III. Argomenti per la pubblicità della conoscenza
1. La pubblicità come elemento essenziale della demo-
L’elemento della pubblicità ha il suo domicilio nella vita teoretica, ma ha un ruolo essenziale anche in politica, nella definizione del potere legittimo propria della democrazia li- berale. Questo ruolo risulta chiaro se consideriamo la legit- timazione del potere democratico-liberale sullo sfondo di quella libertaria. Un simile confronto è stato compiuto re- centemente da Samuel Freeman a proposito della versioni del libertarismo più diffuse nel mondo anglosassone, favore- voli a uno stato minimo – alla maniera di Nozick – o fran- camente anarco-capitaliste.1 Contro l’opinione che considera il libertarismo come una radicalizzazione della democrazia liberale, l’autore si propone di dimostrare che le due prospet- tive sono in un contrasto nettissimo, proprio sulla natura del potere politico: pubblico, per i democratico-liberali, e priva- to, per i libertari. Per questa ragione, sostiene Freeman, la democrazia liberale si differenzia dal libertarismo tanto quanto si è distinta dal suo avversario storico, il feudalesimo, un sistema di dipendenza politica personale fondato su una rete di patti privati, senza un diritto pubblico uniforme e uni- formemente amministrato da una autorità pubblica.
In una costituzione liberal-democratica, le libertà fonda- mentali sono universali e inalienabili; per questo i diritti della ––––––––––
1 S. Freeman, Illiberal Libertarians: Why Libertarianism is not a Liberal View,
“Philosophy and Public Affairs”, 30/2, 2002, pp. 105-151. Dal momento che Freeman elenca promiscuamente fra i “liberal” Locke, Rousseau, Kant, J.S. Mill e Rawls si è preferito rendere “liberalism” con “democrazia liberale”.
personalità non possono essere ceduti per contratto, perché ciò che ci rende agenti liberi e uguali non può essere oggetto di commercio alla stessa stregua di una cosa di proprietà. Questa posizione appare paternalistica ai libertari. Essa, pe- rò, non impedisce che adulti consenzienti scelgano anche re- lazioni di subordinazione, se così preferiscono. Impedisce soltanto che, se una delle parti decide di uscire dalla subordi- nazione, si debba ripristinarla coercitivamente, per esempio riconsegnando al “padrone” il firmatario di un contratto di schiavitù che ha cambiato idea.2
Il potere politico, in una costituzione liberale, è inteso come un potere pubblico, nel senso che si legittima nella mi- sura in cui norme pubbliche uguali sono applicate unifor- memente da una autorità pubblicamente riconosciuta. I suoi princìpi sono i seguenti:
1. il potere è istituzionale e non personale; è detenuto perciò da una persona artificiale, nella forma di una istituzio- ne pubblicamente riconosciuta;
2. il potere è continuo, nel senso che l’istituzione soprav- vive all’avvicendamento dei funzionari;
3. esso è tenuto come potere delegato a rappresentanti che agiscono per il bene pubblico; il contratto sociale non deve essere confuso con un contratto privato. È infatti un accordo fra uguali, di tutti con tutti, per formare una società politica e quindi una costituzione e, sulla sua base, un gover- no che funge da agente del popolo. Non è un contratto pri- vato fra individui particolari (disuguali), dettato solo dai loro interessi;
4. il potere politico, in quanto delegato da parte della col- lettività, deve essere imparziale e finalizzato al bene pubbli- co;
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2 Ibidem, pp. 110-113 “Proprio perché il contratto e la proprietà sono
oggetto di un diritto pubblicamente coercibile che impone doveri uniformi a tutti, i liberal-democratici non rispettano l’esito di qualunque accordo privato dato come un contratto valido coercibile”, p. 113, traduzione mia.
