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Michel Foucault e la reévénementialisation* di Mirco Carrattier

La mia ricerca di tesi è nata all’incrocio di due filoni d’interesse storiografi- co: la tradizione annalista e la sfida postmodernista. Le voci diffuse riguardo ad una crisi epistemologica della disciplina storica mi hanno spinto a prende- re in considerazione le vicende di quella che è probabilmente la principale avanguardia storiografica del Novecento per verificare l’effettiva portata del- le trasformazioni in atto. Il revival di vari elementi tradizionalmente banditi dalla rivista francese sembra a prima vista sancire la crisi del paradigma an- nalista e prospettare almeno in parte un ritorno al passato: ma quanto questa diagnosi può essere considerata davvero persuasiva? Non bisogna piuttosto dare ragione agli ultimi epigoni della scuola allorché fanno presente che gli sviluppi più recenti rappresentano solamente una ulteriore avanzata del suo «imperialismo storiografico» che fa semmai superare all’annalismo le pre- giudiziali strategiche delle sue origini, completandone così la rivoluzione in- tellettuale e favorendo il superamento dell’anomalia francese? Mi sono quin- di proposto di rimettere in discussione le diverse leggende sulla vicenda an- nalista per mostrare tutta la ricchezza e la complessità di questa esperienza, utilizzando come banco di prova proprio uno dei capisaldi della vulgata sulle «Annales»: il discorso sull’evento.

In primo luogo ho provato a chiarire le origini ed i termini del bando an- tievenemenziale nell’ambito della disputa sul metodo di inizio secolo e delle strategie di affermazione della rivista di Bloch e Febvre. Poi ho analizzato il ruolo chiave di Braudel nel sancire il rifiuto dell’evento come emblema del vecchio modo di fare storia, ma anche nel porre le basi di una ridefinizione del concetto all’interno delle nuove coordinate teoriche. Mi sono quindi sof- fermato sulla cosiddetta «terza generazione» delle «Annales», per chiarire

* Da Il “ritorno dell’evento” nella storiografia francese contemporanea: la ne-

mesi delle «Annales»? Tesi di laurea in Storia Contemporanea discussa in data 19

come, in un contesto storico e culturale decisamente fluido e in seguito ad al- cune decisive suggestioni intellettuali, i diversi storici francesi abbiano segui- to vie di ricerca del tutto autonome, alcune delle quali hanno contribuito a re- cuperare alla nuova storia anche alcune sfaccettature della dimensione evene- menziale. Pur esponendo alcuni membri del movimento ad accuse non del tutto infondate di opportunismo (e di strisciante appropriazione delle posizio- ni altrui), il quadro della ricostruzione sembra fornire consistenza alla loro ri- vendicazione di recuperare sì l’evento, ma senza restaurare la storia evene- menziale, nella misura in cui il concetto riceve una sostanziale riconnotazio- ne. Resta peraltro la sensazione che alcune pregiudiziali del passato e i cano- ni della tradizione «scolastica» impediscano un ripensamento esplicito delle posizioni teoriche e un congruo coordinamento dei vari «ritorni dell’evento».

Nell’ambito della già citata discussione sui fondamenti della storiografia moderna e scientifica che caratterizza il nuovo campo storiografico di fine secolo, i membri più giovani del movimento hanno comunque tentato di su- perare i provincialismi residui nell’atteggiamento dei loro più immediati predecessori. Recuperando la lezione dei “padri” della scuola e attingendo alle risorse messe a disposizione dall’internaziolizzazione della ricerca e dall’ampliamento degli orizzonti disciplinari, essi hanno avviato una nuova concettualizzazione dell’evento che, per quanto passibile a sua volta di criti- che e non priva di valide alternative nel panorama odierno, restituisce pre- gnanza anche nel contesto transalpino ad una dimensione dell’indagine sto- rica rivelatasi imprescindibile. Questo tentativo, coraggioso, ma non del tut- to riuscito, si è prestato a intrecci non sempre controllati con istanze episte- mologiche più radicali che hanno colto in esso l’occasione per riaffermare un’accezione più filosofica e specificamente linguistica dell’evento, traen- done conseguenze metodologiche “estreme”; al tempo stesso esso ha riaper- to congrui spazi per le rivendicazioni della vecchia storia evenemenziale, che al tentativo legittimo di far riemergere alcuni elementi latenti nelle pole- miche annaliste hanno affiancato strumentalmente spunti di schietta reazio- ne teorica.

