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La confutazione di Socrate

Nel documento I padroni del discorso (pagine 141-146)

IV. Imprenditori e sofisti

4. La confutazione di Socrate

Trasimaco, avendo profuso la sua sapienza, vuole lasciare la compagnia. Socrate lo trattiene per ottenere chiarimenti. Per il sofista, il processo della conoscenza si conclude con la consegna all’acquirente della merce che ha pagato; per Socra- te, di contro, questo è soltanto un inizio – perché la cono- scenza non vive come patrimonio individuale, ma come pubblicità e interazione.

Socrate cerca di distinguere fra gli effetti e le motivazioni di una techne per chi la esercita, e il suo oggetto, che consiste in una dynamis (facoltà, potere) particolare e distinta. Questa dynamis è finalizzata a particolari vantaggi: l’arte medica si oc- cupa della salute, per esempio, mentre l’arte del pilota procu- ra una navigazione sicura. L’oggetto proprio dell’arte va di- stinto dagli effetti dell’arte su chi la esercita: il pilota, andan- do per mare, migliora la sua salute, ma non per questo diven- ta medico. Il medico guadagna il suo onorario, ma non per questo diventa un esperto della misthotiké, o arte di farsi pa- gare. Una cosa è saper fare il medico o il pilota, un’altra è es- sere un esperto della misthotiké – una invenzione platonica che oggi potremmo identificare con una disciplina tecnica chiamata marketing.

La gente si rivolge al medico o al pilota non perché sono bravi a farsi pagare, ma perché le loro technai procurano loro dei vantaggi; tanto è vero che la capacità di arrecare vantaggi propria del medico e del pilota non verrebbe sminuita se essi lavorassero gratis. Il vantaggio che l’esercizio di un arte arre- ca a chi la esercita è qualcosa di esterno all’arte, e dunque non può servire a definirla. (Resp. 345e ss.) Pertanto, se la giustizia deve essere una techne, essa deve avere un oggetto suo proprio, vale a dire l’utile dei governati.

Ma anche ammettendo che l’oggetto della giustizia come techne sia l’utile dei governati, rimaniamo col problema di spiegare perché la vita del giusto sia preferibile a quella dell’ingiusto. Socrate, nel suo dialogo con Trasimaco, ha convenuto almeno con una tesi di quest’ultimo, e cioè con l’idea che la giustizia sia un “bene altrui”. Trasimaco soste-

neva questa posizione dal punto di vista dei governati; Socra- te la afferma dal punto di vista dei governanti. Un governan- te giusto non fa il suo interesse, ma quello dei suoi sudditi. Perché, allora, essere giusti?

Per Trasimaco, l’ingiustizia è areté e la giustizia una nobile ingenuità. Gli ingiusti sono prudenti e agathòi, se riescono a realizzare l’ingiustizia perfetta, sottomettendo città e popoli. Questa ingiustizia è eccellenza e sapienza. (Resp. 348b ss.)

Socrate, di fronte alla coerenza di Trasimaco, pone il pro- blema delle relazioni della persona giusta e della persona in- giusta con gli altri, fermo restando che, come afferma il suo interlocutore, sono gli ingiusti ad essere intelligenti e virtuosi. I giusti vogliono pleonektéin solo gli ingiusti; gli ingiusti, di contro, vogliono soverchiare su tutti.

In ambito scientifico, lo scienziato non vuole prevalere su chi è altrettanto esperto: in questo caso, infatti, converrà con lui. Un medico non prescrive una terapia differente da quella prescritta da un collega di cui riconosce la perizia solo per- ché vuole prevalere. Questa volontà di prevalere si manifesta solo nel caso abbia a che fare con un incompetente. Di con- tro, una persona ignorante non sarà in grado di distinguere l’esperto dall’inesperto e cercherà di primeggiare su tutti – esattamente come fa l’ingiusto. (Resp. 350a ss.) Il giusto, co- me l’esperto in una qualche arte o scienza, ha dei criteri, di- versi dall’ansia di primeggiare, per governare le proprie rela- zioni con gli altri; l’ingiusto, di contro, è guidato solo dalla sua ansia di primeggiare. L’ingiustizia, dunque, è ignoranza (amathìa): l’ingiusto è uno che non ha la volontà di imparare. Una morale dell’ingiustizia è una morale che non può essere argomentata intersoggettivamente, perché non offre nessun criterio di discussione comune a tutti. Trasimaco, che già era incredibilmente sudato, arrossisce. Socrate è riuscito nell’impresa di condurlo elenchicamente a riconoscere che stava esaltando l’ignoranza – cosa, questa, che un sofista non può permettersi. Se un esperto cerca di prevalere sugli altri indifferentemente, senza un criterio intersoggettivo che legit- timi la sua conoscenza, nessuno può ambire al titolo di e-

