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La costruzione dell’identità nazionale postbellica

Quale che fosse la forma politica che avrebbe assunto l’Austria a guerra conclusa, una delle maggiori difficoltà che gli alleati dovevano affrontare e risolvere era il rafforzamento del sentimento di appartenenza nazionale, tanto più necessario in un paese dove la maggioranza della popolazione era priva di una reale coscienza patriottica93.

Si trattava di un problema già affrontato e discusso nei primi anni di guerra (anche perché secondo molti osservatori era stata proprio la difficoltà di buona parte della popolazione a riconoscere la propria identità nazionale di austriaci a contribuire all’implosione e alla distruzione della repubblica), ma che riemerge con l’approssimarsi della fine del conflitto, aumentando di importanza e spingendo gli alleati a trovare una soluzione condivisa che po- tesse favorire una riconciliazione nazionale.

I primi organici tentativi di risvegliare una coscienza patriottica erano stati avviati dall’Urss, che, accogliendo le sollecitazioni degli esuli comunisti a Mosca, nel novembre del 1941, aveva promosso un programma radiofonico denominato “Austria libera”, dai chiari toni propagandistici.

Sorta con il preciso intento di dar voce all’emigrazione austriaca e contribuire alla definizione di una «propria identità» nazionale, la trasmissione aveva so- stenuto la necessità di formare un blocco compatto di tutte le organizzazioni e formazioni politiche democratiche e si era presentata come l’unica voce dell’opposizione austriaca contro la guerra scatenata da Hitler94.

Come evidenzia un rapporto del servizio segreto statunitense trasmesso al presidente Roosevelt e al segretario di stato Hull nel gennaio del 1944, gli Stati Uniti erano consapevoli della vitale importanza di creare le condizioni per favorire lo sviluppo di una coscienza nazionale austriaca, tema fra i più urgenti da affrontare nel prossimo processo di ricostruzione.

Il rapporto aveva sottolineato come la conseguenza più immediata dell’Anschluss fosse stata una diffusa rimozione del già labile senso di ap-

93 L. Lecis, La costruzione dello Stato-nazione in Austria. Una «comunità imma-

ginata?», in «Ricerche di Storia Politica», 3 (2014), pp. 337-350.

94 Cfr. K. Stuhlpfarrer, Austrofaschistische Außenpolitik- ihre Rahmenbedingun-

gen und ihre Auswirkungen, in E. Tálos, W. Neugebauer (a cura di), Austrofaschismus. Poli- tik - Ökonomie - Kultur 1933-1938, Lit Verlag, Wien 2005, pp. 322-337.

partenenza alla nazione austriaca; questo processo era stato accelerato dalla completa integrazione della struttura politica repubblicana austriaca al Ter- zo Reich e aveva comportato il venir meno della «continuità legale» con il sistema repubblicano95, che dopo la fine della guerra avrebbe potuto favori- re e accelerare il processo di rinascita democratica.

Nonostante le oggettive difficoltà nello stabilire contatti e canali di comu- nicazione sicuri all’interno del paese danubiano, i servizi di intelligence mi- litare avevano evidenziato una crescente disaffezione alla guerra e al nazismo; essi tuttavia mettevano in guardia sul fatto che l’analisi della situa- zione interna fosse frutto di «considerazioni preliminari» e premature, che non modificavano l’approccio alla questione austriaca, la quale rimaneva uno «spinoso problema» né facilmente né immediatamente risolvibile96.

Ricostruire un’Austria pienamente libera e democratica che potesse vivere autonomamente grazie alle spinte endogene autoalimentate dal sentimento nazionale, era un’impresa ardua, principalmente perché la popolazione, come aveva evidenziato anche un rapporto del PWE nell’aprile del 1944, era priva di un vero patriottismo e nutriva una diffusa «sensazione di estra- neità alla patria»97. Secondo il rapporto britannico il caso austriaco si pre-

sentava così particolare da sfuggire a facili schematismi: l’Austria non po- teva «esser considerata né una semplice parte della Germania, né un norma- le paese satellite o tantomeno un paese occupato». Una condizione di ecce- zionalità ulteriormente accentuata da una radicata forma di patriottismo lo- calistico, privo di un «vero sentimento nazionale»; al più che genuino desi- derio per l’autonomia locale, si contrapponeva un’aspirazione «meno profonda» all’indipendenza nazionale. Inoltre nel corso della guerra, rile- vava la nota, si era modificato l’atteggiamento popolare verso l’Anschluss, divenuto oramai «impopolare» anche fra i nazisti austriaci, sia perché aveva mostrato l’«inaspettato dominio dei prussiani» nella gestione economico- amministrativa del paese, sia perché si era affermata la diffusa convinzione che nella fase postbellica un’Austria slegata dalla Germania avrebbe goduto di «un trattamento più favorevole».

95 Per un approfondimento sulle condizioni di vita della popolazione austriaca nel

corso del settennato di “occupazione” nazionalsocialista si rimanda a H. Hagspiel, Die Ost-

mark. Österreich im Großdeutschen Reich 1938 bis 1945, Braumüller, Wien 1995; E. Burr

Bukey, Hitler’s Austria. Popular Sentiment in the Nazi Era, 1938-1945, University of North Carolina Press, Chapel Hill 2000.