5. dal momento che lo stato deve governare nella sua ca- pacità rappresentativa e solo per il bene pubblico, chi detiene il potere politico ha l’autorità di governare e le sue azioni le- gali hanno legittimità.3 Locke oppose il fare leggi per il bene pubblico, proprio dello stato liberale, al Patriarcha di Filmer. Il Patriarcha intendeva il potere politico come proprietà privata di persone e famiglie particolari, esercitabile a loro arbitrio, senza regolazione da parte di autorità mondane. Lo stato di diritto, la separazione dei poteri e l’idea che l’istituzione politica rappresenti il popolo e non sia una mera associazione di diritto privato nascono, appunto, per sfuggire all’arbitrio individuale.4 L’estensione democratica del diritto di voto è un corollario naturale di questa idea.
Da Locke in poi, i liberali hanno concepito il potere poli- tico come l’autorità che emana norme pubbliche e le modifi- ca, giudica le dispute sulla base di queste norme e le impone coercitivamente.5 Questi tre poteri servono per rimediare ai difetti dello stato di natura, che Locke stesso individuava nel- la mancanza di una legge stabilita nota, di un giudice noto e imparziale e di un potere certo che esegua leggi e sentenze.6
Il libertarismo si fonda su una concezione assoluta della proprietà privata: gli individui hanno un diritto assoluto di accumulare, usare, controllare e trasferire diritti sulle cose; inoltre il paradigma di tutti gli altri diritti è quello dei diritti di proprietà. Nei confronti della nostra persona, delle sue capa- cità e dei suoi diritti, noi intratteniamo la stessa relazione che abbiamo con gli oggetti di proprietà. Per i libertari, contro Locke, il potere legislativo non deve esistere: è sufficiente il diritto naturale, pre-sociale e pre-cooperativo, che può essere mutato, se necessario, da una rete di transazioni private; i po- teri giudiziario ed esecutivo sono esercitati da agenzie private di protezione e arbitrato, che possono o no assumere la ––––––––––
3 Ibidem, pp. 120-122. 4 Ibidem, p. 122. 5 Ibidem, pp. 138-139.
forma di uno stato minimo. In ogni caso, il potere politico risulta esercitato e legittimato privatamente.7 Questo modello politico, secondo Freeman, non ha nulla a che vedere con la democrazia liberale: anche se ammettiamo, per amor di di- scussione, che le agenzie libertarie possano essere istituzio- nali e continue, il loro potere non è pubblico perché anche un loro eventuale monopolio del potere coercitivo può esse- re solo naturale, de facto, e non de jure; non possono essere de- legate da parte della collettività, dato che riposano su con- tratti particolari; e infine sono parziali e finalizzate esclusi- vamente agli interessi privati di chi paga.8
La pubblicità che è essenziale alla legittimazione del pote- re politico liberaldemocratico può essere limitata a leggi e i- stituzioni, o deve coinvolgere necessariamente la sfera della conoscenza? Se ammettiamo che la democrazia liberale, per essere legittimata, ha bisogno di una giustificazione cogniti- va, la pubblicità della politica dipende strettamente dalla pubblicità della conoscenza. Altrimenti, la democrazia libera- le sarebbe un’isola di pubblicità in un mondo feudale, nel quale i privati padroni del discorso stabilirebbero che cosa e come destinare alla pubblicità e che cosa no. La questione della pubblicità della conoscenza è dunque pregiudiziale: se si dimostrasse che il sistema proprietario è incompatibile con la conoscenza, sarebbe la proprietà privata ad essere un caso particolare, bisognoso di giustificazione, entro un più ampio orizzonte di pubblicità.
È possibile ricostruire argomenti a favore della pubblicità della conoscenza sia nel pensiero di Platone, sia nel pensiero di Kant. Entrambi le argomentazioni verranno analizzate e messe a confronto, allo scopo di mostrare la continuità di una tradizione molto più antica delle nuovissime pretese che vorrebbero rappresentare l’Occidente.
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7 S. Freeman, op. cit., pp. 138-141. 8 Ibidem, pp. 143-147.