sperto: perfino la sofistica ha bisogno di una comunanza del- la conoscenza. Se questa mancasse, perfino il mercato sofi- stico dell’informazione sarebbe impossibile, o, meglio, si ri- durrebbe – proprio come la giustizia – a inganno, imposizio- ne e imbroglio.

La confutazione socratica si regge, in primo luogo, sulla distinzione fra l’interesse personale e le ragioni della cono- scenza, intesa anche nel senso settoriale proprio della techne. Socrate suggerisce che, anche qualora il medico eserciti la sua arte per fare soldi, le ragioni interne alla sua arte non si iden- tificano con i fini di chi la esercita: questo lo riconosce anche Trasimaco con il suo rossore. Egli non è un sofista, un e- sperto, perché ha interesse a prevalere sugli altri, ma perché professa una sophia le cui ragioni non possono identificarsi col desiderio di prevalere,22 senza perdere il loro carattere conoscitivo. Questo non nega l’esistenza e la forza del desi- derio di prevalere, ma mette in luce una distinzione che, in forma elementare, può essere illustrata con un esempio di questo genere: se critico la dimostrazione di un teorema ge- ometrico prodotta da un mio avversario accademico, valen- domi della circostanza, probabilmente vera, che essa è fina- lizzata alla vittoria in un concorso a cattedre, la mia critica è irrilevante, dal punto di vista della geometria. Posso produrre una confutazione rilevante solo se provo che il teorema è dimostrato in modo inconsistente e scorretto, alla luce delle ragioni e delle procedure interne alla geometria. Se si riduce

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22 Secondo quanto riportato da Athen., X, 454 F, l’epitaffio sulla tomba

di Trasimaco diceva che la sua techne era la sophia. Per una bibliografia ragio- nata sul sofista, si veda L. Mori, Interpretazioni di Trasimaco, “Bollettino telema- tico di filosofia politica”, <http://bfp.sp.unipi.it/bibmori/home- trasym.htm>. Schleiermacher, molto appropriatamente, mette in parallelo questa confutazione con il paragone socratico della retorica con l’arte adula- toria, in Gorgia 463b ss.: per esercitare un’arte superiore occorre essere liberi dall’interesse per il guadagno (Der Staat, pp. 342-343, ora in Über die Philosophie Platons, cit., pp. 337-387).

la conoscenza a interesse privato, si distrugge interamente la conoscenza come tale.23

In secondo luogo, la confutazione riposa sul presupposto del carattere cognitivo della giustizia. Quando Trasimaco so- stiene che la giustizia è l’utile del più forte, afferma, in so- stanza, che le technai sono ispirate e dirette, al loro esterno, da un interesse personale che non è riducibile a sapere tecni- co: i pastori fanno l’utile del loro bestiame secondo criteri disciplinati da una techne, ma sono motivati, esternamente, soltanto dal loro proprio interesse. Le technai hanno una og- gettività soltanto settoriale, al di fuori della quale c’è unica- mente la volontà di potenza. L’invenzione platonica della mi- sthotiké suggerisce che anche la volontà di potenza può essere l’oggetto di una techne, e quindi di un sapere soltanto settoria- le: chi ci assicura che non ci sia nulla oltre l’interesse perso- nale, e che il senso di tutto sia la volontà di potenza? E, vice- versa, chi ci assicura che la techne sia il risultato di una delimi- ––––––––––

