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La comunicazione iniziale della procedura

Capitolo 3. La procedura di mobilità: art 4 Legge n 223/1991

3.4. La comunicazione iniziale della procedura

I due momenti che hanno creato maggior contenzioso in giurisprudenza, e quindi i più delicati, sono la comunicazione di apertura della procedura107 e quella finale,

rispettivamente ex art. 4 della legge n. 223/1991 commi 2°, 3° e 4° e medesimo articolo al comma 9°.

106 Per individuare le singole fasi ci si è basati esclusivamente sulla legge n. 223/1991,

all’art. 4, con le opportune integrazioni fornite dalla legge n. 92 del 28 giugno 2012.

Si fa notare l’analiticità e la precisione della legge per quanto attiene alla

comunicazione iniziale, in quanto individua puntualmente gli elementi da indicare. Analiticità che è stata da più parti contestata, in quanto considerata eccessiva. Critica che può essere condivisibile, in quanto vi è già la previsione del successivo step

dell’esame congiunto in sede sindacale. Ma in ogni caso è con tale norma che ci si deve rapportare e quindi non ha molto senso soffermarsi più di tanto su tali perplessità emerse.

Si può semplicemente dire che la comunicazione di apertura, da inviare al Direttore della Direzione provinciale del lavoro, è un momento molto importante dell’intera procedura, perché specifica e delimita i motivi, da quel punto in poi non più rivedibili, dei licenziamenti che il datore di lavoro intende effettuare.

È obbligo dell’imprenditore specificare chiaramente nella comunicazione iniziale, in modo reale e comprensibile tutto ciò che è sancito dalla legge, con l’unico e inevitabile limite della salvaguardia degli eventuali segreti industriali.

Molto più che per altre procedure l’importanza della serietà della comunicazione si manifesta se si tiene presente che la necessità di trasparenza è indirizzata non solo a facilitare il controllo del giudice sulla liceità dei licenziamenti, ma anche il confronto

in sede sindacale per coadiuvare il processo decisionale dell’imprenditore.

Ciò chiarisce il perché delle minuziose indicazioni richieste dalla legge

all’imprenditore, e giustifica l’interpretazione puntigliosa di tutti gli obblighi sanciti dall’art. 4 della legge n. 223/1991, a cominciare dalle indicazioni iniziali.

Perciò si deve vedere la comunicazione come uno strumento volto a rendere più nitide possibili le ragioni della scelta, i suoi risultati, il nesso di causalità con i posti di lavoro che s’intendono eliminare, i motivi per cui si pensa di non potersi servire di soluzioni alternative, nonché i possibili metodi di riqualificazione e riconversione del personale licenziato (art. 40, comma 1°, l. 52/1996) poiché è volta da una parte a dare un

importante aiuto a livello informativo per le organizzazioni sindacali con cui l’imprenditore dovrà dialogare durante la consultazione; dall’altra, le informazioni fornite garantiscono una certa nitidezza espositiva del processo decisionale che

confluirà nella comunicazione dei recessi.108 Perciò la non sussistenza di uno soltanto dei dati o elementi sanciti è insanabile e comporta violazione della procedura e che i licenziamenti intimati sono inefficaci.

Quindi si deve considerare antisindacale la non veridicità delle informazioni fornite dall’imprenditore, anche se essa non comporta per le organizzazioni sindacali

l’impossibilità di poter controllare e verificare le scelte imprenditoriali; inoltre non può valutarsi sufficiente un po’ di “serietà” con l’opportunità per il datore di lavoro di ultimare le informazioni in un istante successivo.

La comunicazione iniziale inoltre, può, in alcuni casi, essere integrata per relationem tramite documenti precedenti, di cui le parti sono a conoscenza (ad esempio documenti scambiati per avviare la CIGS). Questo in quanto siccome la comunicazione e il suo contenuto vanno analizzati utilizzando criteri di correttezza e buona fede, si concepisce un analisi di essa che tenga in considerazione gli avvenimenti precedenti di cui le parti sociali sono a conoscenza.109

Si è parlato sin qui dell’analiticità e del formalismo della comunicazione di apertura della procedura, ma il problema rilevante a parere di chi scrive, è il livello di

approfondimento che i temi in essa presenti devono avere. Volendo essere più precisi, il livello di approfondimento di cui si sta parlando è quello inerente alle ragioni addotte dall’imprenditore a giustificazione della situazione di eccedenza, o a quelle per le quali il datore di lavoro pensa di non poter adottare soluzioni alternative alla dichiarazione di mobilità. La risposta fornita sul punto, dalla dottrina in particolare, è una soluzione che non include automatismi né criteri predefiniti adattabili a tutti i casi specifici, e non potrebbe essere che così.

