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Una pietra di paragone

Nel documento I padroni del discorso (pagine 121-128)

IV. Imprenditori e sofisti

1. Una pietra di paragone

Platone è meglio giudicarlo come colui che ha costruito una immaginaria comunità pitagorica, sospesa nel puro etere dell’ipotesi, allo scopo di mostrare come la vita politica derivi dai princìpi ultimi metafisici dell’universo, e come la stessa Unità, che ovunque di- sciplina la varietà nell’eccellenza e nel limite, e che e- sprime se stessa nella vita, nell’anima e nella mente co- smiche e individuali, sia espressa anche nel reciproco ri- spetto che differenti individui hanno l’uno per l’altro in un tutto sociale ordinato. È con la nozione di questo reciproco rispetto tra persone, e il loro schieramento in una struttura tanto bella, in modo proprio, quanto quel- la di un dodecaedro o di un sistema di sfere in movi- mento, e la derivazione di questo bell’ordine dalla Unità che è anche bontà, che Platone dà il suo fondamentale contributo.1

Per un testo che viene da una remota antichità – quali che siano state le intenzioni del suo autore – la lettura contem- plativa suggerita da John N. Findlay è certamente la più faci- le e la più prudente. Tuttavia, il testo di Platone, nello spirito ––––––––––

1 J.N. Findlay, Plato. The Written and Unwritten Doctrines, London, Rout-

ledge and Keegan, 1974, chap. V, trad. it. di R. Davies, Platone. Le dottrine scritte e non scritte, Milano, Vita e Pensiero, 1994, p. 143. Vale la pena contrap- porre a questo criterio quello proposto da Gerhard Krüger, (Einsicht und Lei- denschaft. Das Wesen des platonischen Denkens, Frankfurt a. M., Klostermann, 1992; trad. it. di E. Peroli, Ragione e passione. L’essenza del pensiero platonico, Mi- lano, Vita e Pensiero, 1996, p. 7): “in questa situazione aporetica, non ci resta che un’unica strada: porre domande. Se non sappiamo come Platone ha visto le cose, dobbiamo interrogarlo, ossia dobbiamo, senza neppure presupporre una ‘filosofia’, filosofare con Platone”.

della filosofia antica, è aperto a letture orientate verso la ra- gione pratica. Per esempio Averroè (ibn Rushd), nel suo commentario sulla Repubblica di Platone, distinse aristoteli- camente la politica in una parte teoretica, che si occupa delle abitudini, delle azioni volizionali e del comportamento in ge- nerale e delle loro relazioni, e in una parte pratica, che mo- stra come le abitudini si radicano e si coordinano nell’anima, e intese il testo platonico come la parte pratica dell’Etica Ni- comachea (I, 6).2 Questa prospettiva lo indusse a prendere Pla- tone politicamente sul serio: a causa di questo orientamento, il Commentatore anticipò di parecchi secoli l’occidente3 nel comprendere l’importanza delle tesi femministe del V libro della Repubblica ed ebbe il coraggio di farle proprie, dicendosi d’accordo con l’opinione secondo cui “le donne sono essen- zialmente allo stesso livello degli uomini rispetto alle attività civiche nella stessa classe” e deplorando che nei suoi paesi

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2 Averroes’ Commentary on Plato’s Republic ed. by E.I.J. Rosenthal, Cam-

bridge U.P. 1969. Conosciamo il commentario platonico di Averroè solo tramite una traduzione ebraica, composta da Samuel ben Jehuda di Marsiglia. L’originale arabo risulta, al momento, perduto. L’affidabilità della traduzione – essendo il traduttore costretto ad inventare dal nulla un vocabolario per la filosofia politica – è a sua volta dubbia. Il volume curato da Rosenthal con- tiene il testo ebraico del commentario ed una traduzione inglese.

3 Nel V libro della Repubblica Platone produce un argomento a favore

dell’uguaglianza dei sessi che è stato sotto gli occhi della tradizione filosofica occidentale per quasi due millenni e mezzo. Ma fino agli anni ‘70 del secolo scorso questo argomento, pur presente in un grande classico della filosofia, è stato per lo più messo da parte, deplorato o ignorato (N.H. Bluestone, Why Women Cannot Rule: Sexism in Plato’s Scholarship, in Feminist Interpretations of Pla- to, University Park, The Pennsylvania State University Press, 1994, pp. 109- 130). Lo studio moderno di Platone comincia nel XV secolo con la traduzio- ne latina di Marsilio Ficino; prima di lui Leonardo Bruni aveva tradotto nu- merosi dialoghi e le lettere, ma aveva evitato di tradurre la Repubblica, per ti- more che le sue idee radicali sulla “comunione delle mogli” sconvolgessero il suo pubblico fiorentino. La data presunta del testo di Averroè è il 1177. Sulla questione si vedano anche i paragrafi 1 e 2 del capitolo VI.