96 Draft of the OSS: No Austrian State Continuity (6 gennaio 1944), cit. in R. H.

Keyserlingk, Austria in World War II, cit., p. 210.

Interessante appare il passaggio in cui si valutavano le aspettative future degli austriaci, diverse e spesso contrastanti.

Se infatti da una parte vi erano numerosi austriaci che il rapporto definiva «intelligenti» perché scettici sulla possibile durata di un paese libero e indi- pendente, dall’altra, in particolare negli ambienti politici di sinistra, perma- neva ancora forte la tentazione di mantenere una forma di unione con la Germania (una volta pienamente democraticizzata). Vi erano infine due gruppi distinti di federalisti, quelli che accoglievano con favore l’ipotesi di unione con la Baviera (pangermanisti moderati) perché consapevoli che un’unione con la Germania sarebbe stata negata dagli alleati, e quelli che invece speravano in una federazione dei paesi dell’area danubiana perché sostenitori dell’idea di un «impero asburgico rianimato».

Il rapporto britannico si concludeva esprimendo forti perplessità sulla cre- scita del movimento di resistenza antinazista in Austria. A fronte di un sempre più diffuso pessimismo sulle sorti del conflitto, i casi di opposizio- ne al regime rimanevano «sostanzialmente inefficaci», sia perché «gli austriaci sono più disposti a parlare che ad agire», sia perché il debole fron- te interno di resistenza al regime era privo di una linea d’azione unitaria e diviso sugli obiettivi da raggiungere98.

In Austria il movimento di opposizione al regime nazionalsocialista opera- va in condizioni ambientali difficili e, salvo alcune sporadiche attività di resistenza organizzata, intensificatesi negli ultimi mesi del conflitto, non era riuscito a radicarsi. Gli esponenti politicamente più attivi erano stati co- stretti all’emigrazione sin dal 1938, spesso perché ebrei; inefficaci i partiti politici, già messi fuorilegge, gli unici resistenti attivi rimasti erano cattolici e comunisti. Molti di essi furono però arrestati, internati per lungo tempo nei campi di concentramento o fucilati nei primissimi giorni successivi all’Anschluss99.

Solamente sparuti e isolati gruppi, il più delle volte a matrice comunista o cattolica anche se non inquadrati in formazioni politiche, avevano continuato una discontinua azione di opposizione e, in alcuni casi, portato avanti azioni di sabotaggio contro l’occupante tedesco100.

98 Ibid.

99 Cfr. DÖW, Widerstand und Verfolgung in Wien 1934-45. Eine Dokumentation,

3 voll., Österreichischer Bundesverlag, Wien 1984; R. Luža, Der Widerstand in Österreich

1938-45, Österreichischer Bundesverlag, Wien 1983; W. Neugebauer, Der österreichische Widerstand 1938-45, Steinbauer Verlag, Wien 2008.

100 Particolarmente attiva a Vienna nel triennio 1941-1943, la rete clandestina co-

munista aveva subito pesanti arresti di simpatizzanti e militanti da parte della Gestapo. In un rapporto del 1944 gli arresti di sovversivi comunisti nella capitale erano così riassunti: 1.507

L’assenza di una rete organizzativa clandestina di resistenza al nazismo di matrice socialista non deve stupire, dato il retaggio pangermanista della classe dirigente del SDAPDÖ, sviluppatosi in contrasto all’impronta nazio- nalista-patriottica del cattolicesimo politico di Seipel prima e Dollfuss e Schuschnigg poi e l’assenza nella maggioranza dei militanti socialisti di una sensibilità al tema del patriottismo nazionale101.

L’assenza del tema dell’appartenenza nazionale dall’agenda politica dell’SPÖ obbligherà i dirigenti socialisti a un difficile riposizionamento sul tema dell’identità nazionale portandolo, in particolare nel corso delle prime campagne elettorali (1945 e 1949), a rincorrere i due partiti a vocazione na- zionale, l’ÖVP e il KPÖ102.

Si delinea così un secondo elemento della specificità del caso austriaco, la resistenza al nazismo.

Privi di movimenti e leader capaci di garantire una solida struttura organiz- zativa e operativa, come era accaduto in Italia e in Francia, gli austriaci erano stati più inclini a convivere col regime nazista piuttosto che a opporsi a esso, avevano dimostrato una «capacità di adattamento» al nuovo cor- so103, manifestando una forma di sopravvivenza sembrata ai più necessaria.

(1941) 881 (1942) 1.173 (1943), per un totale di 6.300 arresti eseguiti dal 1938. Cfr. DÖW, 5080, Bericht der Gestapo Wiens, 28 marzo 1944. Cfr. inoltre W. Neugebauer, Der österrei-

chische Widerstand, cit., pp. 66-103.

