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I reati di pericolo astratto e problemi di compatibilità con

CAPITOLO II: TECNICA NORMATIVA E STRUTTURA

4. I reati di pericolo

4.1 I reati di pericolo astratto e problemi di compatibilità con

Nonostante si assuma che le fattispecie di pericolo astratto siano costruite dal legislatore facendo riferimento al sapere scientifico, occorre prendere atto che spesso è difficile riscontrare una certezza empirico-scientifica sulla capacità offensiva di alcune condotte.

In assenza di certezze scientifiche assolute circa la pericolosità di un’azione, occorre capire quale sia il grado di attendibilità che il diritto penale richiede alla scienza per poter addivenire ad una incriminazione. A tal proposito spesso si fa riferimento a una ragionevole affidabilità.

Quindi può accadere che non sempre il fatto concreto coincida con quello tipizzato dal legislatore e, pertanto, possono verificarsi casi in cui l’agente viene punito perché la sua condotta rientra tra quelle ritenute normalmente pericolose, a prescindere dal fatto che lo sia stata effettivamente nel caso di specie.

Di conseguenza, in queste ipotesi, potrà verificarsi uno scarto tra tipicità e offensività.

Questi scarti possono verificarsi con maggiore o minore frequenza, a seconda che il legislatore abbia tenuto più o meno in considerazione i risultati delle leggi scientifiche, ma il loro verificarsi non pregiudicherebbe la validità del modello di pericolo astratto, anzi, essi sarebbero tollerabili data la loro irrilevante frequenza statistica. Tuttavia, pur non andando ad inficiare la validità del modello, pongono diversi problemi di compatibilità con il principio di offensività che può dirsi riconosciuto implicitamente dalla nostra Costituzione.

Del resto la necessità che ciascun reato sia caratterizzato da un’offesa, deriva dal fatto che la compressione della libertà dell’individuo può ammettersi solo dinnanzi ad un’offesa concreta nei confronti di un bene di pari valore costituzionale. Ma un altro aspetto da valutare è quello relativo alla generale tenuta del sistema; il fatto che sia possibile incriminare condotte di per sé non offensive rende difficilmente interiorizzabile la norma incriminatrice e difficilmente percepibile il disvalore del fatto sia per il reo che per tutti i consociati. Di conseguenza si paventa il rischio di una «perdita di credibilità per il sistema che, dovendo intervenire con la sanzione penale per fatti di lieve entità, spunta le sue armi»58.

A questo punto si avverte la necessità di individuare dei meccanismi interpretativi che permettano di ridimensionare il problema e di riscontrare una qualche offesa nel caso di specie, al fine di individuare quantomeno un punto di equilibrio tra il principio di offensività e il modello dei reati di pericolo astratto. Occorre premettere che siffatto bilanciamento tra questi due aspetti è sempre labile e perfettibile allo stesso tempo, ed è un processo sempre in divenire che richiede uno sforzo costante del legislatore e dell’interprete59.

La Corte costituzionale è intervenuta in diverse occasioni andando a riconoscere la struttura composita del principio di offensività ed individuando un duplice livello di operatività dello stesso.

58 S. Moccia, Dalla tutela di beni alla tutela di funzioni: tra illusioni

postmoderne e riflussi illiberali, in Riv. it. dir. proc. pen. 1995, p. 368.

Il principio opera da un lato come criterio volto ad orientare le scelte del legislatore60, dall’altro come canone ermeneutico per

l’interpretazione e l’applicazione di norme.

In collegamento al primo profilo, si riscontra un atteggiamento prudente da parte della Corte costituzionale61 nel dichiarare

l’illegittimità delle norme per contrasto con il principio di offensività, anche per evitare un’eccessiva ingerenza nelle scelte del legislatore.

La Corte stessa ha infatti affermato che il suo intervento consiste nel «procedere alla verifica dell'offensività “in astratto”, acclarando se la fattispecie delineata dal legislatore esprima un reale contenuto offensivo; esigenza che, nell'ipotesi del ricorso al modello del reato di pericolo, presuppone che la valutazione legislativa di pericolosità del fatto incriminato non risulti irrazionale e arbitraria, ma risponda all'id quod plerumque

accidit»62.