Chiarire i nodi concettuali di questa discussione e mostrarne le varie rica- dute propriamente storiografiche è stato prima di tutto un modo per rendere giustizia, senza concessioni celebrative, alla portata di una grande impresa intellettuale; questa vicenda mi ha permesso inoltre di chiarire alcuni termini delle attuali discussioni sulla legittimità e il valore del lavoro storico; ma la mia ricerca ha voluto anche fornire un modesto argomento a sostegno di una nuova storia della storiografia,intesa come parte rilevante della storia cultura- le e, come tale, della storia tout court.

In questa sede si riproduce il paragrafo dedicato al ruolo di Michel Fou- cault nella riconfigurazione del problema dell’evento (pp.118-125 dell’origi-

nale), nella convinzione che tale autore risulti particolarmente interessante per chiarire la portata ed i limiti del «discorso dell’evento» quale è maturato nelle ultime generazioni delle «Annales»; egli evidenzia infatti tutte le ambi- valenze di un ritorno che, come anticipato, non è propriamente né “uno”, né “ritorno”, ma si qualifica piuttosto come slittamento concettuale di grande ri- levanza euristica. È evidente come queste brevi note non possano esaurire le molteplici rilevanze del discorso foucaultiano, ma esse intendono quantome- no proporre alcune linee di riflessione che, attorno alla questione specifica dell’evento, sappiano suggerire l’estremo interesse che questo autore riveste nella discussione sulla storia e la storiografia del secondo Novecento e sulla pratica che, non solo in Francia, ne è derivata (questione che mi propongo di tematizzare più compiutamente e con maggior respiro al termine delle ricer- che in corso).

Nel passaggio storico fondamentale intorno al ’68 Michel Foucault porta avanti un programma di «storicizzazione della verità» le cui va- ste implicazioni1 comportano tra l’altro una ridiscussione delle pre-

messe annaliste sull’evento2.

Fin dagli inizi del decennio, in effetti, egli è recensito dalla rivista e particolarmente apprezzato da Braudel3, poiché sembra condividere al- 1Per una prima introduzione al rapporto tra Foucault e la storia e alle conseguen- ze storiografiche della ricerca foucaultiana si rimanda a C. SINI, Il problema della

storia in Foucault, L’Aquila 1973; B. SICHERE, L’autre histoire, in «Tel Quel», n. 86, 1980; M. ROTH, Foucault’s History of the Present, in «History and Theory», n. 20, 1981, p. 32; M. POSTER, Foucault and History, in «Social Research», n. 1, 1982, p. 116; A. MEGILL, The reception of Foucault by historians, in «Journal of the History of Ideas», n. 48, 1987, p. 117; F. VAZQUEZGARCIA, Foucault y los historiadores, Ca- diz 1988; P. O’BRIEN, Michel Foucault’s History of Culture, in L. HUNT (ed), The

New Cultural History, Berkeley 1989; C. O’FARRELL, Foucault: historian or philoso-

pher?, Basingstoke 1989; F. ADORNO, Foucault: finzione e storia 1992; R. KOSHAR,

Foucault and social history, in «American Historical Review», n. 2, 1993, p. 358; A.

MUNSLOW, Michel Foucault and History, in ID., Deconstructing History, London

1997; U. BRIELER, Foucaults Geschichte, in «Geschichte und Gesellschaft», n. 24, 1998, p. 248; nonché alle interviste agli storici incluse in A. MARIANI(ed), Attraver-

sare Foucault, Milano 1999.

2Si trova qualche spunto interessante (che non mantiene peraltro quanto promes- so dal titolo) in T. FLYNN, Michel Foucault and the career of the Historical Event, in B.P. DAUENHAUER(ed), At the nexus of Philosophy and History, Athens 1987.

cuni dei presupposti fondamentali della nuova storia, dall’interesse per la lunga durata all’idea, strettamente correlata, che i mutamenti storici si situino al di sotto della tradizionale ricostruzione dei fatti politici e delle idee.

Anche Le parole e le cose4, nonostante il contenuto più specifica-

mente teorico, sembra del tutto inquadrabile nel filone della nascente storia della mentalità di marca annalista: nell’introduzione del concetto di episteme risuona fortissima l’eco febvriana e l’identificazione, nella cultura scientifica europea, di poche, rade, ma decisive cesure diacroni- che, situate su di un piano inconsapevole ai protagonisti, si colloca, al- l’interno dell’atmosfera strutturalista, lontano dagli eccessi antistorici e vicino piuttosto alla sensibilità braudeliana.

