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L’ironia nel trauma, una strategia efficacie

11 La memoria e l’oblio nel trauma

11.1 L’ironia nel trauma, una strategia efficacie

Durante una serata tra amici di famiglia il 6 maggio scorso a casa di Željka e Stjepan a Salizzole, ebbi l’occasione di sentire uno dei loro episodi della fuga da Vukovar.

Ci si trovava in salotto in un momento sereno e tranquillo, con tazze di caffè, biscotti e pasticcini; il tempo era sereno e il buon umore rimbombava per tutta la casa.

L’aria era animata da battute e racconti quotidiani finché alla coppia ospite non venne naturale chiedere l’esperienza terribile che li aveva coinvolti da giovani.

Il silenzio iniziale mi faceva temere in un congelamento dell’atmosfera del momento. Insomma, si rideva, si mangiava e si beveva il caffè, non era certo il caso di “rovinare tutto”.

E invece accadde l’incredibile: mio padre iniziò a raccontare della loro fuga dalla città ripercorrendo la stessa storia dell’auto presa in prestito dalla sorella con la benzina “rubata” dalle ambulanze che non giravano più e rideva.

I volti dei due ospiti erano carichi di attenzione ma naturalmente non risero più di tanto (c’era poco da ridere in un contesto simile).

Ma Stjepan continuò il racconto: erano in macchina e appena uscirono da Vukovar in fiamme ed entrarono in autostrada, un MiG74 gli passò sopra i loro capi a testa in giù.

Il racconto possiede dell’incredibile e anche Željka me lo aveva raccontato di persona (in seguito illustrerò la sua dichiarazione come paragone a quella di Stjepan).

“Era andato giù, su di noi mentre guidavo in autostrada vuota. E ci fissava! [ridendo] ma proprio così! Da vicino! A testa in giù! Un MiG! Che quasi lo vedi negli occhi! [continuando a ridere e pieno di eccitazione] […] “Ho pensato: ah, adesso siamo finiti. Ma siamo ancora qui! [ride]” raccontò Stjepan. Tutti eravamo increduli e contagiati dal suo ridere anche se ce ne era poco il motivo. Gli ospiti erano colpiti dalla particolarità dell’episodio, mentre io dall’ironia con il quale mio padre aveva affrontato questo ricordo.

Mia madre che, anche se sorrideva era la più seria, non le sfuggì un “ma potevamo… poteva essere finita lì”.

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Questo uso particolare dell’ironia in contesti fortemente traumatici viene rappresentato come una strategia di autodifesa descritta dalla psicoanalisi.

Come lo psicologo Boris Cyrulnik, esperto in psicologia e interessato in particolar modo alle testimonianze traumatiche, afferma: “Lo humor consiste nel presentare una situazione traumatizzante in maniera di coglierne agli aspetti divertenti, ironici, insoliti. Questa reazione sconcerta perché, distogliendo il soggetto dalla fascinazione dell’orrore, lo sottrae alla sofferenza e modifica le immagini di incubo” (Cyrulnik, 2009, pag. 51).

Egli nel suo libro “Autobiografia di uno spaventapasseri” (2009) propone un esempio esplicativo: un bambino nasce con la trisomia e la famiglia vive in una casa silenziosa e sotto choc. Cinque mesi più tardi un cuginetto viene far visita alla famiglia con i suoi genitori e osservando il neonato si rivolge alla madre dicendo “Sembra che nella vostra famiglia sia arrivato un mongolo. Nella mia scuola è arrivata una cinese. È tutto occhi a mandorla, questo.” Nonostante i genitori del cuginetto non fecero in tempo a impedire a dire una frase del genere anche se detta innocentemente, la madre del figlio con la trisomia scoppiò a ridere.

Il fatto di averle fatto pensare al legame di suo figlio con una cinesina attraverso questo humor involontario, rise e fece vedere per la prima volta il suo sorriso anche suo figlio appena nato. (Cyrulnik, Ibidem).

Questo -come sostiene Cyrulnik (2009) -per dimostrare quanto lo humor alle volte rappresenti un “grande fattore di protezione” e che “non è necessario essere allegri per avere dello humor”.

Il racconto del MiG possiede un effetto “traumatico” perché era talmente vicino che “se voleva, poteva farci fuori”, ma era anche “insolito”, in quanto è davvero incredibile aver visto un caccia sovietico volare a testa in giù proprio sopra di loro, sopra la loro testa! Stjepan dunque prende questo aspetto per rendere il racconto più leggero, più “dicibile” senza rovinare la bella atmosfera e soprattutto senza bloccarsi dal ricordo traumatico.

Anche Željka nella seconda intervista me ne aveva parlato e anche se era più consapevole e seria del pericolo in cui si trovavano, non potevo che non notare un lieve humor anche da parte sua:

“[…] Poi siamo arrivati in autostrada e abbiamo visto colonne pazzesche di militari. Pazzesche.

Nel verso opposto?

