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L’obbligo di esecuzione delle sentenze della Corte EDU

3 L’efficacia delle sentenze della Corte europea dei diritt

3.3 L’obbligo di esecuzione delle sentenze della Corte EDU

Una volta accertata la sussistenza della violazione convenzionale da parte della Corte di Strasburgo appare ragionevole chiedersi quali siano gli obblighi che incombano in capo allo Stato condannato. In altre parole, bisogna delineare quali siano gli effetti prodotti dalla sentenza della Corte europea all’interno degli ordinamenti nazionali.

Le norme che vengono in soccorso per decifrare l’effettiva portata, delle sentenze sovranazionali sono gli articoli 41 e 46 della CEDU.

L’articolo 46 CEDU recita testualmente: “1. Le Alte Parti contrenti

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controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza definitiva della Corte è tramessa al Comitato dei Ministri che ne sorveglia l’esecuzione”.

Da ciò deriva la vincolatività delle pronunce della Corte EDU e il conseguente obbligo in capo allo Stato contraente di conformarsi ad esse riportando la situazione alle condizioni antecedenti alla violazione convenzionale.

L’altra disposizione richiamata (art. 41 CEDU) completa il quadro affermando che: “Se la Corte dichiara che vi è stata una violazione

della Convenzione o dei suoi protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo imperfetto di rimuovere le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, se del caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”. Tale norma può essere

considerata una “clausola di riserva” rispetto all’articolo 46 CEDU, nel senso che solo qualora sia impossibile la restitutio in integrum allora lo Stato contraente dovrà concedere un’equa soddisfazione alla parte che viene pregiudicata dalla impossibilità, giuridica o materiale, dell’ordinamento di ripristinare lo status quo ante175.

Ad ogni modo le due disposizioni pattizie sembrano portare all’unico risultato per cui gli Stati hanno l’obbligo di eseguire le sentenze emesse dalla Corte di Strasburgo a seguito del ricorso di parte per la tutela dei propri diritti fondamentali vuoi sotto forma di equo indennizzo, vuoi riportando la situazione allo status quo ante.

Ciò posto, il problema sorge nel momento in cui si passa alla questione successiva, ossia: vi è un obbligo di “riaprire o revisionare” il giudizio? In altre parole, il “conformarsi” racchiude

175 S. Colussa, op. cit., p. 153.

103 in sé l’ulteriore obbligazione di ritornare sull’accertamento contenuto nella sentenza nazionale passata in giudicato?

Un primo elemento da rilevare sono le indicazioni fornite dal Comitato dei Ministri relativamente alle modalità di eseguire l’obbligo di “conformarsi”. In particolare, tale organo ha affermato che l’articolo 46 CEDU comporta tre obbligazioni, che sono: 1) il pagamento di un’equa soddisfazione se accordate dalla Corte ex

articolo 41 CEDU; 2) l’adozione di misure individuali per porre fine

alla violazione nel singolo caso ovvero per rimediare ad essa quanto più possibile; 3) l’adozione di misure generali ove occorra prevenire o rimediare a violazioni simili176. Le misure individuali sono quelle

che possono richiedere una “revisione o riapertura” del processo e che, dunque, potrebbero incidere sul principio della cosa giudicata. Le misure generali sono espressione delle c.d. “sentenze pilota” e denunciano un vizio “strutturale” del sistema che può derivare da una legge o da una prassi amministrativa. A seguito di ricorsi analoghi la Corte EDU accerta la disfunzione sistemica e si pronuncia raccomandando misure in grado sia di eliminare le violazioni già prodottesi sia di evitare quelle future. Talvolta la Corte decide di sospendere la decisione di tali ricorsi in attesa che lo Stato adegui la propria legislazione nel rispetto della Convenzione.

Tralasciando la prima e la terza delle tre misure, occorre soffermarsi sulle misure individuali relativamente alla necessità di “rivedere” la situazione del soggetto leso e, in particolare, sul “quando” vi sia l’obbligo di “riaprire” o “revisionare” il processo interno. A tal scopo vale la pena di richiamare il contenuto della

176 Raccomandazione CM/Rac(2008)2 del Comitato dei Ministri agli Stati membri sugli strumenti efficaci da adottare a livello interno per l’esecuzione rapida delle sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, adottata il 6 febbraio 2008.

