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Slobodan Milošević e la rinascita del nazionalismo serbo

3 Dati Storici

3.3 Slobodan Milošević e la rinascita del nazionalismo serbo

Slobodan Milošević (in figura 12) nacque a Požarevac in Serbia quando ancora era sotto la dominazione tedesca durante la Seconda guerra mondiale (1941).

Studiò e si laureò in legge a Belgrado e verso gli anni Ottanta divenne uno dei migliori amministratori e funzionari dello Stato della Repubblica Socialista di Jugoslavia, tanto che nel 1984 ottenne il ruolo di Segretario della Federazione di Belgrado della Lega dei Comunisti fino al 1989.

L’anno successivo divenne Presidente della Repubblica della Serbia, vincendo le rielezioni del 1992.

Al tempo, egli venne etichettato dai media come “il macellaio di Belgrado” data la sua forte e carismatica personalità in nome del nazionalismo serbo.

In effetti, gli anni Ottanta furono segnati da un risveglio del nazionalismo serbo il cui apice fu nel 1986, anno in cui venne pubblicato il Memorandum dell’Accademia Serba delle Scienze.

Stjepan da grande amante della storia me ne parlò:

“Accademici serbi, sei anni dopo la morte di Tito hanno già fatto programma di come fare sta grande Serbia, perché hanno visto che non si può rimanere insieme e hanno già fatto programma come …come … se Jugoslavia non ci sarà più, come ottenere tutti i territori dove vivevano i serbi che sia la Serbia. Sanu dobrici21, si chiama… dopo è diventato anche presidente della repubblica serba”.

Io ho trovato “Memorandum SANU” …

21 “dobrici” perché ispirato al dissidente serbo Dobrica Ćisić, un intellettuale che spinse a trattare i temi della SANU a livello nazionale.

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“Esatto brava. Dove è stato chiaro che loro volendo usare forza dell’armata jugoslava, vogliono conquistare territori quelli che vogliono che siano loro”

Questo testo uscito nel quotidiano Verčernij Novosti criticava la discriminazione dei serbi nella costituzione Jugoslava e che un processo di decentramento potesse portare alla disintegrazione della Jugoslavia.

Milošević sostenitore di questa tesi, diviene figura rappresentante del nazionalismo serbo.

Questo fece aumentare i rapporti ostili verso gli altri paesi, come con la Croazia, Slovenia o il Kosovo; con il quale si ricorda un suo discorso rivolto alla minoranza serba che risiedeva là dicendo che gli albanesi kosovari non dovranno più permettersi di “picchiarli”.

Partendo da queste dichiarazioni “in difesa delle minoranze”, Milošević era convinto che il suo popolo serbo era pronto per affrontare un grande cambiamento, come George Schöpflin chiama il mito della “rinascita e della rigenerazione” (cit. in Melikan, 2018, pag.66).

Lo scopo del mito era di convincere che per la Serbia era arrivato il momento di essere messa sotto la guida di un leader che sarebbe stato in grado di proteggere i suoi interessi e Milošević era perfetto per questo ruolo.

Il suo regime inoltre aveva capito il grande potere dei mass media cominciando a centralizzarlo e a controllarlo come si vedrà anche in seguito.

Secondo Macdonald infatti:

“While the media in the SFRY had operated relatively unfettered, compared with other communist countries new legislation limited the scope of independent reporting. […]

The Milošević regime also did its best to limit if not destroy indipendent print media, by imposing swingering taxes while cutting supplies of nwesprint and fuel. Indipendent papers such as Borba, Vreme and Republika were forced to pay four times more for newsprint than loyal government- controlled papers, such as Vecernjie novosti. Powerful conglomerates, such as the Politika Group (which owned twenty publications, a radio station and a television channel) were reduced to goverment appendages by 1987, giving Milosevic full power to implement his nationalistic projects”.

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In aggiunta a ciò, egli è anche noto per le sue continue pressioni contro i leaders delle opposizioni, con minacce e attentati22.

Sarà con l’iniziale guerra in Kosovo che risveglierà poi il conflitto con i croati in quanto: if Serbian nationalists cut their teeth in Kosovo, their main opponents as Yugoslavia disintegrated were the Croats” (Ibidem).

Nel 1990 infatti, il presidente croato Franjo Tuđman seguendo l’esempio della Slovenia, voleva far uscire la Repubblica della Croazia fuori dalla Federazione Jugoslava.

A differenza della Slovenia che non possedeva una minoranza serba da “proteggere”, durante il loro conflitto contro la JNA, Milošević avrebbe segretamente dichiarato che non avrebbe impedito la secessione.

La questione della Croazia invece si presenta diversa in quanto il 13 percento su un totale di 4.7 milioni di persone era di una sostanziosa minoranza serba e per di più, si sostiene che parte della Croazia (la parte est della Slavonia e della Krajina) fossero storicamente di origine serba.

Questo ha fatto accendere l’inevitabile confronto con la Croazia nonostante Milošević abbia detto privatamente ai leader croati che non aveva alcun interesse per le terre croate.

Ma le sue vere intenzioni vennero a galla in suo discorso nel marzo del 1991 in un incontro con i leader regionali della Serbia:

“We simply consider it as a legitimate right and interest of the Serbian nation to live in one state. This is the beginning and the end… And if we have to fight, by God we are going to fight. I hope that they [the croats] will not be so crazy as to fight against us. If we do not know how to work properly or run an economy, at least we know how to fight properly”.

(Milošević, cit. in MacDonald, David Bruce, 2002, pag. 80)

Istigando alla lotta, la questione diviene territoriale, morale ma anche religiosa, portando avanti la tesi di una Serbia continuamente vittima di un lungo e sanguinoso programma espansionistico croato in quanto “in their analysis of this “anti-serbian” or “Serbophobic” programme, the importance of Catholic expansionism was another important ingredient” (Ibidem).

Si può dunque sostenere che queste furono le basi per dare inizio al nazionalismo serbo in Croazia e la relativa divisione tra i due popoli che oltre a fondarsi su una questione politica e territoriale, si

22 Per ulteriori approfondimenti si rimanda a MacDonald, cap. “Slobodan Milosevic and the construction of Serbophobia”, 2018, pag.68.

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accosteranno conseguentemente anche su questioni linguistiche e religiose dando così al via alle “pulizia etniche”.

In merito a quest’ultimo concetto Fabio dei in “Antropologia della violenza” (2005) spiega molto bene il termine che lo descrive in due circostanze diverse:

“Nei territori in cui il gruppo dominante costituisce già una maggioranza schiacciante, l’uniformazione può essere realizzata con mezzi legali e misure amministrative, come respingere le domande di cittadinanza ai soggetti che non fanno parte del gruppo “giusto”, oppure facilitare l’assimilazione di membri delle minoranze ritenuti più adatti e allontanare quelli che non possono o non vogliono essere assimilati. In territori più “misti” l’uniformazione richiede misure più drastiche: l’espulsione fisica, l’allontanamento o lo sterminio del gruppo di minoranza”

(Dei F. (a cura di), 2005 pag. 147)

Ma come ribadisce anche alla fine, anche se la guerra in Jugoslavia era incentrata in una sorta di “pulizia etnica”, non bisogna dimenticare che anche i provvedimenti e datti giuridici che miravano a tali discriminazioni, rappresentano comunque un tentativo di eliminazione delle minoranze (Ibidem).