101 Si noti come nonostante l’aperta e convinta adesione al progetto pangermanista

dell’Anschluss da parte di Renner, che a sostegno della causa tedesca aveva redatto un pam- phlet nel quale si dichiarò favorevole all’annessione alla Germania nazista (O. Rathkolb, Die

paradoxe Republik. Österreich 1945 bis 2005, Zsolnay, Wien 2005, pp. 157-164), lo stesso

cancelliere avrebbe successivamente ridimensionato questa sua passione nel corso di un in- contro con degli ufficiali statunitensi dell’OSS (Edgar Johnson e Dyno Lowenstein) tenutosi a Vienna nel settembre del 1945. Si veda in proposito O. Rathkolb, Gesellschaft und Politik, cit., pp. 122-129.

La convinta adesione al progetto pangermanista dell’Anschluss era testimoniata dallo stesso Renner che a sostegno della causa tedesca aveva redatto un pamphlet a favore dell’annessione che sarebbe stato pubblicato solo dopo la sua morte (cfr. O. Rathkolb, Die

paradoxe Republik. Österreich 1945 bis 2005, Zsolnay, Wien 2005, pp. 157-164).

102 La documentazione d’archivio ben evidenzia questi atteggiamenti di ostilità po-

litica verso i partiti avversari, uniti da un’inedita accusa di nefandezza, che va oltre la dialet- tica partitica e programmatica. L’analisi del materiale propagandistico prodotto dall’SPÖ è, in tal senso, esemplificativa: numerosi sono infatti i volantini stampati dai socialisti nei quali si accusavano senza mezzi termini i dirigenti del partito popolare per i loro trascorsi nelle fila del regime autoritario di Dollfuss o per aver favorito o esser stati complici del regime nazista. Cfr. Viermal seit einem Menschenalter hat Österreich seine Staatsform gewechselt,

Wo stecken die Nazi, Wir alle sind verantwortlich!, in PAWP, Nationalratswahlen 1949, Wahlpropaganda, Flugzettel der SPÖ.

103 K. R. Stadler, Österreich 1938-45 im Spiegel der NS-Akten, Herold Verlag,

Limitato sarebbe così stato il numero di coloro che si sarebbero sacrificati per la sopravvivenza dell’indipendenza del paese, che dai più era stata vista come «una causa piuttosto disperata»104.

Questo concetto si sarebbe affermato anche nel dibattito storiografico au- striaco del dopoguerra.

Introducendo una nuova strutturazione del concetto di resistenza, Botz ha insistito su quelli che ha definito come «gli atteggiamenti divergenti» verso il regime: nata come una forma di resistenza politica al nazismo, l’opposizione si era successivamente evoluta, in alcuni casi, in forme di protesta sociale e solamente nelle ultime fasi del conflitto, si era apertamen- te manifestata in forme divergenti di opposizione all’occupante105. Ciò era avvenuto, come avrebbe riconosciuto anche il leader comunista Fischer, perché la popolazione era priva di un sentimento di appartenenza nazionale: «la tragedia dell’Austria era che i democratici austriaci non erano sufficien- temente patriottici, e i patrioti non erano abbastanza democratici»106.

L’assenza di una «passione nazionale» fra la popolazione107, unita a una

tiepida accoglienza che l’opinione pubblica aveva mostrato all’ipotesi avanzata dalle potenze alleate di ottenere l’indipendenza, inserendola nei più vasti piani del riassetto postbellico dell’Europa centro-orientale, palesa- vano la necessità di lavorare per la coesione sociale e per la stabilità politi- ca del nuovo stato nazionale108.

104 G. Bischof, Restoration, not Renewal: From Nazi to Four-Power Occupation.

The Difficult Transition to Democracy in Austria after 1945, in «Hungarian Studies», 14/2

(2000), p. 216.

105 G. Botz, Methoden und Theorieprobleme der historischen Widerstandsfor-

schung, in H. Konrad, W. Neugebauer (a cura di), Arbeiterbewegung-Faschismus- Nationalbewusstsein. Festschrift zum 20jährigen Bestand des Dokumentationsarchivs des österreichischen Widerstandes und zum 60. Geburtstag von Herbert Steiner, Europa Verlag,

Wien 1983, pp. 137-152.

106 R. Wagnleitner (a cura di), Understanding Austria. The Political Reports and

Analyses of Martin F. Herz Political Officer of the US Legation in Vienna 1945-1948, Neu-

gebauer Verlag, Salzburg 1984, p. 28.

107 R. H. Keyserlingk, Austria in World War II, cit., p. 160.

108 Sul dibattito storiografico circa la costruzione di un’identità nazionale si ri-

manda ai lavori di F. Heer, Der Kampf um die österreichische Identität, Böhlau, Wien-Graz 1981; F. Kreissler, Der Österreicher und seine Nation, Böhlau, Wien-Graz 1984; A. Reite- rer (a cura di), Nation und Nationalbewusstsein in Österreich. Ergebnisse einer empirischen

Untersuchung, Verband der Wissenschaftlichen Gesellschaften Österreichs, Wien 1988; A.

Pelinka, Zur österreichischen Identität. Zwischen deutscher Vereinigung und Mitteleuropa, Ueberreuter, Wien 1990.