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5. Risultati ed analisi

5.1 L’operatore sociale

5.1.1 La flessibilità della figura educativa

L’operatore sociale che lavora all’interno del servizio di Ingrado, è un operatore che si definisce perlopiù flessibile. Infatti, dalle varie interviste emerge più volte questo concetto di flessibilità, intesa sia come competenza propria dell’operatore, ma anche come approccio di quest’ultimo. Infatti, l’operatore sociale, come esprime la prima operatrice di bassa soglia all’interno della sua intervista; “deve anche essere una persona molto flessibile a livello di pensiero, ma anche a livello di comportamento, ma anche capire come ti devi comportare, in che modo, quindi una lettura ti aiuta, ma deve essere flessibile e capace di mettere in atto

Lavoro di tesi – Teresa Esposito

tutta una serie di strumenti diversi in base alla situazione.” (Allegato 6 OP1), ciò viene ripreso anche dalla collega attraverso un breve inciso per aprire la sua descrizione dell’operatore sociale nel suo contesto; “Allora sicuramente deve essere una persona flessibile, …”

(Allegato 6 OP2). Questa flessibilità inoltre, viene ripresa anche dall’operatrice del consultorio, che nella sua intervista esprime; “…nel nostro contesto bisogna essere molto flessibili non focalizzarti su bisogna fare da A a B, ma sapere che ci possono essere molte vie per raggiungere, poi magari lo scopo che ci si prefigge è diverso e quindi adattarsi anche un po’ alle diverse situazioni.” (Allegato 7 OP1). Infatti, come detto anche all’interno della teoria, l’operatore sociale d’oggi lavora con la complessità, in diversi luoghi, con diverse tipologie di utenza e tutte con caratteristiche proprie, per questo motivo l’operatore deve essere flessibile ed adattarsi alle richieste e alle domande emergenti.

Questa flessibilità della figura educativa nasce in particolare da dubbi ed incertezze personali successive alla realizzazione delle interviste agli operatori del consultorio. Questo perché quest’ultimi non si ritrovano nel termine di svolgere un “lavoro educativo”, ma si sentono più d’accordo in un lavoro di “sostegno e/o accompagnamento psico-sociale”. Ciò può essere sicuramente influenzato anche dalla formazione di ognuno, ma anche dalla figura del consulente, definita nell’intervista del terzo operatore del consultorio come “una figura un po’

particolare, c’è anche in altri servizi questa figura un po’ trasversale.” (Allegato 7 OP3). Ma ad oggi non è così facile definire chi sia un operatore sociale, poiché è ritenuta una figura liquida, dove avviene una continua messa in discussione del proprio agire, delle proprie finalità, insieme a quelli che sono i co-costruttori dell’azione educativa (Tramma, 2018).

Ciò che è quindi la figura dell’operatore sociale, è ancora del tutto in via di definizione, ma ha sicuramente come finalità del proprio lavoro quella di individuare, sviluppare e promuovere quelle che l’autore Tramma nel suo libro “L’educatore imperfetto”, definisce “potenzialità”, a livello cognitivo, affettivo e relazionale, dell’utente. Ciò viene fatto attraverso dei piani, come quello promozionale, dove vi è un percorso di acquisizione di una maggiore consapevolezza per un’emancipazione futura (Tramma, 2018). Questo lavoro di aspetto promozionale è molto importante all’interno del contesto del consultorio, soprattutto poiché, gli utenti arrivano con una domanda legata alla sostanza, ma “la finalità è più di natura di un’elaborazione di una domanda di maggiore consapevolezza perché spesso la consapevolezza è una grande questione” (Allegato 7 OP2).

Ciò che risulta invece comune e complementare a livello operativo di lavoro con l’utenza è proprio quello di utilizzare e sfruttare la metodologia della riduzione del danno. Questo perché si lavora non solo in un’ottica di qui e ora, ma anche a livello preventivo, riducendo appunto quelli che potrebbero essere i danni futuri. All’interno del lavoro di prossimità, questa metodologia viene intesa proprio come finalità dell’operatore di Ingrado: “la prima (finalità) è la riduzione del danno quindi noi puntiamo soprattutto sull'utilizzo di materiale sterile per evitare le malattie trasmissibili frequentemente in questa popolazione” (Allegato 6 OP1). Essendo dunque la prossimità la soglia più bassa presente all’interno del contesto di Ingrado, questo lavoro di prevenzione e riduzione del danno passa in primo piano nel lavoro con le persone. Questo è un altro dei tre piani su cui si basano delle certezze della figura dell’operatore sociale, dunque il piano preventivo attraverso delle azioni concrete, dove si può intervenire preventivamente su fattori che potrebbero rallentare il percorso di emancipazione della persona (Tramma, 2018).

