• Non ci sono risultati.

Il principio dell'autorità di cosa giudicata e le sentenze delle Corti europee

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Il principio dell'autorità di cosa giudicata e le sentenze delle Corti europee"

Copied!
170
0
0

Testo completo

(1)

IL PRINCIPIO DELL’AUTORITA’ DI COSA

GIUDICATA E LE SENTENZE DELLE CORTI

(2)

Sommario

CAPITOLO I

ORDINAMENTO ITALIANO, UNIONE EUROPEA E CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELE LIBERTA’ FONDAMENTALI

1 I rapporti tra l’Unione europea e l’ordinamento interno ... 2 1.1 Il primato del diritto dell’Unione europea ... 2 1.2 Il rapporto tra il diritto dell’Unione europea e il diritto processuale interno: l’autonomia processuale degli Stati membri ... 8

1.2.1 Il caso Peterbroeck ... 11 1.2.2 il caso Factorame ... 14 1.2.3 Gli interventi della Corte di giustizia dell’Unione europea in materia di tutela dei consumatori e di aiuti di Stato ... 15 1.2.4 Conclusioni ... 17 2 I rapporti tra l’ordinamento italiano e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ... 19

2.1 Il rapporto tra le norme della CEDU e le norme

dell’ordinamento italiano ... 19 2.2 Le caratteristiche del sistema di tutela previsto dalla CEDU ... 22

2.3 Conclusione ... 24 3 I rapporti tra l’Unione europea e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ... 25

3.1 Introduzione ... 25 3.2 La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ... 25 3.3 L’adesione dell’Unione europea alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ... 27

(3)

CAPITOLO II

LA SENTENZA PASSATA IN GIUDICATO IN CONTRASTO CON IL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA O CON LA CONVENZIONE

EUROPEA DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTA’ FONDAMENTALI

1 La cosa giudicata civile nell’ordinamento italiano ... 31

1.1 L’articolo 2909 del codice civile ... 31

1.2 Giudicato formale e giudicato sostanziale ... 32

1.3 I limiti oggettivi del giudicato ... 34

1.4 I limiti soggettivi del giudicato ... 39

1.5 I limiti temporali del giudicato ... 45

1.6 L’eccezione di cosa giudicata e il contrasto tra giudicati ... 50

2 Il principio dell’autorità di cosa giudicata nella giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea ... 53

2.1 Introduzione ... 53

2.2 Le sentenze in materia di aiuti di stato ... 55

2.3 Il caso Olimpiclub ... 74

2.4 Le sentenze in materia di tutela dei consumatori ... 79

2.5 Le sentenze in materia di cooperazione giudiziaria in materia civile: il caso Interedil... 88

3 L’efficacia delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ... 100

3.1 Introduzione ... 100

3.2 Le tipologie di violazioni della CEDU ... 100

3.3 L’obbligo di esecuzione delle sentenze della Corte EDU . 101 3.4 L’esecuzione delle sentenze della Corte di Strasburgo in materia civile ... 107

(4)

CAPITOLO III

I POSSIBILI RIMEDI ESPERIBILI CONTRO IL GIUDICATO NAZIONALE A SEGUITO DI VIOLAZIONI DEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA O

DELLA CONVENZIONE EUROPEA DEI DIITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTÀ FONDAMENTALI

1 Introduzione ... 112

2 I rimedi nazionali ... 114

2.1 Il profilo dell’invalidità e dell’ingiustizia della sentenza nazionale ... 115

2.2 I mezzi di impugnazione ordinari e straordinari previsti dal codice di procedura civile italiano ... 117

2.3 L’ingiustizia della sentenza passata in giudicato per violazione del diritto dell’Unione europea o della Convenzione ... 119

2.4 La revocazione straordinaria nell’ordinamento italiano 121 2.5 L’illegittimità dell’istituto della revocazione straordinaria: la sentenza della Corte Costituzionale n. 123 del 2017 ... 124

3 I rimedi offerti dagli altri Stati contraenti per dare esecuzione alle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo ... 128

3.1 Francia ... 129

3.2 Germania ... 131

3.3 Spagna ... 133

3.4 Altri Stati contraenti ... 136

4 I rimedi sovranazionali... 138

4.1 La cooperazione tra giudice nazionale e il giudice europeo: a) il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia ... 139

4.2 (segue): b) il rinvio pregiudiziale alla Corte europea dei diritti dell’uomo ... 143

4.3 La responsabilità dello stato membro per fatto degli organi giudiziari: il caso Kobler ... 145

(5)

4.3.1 La responsabilità civile dei magistrati in Italia ... 150

4.4 Il ricorso per inadempimento ... 151

5 Conclusione ... 153

Bibliografia ... 157

Elenco delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea ... 162

Elenco delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo . 164 Elenco delle sentenze nazionali ... 164

(6)

CAPITOLO I

ORDINAMENTO ITALIANO, UNIONE EUROPEA

E CONVENZIONE EUROPEA DEI DIRITTI

DELL’UOMO E DELE LIBERTA’ FONDAMENTALI

(7)

2

1

I rapporti tra l’Unione europea e l’ordinamento

interno

1.1 Il primato del diritto dell’Unione europea

Nel 1951 viene firmato il trattato istitutivo della Ceca (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), primo passo che porterà alla nascita dell’Unione europea1, di cui l’Italia è stata uno dei Paesi

fondatori.

Nel momento in cui gli stati diventano parte dell’Unione accettano e si impegnano ad applicare all’interno del proprio ordinamento il diritto europeo2. Bisogna tener presente che ogni Stato ha già un

proprio diritto che viene a rapportarsi con quello di derivazione europea. Di conseguenza, occorre verificare in che modo le norme europee si collocano all’interno dell’ordinamento degli Stati membri al fine di risolvere una eventuale antinomia tra fonte europea e fonte interna.

Il problema sorge poiché i Trattati non si occupano di disciplinare esplicitamente tale fenomeno3. Per tale ragione la questione è stata

risolta in via giurisprudenziale dal momento che gli organi giurisdizionali nazionali, utilizzando lo strumento del rinvio

1 L’Unione europea è frutto di un processo che prende inizio dalla famosa

dichiarazione di R. Schuman del 1950 che porta alla firma del Trattato CECA nel 1951. In seguito vengono firmati altri accordi che ampliano progressivamente le competenze delegate all’Unione. Sull’argomento v. A. M. Calamia, Manuale breve

diritto dell’Unione europea, Milano, Giuffrè, 2015.

2 Articolo 4, paragrafo 3, Trattato sull’Unione europea (TUE).

3 L’unico richiamo al principio del primato del diritto europeo sul diritto interno

(8)

3 pregiudiziale4, si sono rivolti alla Corte di giustizia dell’Unione

europea, la quale, già dalla sentenza Costa c. Enel5, pone le

fondamenta per l’affermazione del principio del primato del diritto comunitario rilevando che “a differenza dei comuni trattati

internazionali, il Trattato C.E.E. ha istituito un proprio ordinamento giuridico, integrato nell'ordinamento giuridico degli Stati membri all'atto dell'entrata in vigore del Trattato e che i giudici nazionali sono tenuti ad osservare. (…). Tale integrazione nel diritto di ciascuno Stato membro di norme che promanano da fonti comunitarie, e più in generale, lo spirito e i termini del Trattato, hanno per corollario l'impossibilità per gli Stati di far prevalere, contro un ordinamento giuridico da essi accettato a condizione di reciprocità, un provvedimento unilaterale ulteriore, il quale pertanto non potrà essere opponibile all'ordine comune”6. Il fine che giustifica tali

considerazioni consiste nel raggiungimento degli obiettivi europei, infatti “se l'efficacia del diritto comunitario variasse da uno stato

all'altro in funzione delle leggi interne posteriori, ciò metterebbe in pericolo l'attuazione degli scopi del Trattato (…) e causerebbe una discriminazione vietata (…). Gli obblighi assunti col Trattato istitutivo della Comunità non sarebbero assoluti, ma soltanto condizionati, qualora le Parti contraenti potessero sottrarsi alla loro osservanza mediante ulteriori provvedimenti legislativi. Dal complesso dei menzionati elementi discende che, scaturito da una fonte autonoma, il diritto nato dal Trattato non potrebbe, in ragione appunto della sua specifica natura, trovare un limite in qualsiasi provvedimento interno senza perdere il proprio carattere comunitario e senza che ne

4 Istituto previsto all’articolo 267 del Trattato sul funzionamento dell’Unione

Europea (TFUE); v. capitolo III.