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Raccomandazione (2000)2177 del Comitato e l’Expose de Motifs ad

essa allegato. Con questo atto si evidenzia come in alcuni casi la compensazione data alla parte lesa a titolo di equo indennizzo e le misure generali non siano idonee ad adempiere all’obbligo di “conformarsi” di cui all’articolo 46 CEDU e che ciò comporta l’adozione di “misure ulteriori e diverse” rispetto ad esse; il compito, però, di determinarle spetta allo Stato condannato in base agli strumenti giuridici a sua disposizione. Tuttavia, il Comitato non omette di sottolineare che, talvolta, vi sono dei casi eccezionali che necessariamente richiedono la “riapertura o revisione” del processo al fine di realizzare la restitutio in integrum. Pertanto, si invitano gli Stati contraenti ad esaminare i propri ordinamenti e a controllare che essi effettivamente offrano delle possibilità di riesaminare un caso, comprendendo fra queste la riapertura del giudizio.

La Raccomandazione contiene, inoltre, due criteri guida che orientano gli Stati nell’individuazione dei casi in cui l’unico strumento efficace per sopperire alla violazione è la riapertura del processo. Il primo, riguarda la elevata gravità delle conseguenze negative della violazione che continuano ad affliggere la parte lesa non riparabili attraverso l’equo indennizzo e non modificabili altrimenti178. Il secondo delinea il tipo di violazione alla quale porre

rimedio. In particolare, i vizi sostanziali179 sono sicuramenti idonei

a giustificare la riapertura, invece, per quanto riguarda quelli

177 Recommandation n° R (2000) 2 du Comité des Ministres aux Etats membres

sur le réexamen ou la réouverture de certaines affaires au niveau interne suite à des arrêts de la Cour européenne des Droits de l’Homme, adoptée par le Comité des Ministres le 19 janvier 2000, lors de la 694 réunion des Délégués des ministres.

178V. Racc. (2000) 2, par. II, : « (…) i. la partie lésée continue de souffrir des

conséquences négatives très graves à la suite de la décision nationale, conséquences qui ne peuvent être compensées par la satisfaction équitable et qui ne peuvent être modifiées que par le réexamen ou la réouverture (…) »

179V. Raccomandazione, par.II, ii. lett. a. : « la décision interne attaquée est

105 procedurali solo allorché si tratti di errori di una gravità tale da ingenerare dubbi sul risultato della procedura interna180.

In entrambi i casi prevarrebbe la necessità di concedere una tutela effettiva al soggetto sul principio di autorità di cosa giudicata.

In base a questo atto del Comitato dei Ministri si prospetterebbe l’idea per cui gli Stati contraenti dovrebbero garantire l’applicazione di uno strumento giuridico processuale capace di ritornare sull’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato.

Va osservato però che il Comitato è un organo politico e non giurisdizionale, di conseguenza la Raccomandazione gode di un’efficacia vincolante inferiore rispetto alle sentenze della Corte EDU. Tuttavia, con l’adozione del Protocollo n. 14181 sono stati

attribuiti maggiori poteri all’organo di sorveglianza, in particolare esso può far accertare alla Corte europea la non ottemperanza dello Stato all’obbligo di conformarsi182.

180V. Racc. Par. II, ii. lett. b. : « la violation constatée est causée par des erreurs ou

défaillances de procédure d’une gravité telle qu’un doute sérieux est jeté sur le résultat de la procédure interne attaquée ».

181 Protocollo n. 14 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali, adottato a Strasburgo il 13 maggio 2004, è entrato in vigore il 1 giugno 2010. Ratificato in Italia con l. 5 dicembre 2005, n. 280. .

182 Art. 46 CEDU così come modificato dal Protocollo n. 14: “1. Le Alte Parti contraenti si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti. 2. La sentenza definitiva della Corte è trasmessa al Comitato dei Ministri che ne controlla l’esecuzione. 3. Se il Comitato dei Ministri ritiene che il controllo dell’esecuzione di una sentenza definitiva sia ostacolato da una difficoltà di interpretazione di tale sentenza, esso può adire la Corte affinché questa si pronunci su tale questione di interpretazione. La decisione di adire la Corte è presa con un voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato. 4. Se il Comitato dei Ministri ritiene che un’Alta Parte contraente rifiuti di conformarsi a una sentenza definitiva in una controversia cui essa è parte, può, dopo aver messo in mora tale Parte e con una decisione adottata con voto a maggioranza dei due terzi dei rappresentanti che hanno il diritto di avere un seggio in seno al Comitato, adire la Corte sulla questione dell’adempimento degli obblighi assunti dalla Parte ai sensi del paragrafo 1.”