“la capacità delle donne non [fosse] nota perché sono prese solo per la procreazione.”4

Se è vero che, nei testi platonici, è possibile ricostruire una concezione non proprietaria della conoscenza, potrebbe essere utile sperimentare una simile chiave ermeneutica per leggere la Repubblica, il testo ove la filosofia di Platone accetta più direttamente la sfida della politica. Se è vero che la vita teoretica è una opzione pratica e non può ridursi a mera dot- trina, allora la Repubblica è la pietra di paragone. Questo pro- getto interpretativo – alla ricerca di un comunismo non vol- gare – deve però fare i conti con un ostacolo preliminare: la persistenza della vulgata di Popper, che rende l’intrapresa po- liticamente rischiosa e poco raccomandabile.

Il primo volume del celebre libro bellico di Popper, The Open Society and Its Enemies, The Spell of Plato,5 è quasi intera- mente dedicato a un violento attacco al platonismo filosofico e politico, in quanto fautore di una società chiusa.

Per società chiusa, Popper intende la società tribale, che interpreta se stessa come naturale, sacra e immutabile, ed è fondata su relazioni faccia a faccia, collettivista, gerarchica, organica.6 In essa gli individui non godono di nessuna liber- tà, ma ciascuno conosce concretamente la propria posizione ––––––––––

4 Averroës Commentary on Plato’s Republic cit., p. 166. La traduzione italiana

di XXV, 3 – XXVI, 6 è visibile presso <http://bfp.sp.unipi.it/bibliofdd/ ibnrushd.htm>.

5 K.R. Popper, The Open Society and Its Enemies, I: The Spell of Plato, New

York, Harper & Row, 1963 (prima edizione 1945); trad. it. di R. Pavetto, La società aperta e i suoi nemici, I, Platone totalitario, Roma, Armando, 1973; vale for- se la pena ricordare che altri pensatori ebrei – Koyrè e Cassirer, per esempio –, nello stesso periodo, interpretarono il platonismo politico in maniera mol- to diversa.

6 Ibidem, pp. 169-201, trad. it. pp. 239-279. A proposito della società chiu-

sa, M. McLuhan, nel prologo di La Galassia Gutenberg (The Gutenberg Galaxy, Toronto, University of Toronto Press, 1962, trad. it di S. Rizzo, Roma, Ar- mando, 1976) osserva che, per quanto Popper non se ne sia reso conto, l’astrazione o apertura delle società chiuse è connessa all’invenzione dell’alfabeto fonetico. In questa prospettiva, la scelta platonica di scrivere va a fortiori considerata come non banale.

e i propri doveri. La società aperta, di contro, è consapevole di essere una costruzione culturale soggetta al cambiamento, ed ospita relazioni astratte ed individualistiche.

Platone, pur essendo allievo di Socrate – un individualista, secondo Popper – è un nostalgico della società tribale, sia perché è di famiglia aristocratica, sia perché vede nell’incertezza e nella mutevolezza della società aperta una fonte di infelicità: tutto il suo pensiero politico può essere ridotto a un progetto totalitario di restaurazione della società chiusa. A questo scopo, Platone si vale di strumenti politici e concettuali reciprocamente connessi:

- essenzialismo metodologico: la scienza scopre la vera na- tura delle cose, cioè la loro realtà o essenza. Questo è possibile grazie all’intuizione intellettuale, che coglie i modelli delle cose sensibili, cioè le idee, intese come entità autonomamente esistenti;7