5Sent. Corte di giustizia dell’UE del 15 luglio 1964, Costa c. Enel, C- 6/64, in

Raccolta della giurisprudenza della Corte, p. 1136-1152.

(9)

4

risultasse scosso il fondamento giuridico della stessa Comunità. Il trasferimento, effettuato dagli Stati a favore dell'ordinamento giuridico comunitario, dei diritti e degli obblighi corrispondenti alle disposizioni del Trattato implica quindi una limitazione definitiva dei loro diritti sovrani, di fronte alla quale un atto unilaterale ulteriore, incompatibile col sistema della Comunità, sarebbe del tutto privo di efficacia”7. Successivamente, con la sentenza Simmenthal8, la Corte

precisa che “le norme di diritto comunitario devono esplicare la

pienezza dei loro effetti, in maniera uniforme in tutti gli Stati membri, a partire dalla loro entrata in vigore e per tutta la durata della loro validità”9. Di conseguenza, “i giudici che, aditi nell'ambito della loro competenza, hanno il compito, in quanto organi di uno Stato membro, di tutelare i diritti attribuiti ai singoli dal diritto comunitario; inoltre, in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni, qualora siano direttamente applicabili, hanno l'effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli Stati membri, non solo di rendere «ipso jure» inapplicabile, per il fatto stesso della loro entrata in vigore, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale preesistente, ma anche — in quanto dette disposizioni e detti atti fanno parte integrante, con rango superiore rispetto alle norme interne, dell'ordinamento giuridico vigente nel territorio dei singoli Stati membri — di impedire la valida formazione di nuovi atti legislativi nazionali, nella misura in cui questi fossero incompatibili con norme

comunitarie10”.

Dalle parole della Corte di giustizia si desume, dunque, che la preminenza del diritto comunitario impone al giudice nazionale di

7 Ibidem.

8 Sent. della Corte di giustizia dell’UE del 9 marzo 1978, Amministrazione delle finanze dello stato c. SpA Simmenthal, C-106/77.

9 Ivi, punto 14. 10 Ivi, punti 16-17.

(10)

5 disapplicare il diritto interno, precedente o posteriore, contrastante con la norma di derivazione europea direttamente applicabile sulla base del fatto che una diversa soluzione comprometterebbe l’esistenza della stessa Comunità europea, oggi Unione europea.

Analizzando come tali pronunce europee vengono recepite nei vari ordinamenti interni e prendendo in considerazione in particolare il caso italiano è necessario evidenziare quelli che sono stati gli orientamenti della Corte Costituzionale italiana, la quale pronunciandosi più volte nel merito dell’argomento si allinea alle conclusioni a cui giunge la Corte di Lussemburgo solo intorno alla seconda metà degli anni ’80. Inizialmente, infatti, l’organo di legittimità costituzionale italiano parificava il rango delle norme europee a quello della legge ordinaria, partendo dal fatto che i trattati istitutivi erano stati recepiti attraverso lo strumento della legge ordinaria. Il conflitto, dunque, veniva risolto secondo il criterio della successione delle leggi nel tempo, per cui in caso di regolamento comunitario antecedente alla norma interna doveva essere applicata quest’ultima11.

È solo con le sentenze “Frontini12” ed “Industrie chimiche13” che la

Consulta compie un passo in avanti verso l’accettazione del principio del primato del diritto dell’Unione. In base al disposto di queste due pronunce nel caso in cui il giudice si fosse trovato innanzi ad una antinomia avrebbe dovuto sospendere il processo e promuovere il giudizio di legittimità costituzionale della disposizione interna contraria al diritto comunitario, visto l’articolo 11 della Costituzione. Chiaramente, siamo ancora lontani dalla

11 A.M. Calamia, op.cit., p. 148. 12 Sent. Corte Cost. 183/1973.

(11)

6 soluzione prospettata dalla giurisprudenza europea sopra evidenziata.

Il momento di svolta arriva con la sentenza Granital14. La novità di

tale pronuncia sta nel fatto che si permette al giudice di non applicare la norma nazionale confliggente con quella comunitaria senza passare per il giudizio di costituzionalità. La Corte rivede la sua posizione precedente partendo dall’idea per cui l’ordinamento comunitario e quello interno sono due entità distinte che, però, necessitano di coordinazione. In base a tale premessa il diritto europeo non entra a far parte dell’ordinamento interno. Non si tratta di capire quale fonte (comunitaria o interna) sia di rango superiore, ma di risolvere il contrasto prendendo atto che quello specifico settore è regolato da un atto comunitario direttamente applicabile, il regolamento, e disapplicando, quindi, la norma interna che invade il diritto dell’Unione senza la necessità di sollevare una questione di costituzionalità, salvo il caso in cui si tratti dei principi fondamentali dell’ordinamento italiano15.

Successivamente, la Consulta ha chiarito, allineandosi al dictum della Corte di Lussemburgo16, che le norme interne non devono

essere applicate, non solo in caso di contrasto con i regolamenti, ma tutte le volte in cui ci si trova dinanzi ad una norma europea produttiva di effetti diretti17. Restano fuori dallo schema le norme

14 Sent. Corte Cost. 170/1984.

15 Si tratta della teoria dei controlimiti.

16 Sent. Corte di giustizia dell’UE del 5 febbraio 1963, Van Gend en Loos c.

amministrazione olandese delle imposte, C-26/62.

17 “Con la nozione effetto diretto ci si riferisce all’ipotesi di un atto che non sia

direttamente applicabile, ma che sia comunque idoneo a produrre effetti giuridici all’interno degli stati membri determinando la nascita in capo ai singoli, siano essi persone fisiche o giuridiche, di situazioni giuridiche soggettive che potranno essere fatte valere nei confronti di altre persone fisiche o giuridiche (effetto diretto orizzontale) o nei confronti dello stato o enti statali (effetto diretto verticale). Affinché una norma europea possa produrre tale effetto deve essere chiara, precisa e avere carattere incondizionato”, in A.M. Calamia, op.cit., p.

(12)

7 che non sono direttamente applicabili o dotate di efficacia diretta per le quali vige l’obbligo del giudice di richiedere l’intervento della Corte Costituzionale, dato che se ci si fermasse alla “regola della non applicazione” il caso resterebbe senza una disciplina concretamente applicabile.

Progressivamente, si estende anche il numero di soggetti su cui incombe l’obbligo di garantire il primato del diritto dell’Unione. Infatti, esso si rivolge non solo agli organi giurisdizionali, ma anche

a quelli amministrativi18.

A questo punto bisogna chiedersi quale sia la sorte della disposizione nazionale incompatibile con quella europea. La “non-applicazione” non ha come conseguenza l’abrogazione della disposizione interna, pertanto essa resta in vigore all’interno dell’ordinamento italiano. Tale fatto impone agli Stati membri di modificare la legislazione vigente depurandola da eventuali contrasti con il diritto comunitario al fine di rispettare il principio della certezza del diritto e di garantire la prevalenza del diritto comunitario19.

18 Sent. Corte Cost. 389/1989, punto 4: “tutti i soggetti competenti nel nostro ordinamento a dare esecuzione alle leggi (e agli atti aventi forza o valore di legge) tanto se dotati di poteri di dichiarazione del diritto, come gli organi giurisdizionali, quanto se privi di tali poteri, come gli organi amministrativi - sono giuridicamente tenuti a disapplicare le norme interne incompatibili con le norme stabilite dagli artt. 52 e 59 del Trattato C.E.E. nell'interpretazione datane dalla Corte di giustizia europea”.