106 Un secondo elemento va cercato nei dicta della Corte di Strasburgo.

L’orientamento tradizionale della Corte è quello di attribuire natura dichiarativa alle proprie sentenze (salvo il caso di una decisione in merito all’equa soddisfazione, in cui si riconosce anche efficacia esecutiva) nel senso che esse hanno una funzione di accertamento e, dunque, non vincolano lo Stato danneggiante con riguardo alle misure da adottare al fine di sopperire alla violazione convenzionale. Da questo punto di vista lo Stato ha totale libertà di scelta degli strumenti da utilizzare per riportare la situazione allo

status quo ante.

In realtà questo vale in linea di principio. Di fatto, il panorama appena tracciato ha subito una progressiva evoluzione183.

Da un lato, la Corte ha adottato una connotazione materiale e non anche giuridica alla impossibilità della restitutio in integrum, di guisa che lo Stato non può addurre come motivo della non esecuzione ex articolo 46 CEDU la non esistenza all’interno del proprio ordinamento di strumenti giuridici atti allo scopo.

Dall’altro, è cambiata l’impostazione della Corte relativamente al c.d. “margine d’apprezzamento” nel senso che, sempre più spesso, le sentenze indicano i “remedies” da adottare a livello interno, tra i quali anche le misure individuali184.

Il fatto che le indicazioni circa le misure da adottare siano spesso contenute nelle decisioni della Corte vincola naturalmente lo Stato ad eseguirle dato l’obbligo di “conformarsi” alle sentenze della Corte EDU di cui all’articolo 46 CEDU.

183 A partire dalla sent. Corte europea dei diritti dell’uomo del 31 ottobre 1995, Papamichalopoulos e altri c. Grecia; tale sent. viene richiamata anche nella Raccomandazione (2000)2 del Comitato dei Ministri. Successivamente anche sent. Corte europea dei diritti dell’uomo del 13 luglio 2000, Scozzari e Giunta c. Italia.

184 V. ad es. sent. della Corte europea dei diritti dell’uomo del 1° settembre 2009, Scoppola c. Italia e la giurisprudenza ivi richiamata.

107 A questo va aggiunto che anche la impostazione tradizionale della decisione circa l’equa soddisfazione ha subito un’evoluzione nel senso che spesso si cumula con la richiesta di adozione di misure individuali.

Ciò nonostante, va precisato che la Corte EDU si è spinta così oltre solo nei confronti degli Stati che già prevedevano degli istituti processuali ad hoc, salvo dispensare una sorta di invito a modificare, integrare la normativa interna al legislatore degli ordinamenti nazionali privi di strumenti idonei a “riaprire” i processi.

In conclusione, seppur non esiste un vero e proprio obbligo in capo agli Stati contraenti di eseguire le sentenze della Corte “riesaminando” o “riaprendo” i processi nazionali, essendo gli Stati liberi di scegliere gli strumenti ad hoc per garantire la restitutio in

integrum, non va omesso di rilevare che sia il Comitato dei Ministri,

sia la Corte di Strasburgo hanno delineato delle situazioni in cui con ogni probabilità si rende necessario il superamento del giudicato interno al fine di dare alla parte lesa una tutela effettiva dei propri diritti fondamentali.

3.4

L’esecuzione delle sentenze della Corte di

Strasburgo in materia civile

Il tema dell’esecuzione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e della configurabilità di un obbligo di riapertura o di revisione dei processi ha interessato soprattutto l’ambito

108 penale185. La rivalutazione della posizione del soggetto leso in

questi casi è maggiormente richiesta dalla Corte di Strasburgo nella misura in cui l’interesse in gioco è la libertà personale della parte. Per tale ragione gli Stati contraenti hanno integrato i lori sistemi processuali penali vuoi prevedendo degli strumenti revisori, vuoi ad opera del lavoro interpretativo dei giudici nazionali186.

