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La disciplina derogatoria di matrice giurisprudenziale

bilanciamento fra tutela del minore, esigenze di accertamento e garanzie dell’imputato

1. Il minore, vittima e testimone, fra necessità di accertamento e tutela della personalità fragile: le valide ragioni della disciplina derogatoria

1.2. Il processo “al servizio” del minore abusato: centralità legislativa dei diritti del minore e marginalizzazione giurisprudenziale delle garanzie

1.2.4. La disciplina derogatoria di matrice giurisprudenziale

Ci si è a lungo soffermati sulle modalità previste dal codice di rito, prima della legge n. 38/2009, per l’assunzione della testimonianza del minorenne; esse, pur derogatorie rispetto alla disciplina ordinaria, presuppongono che il fanciullo dia il suo contributo alla ricostruzione del fatto, con modalità che non solo evitino traumi al minore, ma siano anche compatibili con il sistema di garanzie, in primis il diritto di difesa, riconosciuto all’imputato.

174 CAMALDO L., Uno statuto speciale per il testimone minorenne, in Cassazione Penale n. 4/2004, Milano, p. 1436. La Corte di Giustizia delle Comunità Europee si è espressa sul punto con la sentenza del 16 Giugno 2005 (c.d sentenza Pupino), in seguito alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Firenze. L’oggetto della questione riguardava proprio le ipotesi tassative di operatività del comma 1-bis dell’art. 392 c.p.p. e del comma 5-bis dell’art. 398 c.p.p. Nella causa principale, infatti, il pubblico ministero aveva chiesto al G.I.P. di raccogliere le deposizioni di otto bambini, testimoni e vittime dei reati, per i quali la sig.ra Pupino era indagata, mediante l’audizione protetta in sede di incidente probatorio, ai sensi dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p. e dell’art. 398 comma 5-bis c.p.p. Tale richiesta era stata giustificata affermando che l’assunzione della prova non avrebbe potuto essere differita sino all’udienza dibattimentale a causa della minore età dei testimoni e della inevitabile modificazione della situazione psicologica di questi ultimi, nonché di un eventuale processo di rimozione psicologica. Il nodo cruciale della questione era che la Sig.ra Pupino, maestra d’asilo dei bambini, era stata accusata del reato di “abuso dei mezzi di disciplina” (art. 571 c.p.) e di “lesioni aggravate” (artt. 582, 585, 576 c.p.), reati non contemplati, come si è già potuto osservare, dal combinato disposto delle norme che legittimano l’assunzione della testimonianza in forma protetta nell’ambito dell’incidente probatorio; è proprio tale argomento ad essere stato utilizzato dal difensore di quest’ultima per opporsi alla richiesta.

Il giudice del rinvio, constatando che la domanda del p.m. avrebbe dovuto essere respinta sulla base della lettera delle disposizioni nazionali sopra richiamate, ma rilevando anche che molti reati esclusi dall’ambito di applicazione dell’art. 392 n. 1 c.p.p. potrebbero perfettamente essere più gravi per la vittima rispetto a quelli tassativamente elencati da tale disposizione, così come era accaduto nella causa in questione, chiede alla Corte di pronunciarsi sulla portata degli artt. 2, 3 e 8 della decisione quadro dal titolo “Rispetto e riconoscimento”174

, ritenendoli incompatibili con il disposto del comma 1-bis dell’ art. 392 c.p.p. e del comma 5-bis dell’art. 398 c.p.p.. La Corte si è pronunciata affermando che le disposizioni della decisione quadro relative alla posizione della vittima nel processo penale, “devono essere

interpretate nel senso che il giudice nazionale deve avere la possibilità di autorizzare bambini in età infantile che, come nella causa principale, sostengano di essere stati vittima di maltrattamenti, a rendere la loro deposizione secondo modalità che permettano di garantire a tali bambini un livello di tutela adeguato, ad esempio, al di fuori dell‟udienza e prima della tenuta di quest‟ultima.” Si noti che qualche

