CAPITOLO V: VERSO LA GESTIONE DEI REAT
8. La giustizia riparativa nel D.Lgs 231/2001
La necessità di affrontare questo tema è imposta dal fatto che, come più volte ricordato, la commissione di reati ambientali assume specifica rilevanza nell’ambito dell’esercizio di un’attività d’impresa.
218 R. Muzzica, Il ruolo della vittima negli istituti riparativi, in Legislazione
penale, 2019, p. 17.
219 All’art. 464 – quater c.p.p. si prevede solamente l’audizione della persona
offesa.
220 S. Sessa, La giustizia riparativa nell’ordinamento penale italiano, in
Il fine che ci si pone è quello di capire se, all’interno del sistema delineato dal D.Lgs. 231/2001, vi siano istituti volti a promuovere l’instaurazione di un percorso di giustizia riparativa. Si avverte, pertanto, la necessità prendere le mosse dalle caratteristiche e dagli obiettivi propri del Decreto in parola. Ad una prima lettura risulta evidente che uno degli obiettivi caratterizzanti il “sistema 231” è quello di stimolare e incentivare l’ente ad assumere comportamenti proattivi al fine di evitare o minimizzare la commissioni dei reati221. Qualora l’ente dimostri
di essere in linea con la disciplina di cui agli artt. 6 e 7 del D.Lgs 231/2001, potrà, infatti, andare esente da responsabilità.
Questa prospettiva preventiva è in continuo dialogo con la prospettiva riparativa che contraddistingue il Decreto e che risulta essere valorizzata anche in via di prassi. Infatti, sempre più spesso, alla prova dell’idoneità del modello organizzativo e di gestione a prevenire reati, si predilige il ricorso a meccanismi riparativi che garantiscono un effetto processuale più sicuro222.
Da questo punto di vista assumono considerevole rilievo gli articoli 12 e 17 del D.Lgs. 231/2001.
L’art. 12 comma 2 223 subordina la riduzione della pena
221 In questo senso si veda anche C. Piergallini, Premialità e non punibilità
nel sistema della responsabilità degli enti, in Dir. Pen. e processo, 2019, p
530 ss. il quale riconduce il sistema sanzionatorio del decreto alla filosofia “carrot and stick approach”.
222 «Ad oggi il decreto sembra aver funzionato più come incentivo alla
riparazione che come incentivo a una effettiva prevenzione». In questi termini si esprime S. Giavazzi, Le misure riparatorie nel D.Lgs. 231/2001: spazi e
limiti per un percorso di giustizia riparativa con gli enti in materia ambientale,
in AA. VV. La mediazione dei conflitti ambientali. Linee guida operative e
testimonianze degli esperti, Milano, 2016, p. 178 ss.
223 Art. 12 commi 2 e 3 «La sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima
pecuniaria all’ipotesi in cui l’ente, prima dell’apertura del dibattimento, abbia risarcito integralmente il danno ed eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato (o si sia efficacemente adoperato in tal senso) e abbia adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
L’art. 17, facendo salva l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, permette di evitare l’applicazione di sanzioni interdittive allorché, prima dell’apertura del dibattimento, siano sodisfatte tre condizioni.
Le prime due coincidono in larga parte con quelle previste dall’art. 12 comma 2.
La terza condizione invece richiede che l’ente abbia messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.
Alla luce della Relazione ministeriale al D.Lgs. 231/2001, nella quale si afferma che le controazioni di natura reintegrativa, riparatoria e riorganizzativa previste, sono tese alla valorizzazione di modelli compensativi dell’offesa e favoriscono la rielaborazione del conflitto sociale generato dal reato, emerge una predisposizione dell’art. 17 ad accogliere eventuali percorsi di restorative justice224.
Ad ogni modo il dato su cui concentrare l’attenzione ai fini della
a) l'ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;
b) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.
Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere del precedente comma, la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.
In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a lire venti milioni».
224 In questo senso si veda S. Giavazzi, Le misure riparatorie nel D.Lgs.
valorizzazione di percorsi di giustizia riparativa è costituito, sia all’art. 12 che all’art. 17 del D.Lgs. 231/2001, dal richiamo al risarcimento integrale del danno e all’eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose del reato, perché nello svolgimento di tali attività non vengono fornite indicazioni specifiche circa il comportamento atteso che potrà includere anche un contatto tra l’ente e le vittime225.
Questa conclusione risulterebbe confermata da una pronuncia della Cassazione 226, la quale, «ai fini della effettività ed
integralità del risarcimento ex art. 17, comma primo, lett. a), D.Lgs. n. 231 del 2001 e delle condotte funzionali a realizzalo», richiede che «la società si impegni ad individuare le persone offese e danneggiate dal reato, a prescindere dalla costituzione di parte civile nel giudizio (…) ed a risarcirne, ove sussistente, il danno. Inoltre, in caso di difficile determinazione dello stesso, occorre che la società dia prova di essersi adoperata per risarcirlo, quanto meno attraverso contatti con gli interessati al risarcimento che possano valere a dimostrare di essa la effettiva intenzione riparatoria».
Tuttavia la mancanza di un qualche riferimento alla vittima o al danneggiato, tanto all’art. 12 quanto all’art. 17, rischia di compromettere la concreta instaurazione di percorso dialogico tra la vittima e la persona giuridica.