19 Ibidem, “poiché la disapplicazione è un modo di risoluzione delle antinomie normative che, oltre a presupporre la contemporanea vigenza delle norme reciprocamente contrastanti, non produce alcun effetto sull'esistenza delle stesse e, pertanto, non può esser causa di qualsivoglia forma di estinzione o di modificazione delle disposizioni che ne siano oggetto, resta ferma l'esigenza che gli Stati membri apportino le necessarie modificazioni o abrogazioni del proprio diritto interno al fine di depurarlo da eventuali incompatibilità o disarmonie con le prevalenti norme comunitarie. E se, sul piano dell'ordinamento nazionale, tale esigenza si collega al principio della certezza del diritto, sul piano comunitario, invece, rappresenta una garanzia cosi essenziale al principio della prevalenza del proprio diritto su quelli nazionali da costituire l'oggetto di un preciso obbligo per gli Stati membri”.

(13)

8 Traendo le dovute conclusioni possiamo dire che il principio del primato del diritto dell’Unione è un principio consolidato sia sul piano interno sia su quello europeo anche se, come abbiamo visto dall’analisi delle pronunce provenienti dalle due corti (europea e italiana), sulla base di premesse differenti. Infatti, da un lato, la Corte italiana aderisce alla teoria “dualista”, per cui ordinamento interno e ordinamento europeo sono due ordinamenti separati, ancorché coordinati, dall’altro, la Corte di Giustizia predilige una visione “monista” che riconosce un unico ordinamento giuridico, quello europeo.

1.2 Il rapporto tra il diritto dell’Unione europea e il

diritto

processuale

interno:

l’autonomia

processuale degli Stati membri

Le fonti europee, come più volte ribadito dalla Corte di Giustizia, sono dotate di efficacia diretta, che rappresenta la idoneità delle norme a produrre situazioni giuridiche soggettive in capo ai singoli. La tutela giurisdizionale delle libertà fondamentali è demandata ai giudici nazionali, che operano sulla base della disciplina processuale interna, salvo il caso in cui vi siano disposizioni di armonizzazione. A tal proposito si parla del principio dell’autonomia processuale degli stati membri, elaborato dalla Corte di giustizia a partire dalla sentenza Rewe20, il cui presupposto

20 Sent. Corte di giustizia del 16 dicembre 1976, Rewe c. Camera dell’agricoltura della Saar, C-33/76: “in mancanza di una specifica disciplina comunitaria, è l'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro che designa il giudice competente e stabilisce le modalità procedurali delle azioni giudiziali intese a

(14)

9 è l’assenza di una normativa processuale europea volta a disciplinare le modalità attraverso cui tutelare le posizioni giuridiche soggettive di derivazione europea. Allo stesso tempo non bisogna tralasciare i principi del primato del diritto europeo e di effettività, i quali convivono con il suddetto principio dell’autonomia processuale. Pertanto, vengono stabiliti dalla stessa Corte dei limiti alla autonomia processuale degli Stati membri. Tali sono il principio di equivalenza e quello di effettività. Il primo consiste nel fatto che le modalità di tutela giurisdizionale dei diritti di derivazione europea non possono essere meno favorevoli di quelle previste per i diritti nazionali in condizioni analoghe. Il secondo prevede che il diritto nazionale non può rendere impossibile, o eccessivamente difficile, l’esercizio dei diritti di origine comunitaria.

Al fine di inquadrare il principio giuridico dell’autonomia processuale la dottrina ha fatto riferimento a due schemi interpretativi, elaborati in occasione di definire il rapporto tra ordinamento europeo e ordinamento nazionale, che sono il modello “integrazionista” e quello “internazionalista”21.

Nel primo caso le disposizioni comunitarie si integrerebbero all’interno dei singoli ordinamenti giuridici nazionali, le cui norme processuali stabiliscono le modalità di tutela sia dei diritti comunitari sia di quelli interni. Le garanzie processuali assicurate al diritto comunitario non sono diverse da quelle previste per l’attuazione del diritto interno22. Si ha, quindi, un unico

ordinamento giuridico in cui convivono norme europee e norme

garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme comunitarie aventi efficacia diretta”.

21 G. Vitale, Diritto processuale nazionale e diritto dell’Unione europea, Catania, 2010, p. 37 ss.

22 E. Cannizzaro, Sui rapporti fra sistemi processuali nazionali e diritto dell’Unione europea, in Dir. Un. Eur., fasc.3, 2008, pag. 447 ss.

(15)

10 nazionali con la premessa che deve essere assicurata la supremazia delle prime rispetto alle seconde.23 Tale teoria, però, non è idonea a

spiegare i motivi per cui la Corte di giustizia avrebbe elaborato i suddetti limiti all’autonomia processuale degli stati membri (principi di equivalenza e effettività), volti, sostanzialmente, a non pregiudicare l’effettività della normativa sostanziale europea24.

Nel secondo caso le norme comunitarie si impongono nell’ordinamento interno dall’esterno obbligando gli stati membri a dare attuazione effettiva al diritto europeo a prescindere dagli istituti processuali utilizzabili (europei o nazionali)25. Se venisse

messa a rischio l’effettività delle disposizioni europee i sistemi (europeo e nazionale) risulterebbero incompatibili. Anche questa teoria, se portata alle estreme conseguenze, presenta dei limiti. In effetti, l’autonomia processuale verrebbe svuotata di significato dato che, potenzialmente, qualunque norma processuale potrebbe essere disapplicata se non fosse in grado di perseguire il suo scopo, ossia quello di tutelare le posizioni soggettive che discendono dal diritto europeo. Sostanzialmente, un eventuale ostacolo derivante dalle norme processuali non potrebbe essere addotto come giustificazione della mancata attuazione dell’obblighi comunitari26.

Di fatto, dati i limiti che ognuna delle due teorie presenta, si realizza l’impossibilità di ricondurre a uno dei due modelli la giurisprudenza della Corte. La natura non univoca dei dicta della Corte di Lussemburgo ha portato gli studiosi a interrogarsi sulla esistenza stessa dell’autonomia processuale. Tuttavia, essa non sembra essere tramontata per il semplice fatto che gli Stati membri non hanno attribuito una competenza generale in materia

23 V. principio del primato del diritto comunitario. 24 E. Cannizzaro, op.cit.; G. Vitale, op.cit.

25 E. Cannizzaro, op.cit.

(16)

11 processuale all’Unione27. Si può affermare, piuttosto, che in base

all’interpretazione più o meno ampia dei limiti posti dalla Corte di giustizia (principio di equivalenza e principio di effettività) si è giustificata una compressione più o meno forte della autonomia processuale. In altre parole, la Corte ha provato, di volta in volta, a trovare un bilanciamento tra l’autonomia processuale e gli altri principi cardine del diritto europeo.

Al fine di verificare come, concretamente, l’applicazione dei principi fondamentali ha influito sul rapporto tra il diritto sostanziale europeo e i sistemi processuali nazionali si possono richiamare, a titolo di esempio, alcuni casi giurisprudenziali, che sostanzialmente dimostrano quali siano le tendenze seguite dalla Corte di giustizia28.

1.2.1 Il caso Peterbroeck

29

Siamo nel 1993 e la Corte d’appello di Bruxelles interroga la Corte di Lussemburgo sul potere del giudice nazionale di valutare d’ufficio la compatibilità del diritto nazionale con il diritto comunitario. La questione sorge nell’ambito di una controversia relativa all’aliquota d’imposta applicabile ai non residenti tra la Peterbroeck, società olandese in accomandita semplice, e lo Stato belga.

27 S. Amadeo, L’effettività del diritto comunitario sostanziale nel processo civile: verso un approccio di sistema, p.154, in L’incidenza del diritto comunitario e della CEDU sugli atti nazionali definitivi a cura di F. Spitaleri, quaderni della Riv. Il dir. Un. Eur., Milano, 2009.