- collettivismo: gli individui hanno valore solo come parti di una totalità più ampia, lo stato inteso come intero (ho- lon). Per questo possono essere usati come pedine al ser- vizio dell’interesse dello stato alla propria conservazione; - teoria organica o biologica dello stato: per la sua autosuf-

ficienza, lo stato è l’individuo perfetto e il singolo cittadi- no è una sua copia imperfetta. Alcuni sostengono che Platone offre una teoria politica dell’individuo umano. Ma questo dimostra che l’individuo è inferiore allo stato, e lo stato serve come metodo di esplicazione dell’individuo, perché la città è più grande e più facile da esaminare. (Resp. 368b ss.) Per questo, egli cerca prima la giustizia nella città e poi passa all’individuo. L’uomo è in realtà molti, e la città è unitaria, anzi è l’unità per eccellenza.8 Le sorti dello stato, che è un intero naturale e non una strut- tura artificiale, sono identiche a quelle delle sua classe di- ––––––––––

7 K.R. Popper, The Open Society, I, cit. pp. 19-34, trad. it. pp. 39-59. 8 Ibidem, pp. 79-80, trad. it. p. 118.

rigente: per questo il problema fondamentale della politi- ca è: chi deve comandare?

- tecnocrazia: il governo va affidato ai competenti, cioè a coloro che sono in grado di afferrare la vera essenza dello stato;9

- “storicismo”, nel senso peculiare in cui Popper usa il ter- mine: i protagonisti della storia, prevedibile nelle sue grandi linee, sono i grandi collettivi e le grandi idee.10 A Platone, Popper contrappone la propria prospettiva, da lui definita “umanitaria”. I presupposti epistemologici del suo “umanitarismo” sono l’individualismo e il nominalismo metodologico. Contro l’essenzialismo, il nominalismo so- stiene che compito della scienza non è catturare l’essenza delle cose, ma cercare dei nessi esplicativi fra le cose stesse, cui diamo dei nomi solo per comodità funzionale. Contro il collettivismo, l’individualismo tratta la singola persona come elemento fondamentale: per questo, esso non si interroga sull’essenza dello stato e su ciò che è bene per lo stato come intero, ma chiede: che cosa pretendiamo da uno stato? Per- ché preferiamo vivere in uno stato ben ordinato piuttosto che nell’anarchia? Che cosa ci proponiamo di considerare come legittimo nell’attività dello stato?

Non si tratta di perseguire tecnocraticamente la perfezio- ne dello stato, ma di valutarlo come strumento per la prote- zione della libertà individuale – anche contro gli stessi go- vernanti. Per questo, il problema strutturale di organizzare lo stato in modo da rendere il suo potere controllabile e da rendere possibili avvicendamenti al governo senza spargi- menti di sangue diventa una questione fondamentale.

L’interpretazione platonica di Popper può essere discuti- bile – come è già stato abbondantemente messo in luce – da un punto di vista storico-filologico: per esempio, Popper of- ––––––––––

9 Ibidem, pp. 140-156, trad. it. pp. 197-219. 10 Ibidem, pp. 1-10, trad. it. pp. 25-28.

fre una visione idealizzata della democrazia ateniese11 e della sofistica,12 e tratta la Repubblica e le Leggi – l’ultimo dialogo scritto da Platone – come se fossero testi temporalmente contigui. Ma la filologia, per quanto importante, non è suffi- ciente. Popper, infatti, ha il pregio di affrontare la Repubblica prendendo chiaramente posizione, e cercando di sviluppare una teoria per proprio conto. Stando così le cose, non è pa- radossale dire che Popper è il lettore ideale dei dialoghi di Platone, perché è un interlocutore critico, a cui, come tale, si può riconoscere anche la libertà di commettere delle “ingiu- stizie”. Per questo, rimane necessario chiedersi se vale la pe- na leggere la Repubblica, nonostante Popper.

Per prendere sul serio il primo volume di The Open Society and Its Enemies occorre sottoporlo ad una critica filosofica e interna, piuttosto che storica ed esterna. Popper ha il merito di assumere una posizione filosofica e politica chiara – tanto chiara che è riuscita a farsi vulgata –: chi lo critica, se vuole affrontarlo sul suo terreno, deve accettare la sfida. Alcuni neoliberali popperiani sembrano pensare che la filosofia, do- ––––––––––

11 Si vedano, a titolo di controesempio, le affermazioni dei delegati ate-

niesi nella trattativa con i Melii: “Noi crediamo infatti che per necessità di natura chi è più forte comandi; che questo lo faccia la divinità lo crediamo per credenza (doxa), che lo facciamo gli uomini lo crediamo perché è eviden- te.” (Tucidide, V, 105,2).