A questo si aggiunga l’ulteriore vulnus derivante dall’inammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento a carico dell’ente, che impedisce ogni possibilità di contatto tra l’ente e la vittima, andando a tradire lo spirito
225 Al contrario l’eliminazione della fonte di rischio da cui è scaturito il reato
presupposto è un’attività che si svolge all’interno dell’ente, nell’ambito della quale mal si configura qualsivoglia tipo di contatto con le vittime.
226 Cass. Pen., Sez. II, sentenza n. 326 dell’ 8/01/2014 in Diritto e Giustizia,
della Direttiva 2012/29/UE227.
L’assenza di tale previsione sarebbe da imputare al fatto che non sembrano individuabili danni ulteriori e diversi rispetto a quelli derivanti dal reato commesso dalla persona fisica, per i quali si può già esercitare l’azione civile nei confronti della persona fisica stessa.
La ricostruzione fin qui operata, sebbene soddisfacente, non è esaustiva. La nostra analisi ambisce ad un obiettivo ulteriore, ovvero quello di andare ad implementare gli spazi di intervento della giustizia riparativa nel “sistema 231” interrogandosi in ordine alla possibilità di estendere in questo contesto alcuni istituti previsti dal Codice penale e dal Codice di procedura penale228.
Sebbene un elemento di raccordo tra le discipline in questione possa essere rappresentato dal riferimento agli artt. 34 e 35 del Decreto, questo non è sufficiente ad estendere, anche all’ente, l’applicabilità degli istituti di diritto sostanziale. Tale raccordo infatti è relativo alla sola disciplina processuale.
Alla luce di queste premesse non si può che chiamare in causa l’art. 452-decies c.p., il cui ambito operativo non è esteso ai casi di responsabilità amministrativa degli enti229.
Il fatto che la circostanza attenuante ivi prevista sia limitata alla
227 In questo senso si veda G. Sacco, Luci ed ombre della restorative justice
nel processo agli enti, in Archivio penale, 2019, n. 3. p. 1 ss.
228 In questi termini si veda D. Vispo, Il processo a carico degli enti: quali
alternative alla punizione?, in Legislazione Penale, 2019 p. 4 ss, il quale
sottolinea come il trapianto di istituti codicistici all’interno del D.Lgs. 231/2001 sia un operazione di «chirurgia giuridica» non esente da possibili crisi di rigetto, ma che appare necessaria avendo riguardo ai benefici che da essa potrebbero derivare all’intero contesto socio-economico.
229 L’ente potrà al massimo essere beneficiario dell’attenuante di cui all’art.
12 D.Lgs. 231/2001 alle condizioni viste. Tuttavia i margini di diminuzione della pena sono inferiori a quelli previsti dall’art. 452 – decies c.p.
sola persona fisica non pare ragionevole perché le condotte di messa in sicurezza, ripristino e bonifica sono attività molto dispendiose, sia in termini di tempo che di denaro, e per questo mal si conciliano con le capacità e la disponibilità economica, del singolo imputato persona fisica230.
Il legislatore si era già fatto portavoce della necessità di coinvolgere la persona giuridica nello svolgimento di tali operazioni, e lo aveva fatto proprio all’art. 452 – duodecies c.p. prevedendo che l’esecuzione delle attività di recupero e di rispristino dello stato dei luoghi, ordinate dal giudice a seguito della sentenza di condanna o patteggiamento, fossero poste in capo al condannato e ai soggetti di cui all’art. 197 c.p.231
In questo modo il legislatore ha individuato quali destinatari della sanzione accessoria anche le persone giuridiche civilmente obbligate al pagamento di ammende e multe inflitte ai soggetti che ne abbiano la rappresentanza, l’amministrazione o ne siano dipendenti.
Tuttavia la misura accessoria del recupero/ripristino non potrà essere applicata nei confronti della persona giuridica qualora questa non sia stata citata a partecipare al giudizio nella veste
230 R. Losengo, C. Melzi d’Eril, Responsabilità ex D.Lgs. 231/2001 per
(alcuni) dei nuovi delitti ambientali: un “riempimento” opportuno, ma ancora da migliorare, in Ambiente e sviluppo, 2015, p. 573.
231 Art 197 c.p.: «Gli enti forniti di personalità giuridica, eccettuati lo Stato, le
regioni, le province ed i comuni, qualora sia pronunciata condanna per reato contro chi ne abbia la rappresentanza, o l’amministrazione, o sia con essi in rapporto di dipendenza, e si tratti di reato che costituisca violazione degli obblighi inerenti alla qualità rivestita dal colpevole, ovvero sia commesso nell'interesse della persona giuridica, sono obbligati al pagamento, in caso di insolvibilità del condannato, di una somma pari all'ammontare della multa o dell’ammenda inflitta.
Se tale obbligazione non può essere adempiuta, si applicano al condannato le disposizioni dell'articolo 136».
di civilmente obbligato ex art. 197 c.p. In tal caso infatti essa si vedrebbe destinataria di una sanzione, senza esser stata messa nelle condizioni di esercitare le sue difese.
Di conseguenza potrebbe verificarsi il caso in cui la persona giuridica possa essere al tempo stesso citata in giudizio ai sensi dell’art. 197 c.p. per il recupero/ripristino dello stato dei luoghi e come imputata nel processo 231 in relazione al medesimo reato.
Non c’è dubbio che sarebbe stato più semplice ed efficace prevedere questa disposizione anche nell’ambito del D.Lgs. 231/2001 in relazione a quei casi in cui il reato sia stato posto in essere nell’interesse o a vantaggio della persona giuridica232.
9. La sospensione del procedimento con messa alla prova