28 A. Carratta, Libertà fondamentali del Trattato dell’Unione europea e processo civile, in Riv. Dir. Proces. Civ., 2015, p. 1400 ss.

29 Sent. Corte di giustizia dell’UE del 14 dicembre 1995, Peterbroeck, Van

(17)

12 Nelle more del processo davanti alla Corte d’appello, la Peterbroeck solleva la violazione della libertà di stabilimento30, di

fatto non rispettando la preclusione prevista dal codice delle imposte sul reddito belga31, legge applicabile nel caso di specie.

L’applicazione di tali norme limita il potere della corte d’appello di esaminare la compatibilità della norma nazionale con il diritto comunitario. Il giudice nazionale chiede, quindi, alla Corte di Giustizia se sulla base del diritto comunitario debba disapplicare tale norma di diritto interno.

Nella risposta della Corte europea si richiama, in primo luogo il principio dell’autonomia procedurale degli stati membri.

In secondo luogo, si sottopone la disciplina nazionale al test di effettività, dal quale emerge che l’applicazione del diritto comunitario risulta essere impossibile o eccessivamente difficile, non per il fatto di prevedere un termine di decadenza entro il quale il singolo può invocare la violazione di un proprio diritto di origine comunitaria, ma per le peculiarità del processo in corso32.

30 Art. 52 del Trattato CEE, oggi artt. 49 ss. TFUE.

31 Punto 6 della sent. della Corte di giustizia, 14 dicembre 1995, Peterbroeck c.

stato belga, C-312/93: “Il combinato disposto degli artt. 278, secondo comma, 279, secondo comma, e 282 del code des impôts sur les revenus (codice delle imposte sul reddito; in prosieguo: il «CIR»), nel testo vigente all'epoca dei fatti in esame nel giudizio a quo. In forza di tali disposizioni, le censure che non erano state dedotte in sede di reclamo, né esaminate d'ufficio dal direttore, potevano essere proposte dal ricorrente, a pena di decadenza, nell'atto introduttivo del ricorso o con memoria scritta depositata presso la cancelleria della Cour d'appel entro il termine di sessanta giorni a decorrere dalla data di deposito, da parte del direttore, della copia autentica del provvedimento impugnato insieme al fascicolo di causa. Come emerge dagli atti del fascicolo, secondo la giurisprudenza belga è da considerarsi motivo aggiunto, ai sensi di tali disposizioni, il motivo di ricorso il quale solleva per la prima volta una questione che differisce per oggetto, natura o fondamento giuridico dai motivi dedotti dinanzi al direttore.”

32 Le peculiarità evidenziate dalla Corte di giustizia sono le seguenti: 1) la Corte

d’appello è il primo giudice che poteva sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, poiché il direttore, dinanzi al quale si era svolto il procedimento in prima istanza, fa parte dell'amministrazione finanziaria e non è, di conseguenza, un giudice ai sensi dell'art. 177 del Trattato; 2) il termine per la proposizione del motivo aggiunto era ampiamente decorso quando si era svolta la udienza innanzi al giudice nazionale); 3) non risulta che un altro giudice

(18)

13 Infine, è opportuno sottolineare che la Corte, nella sua valutazione, è ben attenta a richiamare i principi fondamentali del sistema giurisdizionale nazionale (certezza del diritto, regolare svolgimento del procedimento e tutela dei diritti della difesa) in modo da considerare la funzione di quella determinata norma sottoposta al “test” all’interno del processo interno.

Sostanzialmente, ciò che emerge da tale sentenza non è un potere del giudice di sollevare d’ufficio una violazione delle libertà fondamentali del Trattato esercitabile tout court, ma la conferma del fatto che l’autonomia processuale degli stati membri può essere limitata solo in presenza di “condizioni peculiari”. Inoltre, deve essere valutato l’impatto complessivo della disapplicazione della disposizione interna sul processo nazionale, dato che non è prospettabile un eventuale stravolgimento dei principi che sono alla base dell’ordinamento processuale interno33. Tuttavia, sulla base

del criterio d’equivalenza e dell’obbligo di interpretazione del diritto processuale interno in maniera conforme agli obiettivi e alle libertà propri del diritto comunitario34, il giudice nazionale

dovrebbe utilizzare tale strumento processuale per la salvaguardia di posizioni di derivazione europea, qualora avrebbe lo stesso dovere sulla base di motivi di ricorso fondati su una norma interna di natura vincolante, ancorché non addotti dalle parti.

nazionale possa, nell'ambito di un ulteriore procedimento, esaminare d'ufficio la compatibilità di un provvedimento nazionale con il diritto comunitario.

33 Ad esempio, nel caso Van Schijndel (C. giustizia, C-430/93 e 431/93) la corte

dichiara compatibile con il diritto comunitario la norma interna che limita il potere del giudice di sollevare in autonomia la violazione del diritto comunitario. La giustificazione di tale decisione sta nel principio dispositivo, che garantisce diritti della difesa e del regolare svolgimento del processo. Quindi un principio fondamentale dell’ordinamento interno.

(19)

14

1.2.2 il caso Factorame

35

La ditta Factorame Ltd e una serie di altri soggetti tra società, amministratori e azionisti delle stesse, si rivolgono ai giudici britannici per contestare la compatibilità con il diritto comunitario della seconda parte della legge inglese del 1988 sulla navigazione mercantile, modificativa, insieme ad alcuni regolamenti, della previgente disciplina in materia di iscrizione nei registri delle navi da pesca, e, contestualmente, chiedono la concessione di provvedimenti provvisori per tutto il periodo durante il quale non si sarebbe statuito sulla domanda principale. In primo grado si decide la sospensione del processo in corso ai fini di inoltrare la richiesta di pronuncia pregiudiziale alla Corte di giustizia e la concessione, in via provvisoria, della sospensione nei confronti delle ricorrenti dell’applicazione della suddetta legge e dei relativi regolamenti fino alla decisione della Corte di Giustizia. L’altra parte, ossia il Secretary of State for Transport, interpone appello avverso il provvedimento cautelare riuscendo ad ottenere l’annullamento dello stesso sulla base della mancanza di potere dei giudici di sospendere provvisoriamente l’applicazione delle leggi. Infine, la causa arriva alla House of Lords, che conferma quanto sostenuto dalla Corte d’Appello sia per la regola di common law, che impedisce di emanare provvedimenti cautelari contro la Corona, sia per la presunzione in base alla quale una legge nazionale è legittima fino a che non venga accertata la contrarietà con il diritto comunitario. Tuttavia, il giudice nazionale si preoccupa di chiedere alla Corte di giustizia se è tenuto a disapplicare tale normativa interna al fine di concedere il provvedimento cautelare. La Corte europea risolve la

35 Sent. Corte giust. dell’UE del 19 maggio 1990, Factorame Ltd c. Secretary of State for Transport, C-213/89.

(20)

15 questione dichiarando che il diritto comunitario impone al giudice di disapplicare la norma interna che gli impedisce di concedere un provvedimento provvisorio. Tale obbligo viene imposto al fine di assicurare l’effetto utile dei meccanismi processuali previsti dal diritto dell’Unione, in particolare del rinvio pregiudiziale. Si tratta, infatti, a parere della Corte europea, di un meccanismo funzionale a rendere effettive le libertà fondamentali del Trattato36. In effetti, se

il giudice non avesse concesso il provvedimento provvisorio alle società richiedenti esse avrebbero subito un pregiudizio grave e irreparabile del proprio diritto di derivazione comunitaria, nel caso di dichiarazione a loro favorevole della Corte di giustizia a cui il giudice inglese di primo grado aveva posto la questione pregiudiziale specificata all’inizio di questo paragrafo.

Il profilo ulteriore, che giova evidenziare ai nostri fini, è che nella motivazione non vengono presi in considerazione i principi fondamentali dell’ordinamento nazionale, come avviene nella sentenza Peterbroeck, connotando, dunque, un’ingerenza rilevante sul piano del diritto processuale interno.

