di Stefano Fiorini
La tesi Razzismo e antisemitismo nel «Corriere Adriatico» intende studiare i temi e le forme del discorso razzista, così come si presentano all’interno di un quotidiano particolare (il «Corriere Adriatico», organo del Pnf di Ancona), analizzato in due periodi chiave della storia fascista: la guerra d’Etiopia e la campagna antisemita.
Per quanto riguarda la guerra in Etiopia, si è focalizzata l’attenzione sulle strategie discorsive messe in atto dagli articoli al fine di affermare la “natura- le” superiorità del popolo italiano e la sua vocazione alla conquista coloniale. In tal senso, sono state raccolte e analizzate le metafore razziste più utilizzate per creare l’immagine di una differenza insanabile tra la “brutalità” degli africani e la “civiltà” degli italiani.
Gli attacchi razzisti della campagna antisemita sono presi in considerazio- ne affiancando allo studio delle immagini “discorsive” proposte dagli articoli l’analisi delle immagini “visive” delle vignette satiriche pubblicate. La scelta di un simile oggetto di studio è motivata dalla constatazione che, nel «Corrie- re Adriatico», a partire dall’agosto del 1938, la pubblicazione di vignette an- tisemite diviene amplissima e continuativa, quasi a indicare la scelta dell’illu- strazione satirica quale mezzo privilegiato per la diffusione di un sentimento antisemita. L’illustrazione satirica, apparentemente innocua, si rivela così un mezzo molto efficace per la diffusione di immagini e di idee razziste. Il vi- gnettista possiede infatti la capacità di raggiungere tutti i lettori grazie all’in- tuitività del suo linguaggio. Al contempo, la sua matita riesce a condensare sul foglio concetti politici complessi, altrimenti poco chiari alle masse. Il di- segno satirico diviene dunque un canale preferenziale per convincere i lettori dell’utilità del razzismo.
Le vignette del «Corriere Adriatico», considerate nell’ordine della loro pubblicazione, formano il racconto, sempre più esasperato, sempre più violen- to benché nascosto dal paravento dell’ironia, sulla pericolosità e della diversi- tà degli ebrei, arrivando a preconizzare la necessità della loro eliminazione.
Nel gennaio 1939, il «Corriere Adriatico» invita i suoi lettori ad abbo- narsi pubblicando, a più riprese e in prima pagina, una vignetta raffi- gurante una copia del quotidiano stesso stretta da una mano gigante, che schiaccia un gruppo di minuscoli personaggi dai nasi adunchi, le barbe nere e i capelli riccioluti. Dopo sei mesi di campagna razziale, i lettori non dovettero certo faticare ad individuare in queste figure dei soggetti caratterizzati come ebrei.
In effetti, per tutto il 1938 le vignette satiriche e la questione ebrai- ca caratterizzano fortemente la linea editoriale del quotidiano. Dopo la sostituzione del direttore Ferruccio Ascoli, ebreo, avvenuta il 2 marzo 1938, il «Corriere Adriatico» si distingue come un acceso sostenitore dell’antisemitismo fascista, divenendo un «organo velenoso di diffu- sione capillare»1del razzismo. Il giornale del nuovo direttore, Corrado
Rocchi, si affida a una massiccia produzione di illustrazioni satiriche, inquadrando nello staff redazionale un giovane illustratore, Enzo Pan- dolfi. Le fasi salienti della politica razziale fascista nel 1938 sono sot- tolineate sul «Corriere Adriatico» da una serie di vignette spesso cru- deli. D’altra parte, l’illustrazione satirica indirizzata a fini della deni- grazione razzista costituisce anche il nerbo dei giornali satirici dell’e- poca, come il Travaso delle Idee o il Marc’Aurelio.
Perché la propaganda fascista si affida così decisamente all’illustra- zione satirica per sostenere questa “delicata” campagna di denigrazio- ne, inferiorizzazione ed esclusione? Esiste un motivo per cui la vignet- ta satirica possa essere considerata una «figura maggiore dell’antise- mitismo»2?
