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CAPITOLO V: VERSO LA GESTIONE DEI REAT

7. La messa alla prova

A questo punto della trattazione è opportuno svolgere delle considerazioni sull’istituto della messa alla prova.

Nelle pagine che seguono ci si pone l’obiettivo di affrontare l’argomento cercando di porre l’attenzione su quelli che sono gli elementi che maggiormente interessano ai fini della nostra indagine, non essendo questa la sede più idonea per operare una ricognizione esaustiva sul complessivo funzionamento dell’istituto.

Il principale profilo su cui porremo l’attenzione è relativo all’ambito applicativo delineato dall’art. 168 – bis c.p.

In questa prospettiva cercheremo di capire se, alla luce delle recenti considerazioni delle Sezioni Unite in tema di aggravanti, le circostanze attenuanti possano giocare un ruolo nel ridefinire il perimetro applicativo dell’istituto.

Successivamente l’attenzione sarà volta ad evidenziare i momenti in cui emergono maggiormente i profili di giustizia riparativa che, a seconda dei contenuti della prova, possono essere più o meno evidenti e più o meno funzionali a creare uno spazio di incontro tra autore del reato e vittima.

Ciò premesso possiamo accingerci all’analisi di questo istituto. La messa alla prova è una forma di probation processuale in cui

210 A. Mazza, voce Oblazione volontaria (diritto penale), in Enc. Dir. XXIX,

la rinuncia alla pretesa punitiva da parte dello Stato è subordinata all’esito positivo di un periodo di prova.

Si tratta di un istituto che presenta una doppia anima: una di carattere sostanziale e una di carattere processuale211.

La prima è evidenziata dal fatto che a questo istituto si è soliti assegnare una funzione special-preventiva in virtù del fatto che l’imputato viene sottoposto ad una prova che dovrebbe avere la funzione di rieducarlo e riavvicinarlo ai valori che ha offeso. L’anima processuale emerge, invece, nel momento in cui passiamo ad analizzare le ragioni in base alle quali tale istituto è stato introdotto dal legislatore, ragioni che si piegano alla valorizzazione della logica deflattiva.

È evidente che tra queste due anime possono svilupparsi delle frizioni dovute alla prevalenza dell’una sull’altra ma, al tempo stesso, occorre segnalare la difficoltà nel mantenerle in equilibrio.

Se accentuiamo eccessivamente il riferimento alla funzione rieducativo - trattamentale, emergono problemi di compatibilità con il dettato di cui all’art. 27 Cost. il quale pone il fondamentale principio di non colpevolezza. Perché rieducare un soggetto che è presunto innocente?

Il periodo di sospensione del procedimento, nel corso del quale si svolge la prova, è considerato come tempo di esecuzione di

211 A. Martini, La sospensione del processo con messa alla prova: un nuovo

protagonista per una politica criminale già vista, in Dir. Pen. e Processo,

2008, p. 237 ss. il quale afferma che l’entrata in vigore dell’istituto «si affida ad una riforma sia del codice penale che di quello di procedura, come a segnalare la doppia natura del nuovo istituto, legato alle dinamiche sostanziali delle cause di estinzione del reato ma altresì al modo di funzionamento del processo ove le stesse dovrebbero trovare attuazione».

una pena. A sostegno di quest’ultima affermazione viene in soccorso l’art. 657 – bis c.p.p. nel quale si prevede che, in caso di revoca o esito negativo della prova, il periodo corrispondente a quello della prova viene detratto dalla pena da eseguire. Di fatto è come se si realizzasse l’inflizione di un trattamento sanzionatorio senza un pieno giudizio di responsabilità, sulla sola base di un giudizio allo stato degli atti212. Poco consolante

è la garanzia prevista dall’art. 464 – quater c.p.p in base alla quale l’ordinanza che dispone la sospensione del processo con messa alla prova richiede l’insussistenza delle cause proscioglitive immediate di cui all’art. 129 c.p.p213.

Tuttavia occorre considerare che la richiesta di messa alla prova deve provenire dall’imputato, quindi la rinuncia alla celebrazione del processo, così come l’assoggettamento alla prova, sono rimesse ad una scelta dell’imputato214 finalizzata a lucrare un

trattamento sanzionatorio meno afflittivo di quello a cui porterebbe una condanna a seguito di un pieno accertamento di responsabilità.

D’altra parte calcare eccessivamente la mano sull’anima processuale comporta il rischio di anestetizzare le finalità specifiche di questo istituto piegandolo a logiche di carattere meramente deflattivo.