1.2.3 Gli interventi della Corte di giustizia dell’Unione europea

in materia di tutela dei consumatori e di aiuti di Stato

Vi sono alcuni particolari settori in cui la Corte di giustizia ha inciso maggiormente sulle regole processuali. Tra questi troviamo quello della tutela dei consumatori e quello degli aiuti di Stato illegalmente concessi. Nel primo caso si tratta di soggetti che necessitano di una tutela rafforzata in quanto considerati parte

36 A. Carratta, op.cit., p. 1410.

(21)

16 debole. Nel secondo caso l’esigenza è quella di eliminare gli effetti pregiudizievoli che gli aiuti di stato possono produrre sul corretto funzionamento del mercato interno e, di riflesso, sui soggetti privati.

In entrambi gli ambiti la Corte di giustizia si è spinta fino ad attribuire particolari poteri e facoltà di natura processuale ai giudici nazionali al fine di garantire la specifica tutela dei soggetti richiesta dalle norme sostanziali dell’Unione37. In aggiunta a tale lavoro di

origine giurisprudenziale in tali settori, il legislatore europeo si è mosso in due direzioni: l’elaborazione di principi in vista della tutela giurisdizionale delle posizioni soggettive di derivazione europea e la previsione di norme di natura processuale a fianco alle norme sostanziali europee38. Queste due tendenze hanno, di fatto, ristretto

le maglie della cosiddetta autonomia processuale.

In riferimento al settore dei consumatori la Corte di Lussemburgo si è pronunciata su una serie di istituti processuali39, tuttavia, per

ciò che rileva ai fini del presente lavoro, va osservato il fatto che i giudici europei sono intervenuti su settori di disciplina processuale importanti come il giudicato civile40.

Anche per quanto riguarda il settore degli aiuti di Stato, gli istituti processuali toccati dalle sentenze della Corte sono stati molteplici, sia nella parte inerente i rimedi giurisdizionali azionabili dalla parte lesa dalla concessione di aiuti illegali sia nella parte relativa all’obbligo di recupero di un aiuto di stato illegale41. È proprio

37 Ivi, p. 1414.

38 E. Cannizzaro, Effettività del diritto dell’Unione e rimedi processuali nazionali,

in dir. Un. Eur., fasc. 3, 2013, p. 659 ss.; l’autore definisce tali interventi, sia della

Corte sia del legislatore europei, come tecniche di armonizzazione. In particolare, la prima delle due tecniche praticate dal legislatore europeo è chiamata “armonizzazione per principi”.

39 Per un approfondimento in merito v. la giurisprudenza richiamata in

Carratta, op. cit, p. 1414-1419.

40 All’analisi dei pronunciamenti della Corte di giustizia dell’unione europea su

questo punto sarà dedicato il prossimo capitolo.

(22)

17 relativamente a questo ultimo profilo evidenziato che si inseriscono le riflessioni aventi ad oggetto il giudicato civile, dato che la Corte ha rilevato che “il diritto comunitario osta

all’applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l’art.2909 del codice civile italiano, volta a sancire il principio dell’autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero dei un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario (…)42”.

1.2.4 Conclusioni

Dall’analisi svolta è possibile tirare fuori qualche considerazione generale su quello che è, attualmente, il rapporto tra diritto dell’Unione Europea e i sistemi processuali interni.

In primo luogo, è evidente che siamo in presenza di un fascio di interferenze tra i due ordinamenti (europeo e nazionale) tale per cui non è semplice pervenire a una conclusione univoca sull’argomento. In effetti, si interconnettono una serie di principi fondamentali, in primis i principi di equivalenza e di effettività della tutela giurisdizionale, che sono i criteri fondanti dell’autonomia procedurale, ma anche altri di ordine più generale, che sono il principio del primato del diritto comunitario e quello di effettività, che comportano, come conseguenza, degli obblighi in capo alle giurisdizioni nazionali, come quelli di interpretazione conforme e di leale collaborazione. Naturalmente, ognuno di questi principi interagisce con l’ordinamento nazionale in modo differente. Laddove, ad esempio, il principio di equivalenza richiede uno sforzo

42 Sent. Corte di giustizia dell’UE del 18 luglio 2007, Lucchini spa c. ministro

(23)

18 minore da parte del sistema giurisdizionale interno, imponendo l’applicazione di istituti processuali già esistenti, quello di effettività si spinge oltre fino ad attribuire particolari poteri di natura processuale al giudice nazionale43.

In secondo luogo, si può notare una maggiore compressione dell’autonomia processuale degli Stati membri nei settori di in cui vi è una maggiore armonizzazione della disciplina europea, come nei casi visti nell’ultimo paragrafo. Da ciò si deduce che la ratio sottesa alla autonomia processuale sia una logica di “sussidiarietà”44, nel senso che l’ordinamento processuale interno

interviene in mancanza di una normativa procedurale comunitaria uniforme al fine di offrire una tutela giurisdizionale dei diritti europei dei singoli, che altrimenti resterebbero solo sul piano sostanziale. Tuttavia, se il sistema processuale nazionale non è in grado di garantire degli standard minimi di tutela interviene il “livello superiore”45, ossia l’ordinamento europeo, in cui un ruolo

principale è ricoperto dalla Corte di giustizia e dalla sua giurisprudenza. Chiaramente, accade che, in settori in cui gli Stati hanno permesso un ampliamento della competenza dell’Unione anche sul piano della disciplina di rito, come ad esempio in materia di aiuti di stato, le sentenze della Corte hanno un impatto di non poco rilievo sul sistema processuale interno.

43 A. Carratta, op. cit., p.1406. 44 G. Vitale, op. cit., p. 260.

(24)

19

2

I rapporti tra l’ordinamento italiano e la

Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle

libertà fondamentali

2.1 Il rapporto tra le norme della CEDU e le norme

dell’ordinamento italiano

La Convenzione europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali del 195046 è, sul piano delle fonti del

diritto, un Trattato internazionale multilaterale il cui oggetto è la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. Tale accordo viene recepito nell’ordinamento giuridico italiano con la legge ordinaria 4 agosto 1955 n. 848., quindi un atto normativo di rango inferiore a quello costituzionale.

In un primo momento si realizza una situazione in cui i diritti sanciti dalla CEDU a livello contenutistico hanno una rilevanza costituzionale, che, viceversa, non viene riconosciuta dal punto di vista formale poiché vi è l’impossibilità di ricondurre la Convenzione a una norma costituzionale47. Le uniche disposizioni

costituzionali su cui poter far leva erano gli articoli 10 e 11 Cost., ma la Corte Costituzionale aveva più volte escluso tale possibilità dichiarando la inidoneità delle citate norme ad adattarsi al caso di specie. Infatti, da un lato, l’art.10, primo comma, Cost., con l’espressione “norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” si riferisce esclusivamente alle norme consuetudinarie, pertanto non può essere ricompresa la CEDU,

46 In prosieguo CEDU o Convenzione.

(25)

20 trattandosi di un Trattato multilaterale, dunque, di una normativa di origine pattizia48; dall’altro lato, l’art.11 cost., essendo la norma

che consente limitazioni della sovranità nazionale necessarie per promuovere le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia fra le nazioni, non comprende nel suo campo di applicazione la CEDU, che non produce alcuna compressione della sovranità statale49.

Fino alla riforma costituzionale del 2001, la violazione degli obblighi internazionali (quindi anche della CEDU) da parte di una legge interna comportava la dichiarazione di incostituzionalità della stessa solo nel caso in cui si fosse trattato di violazione diretta di norme costituzionali50.