hanno prima la Corte Costituzionale si era dimostrata di diverso avviso rispetto alla Corte Europea. Nell’affrontare la questione di legittimità costituzionale dell’art. 392 comma 1-bis c.p.p. in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost., nella parte in cui non prevede che si possa procedere con incidente probatorio all’assunzione della testimonianza di minore di anni sedici per reati diversi da quelli indicati dalla norma, la Corte aveva ritenuto ragionevole la scelta del legislatore evidenziando come “il ricorso all‟incidente

probatorio al di fuori delle ipotesi ordinarie rappresenta un „eccezione rispetto alla regola generale per cui la prova si forma in dibattimento e corrisponde ad una scelta del legislatore rispetto a cui non è dato rinvenire ragioni costituzionali che ne impongano l‟estensione a ipotesi differenti.” Così Corte Cost.

Non sempre, però, i meccanismi previsti per questo scopo trovano piena attuazione: la giurisprudenza ha, infatti, elaborato degli escamotages “per evitare del tutto la

performance dibattimentale del testimone minore di età, pur senza perdere il contributo del minorenne alla ricostruzione del fatto, ma con un evidente compressione del diritto al contraddittorio.”175

Ciò è avvenuto attraverso il recupero delle dichiarazioni rese dallo stesso al di fuori del procedimento giudiziario oppure nella fase delle indagini. I riferimenti normativi utilizzati dalla giurisprudenza sono l’art. 195 c.p.p., che disciplina la testimonianza indiretta, e l’art. 512 c.p.p,176 che legittima la lettura di atti per sopravvenuta impossibilità di ripetizione; è intuitivo come, per piegarle a tal fine, sia stata data a tali norme un’interpretazione estensiva. In particolare, è stata ampliata la portata del concetto di infermità di cui al comma 3 dell’art. 195 c.p.p.,177

ritenendo utilizzabile la testimonianza de relato avente ad oggetto le confidenze rese alla madre da una minorenne, vittima di un reato sessuale, poiché quest’ultima aveva rimosso dalla memoria la dolorosa esperienza e tale meccanismo psichico era stato assimilato ad una forma di infermità mentale che, in base alla lettera del comma sopra citato, rendeva impossibile la deposizione della minore in dibattimento.178

Emblematica del recupero delle dichiarazioni stragiudiziali del minore abusato attraverso il combinato disposto del comma 3 dell’art. 195 c.p.p. e dell’art. 512 c.p.p. è la sentenza della Corte di Cassazione del 25 settembre 2000,179 che ha sostenuto l’utilizzabilità della testimonianza indiretta avente ad oggetto le confidenze del bambino non esaminato in dibattimento e l’acquisibilità delle dichiarazioni rese dallo stesso al di fuori dell’incidente probatorio, sul presupposto che “il concetto di impossibilità di

ripetizione di cui all‟art. 512 c.p.p. non è ristretto alla non praticabilità materiale di reiterazione (che si verifica, ad esempio, in caso di morte od irreperibilità accertata del

175

DI PAOLO, L‟acquisizione nel processo penale delle “dichiarazioni a contenuto testimoniale” del

minorenne, in Cassazione Penale, n. 5/2003, p. 1672.

176 L’art. 512 c.p.p. dispone: “Il giudice, a richiesta di parte, dispone che sia data lettura degli atti assunti dalla polizia giudiziaria, dal pubblico ministero, dai difensori delle parti private e dal giudice nel corso dell’udienza preliminare quando, per fatti o circostanze imprevedibili, ne è divenuta impossibile la ripetizione.”

177 Il comma 3 dell’art. 195 c.p.p. rende utilizzabili le dichiarazioni rese dal testimone de relato, anche se le persone a cui egli fa riferimento per la conoscenza diretta dei fatti, non siano state chiamate a deporre, “salvo che l’esame di questi risulti impossibile per morte, infermità o irreperibilità.”

178 Ciò è stato deciso dalla Corte di Cassazione, sez. III 27 agosto 1998. Tale pronuncia è riportata da DI PAOLO G. in op. cit. p. 1673.

teste), ma è estensibile a tutte le ipotesi in cui una dichiarazione non possa essere utilmente assunta per le peculiari condizioni del soggetto, che lo rendono non più escutibile.” La Corte, nel caso di specie, aveva, infatti, ritenuto che la situazione di

grave stress psicologico del minore, conseguente alle violenze subite, rendesse impossibile l’esame dibattimentale per le gravi e irreversibili conseguenze che esso avrebbe potuto comportare per il bambino.

