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Problematicità che possono emergere durante la procedura per quanto attiene alle

Capitolo 3. La procedura di mobilità: art 4 Legge n 223/1991

3.6. Problematicità che possono emergere durante la procedura per quanto attiene alle

Come dovrebbe essere già emerso, le r.s.a. e le associazioni sindacali di categoria ricoprono una funzione centrale nei licenziamenti collettivi.

Perciò tutte le fasi della procedura che le riguardano ottengono molta rilevanza, visto che una loro eventuale inosservanza potrebbe far scattare nei confronti

dell’imprenditore, l’istituzione di procedimenti volti a rendere invalida la procedura per comportamento antisindacale, e i conseguenti licenziamenti se intimati.

A loro volta, anche i singoli lavoratori interessati potrebbero instaurare contro l’imprenditore, con lo scopo di rendere invalida la procedura e i recessi, azioni

giudiziarie individuali o collettive, perché non vi è stato il giusto coinvolgimento nella procedura dei soggetti sindacali e questo sfocia in una violazione della procedura stessa. Detto ciò, un primo ordine di perplessità può intravedersi per quanto attiene ai

destinatari della comunicazione iniziale della procedura.

Se in azienda sono presenti rappresentanze sindacali aziendali (r.s.a.), la legge prevede espressamente che la comunicazione va inviata a loro e alle rispettive associazioni di categoria (che altro non sono che le associazioni nel contesto delle quali queste rappresentanze sono state formate).

Nei casi strettamente pratici, per di più, si sono manifestati dei problemi inerenti a questa fattispecie. Si è dibattuto difatti, se la suddetta comunicazione vada mandata a ogni rispettiva sigla sindacale che compone le r.s.a. oppure se basti inviare una sola comunicazione iniziale ad esse.

Stesso problema si è posto per le comunicazioni che seguono nel corso della procedura. Per quanto attiene alle r.s.a., data l’autonomia di ciascuna di esse derivabile dalla legge, la visione maggioritaria ha stabilito che le comunicazioni vadano inviate separate a ognuna delle sigle.

Le stesse perplessità ci possono essere con riferimento alle rappresentanze sindacali unitarie (r.s.u.), enti rappresentativi aziendali di matrice contrattuale, che in tante aziende si sono sostituiti integralmente alle r.s.a.

Con riferimento alle r.s.u. in relazione alla questione che si sta trattando, per alcuni episodi in cui si era davanti a posizioni conflittuali tra le diverse sigle sindacali che le componevano, con la conseguenza della carenza di passaggio di informazioni e di dialogo tra esse, l’opinione giurisprudenziale maggioritaria ha sancito che la

comunicazione dell’imprenditore dovesse essere mandata a ogni componente delle r.s.u. per fare in modo che esse prendessero parte attivamente alla procedura. Con la

conseguenza che sole comunicazioni mandate in modo generico alle r.s.u. nella loro totalità potrebbero risultare insufficienti.

Questa conclusione non è esente da critiche giacché le clausole degli accordi sindacali che regolano le r.s.u., vedono queste ultime in maniera unitaria, ma bisogna tenerla in considerazione se non si vuole incappare in contestazioni.

Fondamentale è tenere presente che se a fianco alle r.s.u. presenti in azienda vi sono r.s.a. di sindacati che non vi abbiano aderito, le comunicazioni andranno inviate ad ambedue gli organismi rappresentativi, e alle annesse associazioni di categoria. Nell’ipotesi in cui non siano presenti r.s.a. in azienda, la legge sancisce che la

comunicazione debba essere mandata alle associazioni sindacali di categoria aderenti

alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Si rinvia ad una nozione non propriamente disciplinata dalla legge: quella della

maggiore rappresentatività. La giurisprudenza ha stabilito i parametri di riferimento più

significativi come: la densità numerica della confederazione sindacale; la densità associativa corretta nell’intero arco della categoria; la consistente presenza territoriale,

diffusa sul piano nazionale e non incentrata solo in una data area geografica; la funzione di autotutela sindacale composta nella determinazione di contratti collettivi; l’esistenza di disposizioni unilaterali che confermino l’esistenza di questo requisito, ecc.

La conseguenza stante all’effettiva esistenza di tali parametri in riferimento ad ogni caso specifico è, quindi, lasciata ad un giudizio discrezionale ed in quanto tale rimesso ad una certa banda di opinabilità.

Ne deriva che tali casi, a parte quelli semplici perché connessi alla partecipazione alle confederazioni sindacali più conosciute, possono causare parecchi contenziosi. Perciò dal punto di vista pratico, per evitare problemi in campo giudiziale, sarebbe auspicabile mandare la comunicazione anche alle associazioni di categoria aderenti a confederazioni di cui sia in discussione la maggior rappresentatività o meno sul piano nazionale, magari con l’annessa precisazione al destinatario che lo si fa per tutelarsi. Altri dubbi sono sorti con riferimento al fatto se pur alla presenza di r.s.a. in azienda, la comunicazione debba essere inviata anche alle associazioni di categoria aderenti alle

confederazioni maggiormente rappresentative senza proprie r.s.a.

La visione giurisprudenziale maggioritaria e dottrinale ha escluso tale ulteriore obbligo e, quindi, in presenza di r.s.a., la comunicazione andrà mandata solo a loro e alle associazioni di categoria nel contesto delle quali esse si sono formate.

Rimane da far notare che a livello pratico, le r.s.u. anche in adempimento alla loro disciplina contrattuale, hanno “mangiato” il compito e i ruoli delle r.s.a.