Il nuovo articolo 117 Cost., insieme alle sentenze 348 e 349 del 2007 della Corte Costituzionale, rappresenta la nuova chiave di lettura dei rapporti tra la CEDU e l’ordinamento italiano. La Consulta, con tali pronunce, detta delle linee guida, che rinnovano la posizione assunta dalla Convenzione all’interno del sistema delle fonti italiano e che per tale ragione implicano delle conseguenze diverse rispetto a quelle del periodo ante riforma del Titolo V. I punti salienti di tali sentenze postulano che:

• le norme della Convenzione, dato quanto disposto dall’art.117, primo comma51, assumono il rango

sub-costituzionale e sono qualificabili come norme interposte, pertanto la violazione della CEDU pone, indirettamente, una questione di legittimità costituzionale. In altre parole, le

48 Sent. Corte Cost. 348/2007. 49 Sent. Corte cost. 348 2007. 50 S. Colussa, op.cit, p. 134

51 Art. 117, comma I: “La potestà legislativa è esercitata dallo stato e dalle

regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e degli obblighi internazionali”.

(26)

21 disposizioni del Trattato sono considerate parametri di valutazione della legittimità costituzionale della norma interna, con la precisazione che la Consulta si riserva il cd “margine di apprezzamento” che le permette di non applicare la norma della Convenzione qualora valuti che l’ordinamento costituzionale offra una tutela dei diritti fondamentali nel complesso superiore rispetto a quella garantita dalla CEDU52;

• le norme della Convenzione non sono direttamente applicabili perché non si viene a creare un nuovo ordinamento giuridico, ma si configurano, piuttosto, una serie obblighi in capo agli Stati contraenti. Da ciò consegue la impossibilità per i giudici interni di risolvere un eventuale contrasto della norma interna con la norma della CEDU disapplicando la prima delle due. Un eventuale conflitto dovrà essere sottoposto al vaglio della Corte costituzionale;

• la CEDU è diversa dagli altri trattati internazionali per il fatto di prevedere un organo giurisdizionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo53, con il compito di interpretare le

disposizioni in essa sancite54. Di conseguenza lo Stato ha

l’obbligo di adeguare la propria legislazione alle norme della

52 S. Colussa, op. cit, p. 137; F. Gambini, Il ruolo del giudice ordinario e della Corte costituzionale nell’attuazione dell’obbligo di riapertura o revisione del processo, in L’incidenza del diritto comunitario e della CEDU sugli atti nazionali definitivi a cura di F. Spitaleri, quaderni della Riv. Il dir. Un. Eur., Milano, 2009, p 207.

53 Art.32 CEDU: “La competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli che siano sottoposte ad essa nelle condizioni previste dagli articoli 33, 34 e 47”.

(27)

22 Convenzione così come interpretate dalla Corte di Strasburgo;

• i giudici degli Stati firmatari sono giudici comuni della Convenzione, ma l’ultima parola spetta sempre alla Corte di Strasburgo al fine di consentire l’uniforme applicazione della Convenzione. Inoltre, dato il ruolo ricoperto dagli organi giurisdizionali interni si pone in capo ad essi l’obbligo di interpretazione conforme delle disposizioni che si trovano ad applicare prima di sollevare una questione di legittimità costituzionale alla Corte Costituzionale55.

In conclusione, si delinea un quadro in cui gli ordinamenti giuridici degli Stati contraenti sono obbligati a uniformarsi alla Convenzione così come interpretata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, salvo l’eventuale scrutinio di costituzionalità56.

2.2 Le caratteristiche del sistema di tutela previsto

dalla CEDU

Due sono le caratteristiche che definiscono il ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo e che in un certo senso lo differenziano da quello previsto nell’ambito dell’unione europea: la tipologia dei soggetti legittimati ad adire la Corte EDU e il principio di sussidiarietà.

55 F. Gambini, op. cit., p.206. 56Ivi, p. 207.

(28)

23 In primo luogo, occorre far riferimento ai soggetti, che sono le persone fisiche, le organizzazioni non governative o i gruppi di privati57. Si tratta sostanzialmente di un ricorso proposto dai singoli

individui che chiedono la tutela dei loro diritti fondamentali, lamentando la violazione degli stessi da parte di un potere pubblico, qualsiasi esso sia (esecutivo, legislativo o giurisdizionale). L’altra parte processuale sarà lo Stato contraente, il quale è il responsabile delle azioni od omissioni commesse dai propri organi. Dal processo che si svolge in sede europea vengono esclusi tutti gli altri soggetti, anche se sono intervenuti davanti all’organo giurisdizionale interno.

In secondo luogo, in ottemperanza al principio di sussidiarietà pocanzi citato, bisogna evidenziare che l’intervento della Corte di Strasburgo può essere richiesto previo l’esaurimento dei ricorsi interni58. Tale condizione si verifica nel momento in cui

l’accertamento posto in essere dai giudici nazionali diventa incontrovertibile59, altrimenti la parte avrebbe ancora a

disposizione i mezzi di impugnazione della sentenza. La Corte europea dei diritti dell’uomo emanerà, dunque, una sentenza successiva al passaggio in giudicato della sentenza nazionale che, nel caso in cui accerti la effettiva violazione di uno dei diritti garantiti dalla Convenzione, porrà dei problemi circa la sua esecuzione all’interno dello Stato contraente.

57 Art.34 CEDU: La Corte può essere investita di un ricorso fatto pervenire da ogni persona fisica, ogni organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda d'essere vittima di una violazione da parte di una delle Alte Parti contraenti dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli. Le Alte Parti Contraenti si impegnano a non ostacolare con alcuna misura l'effettivo esercizio efficace di tale diritto”.

58 Art 35 CEDU, paragrafo 1: “La Corte non può essere adita se non dopo l'esaurimento delle vie di ricorso interne, qual è inteso secondo i principi di diritto internazionale generalmente riconosciuti ed entro un periodo di sei mesi a partire dalla data della decisione interna definitiva”.

(29)

24

2.3 Conclusione

In conclusione, date l’importanza ricoperta dalla Convenzione nell’ordinamento giuridico italiano e la disciplina del processo dinanzi la Corte di Strasburgo, è lecito affermare che si creano dei problemi che, in un certo senso, sono connaturati alle particolarità del sistema giurisdizionale previsto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e che richiedono l’intervento degli organi statali, in particolare del legislatore, in materia di riapertura o revisione del processo.

Si impone, quindi, una riflessione circa le modalità di attuazione degli obblighi posti in capo alla Parte contraente scaturenti dell’applicazione della Convenzione e dall’esecuzione delle sentenze della Corte EDU.

In Italia, considerando la presenza dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, un eventuale inadempimento porterebbe a chiamare in causa la Corte Costituzionale, come di fatti è già avvenuto in varie occasioni.

Lo scenario europeo attuale si divide in due: Paesi, che hanno previsto all’interno dei codici di rito la possibilità per la parte lesa di chiedere la riapertura o la revisione del processo al fine di riparare alla violazione del proprio diritto fondamentale accertata in sede europea e altri Paesi che, ancora, non si sono mossi in tal senso.

Sulla base di queste considerazioni, è necessario, innanzitutto, indagare circa i comportamenti richiesti alla Parte contraente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e successivamente, verificare quali sono gli strumenti messi a disposizione dai vari Stati a seguito dell’accertamento della violazione, in particolare da quello italiano. Tali punti saranno analizzati nei prossimi capitoli.

(30)

25

3 I rapporti tra l’Unione europea e la Convenzione

europea dei diritti dell’uomo e delle libertà

fondamentali

3.1 Introduzione

Il tema dei rapporti tra i vari ordinamenti non sarebbe puntualmente esaurito se non si prendesse in considerazione la dimensione sovranazionale. In particolare, si vuole fare riferimento ai due ordinamenti sovranazionali in ambito europeo: l’Unione europea e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali.

La necessità di osservare anche questo punto di vista nasce a partire da due fatti: l’entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’inserimento all’interno del Trattato di Lisbona di una norma che prevede la possibilità per l’Unione europea di aderire alla CEDU.

È opportuno dunque rivolgere lo sguardo verso questi due argomenti.