23 M. Vegetti, Techne, in Platone, La Repubblica, Napoli, Bibliopolis, 1998,

vol. I, pp. 193-207, individua, nella confutazione socratica, due debolezze. Trasimaco mostra che la techne non è potere di servizio, perché viene eserci- tata per gli interessi del tecnico. Socrate inventa l’improbabile misthotiké (arte mercenaria o tecnica del guadagno), allo scopo di separare l’arte della politica dall’arte di perseguire il proprio interesse: e questo comporterebbe una viola- zione dell’ideale socratico della vocazione della techne al servizio. Inoltre, la politica come tecnica in sé disinteressata potrebbe essere combinata con un esercizio interessato del potere. Altrettanto debole (ibidem, p. 202), è il para- gone del giusto col buon tecnico, quindi competente ed efficace, e dell’ingiusto con l’incompetente privo di techne. Il paragone reggerebbe se giusto e ingiusto perseguissero gli stessi fini, e il primo fosse più capace di raggiungerli del secondo. E non è vero che il giusto cerca di sopraffare solo l’ingiusto, come il buon tecnico, mentre l’ingiusto cerca di sopraffare tutti. Se si deve prendere sul serio il termine pleonexia, bisogna ammettere che i giusti e gli esperti competono per il potere e per la ricchezza come tutti gli altri: nelle technai antiche, come in quello moderne, c’è una competizione violenta per il prestigio e fra scuole. Escludere in linea di principio la competizione dall’ambito delle tecniche è possibile solo irrigidendo inverosimilmente l’idea della compiuta perfezione di ogni singola tecnica, in modo da permettere solo l’alternativa di competenza/incompetenza.

tazione e di una neutralizzazione e non sia invece coinvolta con le questioni ultime, come rapporto cognitivo col mondo, che non può essere ridotto ad interesse privato senza perde- re il suo carattere di sapere intersoggettivo?

Il confronto fra il Trasimaco e il Socrate della Repubblica propone, in sostanza, due visioni alternative della conoscen- za e della politica della conoscenza:

1) la conoscenza è parcellizzabile in discipline settoriali di- screte, e perciò reificabili e patrimonializzabili; il mondo umano è dominato dalla volontà di potenza. Per quanto le singole discipline abbiano canoni teorici intersoggettivi, le motivazioni della prassi non possono essere ricondotte a intersoggettività, perché ciascuno fa il suo interesse e cerca di imporlo agli altri, con la forza e la mistificazione ideologica. Esiste, in altre parole, una ragion teoretica li- mitata e settoriale, ma non esiste una ragion pratica. 2) la conoscenza non può essere coerentemente intesa come

un’isola di intersoggettività in un oceano di volontà di po- tenza, perché, se così fosse, neppure questa tesi sulla co- noscenza potrebbe avere un valore intersoggettivo, ma dovrebbe essere ridotta ad affermazione privata di una volontà di potenza individuale. Se riconosciamo che esiste una ragion teoretica, anche plurale, limitata e settoriale, dobbiamo riconoscere che essa può essere fondata da una sola ragion pratica, che riguarda, appunto, la prassi inter- personale e sovraindividuale della vita teoretica.

La visione della conoscenza presupposta dal Socrate della Repubblica – che è coerente con la confutazione della tesi pro- tagorea contenuta nel Teeteto24 – lascia però aperto un pro- blema: Trasimaco, in quanto sofista, deve sottostare ai cano- ni dianoetico-etici della vita teoretica. Se vuole essere un ma- estro di sapienza, non può confutare Socrate saltandogli ad- dosso; e non può neppure affermare che una vittoriosa stra- tegia di marketing sia una confutazione. La volontà di potenza ––––––––––

non si addice alla filosofia. Questo, però, non impedisce che la volontà di potenza possa addirsi alla politica: che la tesi di Trasimaco, in altri termini, non possa coerentemente dare origine ad una filosofia, ma possa fondare senza difficoltà una scienza politica. Per questo la sfida avviene sul tema del- la giustizia: la sfida di Trasimaco può essere vinta solo se nel- la politica è possibile una ragion pratica. E per questo Socra- te si dice insoddisfatto, perché il confronto con Trasimaco gli ha fatto perdere di vista la questione più importante, quel- la della definizione della giustizia. (Resp. 354a ss.)

Nel documento I padroni del discorso (pagine 141-146)