12 Si veda per esempio, sul presunto smascheramento sofistico della tra-

dizione in nome della libertà della natura, A.W.H. Adkins, Moral Values and Political Behaviour in Ancient Greece, New York, Norton, 1972, pp. 106-108: Adkins ricorda che physis (natura) deriva da phyo (nascere; da cui il perfetto pephyka “sono per natura”): nel V secolo, la physis di una persona designa il suo essere nato in una condizione sociale particolare, e non i suoi attributi innati. Pertanto, la sofistica, pur essendo un movimento “illuministico” e tecnocratico, rafforza l’ideale tradizionale, competitivo-acquisitivo, della areté come eccellenza kata physin (secondo natura o, meglio, per “nascita”) di un gruppo di privilegiati. In questo contesto, il sofista Trasimaco, nel I libro del- la Repubblica, quando riduce la giustizia all’utile del più forte, non è, come può apparire, un immoralista o un coraggioso demistificatore, ma sta solo por- tando alle estreme conseguenze i valori tradizionali dell’etica greca. Un di- scorso analogo vale anche per Callicle nel Gorgia.

po essere stata per tanto tempo “a footnote to Plato”, possa finalmente emanciparsi dal suo testo, per trasformarsi in un ideale volume scolastico composto esclusivamente di note. È veramente così?

Nell’interpretazione platonica di Popper ci sono almeno due enigmi, che possono aiutare a mettere in luce alcuni problemi che non riguardano solo il pensiero di Platone, ma anche la personale filosofia politica di Popper.

Popper denuncia il racconto fenicio (Resp. 414e) come mito razzista del sangue e del suolo, che comporta una espli- cita legittimazione della menzogna a scopo di manipolazione propagandistica. Ma non si chiede se questa dichiarazione di falsità così scoperta, ed evitabile, possa avere un senso filo- sofico. È ben difficile che un teorico totalitario se ne vada in giro a proclamare, come fa dire Platone al suo Socrate: “io racconto il falso e mi vergogno di farlo”. Perché Platone lo fa, addirittura in connessione con un mito, in modo che se ne accorga e se ne ricordi anche il lettore più distratto?

In secondo luogo, Popper osserva che l’idea platonica del Bene è vaga e mistica, tanto da ridursi ad una mera legittima- zione retorica di un aristocraticismo autoritario.13 Questo a- spetto, però, mal si concilia con il tipo di essenzialismo stati- co che Popper attribuisce a Platone. Perché mai un tecnocra- te essenzialista è così autolesionisticamente impreciso ed i- ronico proprio sul principio supremo del suo sistema?

Platone si propone di costruire una città filosofica. La fi- losofia comporta la consapevolezza del carattere finito e provvisorio del nostro sapere – per questo il dialogo è uno strumento filosofico essenziale –; la politica, di contro, chie- de di interrompere la discussione e di prendere delle decisio- ni. Per questo, anche la più perfetta delle città sarà una città tecnocratica e menzognera – e lo sarò tanto più, quanto più lo nasconderà a se stessa. Questa potrebbe essere la sfida di Platone a Popper. Una sfida meno retorica di quanto possa apparire, perché può essere resa in un problema speculativo ––––––––––

e politico a un tempo: quello della distribuzione della cono- scenza. Un ordine politico e sociale in cui la conoscenza non è distribuita sarà per forza di cose un mondo tecnocratico, menzognero, propagandistico; e chi non partecipa della co- noscenza lo percepirà come qualcosa di tribale, magico, na- turalistico, gerarchico – cioè come qualcosa di molto simile a una società chiusa.

La giustizia della Repubblica, come si potrà vedere nel IV libro, è lo strumento con il quale virtù particolari – fra cui anche la sapienza – e proprie di categorie e individui partico- lari, si riverberano sul complesso della città. È – in altre pa- role – una funzione di distribuzione. È possibile, e forse cor- retto, interpretare la giustizia della Repubblica come una giu- stizia tecnocratica. Ma per accettare pienamente la sfida di Platone occorre proporre una soluzione non tecnocratica e non naturalistica – se crediamo, con Popper, che l’ordine so- ciale sia culturale e non naturale – al problema della distribu- zione della conoscenza. Con questo intento, proponiamo questo piccolo commento alla Repubblica.

Nel documento I padroni del discorso (pagine 121-128)