Nel tentativo di rispondere a queste domande, analizzeremo i mec- canismi testuali attivati dalle vignette politiche e cercheremo di mo- strare come questi bene si adattino alla diffamazione razzista. In que- sta breve analisi si individueranno alcune delle strategie attraverso le quali il disegno satirico fu usato dalla propaganda fascista per coniu- gare il tradizionale timore nei riguardi del diverso, in generale, e del- l’ebreo, nello specifico, alle necessità contingenti della campagna raz- ziale. Si tenterà dunque di risalire ai meccanismi più generali di “fun-
1E. TOAFF, Perfidi giudei, Milano 1988, p. 21.
2 M.-A. MATARD-BONUCCI, L’image, figure majeure du discours antisémite?, in «Vingtième Siècle. Revue d’histoire», n. 72, ottobre-dicembre 2001, pp. 27-39.
zionamento” delle vignette attraverso lo studio di una vignetta da rite- nersi esemplare, pubblicata dal «Corriere Adriatico» all’inizio della sua campagna antisemita.
Nel momento in cui un illustratore satirico si trova a sostenere, con il suo lavoro, la politica di diffamazione razzista, si avvale principalmente di due strategie: la prima, riconducibile alla secolare tradizione icono- grafica della rappresentazione dell’ebreo nemico e uccisore di Cristo3; la
seconda, vera e propria “arma” a disposizione del vignettista, la stereoti- pizzazione di un carattere e, conseguentemente, come sostiene Ernst Gombrich, la fisionomizzazione di un concetto4. Da una parte, quindi,
l’eco visiva e la consolidazione, tramite ripetizione, della memoria cul- turale occidentale, consistente in centinaia di anni di “diffamazione” grafica dell’identità ebraica; dall’altra, la necessità di sintetizzare una nuova rappresentazione in armonia con i canoni e le tematiche razziste fasciste, generate nell’ambiente culturale razzista-antisemita e poi filtra- te attraverso la stampa fascista e il «Corriere Adriatico» nel nostro caso particolare5. Questi sono i due vincoli, ma al contempo le due risorse,
estremamente ricche peraltro, da cui il vignettista deve e può attingere. Lo studio della tradizione iconografica indica come, già dal XIII secolo, si sia individuata «l’opportunità di affidare ai tratti fisionomici il messaggio razziale»6:
3Per un excursus sull’evoluzione dell’immagine iconografica dell’ebreo attraver- so i secoli si veda P. PALLOTTINO, Origini dello stereotipo fisionomico dell’«ebreo» e
sua permanenza nell’iconografia antisemita del novecento, in La menzogna della razza, Bologna 1994, pp. 17-26. Per una storia dell’immagine dell’ebreo affermatasi
nell’Ottocento si consideri invece G.L. MOSSE, L’immagine dell’uomo. Lo stereotipo
maschile nell’epoca moderna, Torino 1997, pp. 75-102.
4Sulla fisionomizzazione di concetti politici astratti attraverso la vignetta, si veda E.H. GOMBRICH, A cavallo di un manico di scopa. Saggi di teoria dell’arte, Torino 1971, pp. 192-215.
5A questo proposito si consideri G.L. MOSSE, L’immagine dell’uomo, cit., pp. 90- 91: uno stereotipo ottocentesco – che vuole l’ebreo come mezzo uomo e mezzo don- na, incapace di controllare la propria parte femminile, dalla quale è controllato – si è evoluto nell’immagine dell’ebreo omosessuale. L’accusa di omosessualità fu una co- stante per alcuni uomini politici di origine ebraica, e fu ripresa dalla stampa fascista. In questo senso vanno interpretati l’appellativo, riferito a Leon Blum, di «giudio por- nografo», in C. ROCCHI, Casseforti e politica, «Corriere Adriatico» (d’ora in poi CA), 18.1.1939, p. 1.