Bisogna dunque entrare in una logica di promuovere quello che è il benessere delle persone, che come viene detto dall’OP1 nella sua intervista: “Non sempre è possibile perseguire il benessere psico-fisico sociale perché non è detto che la persona voglia, vuole o sia

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disposta…” (Allegato 6 OP1). È necessario quindi entrare in una certa consapevolezza di prendersi cura di quest’utenza che spesso si ritrovano a portare problematiche slegate dalle competenze del Servizio ma che tante volte necessitano di bisogni primari, come nutrirsi, lavarsi, dormire, oppure semplicemente di una presenza stabile, di essere accolti e rispettati per quello che sono nonostante non vogliano andare verso un’ottica di astinenza (Giannotti, 2003). Infatti, ad Ingrado, ma soprattutto al Centro di Accoglienza Diurno, una delle finalità principali descritte è proprio inerente a ciò; “allora si la cura di sé e la cura del corpo,… e garantire degli spazi per relazionarsi” (Allegato 6 OP2). Per fare questo sicuramente è importante anche che gli operatori siano presenti per queste persone, ed è ciò che viene riportato dall’OP3 nella sua intervista; “la finalità qui, è quella di fare accoglienza, è quella di accogliere, quella di esserci, di esserci nel… sempre ecco di essere sempre presenti,

(Allegato 7 OP1), tutto ciò in un’ottica di ascolto attivo e di scomposizione della problematica.

Ciò che viene differenziato maggiormente dalla bassa soglia come il Centro di Accoglienza Diurno, è proprio la metodologia usata del colloquio in cui avviene anche tutto un processo di progettazione. Questo strumento è ciò che permette a questi operatori di mantenere un aggancio, infatti se all’interno del CAD la quotidianità è fatta da momenti più di svago e accoglienza, per l’OP2 all’interno della sua intervista rimarca che; “la quotidianità è fatta per noi di colloqui” (Allegato 7 OP2), e come detto anche precedentemente questo strumento permette loro di creare una relazione, infatti egli evidenzia anche che; “si crea un legame c'è un rapporto la persona sa che in qualsiasi momento comunque può chiamare e si può riprendere il filo del discorso e quindi questo può fare una gran differenza sul medio-lungo termine” (Allegato 7 OP2). Questo è anche ciò che emergeva durante la revisione della letteratura come finalità proprie del colloquio educativo per gli operatori sociali. Infatti, ogni argomento o tematica riportata dalla persona può essere usata per aiutare e riflettere su un percorso e sulla stesura di obiettivi, riportando ciò che emerge in un’ottica di influenza sulla vita della persona, sia passata che futura (Maida et al., 2006). In questo senso dunque, riprendendo anche il fattore della consapevolezza, è importante per gli operatori del consultorio che gli utenti arrivino con una problematica, ed è ciò che emerge molto dall’intervista dell’OP3; “gran parte anche del nostro lavoro è cercare di far prendere una consapevolezza su quello che è la problematica, senza colpevolizzare senza nemmeno…

ecco renderli attenti rispetto al processo di crescita.” (Allegato 7 OP3), tutto ciò viene principalmente all’interno dei colloqui che loro sostengono con gli utenti.

Quello che però è interessante sottolineare in questi due contesti, è che nonostante le figure presenti all’interno della bassa soglia e del consultorio risultino molto complementari, le prime si riconoscono maggiormente in un’ottica educativa. Infatti, gli operatori del consultorio tendono a vedere questa parte “educativa” maggiormente all’interno della bassa soglia;

“questo lo si contestualizza in un ruolo, quindi viene offerto veramente di persona quindi sotto certi aspetti è anche più impegnativo, nel senso può arrivare chiunque anche solo per parlare o per un caffè o che altro, qui comunque già devi esprimere una volontà fare delle pratiche, accettare, cioè una sorta di contratto, di presa a carico bassa, però sempre un contratto.” (Allegato 7 OP3). È per questo motivo che per accedere al CAD, essendo bassa soglia, non vi sono dei requisiti per potervi entrare, ciò che è importante che come bassa

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soglia si faccia è quello di accogliere la persona e la domanda che egli può portare con sé, che permetterà successivamente di instaurare una relazione più significativa con l’operatore.

