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Le sentenze in materia di aiuti di stato

In materia degli aiuti di stato si è posto il problema di un potenziale conflitto tra la decisione della Commissione, la quale dichiara l’incompatibilità dell’aiuto di stato richiesto con il mercato comune, e la sentenza interna passata in giudicato formale dichiarativa del diritto di una determinata impresa a ricevere un aiuto statale, che impedisce allo stato membro di recuperare l’aiuto concesso illegalmente.

In realtà tale eventualità si è verificata in varie occasioni.

109 Tra le altre: Sent. della Corte di giustizia dell’UE del 1° giugno 1999, Eco Swiss, C-126/97; sent. della Corte di giustizia dell’UE del 16 marzo 2006, Kapferer c. Schlank & Schick GmbH, C-234/04; sent. della Corte di giustizia dell’UE del 12 febbraio 2008, Kempter, C-2/06; sent. della Corte di giustizia dell’UE del 13 gennaio 2004, Khune & Heitz NV, C-453/00; sent. della Corte di giustizia dell’UE del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti & C. SpA, C-213/13.

56 In primo luogo, occorre volgere l’attenzione alla c.d. sentenza

Lucchini110 che riguarda in particolare lo stato italiano.

Le parti in causa sono la Lucchini s. p. A. (in prosieguo la Lucchini), industria operante nel settore siderurgico, e il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato italiano.

All’epoca dei fatti, nel 1985, la Lucchini aveva presentato una richiesta di agevolazioni finanziarie per l’ammodernamento dei propri impianti siderurgici ai sensi della legge n. 183 del 1976111; lo

Stato italiano aveva di conseguenza notificato il progetto d’aiuto alla Commissione europea112, la quale dopo qualche mese chiedeva

delle informazioni integrative a cui le autorità italiane competenti non davano risposta.

Tre anni dopo la domanda della Lucchini, ossia nel novembre del 1988, le autorità italiane decidevano di accordarle provvisoriamente un contributo in conto capitale pari al 15% dell’importo degli investimenti, ossia al massimo previsto dal terzo

110 Sent. della Corte di Giustizia dell’UE, 18 luglio 2007, Lucchini SpA c. Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato, C-119/05. In dottrina, tra i tanti: P. Biavati, la Sentenza Lucchini: il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, in Rass. Trib., 2007, 1591 ss.; F. Fradeani, La sentenza “Lucchini”:il giudicato sostanziale alla prova della Corte di giustizia CE, in Dir. prat. Trib. Int. N.4/2010; G. Gattinara, Obbligo di recupero degli aiuti illegali e incompatibili e res iudicata nazionale: il caso Lucchini, in Studi sull’integrazione europea, n. 3/2008; C. Glendi, Limiti del giudicato e Corte di giustizia europea, in Corr. Tributario, 5/2010; A. Negrelli, Il primato del diritto comunitario e il giudicato nazionale: un confronto che si poteva evitare o risolvere altrimenti (brevi riflessioni in margine alla sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 18 luglio 2007, in causa C-119/05), in Riv. It. Dir. Pub. Comunit., fasc. 5, 2008, p.1217 ss.; G. Petrillo, Il caso Lucchini, il giudicato nazionale cede al diritto comunitario, in Dir. e prat. Tributaria; B. Zuffi, Il caso Lucchini infrange l’autorità del giudicato nazionale nel campo degli aiuti statali, in Giur.it., 2008,2 (nota a sent.); M. T. Stile, La sentenza Lucchini sui limiti del giudicato un traguardo inaspettato?, in dir. com. scambi int., 2007.

111 Si tratta della legge del 2 maggio 1976 sulla disciplina dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, la quale prevedeva la possibilità di concedere

agevolazioni finanziarie sia in conto capitale sino al 30% dell’importo degli investimenti sia in conto interessi per la realizzazione di iniziative industriali nel Mezzogiorno.

112 Gli aiuti di stato risultavano essere vietati in base all’articolo 4 lettera c) del trattato C. E. C. A.; lo stato italiano pertanto chiedeva alla Commissione se nel caso

di specie era applicabile l’articolo 6 del terzo codice comunitario sugli aiuti e quindi era possibile la concessione di un’autorizzazione in deroga.