L’anno successivo Foucault sembra confermare tali convergenze, attribuendo esplicitamente agli storici un ruolo di primo piano nel rin- novamento del sapere; egli non esita anzi ad annoverarsi tra le loro fila in nome del comune tentativo di superare «una concezione della storia organizzata sul modello del racconto come lungo susseguirsi di avve- nimenti presi in una gerarchia di determinazioni»5. Nell’estate 1967,

del resto, Foucault compie assidue letture storiche (dalla riedizione del Mediterraneo braudeliano a Panowsky) e progetta addirittura di esten- dere alla storia l’indagine epistemica6.

In realtà, già a questa altezza temporale, si trova un primo indizio del carattere illusorio di una eventuale «riduzione alla storia» dell’in- dagine foucaultiana: proprio mentre traccia una ricostruzione assai persuasiva della nuova storiografia, Foucault la loda infatti paradossal- mente per la sua «complessa metodologia della discontinuità»7.

L’esigenza di svincolarsi dalle strettoie dello strutturalismo impone al filosofo di delineare meglio le sfumature del suo rapporto con la storia, ed è nel corso di tale approfondimento, contestuale ad un gene- rale ripensamento del suo itinerario metodologico, che cominciano ad

R. MANDROUalla Storia della follia in età classica in «Annales E.S.C.» (d’ora in poi

«AESC»), n. 3, 1962, p. 772.

4M. FOUCAULT, Le parole e le cose, Milano 19802(Paris 1966).

5M. FOUCAULT, Sui modi di scrivere la storia (1967), ora in ID., Archivio Fou-

cault1, Milano 1996.

6A. TORRE, Storici e discontinuità, in «Quaderni Storici», n. 100, 1999.

emergere le notevoli differenze di presupposti e di registro che separa- no il suo pur affascinante «uso della storia» dalla condotta strettamen- te «disciplinare» degli annalisti. Riflettendo sulla discontinuità, infatti, Foucault mostra di aver compreso l’impostazione temporale delle «Annales» ben aldilà delle semplificazioni antievenemenziali della vulgata (di cui si svela la funzionalità alla strategia braudeliana); ma appare deciso a trarne conseguenze decisamente più pregnanti dal punto di vista filosofico.

Nel 1968, ad esempio, rispondendo ad una provocazione di «Esprit» che lo invita a precisare la differenza tra episteme e struttura, Foucault chiarisce come la sua indagine intenda in realtà investigare tipologie diverse di trasformazioni discorsive, tutte irriducibili alla pu- ra soggettività, ma situate su piani tra loro eterogenei. Introducendo il termine«archivio» a designare l’insieme delle regole che definiscono i limiti e le forme di dicibilità, conservazione, memoria, riattivazione ed infine appropriazione del discorso in un determinato contesto, Fou- cault espone il suo programma in questi termini: «La domanda che io pongo non è quella dei codici, ma degli eventi: la legge di esistenza degli enunciati, ciò che li ha resi possibili – essi e nessun altro al loro posto; le condizioni della loro singola emergenza, la loro correlazione con altri eventi anteriori o simultanei, discorsivi o no»8.

Anche per quanto riguarda il discorso sull’evento è comunque l’Ar- cheologia del sapere del 1969 a segnare il passaggio fondamentale: nella notissima introduzione9, innanzitutto per la ripresa e la precisa-

zione del riferimento alle dinamiche storiografiche (comprendenti il rifiuto dell’evento tradizionale); nel corpo del testo, invece, per una prima proposta di riconcettualizzazione dell’evento stesso, peraltro an- cora limitata al livello del discorso.

Foucault individua nel panorama intellettuale coevo due fenomeni decisamente nuovi e solo apparentemente contraddittori: da una parte la tendenza della storia generale a scendere sotto lo spessore degli av-

8ID., Costrizione del sistema e discontinuità (1968), in ID., Il sapere e la storia, Milano 1979, p. 86.