In tema di utilizzabilità delle dichiarazioni provenienti dal testimone indiretto, si ritiene significativa anche la pronuncia Suprema Corte n. 9801 del 29 novembre 2006 che ha considerato pienamente utilizzabili le dichiarazioni del genitore del bambino, vittima di abusi sessuali, che escusso in incidente probatorio, non abbia risposto alle domande. Secondo la Corte, infatti, “la testimonianza de relato è inutilizzabile solo quando sulla

richiesta di parte il giudice non chiami a deporre il teste diretto, ma quando il teste diretto, chiamato, non abbia risposto, non sussiste più alcuna limitazione al valore probatorio delle testimonianze indirette, che devono essere configurate, al pari di ogni altra prova storica, come rappresentazione dello stesso fatto che si assume di voler provare, sia pure soggettivamente mediata attraverso il testimone indiretto e non come prova logica o indizio, dal quale desumere un fatto diverso”. 180

La Corte, dunque, estendendo l’utilizzabilità della testimonianza indiretta oltre i casi previsti dall’art. 195 comma 3 c.p.p., conferma il giudizio di colpevolezza dell’imputato fondato esclusivamente sulle dichiarazioni dei prossimi congiunti, sentiti in qualità di testimoni indiretti dei fatti che il minore aveva riferito durante le indagini e non confluite nel fascicolo dibattimentale.

Se alcune pronunce sul valore da attribuirsi alle dichiarazioni del minore abusato avevano già fatto sorgere qualche perplessità per l’indebita compressione del diritto dell’indagato alla controprova avvallata dalla Suprema Corte,181

quest’ultima sentenza,

180

Cass. Pen. 29 novembre 2006 n. 9801 in Cassazione Penale n. 12/2007 pp. 4752 e ss. con nota di ANGELOTTI C., Il silenzio del minore e la testimonianza de relato, pp. 4754 e ss.

181 Il riferimento è all’ormai costante posizione della Corte di Cassazione secondo cui, nei processi per reati sessuali, l’affermazione della responsabilità dell’imputato può fondarsi solo sulle dichiarazioni dell’offeso, senza che esse richiedano dei riscontri estrinseci. Così Cass. Pen. sez. III 11 ottobre 2007 n. 40541 in Guida al Diritto n. 48/2007, p. 92. Si noti che fondare la sentenza di condanna sulle sole dichiarazioni del minore, per quanto dichiarato attendibile, può essere azzardato vista la molteplicità dei fattori che possono incidere sulla genuinità della deposizione. Ai fattori già ampiamente trattati si aggiunga l’impunità per il minore infraquattordicenne che renda dichiarazioni reticenti o non corrispondenti al vero, che si deduce dall’art. 497 comma 2 c.p.p. e la recente posizione della giurisprudenza di legittimità che ammette domande suggestive se poste dal giudice per far sì che il minore deponga. In questo senso Cass. sez. III 13 febbraio 2008 n. 13981 secondo cui “in tema di regole per

che legittima la condanna in assenza di alcun contributo da parte della vittima, unico testimone diretto del reato, non può che accrescere la preoccupazione, alla luce dei principi fondamentali del giusto processo. Quando anche il solo “sentito dire” diventa sufficiente per infliggere una condanna tanto infamante come quella fondata sull’accusa di aver usato violenza su un bambino, troppo ampi e sproporzionati, rispetto a quelli posseduti dall’imputato, saranno gli strumenti nelle mani del pubblico ministero per sostenere l’accusa in giudizio e dimostrarne la colpevolezza, rendendo molto difficile, per non dire quasi impossibile, anche la difesa dell’innocente.

l'esame testimoniale, il divieto di formulare domande "suggestive", imposto dall'art. 499, comma terzo, cod. proc. pen., non può considerarsi violato nel caso in cui le domande siano poste dal giudice in sede di esame del testimone minorenne al fine di vincerne la reticenza ovvero la ritrosia nel deporre.”

2. Esigenze di accertamento, ridimensionamento delle garanzie

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