Quella che è stata data è invece una soluzione di carattere generale: l’atto deve risultare idoneo a informare effettivamente i singoli lavoratori coinvolti dalla procedura, nonché i sindacati coinvolti, delle ragioni per cui, facendo riferimento alla circostanza di una data azienda in un dato istante, si intende effettuare i licenziamenti collettivi e le ragioni per le quali, in quella data circostanza, non si può procedere altrimenti.110

108 Cass. 11 luglio 2007, n. 15479; Cass. 5 aprile 2011, n. 7744. 109 Cass. 14 gennaio 2005, n. 639.

Come si può notare la conclusione lascia, per l’ottenimento dell’obiettivo in essa previsto, un’ampia banda di discrezionalità.

È lampante che, da tale punto di vista, siano insufficienti generiche formule di stile adottabili per tutte le aziende, ma è doveroso che vengano date con attenzione al caso di specie le caratteristiche dell’azienda che hanno portato alla necessità di adottare i licenziamenti.

Alla stessa maniera, quando si devono fornire i motivi per cui non si è potuto adottare soluzioni alternative, per evitare problemi è consigliabile indicare espressamente che si è presa in considerazione l’ipotesi di utilizzare tali soluzioni - magari citando le

principali, quali possono essere il part-time o la c.i.g.s. - e che, vista la peculiarità della situazione di quella data azienda in quel dato istante, si è pensato non fosse possibile adoperarle.

A compensazione di quanto detto però, non si dimentichi che si sta parlando di un mero obbligo di comunicazione e che l’imprenditore, stante quanto sancito dall’art. 41 della Costituzione, è dotato di potestà decisionale. Sicché, a parere di chi scrive, non si potrà mai sindacare le spiegazioni date dall’imprenditore in chiave di onere di dimostrazione che le scelte che sono state fatte erano inevitabili, ma di delucidazione sulla modalità di esercizio della discrezionalità imprenditoriale.

Rilevano alcune diversità in sede procedurale con riferimento al contenuto degli obblighi in essa previsti a seconda delle concrete circostanze: prima fra tutte il

licenziamento collettivo che segua la c.i.g.s. o meno.111 Sono in ogni caso diversità che non alterano ne l’essenza procedurale ne le regole applicabili.112

Si vuole ricordare che taluni interpreti, nel caso di licenziamento collettivo post c.i.g.s., hanno osservato la necessità di rendere note le differenze tra il caso che ha portato alla c.i.g.s. e quello che ha invece portato al licenziamento collettivo.

Secondo questa discutibile visione, in funzione del fatto che quando si è utilizzato lo strumento della c.i.g.s. ci sarebbero dovute essere ipotesi di riutilizzo del personale, le motivazioni non possono essere identiche.

111 Topo 1996. 112 Carabelli 1994.

Ma si sa che sotto altro profilo si ritiene che non sia obbligatorio il ricorso alla c.i.g.s. prima di effettuare i licenziamenti collettivi.

E di conseguenza, da taluni è stato ritenuto che nella comunicazione iniziale della procedura non sussista onere di motivare il mancato ricorso alla c.i.g.s.; cosa che è contraddittoria se si pensa che prima si è detto che si dovrebbe indicare di aver espressamente preso in considerazione le soluzioni alternative e in relazione a quella data impresa in quel dato contesto ed istante, di non averle potute utilizzare.

Il dato di fatto, è che i rapporti tra c.i.g.s. e licenziamenti collettivi conducono spesso a situazioni anomale nella pratica, e questo perché a parere di chi scrive all’interprete viene lasciata parecchia discrezionalità interpretativa.

Volendo fare un esempio di quello che può accadere, se il datore di lavoro effettua i licenziamenti collettivi senza provare preventivamente ad attivare la c.i.g.s. corre il rischio che gli stessi siano invalidati per questo motivo. Viceversa, se l’imprenditore attiva una c.i.g.s. nel caso in cui è discutibile l’ipotesi di effettivo riutilizzo del

personale, corre il rischio da una parte di non ottenere l’ok dagli organi amministrativi per attivare la c.i.g.s., dall’altra di essere sottoposto dai lavoratori collocati in c.i.g.s. a contestazioni giudiziarie volte a procacciarsi la declaratoria di illegittimità della c.i.g.s. proprio per la non correttezza di utilizzo della stessa, trattandosi di un caso di esubero strutturale che andava trattato con licenziamenti collettivi.

Si vuole in conclusione far notare come la severità e la fiscalità della comunicazione di apertura, e conseguentemente della procedura intera, non diminuiscono a seguito dell’introduzione dell’art. 8, 8° comma della legge n. 236/1993 che a fronte del non versamento dell’anticipazione ivi sancita non prevede che la procedura venga sospesa, ne che l’addetto perda il diritto a percepire l’indennità di mobilità. Infatti sebbene non si possa non notare che indubbiamente si limita l’azione dissuasiva che comporta il costo iniziale di mobilità, che era volto a evitare un numero di licenziamenti gonfiato a dismisura, allo stesso modo bisogna considerare che se ciò si verificasse, ci si troverebbe di fronte all’invalidità dell’intera procedura, in conseguenza di una comunicazione non veritiera.