57 codice sugli aiuti113 e di procedere al pagamento entro il 31

dicembre 1988, data ultima prevista dallo stesso codice.

A gennaio 1989 la Commissione inviava alle autorità competenti una lettera con la quale dava notizia di aprire il procedimento di cui all’articolo 6 n. 4 del terzo codice114, chiedendo quindi di fornire

informazioni utili alla valutazione della compatibilità degli aiuti con il mercato comune, dato che nessun chiarimento le era pervenuto a seguito della precedente richiesta. Le autorità competenti rispondevano a tale richiesta con delle informazioni supplementari. Tuttavia, la Commissione le riteneva insoddisfacenti a tal punto da non riuscire a emettere una decisione definitiva in merito alla questione; pertanto sollecitava le autorità italiane a inviarle le informazioni adeguate, ma non riceveva alcuna risposta.

Il 20 giugno 1990 arrivava la decisione comunitaria115 che

dichiarava la incompatibilità con il mercato comune degli aiuti richiesti dalla Lucchini, per mancanza dei presupposti previsti per l’autorizzazione in deroga116. Tale atto non veniva impugnato

113 Decisione della Commissione del 27 novembre 1985 n. 3484/85/CECA

contenente norme comunitarie per gli aiuti a favore della siderurgia. Sostanzialmente contiene una deroga al divieto generale dell’articolo 4 del Trattato CECA applicabile nel periodo tra il 1° gennaio 1986 e il 31 dicembre 1988.

114 Articolo 6 n. 4 del terzo codice: “Se, dopo aver invitato gli interessati a presentare le loro osservazioni, la Commissione rileva che un aiuto non è compatibile con le disposizioni della presente decisione, essa informa lo stato membro interessato della propria decisione. La Commissione decide al più tardi entro tre mesi dal ricevimento delle informazioni necessarie per potersi pronunciare sull’aiuto in questione. Qualora uno Stato membro non si conformi a tale decisione, si applicano le disposizioni dell’articolo 88 del trattato CECA. Lo Stato membro interessato non può dar esecuzione alle misure progettate di cui ai paragrafi 1 e 2 se non previa approvazione della Commissione e conformandosi alle condizioni da essa stabilite”.

115 Decisione del 20 giugno 1990 n. 90/555/CECA.

116 I presupposti che la Corte ritiene mancanti sono quelli di cui all’articolo 3 del

terzo codice, che prevede testualmente: “Gli aiuti destinati, in applicazione di

regimi generali di aiuto, ad agevolare l'adattamento alle nuove disposizioni di legge in materia di tutela dell'ambiente degli impianti in servizio da almeno due anni prima dell'entrata in vigore di dette norme possono essere considerati compatibili con il corretto funzionamento del mercato comune.

58 davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea, organo deputato a vagliare la legittimità degli atti provenienti dalle istituzioni europee, né dalla Lucchini né dallo stato italiano.

Parallelamente a quanto accadeva sul piano dei rapporti con la Commissione, la situazione procedeva sul piano interno fino a giungere prima dinanzi al giudice civile e poi a quello amministrativo.

In particolare, la Lucchini aveva citato in giudizio il Ministero dell’industria, del commercio e dell’artigianato al fine di vedersi riconosciuto il proprio diritto all’erogazione dell’intero aiuto originariamente richiesto, dato che provvisoriamente gli era stata riconosciuta solo una parte di quanto richiesto. Sia il giudice di primo grado sia quello di secondo grado accertavano la sussistenza di tale diritto, accogliendo, dunque, la domanda della società siderurgica. Va osservato che, in tale procedimento, l’unico riferimento alla normativa europea sugli aiuti di stato veniva fatto in appello dallo stato italiano il quale sosteneva, in via subordinata, che in virtù di quanto previsto dal terzo codice la somma erogabile a titolo di aiuto era pari al 15% dell’investimento.