3.2

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione

europea

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea è stata adottata a Nizza nel 2000. Inizialmente essa viene classificata come un atto a carattere raccomandatario e viene dunque richiamata a livello giurisprudenziale (dalla Corte di giustizia e dai giudici

(31)

26 nazionali) a fini meramente interpretativi. Solo nel 2009, con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, acquisisce lo stesso valore giuridico dei Trattati istitutivi assumendo efficacia giuridica vincolante. Bisogna precisare, però, che la Carta di Nizza non introduce delle competenze aggiuntive per l’Unione rispetto a quelle individuate dai Trattati istitutivi.

A livello contenutistico si tratta di un catalogo di diritti fondamentali, volto a identificare i diritti umani riconosciuti a livello dell’Unione europea. L’elenco comprende due tipologie di disposizioni, i principi e i diritti. I primi necessitano di essere attuati mediante atti dell’Unione europea o attraverso atti nazionali. I secondi invece sono direttamente applicabili e pertanto possono essere fatti valere in giudizio dalla parte che ne richieda la tutela. Tra questi ultimi troviamo diritti propri del cittadino europeo, che erano già previsti dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, e diritti ripresi dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, tenuto conto della elaborazione fatta dalla Corte di Strasburgo.

In realtà la tutela dei diritti umani non rappresenta una novità nel panorama giuridico dell’Unione europea. In effetti la Corte di giustizia più volte li aveva richiamati nelle sue pronunce riconducendoli ai principi comuni agli Stati membri. Inoltre, il Trattato di Maastricht del 1992 riconosce i diritti umani fondamentali così come garantiti dalla CEDU e dalle Costituzioni nazionali e li considera come Principi generali del diritto dell’unione europea60.

60 Articolo F, paragrafo 2, trattato di Maastricht: “L'Unione rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario”.

(32)

27 L’importanza riconosciuta al Trattato di Lisbona si giustifica in considerazione del fatto che, grazie al richiamo effettuato alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, i diritti fondamentali vengono, per la prima volta, elencati e quindi esplicitati contribuendo ad assicurare la cosiddetta certezza del diritto in questo settore. Inoltre, ed è questo sicuramente l’aspetto più rilevante, il fatto che la Carta di Nizza abbia la stessa valenza giuridica dei Trattati comporta che i diritti in essa contenuti godono del principio del primato dell’Unione europea e di tutto ciò che da esso ne consegue anche sul piano dei rapporti con il diritto nazionale.

3.3

L’adesione

dell’Unione

europea

alla

Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle

libertà fondamentali

Il Trattato sull’Unione europea all’articolo 6, paragrafo 2, così come innovato dal Trattato di Lisbona, prevede testualmente: “L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei

diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, aprendo così la strada

per l’adesione dell’Unione europea alla CEDU.

La norma ha natura programmatica, in quanto l’Unione europea non ha ancora concluso alcun accordo. Si tratta, sostanzialmente, della base giuridica che nel 2010 ha permesso alle istituzioni europee di avviare i negoziati con il Consiglio d’Europa e non di una disposizione che rende applicabile la Convenzione all’interno del territorio dell’Unione europea.

Di fatto la CEDU non entra a far parte del diritto comunitario, di guisa che non sorge alcun obbligo per il giudice nazionale di

(33)

28 disapplicare la norma interna contrastante con le norme della CEDU61. In effetti “l’adesione dell’Unione europea non modifica le

competenze dell’Unione definite nei Trattati”62. Tuttavia, qualora

l’applicazione della disposizione convenzionale sia condizionata da una norma comunitaria dotata di effetto diretto l’organo giurisdizionale nazionale è tenuto a dare diretta applicazione della previsione contenuta nella CEDU63. Nei restanti casi, almeno per

quanto riguarda l’ordinamento italiano, vigono i principi dichiarati dalla Corte Costituzionale nelle sentenze 348 e 349 del 2008, evidenziati nella sezione precedente.

Nel 2013 le parti hanno elaborato un Progetto di accordo di adesione che però non ha avuto seguito, in quanto la Corte di giustizia ha espresso un parere negativo in merito alla legittimità di tale atto64.

Al fine di superare gli ostacoli emersi dal Parere espresso dalla Corte di giustizia dell’UE la dottrina ha proposto due strade possibili da intraprendere, che sono la revisione dei Trattati e la riapertura dei negoziati tenendo conto delle considerazioni avanzate dai giudici del Lussemburgo nel 201365.

Indipendentemente dalla via seguire, è auspicabile che il processo di integrazione europea della tutela dei dritti fondamentali venga portato a compimento. Viceversa, il rischio potrebbe essere quello che la Corte di Strasburgo sanzioni uno Stato membro per

61 S. Colussa, op.cit., p. 141.

62 Articolo 6, paragrafo 2, TUE.

63 S. Colussa, op.cit., p. 142.

64 Si tratta del parere 2/2013 della Corte di Giustizia dell’Unione europea. La

motivazione che ha spinto la Corte a pronunciarsi per l’illegittimità dell’accordo è quella di preservare le caratteristiche specifiche e l’autonomia dell’Unione europea.

65 V. D. Pellegrini, L’adesione dell’Unione Europea alla CEDU oltre il parere 2/2013 CGUE, in federalismi.it, n.17/2016, p. 2ss.

(34)

29 violazione dei diritti umani a seguito dell’applicazione di un atto comunitario.

In attesa che ciò avvenga, un ruolo fondamentale nella tutela dei diritti umani nell’ambito dell’Unione europea è ricoperto dalla Corte di giustizia con i noti limiti entro i quali essa può essere adita, dato che i singoli individui non possono interpellarla direttamente, e con la possibilità che gli standard minimi di tutela richiesti dalla Corte EDU siano diversi da quelli individuati dall’organo giurisdizionale dell’Unione europea tenendo conto della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.

(35)

CAPITOLO II

LA SENTENZA PASSATA IN GIUDICATO IN

CONTRASTO CON IL DIRITTO DELL’UNIONE

EUROPEA O CON LA CONVENZIONE EUROPEA

DEI DIRITTI DELL’UOMO E DELLE LIBERTA’

FONDAMENTALI

(36)

31

1 La cosa giudicata civile nell’ordinamento italiano

1.1 L’articolo 2909 del codice civile

L’articolo 2909 c.c. è la norma dell’ordinamento italiano che fissa il principio dell’autorità di cosa giudicata. Essa prevede testualmente che “l’accertamento contenuto nella sentenza passata

in giudicato fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa”.

La cosa giudicata di cui si sta trattando è quella sostanziale, differenziandola da quella formale presente all’articolo 324 del codice di procedura civile66.

Il giudicato sostanziale non è altro che l’accertamento della volontà di legge contenuta nella sentenza e rappresenta la regola di condotta alla quale dovranno conformarsi le parti pro futuro. Inoltre, l’accertamento è incontestabile dinanzi a qualsiasi altro organo giurisdizionale, in quanto qualunque giudice è vincolato al contenuto della pronuncia, di guisa che non si potrà togliere o diminuire la tutela giurisdizionale del bene della vita ottenuta attraverso la richiesta di parte in ogni futuro giudizio.

I provvedimenti idonei al giudicato sostanziale sono le sentenze67

di merito poiché esse sono le uniche capaci di incidere sul diritto sostanziale. Il loro scopo è quello di “assicurare il risultato del

66 V. paragrafo successivo.

67 Vi sono provvedimenti diversi dalla sentenza che acquisiscono autorità di

cosa giudicata, come ad esempio il decreto ingiuntivo non opposto, l’ordinanza di convalida di sfratto, le ordinanze dei giudizi sommari di cognizione di cui all’art. 702 bis c. p. c., ecc. Per un approfondimento v. S. Menchini - A. Motto, sub. art. 2909

c.c.- Cosa giudicata, in Commentario del codice civile a cura di Bonilini-Chizzini, III, Torino, 2016, pp. 25-29.