212 Tuttavia, come sostiene V. Bonini, La progressiva sagomatura della

messa alla prova processuale, in Legislazione penale, 2018, p. 23.

la detrazione del periodo di prova dalla pena da eseguire «risponde a un’esigenza di equità sostanziale, piuttosto che a un’esigenza di coerenza sistematica »

213 In questo senso A. Martini, op. ult. cit. p. 237 ss.; R. Bartoli,

La sospensione del procedimento con messa alla prova: una goccia deflattiva nel mare del sovraffollamento?, in Dir. Pen. Processo, 2014, p. 659

ss.

214 In questo senso si segnale la posizione della Corte costituzionale nella

A questo punto ci accingiamo a passare in rassegna quella che è la disciplina della messa alla prova che, come anticipato, si trova in parte all’interno del Codice penale, in parte all’interno del Codice di procedura penale.

Quanto all’ambito applicativo, il riferimento va all’art. 168 – bis c.p. che si avvale di un duplice criterio: un criterio quantitativo in base al quale la messa alla prova può essere chiesta nei procedimenti per reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, solo congiunta o alternativa alla pecuniaria, e un criterio c.d. nominativo che fa riferimento alle fattispecie delittuose richiamate all’art. 550 comma 2 del Codice di procedura penale.

In relazione all’ambito applicativo, così laconicamente delineato dall’art 168 - bis c.p., si registra un’autorevole sentenza delle Sezioni Unite215, che è andata a dirimere una controversia

incentrata sulla rilevanza da attribuire alle circostanze aggravanti ai fini dell’accesso all’istituto in parola.

Nell’argomentare la sua decisione la Corte ha escluso la rilevanza delle aggravanti e si è mossa lungo due direttrici fondamentali andando da un lato a valorizzare il dato letterale, dall’altro a promuovere una lettura sistematica dell’art. 168 – bis c.p.

Sul piano dell’interpretazione letterale si è fatto proprio il brocardo latino ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit, rilevando che, qualora il legislatore avesse voluto attribuire rilevanza alle circostanze aggravanti, ai fini dell’identificazione dei reati che possono ricadere nell’ambito operativo dell’istituto, lo avrebbe fatto richiamandole espressamente così come è avvenuto in

215 Cass. Pen. Sez. Unite, sentenza n. 36272 del 31 Marzo 2016 in Dir. Pen.

altre disposizioni216.

Invece sul piano dell’interpretazione sistematica non può passare inosservato il fatto che l’art. 168 – bis rinvii al solo comma 2 dell’art. 550 c.p.p. e non anche al comma 1.

Ai fini della citazione diretta a giudizio, nel limite massimo dei quattro anni di cui al comma 1, si tiene di conto anche delle circostanze aggravanti richiamando espressamente l’art. 4 c.p.p.

In conclusione se il legislatore avesse voluto riconoscere una qualche rilevanza alle circostanze aggravanti avrebbe quantomeno esteso il richiamo all’intero art. 550 c.p.p.

Ai fini della nostra indagine sarebbe interessante capire, viste le considerazioni fatte in tema di aggravanti, quale sia la posizione della Corte in relazione alle circostanze attenuanti ma sul punto non si hanno, al momento, posizioni definitive.

Potremmo azzardare una conclusione in linea con quanto appena visto in tema di aggravanti propendendo per una irrilevanza anche delle circostanze attenuanti ai fini dell’applicazione della messa alla prova, valorizzando così il dato letterale dell’art. 168 – bis c.p.

Tuttavia se il fine è quello di estendere il ricorso a questo istituto, specie in vista del fatto che sembra essere quello che maggiormente si presta a far filtrare le logiche della giustizia riparativa nel nostro ordinamento, siffatta conclusione andrebbe a ridurne le potenzialità.

216 Sul punto si segnalano le riflessioni di A. Melchionda, E. Mattevi,

Sospensione del procedimento con messa alla prova e rilevanza delle

circostanze aggravanti - il commento, in Dir. Pen. e Processo, 2017, p. 325

ss. (nota a sentenza); V. Manca,

Sospensione del procedimento con messa alla prova, il parametro della "pena edittale" ai fini della concessione della messa alla prova, in Giur. It., 2016, p. 2732 (nota a sentenza).

Infine, sempre all’art. 168 – bis c.p., si specifica che la messa alla prova non si applica nei casi di delinquenza qualificata (ad eccezione della recidiva) e che la messa alla prova non può essere concessa più di una volta a prescindere dall’esito che questa ha precedentemente avuto.