La sentenza d’appello non veniva impugnata dal Ministero, passando in giudicato. Da notare che la Commissione si era già pronunciata sulla incompatibilità dell’aiuto dato che il grado di appello si concludeva nel 1995, quindi circa ben cinque anni dopo la decisione comunitaria.

Nel 1996, la Lucchini, non avendo ricevuto alcun versamento da parte delle autorità italiane, si rivolgeva nuovamente al giudice

L'ammontare degli aiuti concessi in base al presente articolo non può superare il 15 % in equivalente sovvenzione netto delle spese d'investimento direttamente connesse con la misura di tutela ambientale considerata. Nel caso in cui a detta misura faccia riscontro un incremento della capacità di produzione dell'impianto in questione, il valore di tale investimento sarà preso in considerazione soltanto in proporzione alla capacità iniziale”.

59 civile ottenendo un decreto ingiuntivo nei confronti del Ministero, oltre che il pignoramento di alcuni suoi beni. Di conseguenza, il direttore del Ministero emanava un decreto con il quale accordava alla società il contributo; tuttavia, egli non tralasciava di specificare che, qualora fosse arrivata una decisione comunitaria sfavorevole, la Lucchini avrebbe dovuto restituire quanto ricevuto.

La Commissione, venuta a conoscenza dei fatti appena menzionati, intimava lo stato italiano di recuperare quanto versato alla Lucchini entro il termine di quindici giorni. Il ministero italiano provvedeva con un nuovo decreto a revocare il precedente (quello con cui veniva concesso l’aiuto) e ordinava alla Lucchini la restituzione di quanto già percepito, maggiorato degli interessi.

La Lucchini impugnava anche tale atto dinanzi al TAR (tribunale amministrativo regionale) del Lazio che accoglieva il ricorso sulla base dell’esistenza della sentenza passata in giudicato (quella emessa in sede d’appello nel 1995) che ostava alla rimozione del decreto.

Il Ministero, rappresentato dallo stato italiano, impugnava la pronuncia del TAR dinanzi al Consiglio di Stato sollevando l’esistenza di una decisione della Commissione europea dichiarativa dell’incompatibilità dell’aiuto precedente alla sentenza d’appello definitiva.

Il Consiglio di Stato trovatosi innanzi al conflitto tra la decisione della Commissione del 1990 e la sentenza interna del 1995 proponeva la questione pregiudiziale alla Corte di giustizia dell’Unione europea con la quale chiedeva “Se, in forza del principio

del primato del diritto comunitario immediatamente applicabile, costituito nella specie [dal terzo codice], dalla decisione [90/555], nonché dalla [nota] n. 5259 (...), di intimazione del recupero dell'aiuto — atti tutti alla stregua dei quali è stato adottato l'atto di recupero impugnato nel presente processo (ossia il decreto n. 20357 [...]) — sia

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giuridicamente possibile e doveroso il recupero dell'aiuto da parte dell'amministrazione interna nei confronti di un privato beneficiario, nonostante la formazione di un giudicato civile affermativo dell'obbligo incondizionato di pagamento dell'aiuto medesimo. Ovvero se, stante il pacifico principio secondo il quale la decisione sul recupero dell'aiuto è regolata dal diritto comunitario ma la sua attuazione ed il relativo procedimento di recupero, in assenza di disposizioni comunitarie in materia, è retta dal diritto nazionale (…), il procedimento di recupero non divenga giuridicamente impossibile in forza di una concreta decisione giudiziaria, passata in cosa giudicata (art. 2909 cod. civ.) che fa stato fra privato ed amministrazione ed obbliga l'amministrazione a conformarvisi”117.

La Corte del Lussemburgo poneva fine alla questione dichiarando che il diritto comunitario ostava all’applicazione dell’articolo 2909 del codice civile italiano nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impediva il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune era stata affermata da una decisione definitiva della Commissione antecedente alla sentenza nazionale passata in giudicato.

Prima di stabilire se effettivamente l’intangibilità del giudicato venga pregiudicata da questa sentenza occorrono alcune premesse al fine di trovare una eventuale giustificazione a una pronuncia che altrimenti risulterebbe essere del tutto dirompente.