(37)

32 processo fuori dal processo”68; in altre parole poiché il diritto

processuale interviene quando il diritto sostanziale non viene rispettato, il primo deve essere capace di incidere sul secondo per ristabilire quale delle parti abbia ragione; tale scopo viene raggiunto per mezzo della sentenza di merito che sostituendosi alla legge astratta diventa lex specialiis tra le parti. Al contrario, le pronunce di procedura consumano la loro utilità all’interno dello stesso processo e pertanto non hanno effetti sul piano sostanziale.

La sentenza di merito ha ad oggetto la esistenza o l’inesistenza del bene della vita per il quale la parte ha richiesto la tutela giurisdizionale. Il giudice interviene, quindi, per risolvere la incertezza circa una situazione giuridica sostanziale sulla quale le parti sono in conflitto; in altre parole si chiede all’organo giurisdizionale un accertamento circa la volontà di legge da applicare al caso concreto, di conseguenza il giudicato sostanziale è ancorato alla giurisdizione contenziosa dichiarativa.

L’atto che compone la controversia dovrà essere definitivo e non ulteriormente discutibile. Tali effetti sono la conseguenza dell’intangibilità del giudicato conclamata all’articolo 2909 del codice civile.

1.2 Giudicato formale e giudicato sostanziale

Dalla lettura dell’articolo 2909 c.c. si desume che il giudicato sostanziale produce l’incontestabilità dell’accertamento a

(38)

33 condizione che esso sia contenuto in una sentenza passata in giudicato.

Il giudicato al quale si fa riferimento è quello formale di cui all’articolo 324 c. p. c.69, il quale prevede che la sentenza passa in

giudicato quando non è più soggetta all’appello, al ricorso per Cassazione, al regolamento di competenza e ai motivi di revocazione previsti all’articolo 395 n. 4 e 570, ossia quando non

sono più esperibili gli ordinari mezzi di impugnazione.

Il giudicato formale indica, quindi, che la sentenza ha raggiunto una certa stabilità; tutti i vizi, siano essi di procedura o di invalidità, vengono sanati, salvo quelli che possono essere fatti valere attraverso i mezzi di impugnazione straordinari e quelli che determinano la inesistenza della sentenza71.

I provvedimenti giurisdizionali ai quali è collegato il giudicato formale sono soltanto le sentenze (o comunque provvedimenti aventi forma-contenuto di sentenza); tuttavia, non tutte le sentenze di cui all’articolo 324 c. p. c. sono assistite dal giudicato sostanziale poiché solo quelle che contengono un <<accertamento di una volontà concreta di legge sostanziale>>72 producono l’effetto di cui

all’art. 2909 c. c..

69 Art. 324 c. p. c. “Si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395”.

70 ARTCOLO 395 N.4 E 5: “Le sentenze pronunciate in grado d’appello o in un unico grado, possono essere impugnate per revocazione: (…) 4) se la sentenza è l’effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa. Vi è questo errore quando la decisione è fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa, oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, e tanto nell’uno quanto nell’altro caso se il fatto non costituì un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; 5)se la sentenza è contraria ad altra precedente avente fra le parti autorità di cosa giudicata, purché non abbia pronunciato sulla relativa eccezione; (…)”.

Si tratta dei due motivi di revocazione ordinaria.

71 S. Menchini e A. Motto, op.cit., p. 31-32. 72 Ivi, p. 34.

(39)

34 L’obiettivo dell’istituto del giudicato (formale e sostanziale) è quello di garantire la certezza delle relazioni giuridiche, che è, chiaramente, un valore di notevole rilevanza all’interno dell’ordinamento giuridico. Tale certezza viene assicurata sia dalla irrevocabilità sia dalla indiscutibilità del provvedimento giurisdizionale73. Vi sono però delle eccezioni, fuori dagli istituti

menzionati sopra (mezzi di impugnazione ordinari e straordinari, sentenza inesistente), in cui il giudicato formale cede il passo ad altri valori. Ad esempio, nell’ipotesi prevista all’articolo 153, II comma, c. p. c.74 nel caso in cui venga applicato al termine per

impugnare oppure nel contesto dei rapporti tra giudicato nazionale e normativa europea75.

In sintesi, si può affermare che il giudicato formale e il giudicato sostanziale sono due facce della stessa medaglia. Di fatto, essi sono figure distinte, ma collegate dato che il primo è il presupposto dell’altro, in quanto solo quando la sentenza non è più revocabile essendo passata in giudicato formale risulta essere idonea al giudicato sostanziale.

1.3 I limiti oggettivi del giudicato

Dal combinato disposto dell’articolo 2909 c. c. e 112 c. p. c. emerge che il giudicato ha ad oggetto la situazione sostanziale introdotta in

73 Ivi, p. 32.

74 ART. 153 c. p. c.: “I termini perentori non possono essere abbreviati o prorogati, nemmeno sull'accordo delle parti.

La parte che dimostra di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile può chiedere al giudice di essere rimessa in termini. Il giudice provvede a norma dell’articolo 294, secondo e terzo comma”.

(40)

35 giudizio dalla parte che ne richiede la tutela in quanto l’accertamento compiuto dal giudice verte su tale domanda e non oltre i limiti da essa fissati76.

A questa regola fanno eccezione alcuni casi: processi che interessano questioni di fatto, questioni meramente giuridiche oppure situazioni di natura processuale77.

Tralasciando queste ipotesi passiamo ad occuparci solamente dei giudizi il cui oggetto è il diritto soggettivo.

Innanzitutto, bisogna chiarire che il diritto soggettivo oggetto del processo è quello che viene affermato dalla parte in via ipotetica, pertanto sarà compito del giudice ricondurre il caso concreto alla fattispecie astratta prevista dalla legge. In questa operazione egli prende in considerazione l’intera situazione sostanziale al fine di evitare che vengano proposte, in un futuro giudizio, domande relative allo stesso diritto. Qualora avvenisse il contrario, ossia se venisse scomposta l’unica situazione soggettiva in una pluralità di entità processuali autonome, si ricadrebbe nella violazione dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo. Di più, si esporrebbe il convenuto a ripetute aggressioni da parte dell’attore su un medesimo e unico bene della vita, contrariamente a quanto impone il rispetto del principio della parità delle armi.

Se si condivide l’idea che il diritto processuale è al servizio del diritto sostanziale, allora il primo non può scomporre ciò che dal punto di vista sostanziale è unico. Di conseguenza, ciò che è oggetto della domanda, tendenzialmente, è oggetto del processo e, quindi, della sentenza78.

76 S. Menchini e A. Motto, op. cit., p.41. 77 Ivi, p. 42.

78 “Tendenzialmente” poiché vi può essere uno scarto tra l’oggetto della

domanda e quello della decisione. La non coincidenza può avvenire secundum jus

Riferimenti

Documenti correlati

Le imposte sul reddito dell'esercizio sono stanziate in applicazione del principio di competenza, e sono determinate in applicazione delle norme di legge vigenti e sulla base

Le imposte sul reddito dell'esercizio sono stanziate in applicazione del principio di competenza, e sono determinate in applicazione delle norme di legge vigenti e

7 Può fare eccezione il caso degli ammortamenti anticipati (vedi il successivo paragrafo H.IV).. in assenza di vincoli fiscali all'iscrizione in bilancio delle interferenze

Il diritto di libertà religiosa (individuale e collettivo) nello spazio europeo (art. 9 della Convenzione europea) non è inserito nel novero del “Contesto normativo -

del codice antimafia, dalla quale vengono escluse le inosservanze delle predette prescrizioni, appunto perché non tassative e non suscettibili di una lettura tassativizzante

eventuali benefici fiscali – sia di ordine finanziario (derivanti, ad esempio, dallo slittamento in avanti del versamento delle imposte dovute) che di ordine economico (derivanti da

Per quanto concerne il periodo temporale di riferimento, si è scelto di terminare la ricerca nell’anno 2009 in quanto il reperimento dei dati è stato svolto nel mesi di

E dalla legge stessa si deve fare nel senso di negare, anche per lo straniero delinquente all’interno, l’autorità della cosa giudicata all’estero, perchè il principio