Capelli crespi, naso adunco, prevalentemente profilo a labbra spesse – tipico della figurazione medievale dell’eretico –, fronte bassa, occhi pene- tranti e sfuggenti, barba fluente e caprina e atteggiamento complessiva- mente ambiguo: in una gamma che dalla servilità perviene alla ferocia, l’immagine del “perfido giudeo”, in quanto nemico religioso, coinciderà da subito con quella del nemico secolare, e come per tutta l’iconografia del “nemico”, verrà caricata di valenze negative tramite la contraffazione dei suoi intenti e la negazione della sua umanità, ottenuta attraverso l’ar- ma della deformazione somatica, al fine di dimostrare un’alterità identifi- cabile con l’inferiorità7.
La caratterizzazione fisionomica dell’ebreo, attraverso la stereoti- pizzazione di alcuni caratteri tipicamente ebraici, oltre a creare l’im- magine del nemico, porta, nel corso dell’Ottocento, alla definizione dell’ebreo come controtipo8del corpo maschile sano e bello:
L’ebreo non si identificava soltanto nel naso, ma in tutto il corpo; era un’immagine totale, comprensiva del corpo e della mente, come quella che informava l’ideale della bellezza virile. Ma qui il bello era capovolto: piedi piatti, andatura ondeggiante (contrapposta alla falcata virile), collo cortissimo, grandi orecchie, incarnato bruno; e inoltre nella letteratura dell’Ottocento, gli ebrei giovani sono una rarità: l’ebreo viene general- mente rappresentato come un vecchio consumato dalla vita, in un’epoca in cui si apprezzava soprattutto la giovinezza9.
L’esistenza di un tipo ebraico, biologicamente definito, non è so- stenuta solamente da stereotipi della letteratura, delle arti visive o, semplicemente, del pensiero comune. Infatti, è noto che, nel dicianno- vesimo secolo, con la nascita delle scienze sociali, l’idea della «bipar- tizione tra ariani e semiti … fosse unanimemente condivisa dalla co- munità degli antropologi»10.
Rifacendosi a una così ricca, particolareggiata e affermata defini- zione (anche visiva) del tipo ebraico, presumibilmente interiorizzata e
7Ibidem.
8G. L. MOSSE, L’immagine dell’uomo, cit., pp. 75-101. 9Ibidem, p. 84.
10A. BURGIO, L’invenzione delle razze. Studi su razzismo e revisionismo storico,
assimilata nell’immaginario collettivo11, il vignettista razzista si trova
a metà dell’opera prima ancora di cominciare il proprio lavoro: egli sa che il lettore avrà, come minimo, una ricezione facilitata di ogni nuo- va elaborazione dello stereotipo razzista, a patto che la rappresentazio- ne proposta poggi sull’abito mentale e culturale resosi concreto attra- verso centinaia di anni di rappresentazioni razziste. Il vignettista di- spone di numerose ed eccellenti raffigurazioni fisionomiche che, sa già, funzioneranno perché hanno sempre funzionato. Esistono dunque dei tratti fisionomici che possono essere ricondotti immediatamente alla raffigurazione del nemico o del pericolo; Gombrich sostiene che
queste reazioni fisionomiche siano l’arma estrema, la più potente di cui disponga il vignettista, e forse anche la più pericolosa. Perché è così connaturato in noi equiparare qualità sensorie a qualità morali, o a tonali- tà diverse di sentimento, che quasi non ci accorgiamo del loro carattere metaforico o simbolico. La propaganda razzista ha sempre sfruttato que- sta fusione inconsapevole12.
In questo modo, non stupisce che un naso camuso (così come altri tratti fisionomici o comunque ritenuti “caratteristici”) divenga un vero e proprio simbolo di ebraicità13. Come emerge anche dal «Corriere
Adriatico», l’ebraicità è una condizione essenziale dalla quale non si sfugge:
Se con la pietra pomice si potessero cancellare i connotati semitici, il prezzo della lava avrebbe in questi giorni toccato altezze proibitive e pa- recchie montagne di origine vulcanica sarebbero già spianate. Purtroppo per gli ebrei, la lava resta lava e gli ebrei restano ebrei. Anche se si pro- clamano cristiani. Il credo religioso non centra [sic] con le leggi del san- gue … Chi nasce ebreo, resta ebreo. Né Dio né il Demonio possono mu- targli l’anima e la faccia14.