9Questi passaggi riprendono quasi letteralmente un precedente intervento sui «Cahiers pour l’analyse», n. 9, 1968, tradotto nella raccolta succitata col titolo di Sul-

venimenti che cela i processi lenti e decisivi; dall’altra il nuovo inte- resse suscitato nelle storie della cultura dai momenti di radicale cesura e di rovesciamento delle tendenze dominanti. Riguardo al primo aspet- to, egli ascrive a principale merito della nuova storia la distinzione del- la realtà in diversi strati sedimentari, ciascuno dotato di fratture speci- fiche (solo in quest’ottica acquista senso il privilegio accordato alla storia «quasi immobile» allo sguardo, quella a pendenza limitata degli equilibri e delle accumulazioni). Foucault evidenzia però soprattutto il correlativo passaggio negli interessi della disciplina da una certa forma di interrogativi (quale legame stabilire tra avvenimenti disparati?) ad un’altra (in quale quadro approssimativamente cronologico si possono determinare delle distinte successioni di avvenimenti?). D’altra parte egli ravvisa in autori come Bachelard e Canguilhem10 una rinnovata

attenzione ai momenti di rottura epocale, che solcano il tradizionale quadro delle storie “particolari” (dell’arte, della letteratura, della filo- sofia, della scienza); anche qui, dunque, si evidenzia uno slittamento di problematiche, ma del tutto simmetrico al precedente: si passa dalla ricerca «della tradizione e della traccia» a quella «della frattura e del limite». Il quadro complessivo viene così sintetizzato: «Sembra in- somma che la storia del pensiero, delle conoscenze, della filosofia, della letteratura moltiplichi le fratture e cerchi tutti gli ostacoli della discontinuità, mentre la storia propriamente detta, la storia tout court sembra cancellare, a vantaggio delle strutture prive di labilità l’irruzio- ne degli avvenimenti»11.

In realtà le due evoluzioni sono animate dagli stessi problemi, in particolare da quello che Foucault definisce il fondamentale passaggio dalla «storia» all’«archeologia»: «Da ciò la necessità di distinguere non più soltanto degli avvenimenti importanti … e degli avvenimenti mini- mi, ma dei tipi di avvenimento di livello completamente diverso»12.

La conseguenza più importante è allora il rilievo acquisito, anche a livello epistemologico, dalla nozione di discontinuità: da dato da sop-

10M. Foucault ha manifestato più volte la propria delusione per lo scarso spazio dedicato dalle «Annales» del suo tempo alla tradizione francese di storia della scien- za, eccezion fatta per A. Koyrè; emblematica è in questo senso l’avversione di Brau- del alla concezione del tempo di Bachelard.

11M. FOUCAULT, L’archeologia del sapere, Milano 1971 (Paris 1969), p. 9.

primere attraverso la storia tradizionale, essa diventa ora presupposto, strumento e risultato della ricerca. La possibilità di una storia «globale» e «centrata» perde di consistenza e si delinea invece il disegno di una nuova storia «generale», votata a mostrare «tutto lo spazio della disper- sione». Valorizzando la riflessione metodologica ci si ricollega ancora all’analisi formale, ma gli stessi problemi “strutturali” della storia si ri- trovano immersi nella dimensione temporale: «L’opposizione struttura- divenire non è pertinente né per la definizione del campo storico, né, probabilmente, per la definizione di un metodo strutturale»13.

Nel corso del testo, poi, il problema evenemenziale viene ripreso ad un altro livello, in merito cioè all’attenzione di Foucault per gli enunciati, presi nella mera esteriorità allo scopo di «ritrovare la loro incidenza di evento»; ne scaturisce quindi la feconda categoria euristi- ca di «avvenimenti enunciativi» o «discorsivi». Con essa Foucault, sulla scia dello sdoppiamento già individuato tra parole e cose, contri- buisce in modo decisivo al reinserimento nella storiografia francese della sfera del linguaggio; al tempo stesso egli opera una decisa riabi- litazione della contingenza, ritenuta invece residuale sia dallo struttu- ralismo che dalla nuova storia.

Nello stesso 1969, in effetti, Foucault si pronuncia in favore della storia seriale, ma solo nella misura in cui, lungi dal cancellare dalla storia gli eventi, essa è in grado di farne emergere nuovi ordini: «Nella storia seriale assistiamo dunque non tanto alla dissoluzione dell’even- to, a tutto vantaggio di un’analisi di tipo causale, o di un’analisi conti- nua, ma alla vera e propria moltiplicazione degli strati di eventi»14.

Oltre alla schiuma della storia esistono dunque altri livelli, a cia- scuno dei quali, compresi quelli più profondi, compete anche la di- mensione evenemenziale: «Tocca alla storia scoprire lo strato nascosto degli eventi diffusi, “atmosferici”, policefali che, in ultima analisi, de- terminano, e fin nella profondità, la storia del mondo – dato che noi sappiamo oggi che l’inversione di tendenza economica è un fenomeno molto più importante della morte di un re»15.

13Ibidem, p. 17.