Due sono le direzioni da intraprendere: il richiamo della disciplina degli aiuti di stato per comprendere le motivazioni alla base della sentenza in oggetto e la verifica dell’esistenza di sentenze simili al fine di stabilire se vi è un obbligo generale di disapplicare la norma

117 Punto 40 sent. Lucchini.

61 nazionale sul giudicato sostanziale qualora essa impedisca l’effettiva applicazione del diritto comunitario in materia di aiuti di stato o se il caso sopra riportato sia stata una eccezione nel panorama giurisprudenziale europeo.

Per quanto riguarda la disciplina degli aiuti di stato il primo riferimento utile è l’articolo 107 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE)118, il quale pone un divieto generale in

capo agli Stati membri di concedere aiuti di stato al fine di non alterare la libera concorrenza (I comma) e individua delle ipotesi di compatibilità con il mercato interno (II e III comma). Tuttavia, le deroghe previste dall’ordinamento comunitario non sono

118 Articolo 107 TFUE: “1. Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.

2. Sono compatibili con il mercato interno:

a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti;

b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;

c) gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera.

3. Possono considerarsi compatibili con il mercato interno:

a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;

b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro;

c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;

d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune;

e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.”

62 automatiche: lo stato membro deve predisporre un progetto di aiuto e deve notificarlo alla Commissione europea che valuta la compatibilità dell’aiuto con il mercato comune e, se del caso, concede l’autorizzazione. La ratio di tale meccanismo è quella di tutelare la concorrenza; è evidente, infatti, che il beneficiario dell’aiuto di stato ottiene un vantaggio che i suoi concorrenti non ricevono.

Oltre alla categoria giuridica degli aiuti incompatibili vi è quella degli aiuti illegali. Le situazioni riconducibili all’illegalità sono tre: a) gli aiuti concessi senza previa notifica alla Commissione; b) gli aiuti notificati, ma attuati prima dell’autorizzazione; c) gli aiuti concessi in violazione dell’autorizzazione119.

La conseguenza della concessione di un aiuto illegale è il suo recupero.

La competenza circa la valutazione della compatibilità dell’aiuto con il mercato comune spetta in maniera esclusiva alla Commissione e in nessun caso al giudice nazionale, che, invece, ricopre un ruolo principale e necessario nella tutela dei diritti dei concorrenti del beneficiario; per adempiere a tale “compito”, l’organo giurisdizionale interno potrebbe essere chiamato solo ed esclusivamente ad interpretare la nozione di aiuto di stato, ossia a qualificare una determinata attività come aiuto di stato.

Va osservato, inoltre, che gli atti della Commissione sono soggetti al controllo della Corte di Giustizia che, se del caso, interviene annullando l’atto. Il ricorso per l’annullamento deve essere proposto entro un termine perentorio dalla parte interessata (in questo caso il potenziale beneficiario dell’aiuto al quale la Commissione ha negato la richiesta a causa del fatto che ha ritenuto l’aiuto anticoncorrenziale); qualora la parte non impugni

119 Gattinara, op. cit., p. 643.

63 tempestivamente l’atto (la decisione della Commissione), esso diviene definitivo.

Le fattispecie riconducibili all’illegalità, invece, offrono al giudice interno qualche possibilità di manovra in più rispetto a quanto accade nel caso dell’incompatibilità. Egli potrà, infatti, sospendere l’erogazione dell’aiuto e ordinare la restituzione della parte di esso già ricevuta qualora ritenga che sia stato violato l’obbligo di

standstill120.

Infine, bisogna rammentare che il giudice nazionale ha a disposizione degli strumenti di collaborazione con la Commissione; in particolare, si fa riferimento ai servizi della Commissione attraverso i quali gli organi giurisdizionali interni possono rivolgersi all’istituzione comunitaria al fine di avere delle informazioni di carattere procedurale o tecnico in materia di aiuti di stato. Pertanto, in risposta a una potenziale richiesta del giudice a riguardo, la Commissione potrà produrre un parere circa la qualificazione di una determinata misura come aiuto di stato all’interno del processo in cui viene sollevata la questione. Di più, il giudice potrebbe informarsi circa la pendenza di una determinata pratica dinanzi alla Commissione o circa la presenza di una decisione già resa.