Ciò che dovrebbe poi mettere in pratica la bassa soglia è quello di costruire la rete di servizi intorno alla persona indirizzandoli in base alla loro domanda (Curto, 2011). In questo senso infatti, l’operatrice della prossimità evidenzia come dovrebbe essere il “percorso ideale” di una persona che si approccia alla prossimità e ciò che dovrebbe mettere in pratica l’operatore; “lavoro in funzione del bisogno, quindi multi-disciplinarmente e con tanti professionisti, però la logica sarebbe dalla strada al centro di accoglienza, dal centro di accoglienza ai piani superiori, questa un po’ la logica che dipende dal caso” (Allegato 6 OP1). Quello che però è rilevante invece evidenziare, è che le probabilità che questo avvenga sono minime, poiché alcuni utenti rimangono fermi alla prossimità, altri invece frequentano solo il CAD e altri ancora provengono da altri contesti e arrivano direttamente al consultorio. Infatti, è anche per questo motivo che è importante che l’operatore sociale che lavora all’interno di Ingrado sia flessibile, poiché deve rispondere a determinate domande in maniera differente in base anche a quello che è il contesto lavorativo in cui si ritrova.

Nonostante ciò, rimane difficile soprattutto per la figura del consulente riconoscersi all’interno di un lavoro educativo e dunque di una figura sociale come quella dell’operatore sociale o più specificatamente dell’educatore sociale. Ciò può essere dovuto anche alla formazione diversa che può avere la figura del consulente, ma che può essere tranquillamente anche una figura educativa a svolgere il ruolo del consulente. Infatti, come emerge dall’intervista dell’operatore 2; “Credo che già il contesto, già una parte del nostro contesto è una parte del lavoro dell’educatore, […], , forse c'è quella parte più di sviluppo delle potenzialità della persona, del tirar fuori in qualche modo il lavoro educativo, l'unicità della persona e in qualche modo su quello fare in modo che nella propria quotidianità in qualche modo una persona abbia la sua quotidianità, nella relazione …” (Allegato 7 OP2). In questo senso infatti, ciò che determina un educatore cosi come un operatore sociale è dovuto anche dalle caratteristiche personali di ognuno, quindi il proprio ruolo è influenzato dalla propria

“persona”, compreso di potenzialità e debolezze (Educatore_Professionale_oggi.pdf, s.d.) e quindi anche influenzato dalla propria formazione passata.

Rispetto a ciò però vi è inoltre da interrogarsi su quali siano realmente le funzioni di un operatore sociale, poiché possono sicuramente variare a dipendenza del contesto, ma alcune rimangono comuni e, nonostante ciò, non tutte le persone sono in grado di definire chi sia e cosa faccia un operatore sociale; “essendo lei l'educatrice, in qualche modo dico che cosa fa un educatore? Sinceramente non lo so, cioè non che cosa fa un educatore, credo di avere un’idea di cosa fa un educatore.” (Allegato 7 OP2). Rispondere al quesito di chi sia e cosa faccia un operatore sociale non è semplice, ma ogni persona, ogni autore, riporta la propria visione derivata anche dalla soggettività di chi sia e cosa faccia. In questo testo “L’educatore professionale oggi”, l’operatore sociale viene definito come una figura che gestisce, programma e verifica in collaborazione con l’equipe e gli altri servizi, dei progetti educativi e riabilitativi, in contesti di co-costruzione e partecipazione di recupero della vita quotidiana dell’utente; ciò attraverso reinserimenti socio-lavorativi, interventi mirati sia al recupero ma anche allo sviluppo delle potenzialità delle persone in difficoltà per mirare ad un livello maggiore di autonomia. (Educatore_Professionale_oggi.pdf, s.d.). Questa è la descrizione che viene introdotta dal testo mentre ad Ingrado, la descrizione di un’educatrice del CAD è la seguente; “la parte educativa nella bassa soglia e cioè alla base, è di poter accogliere le persone, quello evidentemente di poter offrire lo spazio e poi interagire e fare in modo che le persone interagiscono, e qua entra la figura dell'educatore, che deve mediare

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che deve mettersi in gioco che deve poter creare questi momenti garantire anche che tutti possano usufruire nel miglior modo possibile.” (Allegato 6 OP2).

Dunque, in conclusione si può dire che definire il ruolo e il lavoro educativo non è mai semplice, ma molto complesso sia per chi è in formazione sia per chi è già formato, ma come emerso anche dalle interviste, anche per operatori implicati direttamente in questo ruolo. Ciò che invece è importante sottolineare dunque, è che la parte educativa la si può trovare molto all’interno del Centro Diurno di Accoglienza, ma forse in maniera non esplicita, anche il lavoro svolto dai consulenti è un bagaglio che si porta dietro un operatore formato e che può mettere in campo.

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