Ciò posto la domanda successiva è se vi siano casi in cui anche in ambito civile vi sia una base normativa per affermare un tale obbligo di riapertura al fine di eseguire le sentenze della Corte di Strasburgo.

Ancora una volta va richiamata la Raccomandazione (2000)2 del

Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa. Nell’ Expose de motifs si

afferma chiaramente che “la recommandation n’est cependant pas

limitée au droit pénal, mais vise toutes les catégories d’affaires”. In

effetti, gli unici due presupposti che richiedono la riapertura dei procedimenti giurisdizionali sono quelli evidenziati nel paragrafo precedente: « i) la partie lésée continue de souffrir des conséquences

négatives très graves à la suite de la décision nationale, conséquences qui ne peuvent être compensées par la satisfaction équitable et qui ne peuvent être modifiées que par le réexamen ou la réouverture ; ii) il résulte de l’arrêt de la Cour que : a) la décision interne attaquée est contraire sur le fond à la Convention, ou b) la violation constatée est

185 Sul tema v. A. O. Cozzi, L’impatto delle sentenze della Corte di Strasburgo sulle situazioni giuridiche interne definite da sentenze passate in giudicato: la configurabilità di un obbligo di riapertura o di revisione del processo, in F. Spitaleri, L’incidenza del diritto comunitario e della CEDU sugli atti nazionali definitivi, 2009,

p. 159-200.

186 In Italia, ciò ha prodotto l’introduzione di una modifica al codice di

procedura penale da parte della Corte Costituzionale che interrogata circa la legittimità costituzionale dell’articolo 630 c.p.p. in base agli articoli 117 Cost. e 46 CEDU si pronuncia con una sentenza additiva introducendo un nuovo caso di revisione. Si tratta della sent. della Corte Costituzionale n.113 del 4 aprile 2011. Anche in altri Paesi sono stati introdotti degli strumenti simili; sul tema v. V.

Sciarabba, La “riapertura” del giudicato in seguito a sentenze della Corte di Strasburgo: profili di comparazione, in www.academia.edu.

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causée par des erreurs ou défaillances de procédure d’une gravité telle qu’un doute sérieux est jeté sur le résultat de la procédure interne attaquée »187. Di conseguenza sembra ragionevole dedurre che

anche in materia civile è richiesta l’introduzione di istituti processuali atti a rimuovere le conseguenze negative della violazione convenzionale non altrimenti eliminabili.

A conferma di ciò basta proseguire nella lettura del Memorandum dove sono riportate delle situazioni civilistiche in cui non vi sarebbe altro rimedio efficace utilizzabile se non quello della riapertura dei processi. Ciò si verifica, ad esempio quando « une personne est

injustement privée de ses droits civils et politiques (notamment dans le cas de la perte ou de la non reconnaissance de la capacité ou de la personnalité juridique, de déclarations de faillite ou d’interdictions d’activité politique); ou bien lorsqu’une personne est expulsée en violation de son droit au respect de sa vie familiale ou qu’un enfant est interdit injustement de tout contact avec ses parents »188 oppure,

ancora, allorchè « les parties n’ont pas été traitées dans le respect du

principe de l’égalité des armes »189.

Vi sono dunque anche in ambito civile, oltre che penale, dei valori fondamentali da tutelare per i quali il risarcimento monetario non sarebbe satisfattivo. Qualora l’ordinamento non offrisse la possibilità di ritornare sull’accertamento il rischio sarebbe quello che alcuni diritti supremi della parte potrebbero subire delle gravi lesioni190. In particolare, ciò si manifesterebbe quando si tratta di

diritti non patrimoniali191.

187 Raccomandazione (2000) 2, punto II.

188 Expose des motifs alla Raccomandazione (2000) 2, punto 11. 189 Ivi, punto 12.

190 Sciarabba, op.cit., p. 920.

191 Ad esempio, nel caso di violazione dell’art. 8 CEDU.; v. caso Zhou c. Italia

(sent. della Corte europea dei diritti dell’uomo del 21 gennaio 2014, ric. N. 33773/11). In tale situazione la parte lesa, dopo aver ottenuto l’accertamento della violazione in sede sovranazionale, chiede alla Corte d’appello di Venezia di revocare la precedente sentenza interna definitiva al fine di eseguire la sentenza

110 Accanto a questa necessità si pone il problema, connesso e conseguenziale, di tutelare la posizione del terzo rimasto estraneo al processo dinanzi alla Corte sovranazionale. Il processo civile, infatti, a differenza di quello penale, è composto da parti private di cui si deve tener conto nell’eventuale “ritorno” sull’accertamento.