Fatta questa prima premessa si può passare alla seconda, che avevamo stabilito essere la ricerca di altri dicta della Corte di giustizia dell’Unione europea analoghi al caso c. d. Lucchini.

Due sono le sentenze utili ai nostri fini: la sentenza Klausner

Holz121 del 2015 scaturente da un ricorso pregiudiziale e quella

120 Tale potere non sarebbe esercitabile dalla Commissione; ivi, p. 645.

121 Sentenza della Corte di giustizia UE, 11 novembre 2015, Klausner Holz Niedersachsen GmbH c. Land Nordrhein-Westfalen, C-505/14. Per un commento v. E. D’Alessandro, La Corte di giustizia si esprime di nuovo sul rapporto tra giudicato nazionale e aiuti di Stato (nota a sent.), in Foro it. anno 2016, parte IV, col. 43.

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Commissione c. repubblica slovacca122 che, invece, è un ricorso per

inadempimento.

Seguendo l’ordine cronologico rileva per primo il caso che vede interessata la Repubblica Slovacca.

I fatti risalgono al 2007 quando la Commissione emana una decisione123 con la quale dichiara che lo sconto fiscale concesso

dalla Repubblica Slovacca in favore della Frucona Košice, nell’ambito di un concordato confermato dal tribunale regionale competente con decisione passata in giudicato, è illegale, oltre che incompatibile. Con la stessa impone allo Stato membro di recuperare l’aiuto utilizzando gli strumenti del diritto nazionale.

Nello stesso anno la Frucona impugna l’atto decisorio della Commissione innanzi al Tribunale di primo grado delle Comunità europee chiedendone l’annullamento, ma non la sospensione dello stesso.

Lo stato membro, al contrario, non lo impugna, ma, anzi, intima all’impresa la restituzione dell’aiuto. Tuttavia, la Frucona non si conforma a tale ordine.

Al fine di ottenere l’esecuzione di quanto intimato, l’ufficio delle imposte nazionale (rappresentante della Repubblica slovacca) si rivolge al Tribunale regionale di primo grado, che, però, respinge la domanda statuendo che la Frucona non era tenuta a rimborsare l’aiuto poiché il concordato aveva assunto carattere definitivo in virtù della pronuncia passata in giudicato che lo prevedeva; anche i giudici di secondo grado si pronunciano in tal senso.

A questo punto, non avendo ottenuto quanto sperato e dovendo adempiere alla prescrizione imposta dalla Commissione, la Repubblica slovacca si rivolge al Procuratore generale della

122 Sentenza della Corte di giustizia UE, 22 dicembre 2010, Commissione europea

c. Repubblica slovacca, C-507/08.

65 Repubblica sollecitandolo a introdurre un ricorso straordinario contro la decisione del Tribunale. Delle sorti di tale procedimento alcuna notizia è stata data alla Commissione da parte dello Stato membro.

La Commissione europea dopo una serie di richiami successivi alla scadenza del termine prefissato con la decisione 2007/254 per recuperare l’aiuto illegale, tenuto conto del fatto che la Repubblica slovacca non le aveva ancora dato esecuzione, decide di proporre ricorso per inadempimento dinanzi alla Corte di giustizia.

Tra i motivi di ricorso addotti dalla Commissione vi è quello in base al quale si ritiene che le autorità slovacche abbiano violato il principio dell’effetto diretto delle disposizioni del diritto comunitario in caso di conflitto con una disposizione di legge di uno Stato membro. Inoltre, viene invocata la giurisprudenza del caso Lucchini secondo cui “il diritto comunitario osta all’applicazione di

una disposizione del diritto nazionale volta a sancire il principio dell’autorità di giudicato, nei limiti in cui l’applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario e la cui incompatibilità con il mercato comune è stata dichiarata con decisione della Commissione divenuta definitiva”.

Tralasciando gli altri argomenti delle parti, passiamo a esaminare il giudizio della Corte del Lussemburgo.