il pollo di Russel e la stabilizzazione del precedente giurisprudenziale, in Riv. trim. dir. pen. cont., 2015, 2, 10. Contra M. GAMBARDELLA, Norme incostituzionali e giudicato penale: quando la bilancia pende tutta da una

parte, in Cass. pen., 2015, 87.

142 O quantomeno tassative. Sembra andare in questa direzione Corte Cost., 12 ottobre 2012, n. 230,

sul tema della non equiparabilità del mutamento giurisprudenziale che esclude determinati fatti dal perimetro applicativo di una fattispecie incriminatrice alle ipotesi di abolizione del reato di cui all’art. 673 c.p.p. Cfr., pur con riguardo all’art. 670 c.p.p., ma le medesime considerazioni sono estensibili all’art. 673 c.p.p., D.NEGRI, Corte europea e iniquità del giudicato penale. I confini della legalità processuale, in Dir. pen. proc., 2007, 1231; S.CARNEVALE, Corte europea e iniquità del giudicato penale. L’inidoneità dei rimedi individuati dalla giurisprudenza, cit., 1237. Con le parole di Cass., Sez. I, Dell’Utri, cit., «le competenze attribuite al giudice dell’esecuzione (...) risultano predeterminate dal legislatore nell’ambito di un disegno sistematico tendenzialmente improntato alla regola della tassatività (...) che non consente – in via generale – al giudice della fase esecutiva di rilevare vizi del procedimento o della decisione ma, al più, di integrare la decisione incompleta».

143 Cfr. V.V

ALENTINI, Normativa antimafia e diritto europeo dei diritti umani. Lo strano caso del

dottor Bruno Contrada, in Arch. pen., 2017, 2, 20. Il riferimento è alla sentenza Corte di Giustizia UE 28 aprile 2011, El Dridi, C-61/11 PPU, su cui funditus B.LAVARINI, I rimedi post iudicatum, cit., 125 ss.

Consulta, la quale ha recentemente rivendicato con forza la propria collocazione ideale nel sistema delle fonti (definita “predominio assiologico” nella sentenza n. 49 del 2015). Ed infatti, non v’è chi non veda la profonda differenza che corre tra le due ipotesi di abolizione del reato (parafrasando la rubrica) di cui all’art. 673 c.p.p., connotate dal carattere della generalità degli effetti144, e le sentenze della Corte europea, che, se non “mediate” dall’intervento della Corte costituzionale145, vincolano esclusivamente il giudice del caso di specie, non avendo alcuna vis

expansiva al di là di esso (se non in via ermeneutica ed ante iudicatum).

Nella vicenda Contrada, l’estensione degli effetti ai casi identici o analoghi si sarebbe potuta ottenere solo ove il combinato disposto degli artt. 110 e 416-bis c.p., che incrimina il concorso esterno in associazione mafiosa, fosse stato dichiarato incostituzionale per violazione degli artt. 117 Cost. e 7 Cedu (quale norma interposta nel giudizio di legittimità costituzionale), almeno fino alla data di pubblicazione della sentenza Demitry146.

Solo in tal caso – ma il discorso è estensibile a tutte le ipotesi in cui fosse considerata convenzionalmente e costituzionalmente illegittima la stessa incriminazione del soggetto ingiustamente condannato – sarebbe astrattamente giustificabile l’utilizzo dell’art. 673 c.p.p.147. Si tratterebbe, infatti, di un impiego congruo, atteso che vi sarebbe una sentenza della Corte costituzionale che dichiara l’illegittimità della norma incriminatrice148.

144 Come affermato da Corte Cost. 12 ottobre 2012, n. 230, cit., «al fine di porre nel nulla ciò che, di

per sé, dovrebbe rimanere intangibile – il giudicato, appunto – il legislatore esige (...) una vicenda modificativa che determini la caduta della rilevanza penale di una determinata condotta con connotati di generale vincolatività e di intrinseca stabilità».

145 È questa la posizione espressa dalla Corte cost. nella sent. n. 210 del 2013, ribadita da Cass., Sez. I,

Dell’Utri, cit. Contra F.VIGANÒ, Figli di un dio minore? Sulla sorte dei condannati all’ergastolo in casi analoghi a quello deciso dalla Corte edu in Scoppola c. Italia, in www.penalecontemporaneo.it, 10 aprile 2012, 23, il quale, ancorché con riguardo alla vicenda Ercolano, ritiene il giudice comune depositario del potere di applicare il principio di diritto enucleato dalla Corte europea in un caso specifico anche nei casi analoghi e a prescindere dall’intervento della Consulta.

146 Cfr. B.LAVARINI, I rimedi post iudicatum, cit., 120. Si è consapevoli che si tratta di ipotesi

puramente teorica, atteso che ben difficilmente la Corte Costituzionale avrebbe potuto esprimersi in questi termini. Sul punto, v. F.PALAZZO, Legalità fra law in the books e law in action, in Riv. trim.

dir. pen. cont., 2016, 3, 9.

147 E solo in tal caso lo stesso Contrada avrebbe potuto servirsene.