In parte gli Stati contraenti hanno introdotto dei meccanismi all’interno dei propri sistemi processuali civili in risposta alla esigenza di dare attuazione alle disposizioni pattizie. In Italia ciò non è ancora avvenuto, motivo per cui alcuni giudici nazionali hanno ricorso alla Corte Costituzionale prospettando l’’illegittimità costituzionale dell’articolo 395 del codice di procedura civile sulla base della violazione dell’articolo 117, comma I, Cost.192.

della Corte di Strasburgo resa in suo favore. Il giudice nazionale non individuando un motivo di revocazione all’interno di quelli previsti all’articolo 395 c.p.c. rimette la questione di costituzionalità di tale articolo alla Consulta. Sulla legittimità costituzionale dell’art. 395 del codice di procedura civile v. cap. III.

CAPITOLO III

I POSSIBILI RIMEDI ESPERIBILI CONTRO IL

GIUDICATO NAZIONALE A SEGUITO DI

VIOLAZIONI DEL DIRITTO DELL’UNIONE

EUROPEA O DELLA CONVENZIONE EUROPEA

DEI DIITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ

FONDAMENTALI

112

1 Introduzione

La violazione del diritto dell’Unione europea e di quello contenuto nella Convenzione EDU pone il problema di ritornare sull’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato in quanto ingiusto. In questo senso gli studiosi del diritto processuale si sono posti l’interrogativo circa la “cedevolezza del giudicato”193

ovvero la “crisi del giudicato”194.

Il tema merita di essere affrontato in maniera differente a seconda che si tratti delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea ovvero delle decisioni rese dalla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Nell’ambito del diritto dell’Unione europea, la casistica analizzata195 ha fatto emergere come solo in Lucchini e, in parte, in Olimpiclub, vi sia stata la richiesta, rispettivamente, di disapplicare

o di interpretare in senso restrittivo l’articolo 2909 c.c. italiano. Tutti le altre fattispecie non hanno rilevato particolari stravolgimenti per l’ordinamento italiano. Si è mostrato anche che le maggiori “interferenze” sul giudicato interno si sono manifestate in particolari settori di disciplina, come quello degli aiuti di stato o della tutela dei consumatori oppure, ancora, in materia di imposta sul valore aggiunto, nei quali la legislazione europea gode di un maggior margine di manovra. La premura di assicurare l’applicazione del diritto europeo e la preoccupazione di evitare

escamotages idonei alla sua elusione ha costituito la ratio degli

interventi giurisprudenziali europei più intrusivi.

193 F. P. Luiso, La cedevolezza del giudicato, in riv. dir. proc., 1, 2016, pp. 17 ss. 194 F. Cordopatri, La “crisi” del giudicato?, in riv. dir. proc., 2015, pp. 894 ss. 195 V. infra Capitolo II par. 2 ss.

113 Nulla esclude dunque che la Corte del Lussemburgo, in condizioni particolari, possa richiedere allo Stato membro la disapplicazione della norma interna sul giudicato al fine di garantire il primato del diritto dell’Unione europea, manifestando una inversione di rotta rispetto alle sentenze finora adottate. Se ciò si verificasse a niente servirebbe eccepire l’esistenza dei c. d. controlimiti per il fatto che lo Stato italiano ratificando i Trattati istitutivi europei ha ceduto parte della sua sovranità e dunque deve attenersi alle disposizioni delle autorità europee196.

Nell’eventualità che si realizzi un tale scenario appare lecito chiedersi se vi siano dei rimedi atti a riaprire il processo nazionale dal quale è scaturita la sentenza che si accerti essere stata resa in violazione del diritto europeo. Da un lato, va ricordato che la decisione resa dalla Corte di Giustizia obbliga il giudice interno che l’abbia richiesta ad eseguirla, salvo incorrere nella procedura di infrazione (ciò vale anche allorquando lo Stato debba adempiere ad una Decisione della Commissione europea). Dall’altro, la parte privata che vede lesi i propri diritti di derivazione euro-unitaria può