Il successivo ed imprescindibile riferimento normativo deve essere fatto all’art. 464 – bis del Codice di rito in cui sono disciplinate le cc.dd. condizioni di ammissibilità della richiesta. Innanzitutto si chiarisce che la richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova deve essere formulata dall’imputato o dal difensore munito di procura speciale, in quanto si tratta di un atto personalissimo di cui il giudice può, se lo ritiene opportuno, verificarne la volontarietà.

La richiesta può essere presentata nella fase delle indagini preliminari o all’udienza preliminare e deve essere accompagnata da un programma di trattamento elaborato d’intesa con l’ufficio per l’esecuzione penale esterna (ai fini dell’ammissibilità è sufficiente la richiesta di elaborazione del programma).

Anche dal punto di vista del contenuto del programma, la disciplina si divide a cavallo tra il Codice penale e il Codice di rito.

Sostanzialmente i contenuti si articolano lungo tre direttrici che rievocano quelli che abbiamo visto essere i profili caratterizzanti della giustizia riparativa.

Ai sensi dell’art. 168 – bis comma 2 c.p. si afferma che la messa alla prova comporta la realizzazione di condotte lato sensu riparatorie, cioè volte all'eliminazione delle conseguenze dannose o pericolose derivanti dal reato nonché, ove possibile, al risarcimento del danno.

dell'imputato al servizio sociale, per lo svolgimento di un programma che può implicare, tra l'altro, attività di volontariato di rilievo sociale, ovvero l'osservanza di prescrizioni relative ai rapporti con il servizio sociale o con una struttura sanitaria, alla dimora, alla libertà di movimento, al divieto di frequentare determinati locali».

La messa alla prova è infine subordinata alla prestazione di lavoro di pubblica utilità217.

Alla luce di queste considerazioni la prova dovrebbe essere strutturata come un percorso attraverso il quale l’imputato manifesta la sua adesione ai valori sociali lesi dalla fattispecie criminosa che ha realizzato. La riaffermazione e la ricondivisione dei valori sociali dovrebbe rendere meno pressante la necessità di una pretesa punitiva.

Questo percorso appare valorizzato anche dal fatto che la volontarietà della richiesta di messa alla prova non è solo iniziale ma accompagna l’intero svolgimento della prova.

Il giudice, verificate le condizioni di ammissibilità della richiesta, l’insussistenza delle cause immediatamente proscioglitive di cui all’art. 129 c.p.p. e l’idoneità del programma di trattamento, qualora ritenga che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori

217 Secondo B. Bertolini, La messa alla prova per adulti sotto le lenti della

giustizia riparativa, in Marandola (a cura di), Verso un processo penale accelerato, Napoli, 2015, p. 59 ss., proprio l’aspetto di obbligatorietà dei

lavori di pubblica utilità costituirebbe un problema nel ritenere questo istituto compatibile con i principi della giustizia riparativa.

Nello stesso senso M. C. Saporito, La messa alla prova nell’esperienza

giurisprudenziale: un faticoso percorso verso l’allineamento costituzionale, in

Processo penale e giustizia, 2019, p. 1340, la quale ritiene che prevedere necessariamente il lavoro di pubblica utilità all’interno del programma di prova si ponga in contraddizione con la giustizia riparativa. Quest’ultima infatti richiede una certa flessibilità dei percorsi che non possono essere standardizzati o predeterminati.

reati, dispone la sospensione del procedimento con messa alla prova.

Se la prova avrà esito positivo si avrà l’estinzione del reato, altrimenti seguirà la ripresa del processo.

Sebbene la sospensione del procedimento con messa alla prova abbia veicolato l’ingresso della mediazione penale nel nostro ordinamento e si presti ad essere considerata uno strumento in grado di esprimere le logiche sottese alla giustizia riparativa, occorre sottolineare come il ruolo della persona offesa non sia, in realtà, sufficientemente valorizzato218.

La persona offesa non ha alcun potere di veto 219

relativamente all’ammissibilità dell’istanza né per quanto riguarda l’individuazione dei contenuti del programma.

Proprio in relazione a questi ultimi si rileva inoltre come si tratti per lo più di attività che non richiedono una partecipazione attiva della vittima, ad eccezione del ricorso alla mediazione che, comunque, non rappresenta una conditio sine qua non per l’accesso alla prova220.