Eh, sì, verso Vukovar. E la paura tremenda dei due Mig. Che quelli ci seguivano e io vedevo la faccia. Ma lo vedevo la faccia, ma proprio cioè ma io non lo so. All’altezza di questo silo volava.

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Vedi il casco, cioè la testa non la faccia. La testa la vedi e lo vedi che è girato e capisci. Tu vedi che mica… così [gira la testa verso dietro]. Ma se poteva…

Quanti erano?

Erano due, due Mig. Ci hanno sorvolati non so quante volte. Dell’esercito Jugoslavo, serbo. Ma anche adesso hanno i Mig. […]

Ma tu stai attenta a quello che dici perché i Mig sono molto migliori di quelli americani però se lo dici qua si offendono, guarda Top Gun. […] Possono fare dito medio quanto vogliono, però i Mig sono i migliori”.

Come si nota, lo stesso racconto ansioso e terribile di prima, prese una piega più umoristica con un paragone ad un film molto famoso.

L’associazione dei MiG che era riuscita a vederli in faccia ai MiG del film con Tom Cruise di Top Gun è un altro escamotage di difesa psicologia per rendere meno “pesante” questo ricordo.

D'altronde si sa che nel film gli americani erano sempre in competizione con i modelli russi, ma non c’era partita contro di loro, perciò si ride alla fine.

Un altro episodio dove si riscontra l’ironia è stato quando Stjepan mi raccontò dei giorni di bombardamento di Vukovar mentre era con Željka al riparo.

Entrambi si trovavano in una palazzina, precisamente in un corridoio ed inizialmente iniziò a descrivere i mezzi pesanti dell’armeria serba:

“È un quadrato così. E “fu fu fu fu” …

Bazuca?

No bazuca ehm…

Lancia missili?

Lancia missili, è una cosa spaventosa, sono grandi calibri e noi eravamo in mezzo corridoio imbecilli, non sapevamo nulla di guerra. E senti che prima cade... non so 100 metri lontano, senti “phh” poi 30 metri più vicino a te…”

Il contesto descritto non da altro che un effetto di fragilità, angoscia e rumore assordante, ma nonostante queste circostanze e il poco piacere di ricordare episodi simili, quando gli chiesi come mai erano da sua sorella Mira e come si sentissero in quel momento, Stjepan giocò con un cenno di humor:

“Eh, mamma [Željka] era accasciata così vicino a me e aveva cuore che batteva… che io ho detto “Žeki, allontanati perché non sento granate ed esplosioni quanto batte forte tuo cuore” non so se mi spiego. [ridendo]”

Sicuramente in quel momento di continui bombardamenti vien difficile trovare un tale senso spiritoso per affrontare un simile evento catastrofico.

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Il fatto di aver reagito con una battuta sul battito di Željka che rimbombava più delle bombe stesse è una strategia, sia per se stesso che per mia madre che era impaurita in quel momento.

Si tratta dunque di uno spostamento dell’oggetto traumatico in uno spazio diverso per renderlo ironico e quindi più accettabile (come in questo caso, invece di porre l’attenzione sulle bombe che ovviamente potevano ucciderli, si è posta l’attenzione al battito impazzito di mia madre che risulta essere più forte di un’esplosione stessa).

“Tua mamma aveva tanta, tanta, tanta, tanta paura. Io invece meno [ride]” aveva concluso Stjepan, continuando a ridere per un po' (qui l’ironia o comunque lo “scherzo” stava che lei tremava, mentre lui “non aveva per niente paura!” avendone avuto eccome invece).

Nella lettera di Gordana Menićanin stessa (vedi cap.8.1) si ritrova un tocco di ironia quando “ringrazia” le sanzioni americane per aver trasformato Belgrado in una città “verde” tenendo “in forma la sua gente”.

Tutto questo non cambiano il trauma o i ricordi di guerra naturalmente, ma si tratta di uno “sfasamento sorprendente di una rappresentazione dolorosa [che] induce chi è stato ferito a introdurre un poco di leggerezza nel peso della propria vita, a vedere le cose diversamente, a modificarne la rappresentazione” (Cyrulnik, 2009, pag. 52).

Nel caso dell’esempio di Cyrulnik e il bambino affetto da trisomia, lo humor non cambia la ferita, il bambino rimarrà trisomico ma la famiglia vivrà in un’atmosfera più “leggera” e la “ricomparsa dei sorrisi tutelerà alla resilienza” (Ibidem).

Non si tratta di un effetto comico o caricaturale, ma di humor che da un effetto poetico.

Cyrulnik stesso distingue bene tra comicità e humor. Per la prima espone l’esempio di “Quando un filosofo fa un’esposizione pomposa con la “patta” dei pantaloni aperta ai quattro venti, quest’ultima contraddice la gravità di ciò che sta affermando e innesca un effetto comico che ridicolizza l’oratore”; e nel secondo afferma che: “si tratta soltanto di uno sfasamento, un cambiamento inatteso di rappresentazione, che prova un effetto poetico e non caricaturale” (Ibidem).