11L’opera più famosa, che offre un’analisi delle caricature sugli ebrei in più di trecento illustrazioni, a partire dal XIV fino al XVIII secolo, è E. FUCHS, Die Juden in
der Karikatur, München 1921 (citato in P. PALLOTTINO, Origini dello stereotipo fisio-
nomico dell’«ebreo», cit.).
12E. H. GOMBRICH, A cavallo di un manico di scopa, cit., p. 210.
13Per il concetto di «ebraicità», si veda H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, Milano 1967, pp. 121-122.
Con un semplice tratto del viso si riesce ad alludere, come per me- tonimia, alla “natura” ebraica intesa nella sua completezza. Veicolo abbondantemente sfruttato dal razzismo, le vignette diventano così «una fonte privilegiata per conoscere la dinamica, la costituzione e la diffusione degli stereotipi di cui gli ebrei furono vittime nell’epoca contemporanea»15.
Disponendo di simboli pronti all’uso, il vignettista ne seleziona al- cuni, li riorganizza e li inserisce nel discorso razzista fascista, che con- tribuisce a modulare: «tutti questi segni ed emblemi, così suggestivi, possono, a loro volta, essere combinati e condensati in mille modi»16.
Il mestiere del vignettista è dunque quello di conciliare «ciò che ha va- lore di attualità … e ciò che ha valore permanente – l’allusione effi- mera e la caratterizzazione duratura»17.
Da quanto sostenuto finora, consegue che il vignettista, per definire un’immagine dell’ebreo, si avvale di nasi adunchi, di labbra sporgenti e di sguardi maligni (caratteri permanenti dell’“ebraicità”) combinan- doli con i caratteri attuali dell’ebraismo.
Temi permanenti dell’antisemitismo (che indicano il «vizio» dell’e- braicità), come l’inimicizia religiosa, l’usura, l’avarizia, la perfidia, si fondono ai temi effimeri (a rappresentanza del «delitto» del giudaismo)18,
in quanto temporalmente determinati, proposti dal razzismo fascista: la non italianità degli ebrei e di conseguenza l’antifascismo ebraico, l’“uno per mille”, la responsabilità ebraica della guerra civile spagnola, il “pieti- smo”, il sostegno dell’ebraismo al comunismo sovietico e contempora- neamente agli interessi dell’alta borghesia, e altri ancora.
In questo modo, il racconto figurativo del vignettista diviene il luo- go di incontro di miti antichi e politica del momento: «il vignettista può mitologizzare il mondo della politica, fisionomizzandolo»19.
I nuovi temi razzisti, proposti e imposti al mondo dall’agenda poli-
15«Les images constituent une source privilégiée pour connaître la dynamique, la constitution et la diffusion des stéréotypes dont les Juifs furent les victimes à l’épo- que contemporaine». M.-A. MATARD-BONUCCI, L’image, figure majeure du discours
antisémite?, cit., p. 27.
16E.H. GOMBRICH, A cavallo di un manico di scopa, cit., p. 208. 17Ibidem (corsivi nostri).
18H. ARENDT, Le origini del totalitarismo, cit., p. 120.
tica fascista attraverso i mezzi di informazione, si fissano, grazie alle vignette, in una nuova mitologia figurativa. Si prenda ad esempio il te- ma, molto dibattuto, del “pietismo”.
La polemica fu molto accesa, in ambito nazionale, fra gli ultimi mesi del 1938 e i primi del 1939, venendo poi a scemare nel corso di quest’ultimo anno, «in modo da non dare adito a “sospetto” che i “pie- tisti” fossero tanto numerosi»20. In particolare, secondo De Felice, die-
tro all’appellativo di «pietista» si nascondeva soprattutto la polemica diretta verso certi ambienti del mondo cattolico e del Vaticano, un po’ “freddi”, se non contrari, alla politica razzista21.