A onor del vero, dal punto di vista giuridico in senso stretto, i due istituti presentano delle diversità e conseguentemente, a maggior ragione in materie come quella delle peculiarità ex art. 19 Stat. Lav., per la quale si dibatte di poterne disporre o meno

negozialmente, non è scontato che le r.s.u. e le annesse organizzazioni sindacali abbiano uguali diritti delle r.s.a. e annesse organizzazioni sindacali.

Problema che rimane ancora irrisolto e dalla soluzione dello stesso in una maniera piuttosto che in un’altra, possono discendere importanti conseguenze.

Volendo esemplificare, un sindacato di categoria non aderente a confederazioni

maggiormente rappresentative sul piano nazionale, se in azienda ci fossero r.s.u. ad

esso facenti riferimento, non vanterebbe diritto alcuno a ricevere la comunicazione prevista dal 2° comma dell’art. 4.

Al contrario, si potrebbe dire che nell’ipotesi in cui in azienda ci fossero solamente r.s.u. – non aventi però le caratteristiche per poter esser definite allo stesso tempo anche r.s.a. ex art. 19 Stat. Lav. – la comunicazione nei confronti delle associazioni di

categoria non si limiti solamente ai sindacati cui si rapportano i membri delle r.s.u., ma anche alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente

rappresentative sul piano nazionale.118 Questo in quanto, a fini procedurali, se vi è totale assenza di r.s.a., la costituzione di r.s.u. non ha rilevanza.

Un secondo ordine di questioni riguarda il contenuto della comunicazione iniziale della procedura, espressamente previsto dal 3° comma dell’art. 4 della legge n. 223/1991. Problema già abbastanza dibattuto nel paragrafo 4 della seguente tesi.

Volendo porre specifico riferimento alle organizzazioni sindacali, va precisato che in presenza dell’onere per l’imprenditore di indicare, nella comunicazione iniziale, tutto ciò che è previsto espressamente dal 3° comma dell’art. 4, e tenendo in considerazione la finalità di tutto ciò, mirata a rendere più agevole il raffronto con le organizzazioni sindacali, proprio loro, se si trovano davanti a dati falsi, a riserbi (sempre che non siano mirati alla tutela di eventuali segreti industriali) o indicazioni incomplete potrebbero attuare un procedimento per condotta antisindacale.

Ciò facendo presente che, se a causa di una comunicazione non completa di tutti i suoi elementi, esse non hanno la possibilità di attuare l’esame congiunto sancito dalla legge in maniera adeguata, questo sfocia nella preclusione della loro funzione e in pari misura dei diritti dei lavoratori.119

In quest’ottica, una perplessità emersa è capire se, per essere dichiarata antisindacale, basta che la comunicazione iniziale della procedura abbia una sola mancanza, anche piccola, in relazione a una sola delle caratteristiche sancite dal 3° comma dell’art. 4 della legge n. 223/1991, oppure se queste mancanze devono avere un’importanza notevole e riguardare più elementi della comunicazione.

La prima teoria sembra, in un’ottica di equità e di considerazione accostata degli interessi in gioco, troppo cavillosa e meticolosa.

118 In questo senso Trib. Milano 12 maggio 2006. 119 Cass. 16 giugno 2005 n. 12940.

Bisognerà, di conseguenza, di caso in caso, considerare la gravità delle carenze imputabili all’imprenditore.

Ad ogni modo, se è sensato disquisire, sull’opportunità di sanare vizi durante la

procedura con azioni che rilevano verso soggetti terzi nei confronti dell’imprenditore e delle organizzazioni sindacali che svolgono l’esame congiunto, come i lavoratori, senza dubbio nell’ipotesi che la sanatoria di un vizio della comunicazione iniziale avvenga nel corso dell’esame congiunto stesso, ogni possibile ipotesi di antisindacalità viene meno. Cioè a dire, le organizzazioni sindacali non potrebbero porre questione di antisindacalità della comunicazione di apertura della procedura per la mancata indicazione delle

motivazioni per cui non è stato possibile utilizzare ipotesi alternative ai licenziamenti, se queste venissero ampiamente ed esaustivamente chiarite durante l’esame

congiunto.120

Altra questione, collegata a quella di cui sopra, riguarda i metodi con i quali va svolto l’esame congiunto sancito dalla procedura, sia nello stadio prettamente sindacale, sia in quello amministrato dagli organismi pubblici.

Stante quanto sancito dall’art. 4, legge 23 luglio n. 223 del 1991, entro sette giorni dalla

data di ricevimento della comunicazione di apertura, a richiesta delle rappresentanze sindacali aziendali e delle rispettive associazioni si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare

l’eccedenza del personale e le possibilità di utilizzazione diversa di tale personale o di una sua parte, nell’ambito della stessa impresa, anche mediante contratti di solidarietà e forme flessibili di gestione del tempo di lavoro.

La norma sancisce, altresì, che, qualora non sia possibile evitare la riduzione di

personale, è esaminata la possibilità di ricorrere a misure sociali di accompagnamento, intese, in particolare, a facilitare la riqualificazione e la riconversione dei lavoratori licenziati.

Nel corso del confronto, i rappresentanti sindacali dei lavoratori possono farsi

assistere, ove lo ritengano opportuno, da esperti.

120 Proprio in tal senso sembra volgere l’art. 1 comma 45 della Legge 28 giugno 2012 n.

La legge è limpida nel non pretendere che l’esame congiunto finisca in modo necessario con un accordo sindacale. Questo tema è stato peraltro ampiamente affrontato, nelle sue motivazioni, al paragrafo quinto di questo capitolo, cui si fa espresso rinvio.

Per quanto attiene ai problemi, in sede sindacale, legati alla comunicazione finale della procedura, se ne parlerà nel paragrafo ad essa dedicato.