14M. FOUCAULT, Ritornare alla storia (1970), ora in ID., Il discorso,la storia,la

verità, Torino 2001 (Paris 1994), p. 97.

La diversificazione della durata, insomma, piuttosto che eliminare gli eventi li moltiplica:

Dobbiamo pertanto far moltiplicare i tipi di evento, così come sono ve- nuti moltiplicandosi i tipi di durata. È questa, mi pare, la trasformazione che sta avvenendo attualmente nell’ambito delle discipline della storia16.

L’impostazione dichiaratamente discorsiva dell’impianto archeolo- gico (così come il sostanziale fallimento dell’impostazione metodologi- ca) sembra ancora inibire la ricezione di questi sviluppi da parte degli storici, ma pochi mesi dopo Foucault ripropone analoghe considerazio- ni nell’arena ben più esposta del Collège de France, rilanciando conte- stualmente il legame fra la dimensione linguistica e quella sociale: «Si mette spesso all’attivo della storia contemporanea l’aver abolito i privi- legi un tempo accordati all’evento singolare e l’aver fatto apparire strutture di lunga durata. Certo. Non sono tuttavia sicuro che il lavoro degli storici sia stato fatto proprio in questa direzione. O meglio non penso che ci sia una sorta di ragione inversa tra l’individuazione dell’e- vento e l’analisi della lunga durata. Sembra, al contrario, che proprio rinserrando al massimo la grana dell’evento, spingendo il potere di ri- soluzione dell’analisi storica fino alle mercuriali, agli atti notarili, ai re- gistri parrocchiali, agli archivi portuali, seguiti anno per anno, settima- na per settimana, si siano visti profilarsi, aldilà delle battaglie, delle di- nastie, o delle assemblee, fenomeni massicci di portata secolare o pluri- secolare. La storia come la si pratica oggi, non si allontana dagli eventi; al contrario essa non fa che ampliarne il campo; ne scopre senza posa nuovi strati, più superficiali o più profondi, ne isola incessantemente nuovi insiemi ove sono talora numerosi, densi, e intercambiabili, talora rari e decisivi: dalle variazioni quasi quotidiane dei prezzi si arriva alle inflazioni secolari. Ma l’importante è che la storia non considera un evento senza definire la serie di cui fa parte, senza specificare il modo d’analisi da cui dipende, senza cercar di conoscere la regolarità dei fe- nomeni e i limiti di probabilità della loro emersione, senza interrogarsi sulle variazioni, le inflessioni e l’andatura della curva, senza determina- re le condizioni da cui queste dipendono. Certo, la storia da un pezzo non cerca più di comprendere gli avvenimenti con un gioco di cause ed

effetti nell’informe unità di un grande divenire, vagamente omogeneo o duramente gerarchizzato, ma non per ritrovare strutture anteriori, estra- nee, ostili all’evento, quanto piuttosto per stabilire le serie diverse, in- crociate, divergenti spesso ma non autonome, che consentono di circo- scrivere il ‘luogo’ dell’evento, i margini della sua alea, le condizioni della sua apparizione. Le nozioni fondamentali che ora si impongono non sono più quelle di coscienza e continuità (con i problemi loro cor- relativi della libertà e della causalità), non sono quelle di segno e strut- tura, bensì quelle di evento e serie, col gioco di nozioni loro connesse, regolarità, alea, discontinuità, dipendenza, trasformazione»17.

Partendo dagli avvenimenti discorsivi Foucault si trova dunque a ri- esaminare la nozione stessa di evento ed essa gli appare drammatica- mente trascurata nella sua portata filosofica: «L’evento non è certo né sostanza né accidente, né qualità né processo; l’evento non è dell’ordi- ne dei corpi. E tuttavia esso non è immateriale; esso prende effetto, è effetto, a livello della materialità, esso ha il suo luogo e la sua coesi- stenza, nella dispersione, nel ricupero, nell’accumulo, nella selezione d’elementi materiali; non è né l’atto né la proprietà d’un corpo; si pro- duce come effetto di e in una dispersione materiale. Diciamo che la fi- losofia dell’evento dovrebbe procedere nella direzione, paradossale a prima vista, d’un materialismo dell’incorporeo»18.

La riflessione sull’evento rimanda dunque a un’inedita associazione tra caso e materialità e nel corso degli anni ’70 Foucault ne completa il recupero tramite Nietszche, non senza altre importanti ricadute sulla sua utilità come categoria storiografica19. Il nuovo procedimento «ge-

nealogico», infatti, non fa riferimento ad un soggetto trascendente, ma