Il «Corriere Adriatico» non mancò di alimentare la polemica. Fin da subito, il giornale anconetano sostenne che il pietismo, comunque «poco diffuso», sopravviveva in una certa misura perché «sapiente- mente alimentato dagli stessi ebrei»22. Si escludeva, in tal senso, la
possibilità di un qualsiasi sentimento di sincera simpatia o amicizia verso gli ebrei. Il pietismo, secondo le parole del direttore Rocchi, al- tro non era che
una vasta piattaforma di clientele grandi e piccole, talvolta vegetanti negli immediati margini dei posti di comando occupati dai giudei, talvolta imposte dalla prepotenza ricattatrice del denaro e travolte accaparrate dal- la losca attrattiva della corruzione. Sono queste le clientele che diffondo- no il “pietismo”23.
Si consideri a questo punto la vignetta, pubblicata il 27 settembre 1938, con la quale il «Corriere Adriatico» “spiega” ai lettori il concet- to di pietista. In primo piano, un uomo dai capelli bianchi e dagli oc- chi fuori dalle orbite, fissi nel vuoto, è avvolto da un cordone formato da un rotolo di cambiali. Su queste si distingue il nome «Isak». Il roto- lo di cambiali finisce direttamente nelle tasche di un losco figuro in se-
20R.DEFELICE, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1972, p. 373.
21Ibidem. Sulla questione dei rapporti tra mondo cattolico e razzismo si veda G.L. MOSSE, La cultura dell’Europa occidentale nell’Ottocento e nel Novecento, Mi- lano 1986, p. 121; R. MORO, Le Chiese, gli ebrei e la società moderna: l’Italia, in «Storia e problemi contemporanei», 7, 1994, 14, pp. 9-16; P. DICORI, Le leggi raz-
ziali, in M. ISNENGHI(ed), I luoghi della memoria, Roma-Bari 1996, pp. 465-466. 22K41, Però poverini…, CA, 6.9.1938, p. 1.
condo piano. È un uomo pingue, dalla fronte bassa, il naso camuso, gli occhietti malvagi. Si sfrega le mani, con il gesto tipico dell’approfitta- tore. I suoi vestiti sono logori e rattoppati. A margine della vignetta è riportata la frase: «Io la penso liberamente e dico che, dopo tutto, sono brava gente…». La frase pare togliere ogni dubbio, lasciando intende- re che l’uomo immobilizzato dalle cambiali parli proprio come un esponente di quelle «clientele che diffondono il “pietismo”».
In questo modo, l’immagine di un nuovo personaggio, affermatosi all’interno di un tema largamente dibattuto dalla stampa nazionale, si concretizza visivamente per mano del disegnatore. Questo personaggio, ancora poco conosciuto, interagisce con una figura purtroppo classica dell’immaginario collettivo riguardo agli ebrei e alle loro attività: lo strozzino24. Il mito dell’eterno strozzinaggio ebraico, chiamato in causa
come “logica” spiegazione, viene così in aiuto al vignettista, riuscendo a dar sostanza all’altrimenti poco solido concetto di pietismo.
Ugualmente il vignettista elabora l’immagine, più generale, dell’«amico degli ebrei»25, ovvero di quella parte del corpo sociale ita-
liano, o internazionale, contagiata dall’azione manipolatrice ebraica. Nell’argomentazione fascista, tutti coloro che non si schierano aper- tamente contro gli ebrei, all’interno e all’esterno del paese, vengono ca- ratterizzati come nemici del fascismo: non si può rimanere «indifferen- ti»26. Secondo un simile punto di vista, ogni voce fuori dal coro nasce
dall’antifascismo e da sentimenti contrari all’italianità, appartiene «a un mondo che non è l’Italia»27. Questo vale ovviamente anche per i
personaggi politici delle «democrazie plutocratiche»28, così come per i
24 Si consideri ancora P. PALLOTTINO, Origini dello stereotipo fisionomico
dell’«ebreo», cit., pp. 17-26.
25Per un ritratto di un tipico «amico degli ebrei» si veda K41, Un collaboratore
razzista, CA, 4.3.1939, p. 1. L’avvocato Bruno Cassinelli – che nel marzo del ’39 di-
fese i fratelli Trevi dall’accusa di strozzinaggio – è qui descritto come «quel simpati- cone dell’avvocato Cassinelli, con la sua aria gioviale e la sua bella testa scapigliata che à resistito alle bufere del Fascismo. […] Tu, [Cassinelli], come i giudei, appartie- ni ad un mondo che non è il mondo dell’Italia di Mussolini: e i giudei si rivolgono di preferenza a te o a gente come te».
26E. GENTILE, Il culto del littorio, Roma-Bari 1993, p. 192.
27K41, Un collaboratore razzista, cit.
sovietici29, i quali, indicati come complici dell’ebraismo, verranno mar-
chiati nelle vignette dai «simboli della colpa», come la stella di David. Le stesse «nazioni democratiche», ossia la Francia30, l’Inghilterra31e
gli Stati Uniti32, quando sono accusate di prestarsi alle manovre ebrai-
che, divengono veri e propri personaggi grazie alla matita del vignetti- sta: la Francia diventa così una «Marianna» grassa e sfatta, l’Inghilterra una vecchietta smilza e sdentata, gli Usa uno «zio Sam» dai tratti con- temporaneamente diabolici ed «ebraici». In questo modo è facile accu- sare le nazioni rivali di essere corrotte, indebolite o soggiogate dall’azio- ne ebraica, a seconda delle esigenze propagandistiche del momento.
Come si è già affermato, la possibilità di contare su di una ricezio- ne facilitata garantisce, da parte del lettore, una maggiore prontezza nell’accettare una particolare raffigurazione stereotipata. Tale accetta- zione intuitiva è di grande utilità al vignettista, il cui compito consiste nel semplificare e chiarire ciò che altrimenti potrebbe essere comples- so e oscuro. O meglio, consiste nel creare un effetto di semplicità e chiarezza. Gombrich suggerisce che il nostro modo di pensare sia for- temente influenzato da una tendenza a un «nominalismo intuitivo»33,
ossia da una predisposizione a credere vero o realmente esistente ciò
29Si consideri ancora una volta C. ROCCHI, Casseforti e politica, cit.: «è anche perfettamente inutile l’impugnare le ultime notizie delle manifestazioni anti-semite e delle fucilazioni di ebrei, avvenute in questi giorni nella Russia sovietica. Si tratta di baruffe inevitabili in famiglie di criminali» (corsivo nostro).
30«La più recente carta ebraica viene giocata in Francia ove il giudio pornografo Léon Blum sta manovrando il partito socialista francese per ottenere l’aperto inter- vento della Francia a favore dei rossi spagnoli» (Ibidem).
31«Evidentemente Inghilterra e giudaismo sono la stessa cosa» (Britannia = Giu-
daismo, CA, 4.2.1941, p. 1). Una sintesi circa le accuse di “ebraicizzazione” rivolte
alla politica inglese si può trovare in Guerra ebrea?, CA, 23.6.1939, p. 1. «Molti eminenti uomini del regno di S. M. britannica non sono inglesi ma dichiarati sionisti; essi hanno impiegato il grosso dei loro capitali fuori dell’Impero britannico. Costoro, senza dubbio, vogliono la guerra ebrea e non si preoccupano delle conseguenze, qua- lunque sia il suo esito. Sono gli uomini appoggiati dall’alta finanza ebraica, dalla massoneria, dai bolscevizzanti laburisti e da quasi tutta la stampa, dominata a sua volta dalla finanza ebraica».
32Il «Corriere Adriatico» ricorda sovente che una minaccia per l’Italia viene da «Gli Stati Uniti, dove la plutocrazia giudaica è molto potente» (K41, Prendiamo atto, CA, 30.10.40, p. 1).