Pertanto una declaratoria di incostituzionalità per contrasto con il principio di offensività si può avere allorché la fattispecie, già nella sua formulazione astratta, si dimostri sempre inidonea a descrivere e rappresentare fatti offensivi. Questo atteggiamento di prudenza della Corte non poteva che manifestare i suoi riflessi sull’applicazione e l’interpretazione delle norme ad opera del giudice ordinario.

Infatti, al di fuori dei casi in cui la formulazione astratta sia sempre incapace di rappresentare fatti offensivi, sarà rimesso al giudice il compito di verificare se la fattispecie concreta sia, oltre

60 Per cui la condotta dovrebbe essere assoggettata a pena da parte del

legislatore, in quanto oggettivamente pericolosa per il bene.

61 Per la prima declaratoria di incostituzionalità di una norma per contrasto

con il principio di offensività si dovrà attendere la sent. 17 Luglio 2002 n. 354, in Cass. Pen.

che rispondente alla fattispecie astratta, anche effettivamente connotata da offensività; qualora non lo sia, la condotta andrà a ricadere nella figura del reato impossibile63.

Tuttavia questa soluzione presenta delle criticità rilevate più volte dalla dottrina.

In primo luogo il principale aspetto di criticità è da rinvenire, senza dubbio, proprio nell’attribuzione al giudice di un potere di accertamento della reale pericolosità della condotta, che rischia di mettere in crisi la distinzione tra pericolo astratto e pericolo concreto.

In secondo luogo, attraverso l’attribuzione al giudice del potere di addivenire a siffatta valutazione circa la reale offensività della condotta, rischiano di essere messi in crisi i principi di certezza del diritto e di legalità qualora al giudice siano attribuiti poteri eccessivamente discrezionali.

Questi rilievi sembrerebbero superabili stando alla ricostruzione operata da Catenacci64, che sottolinea come, nel caso in cui il

giudice dubiti della effettiva pericolosità della condotta, dovrà accertarsene seguendo un procedimento articolato in due fasi: in primo luogo dovrà individuare il bene giuridico tutelato dalla fattispecie astratta e i caratteri del pericolo, in modo da definire il modello legale d’offesa.

63 In questo senso vedi, fra le altre, la sentenza della Corte costituzionale del

18 Luglio 1997 n. 247, in Leggi d’Italia, in base alla quale « … l'accertamento in concreto dell'offensività specifica della singola condotta, anche per i reati formali e di pericolo presunto, in ogni caso, è devoluta al sindacato del giudice penale. Conseguentemente la mancanza di offensività in concreto, lungi dall'integrare un potenziale vizio di costituzionalità, implica una valutazione di merito rimessa al giudice (sent. n. 360 del 1995; sent. n. 133 del 1992; sent. n. 333 del 1991; sent. n. 296 del 1996)».

64 M. Catenacci, I reati ambientali e il principio di offensività, in Riv.

Solo in un secondo momento dovrà confrontare il modello così ottenuto con il fatto storico e le sue caratteristiche, per verificare se l’offesa si sia effettivamente realizzata.

Così facendo si attenuano i rischi che questo meccanismo può comportare relativamente al fatto che il principio di offensività possa tradursi in un potere del giudice, del tutto discrezionale, di ritenere offensive condotte che non lo sono, con conseguenti rischi per la certezza del diritto e di incompatibilità con il principio di legalità.

Ma questo meccanismo non rappresenta certo la panacea di tutti i mali; se da un lato risolve alcuni problemi teorici, dall’altro ne porta con sé altri di tipo pratico.

Da questo punto di vista, infatti, il rischio è quello di trascurare le ragioni di stampo prettamente processuale che hanno portato a optare per il modello del pericolo astratto, quali quelle legate all’accertamento del nesso causale, di difficile se non impossibile accertamento per le ragioni sopra viste.

Il legislatore, optando per la costruzione della fattispecie attorno al pericolo astratto, in un certo senso, ha ritenuto di sollevare il Pubblico Ministero dal provare la reale pericolosità della condotta nel caso di specie.

Se la possibilità del giudice di condannare l’imputato dipendesse dalla prova fornita dal Pubblico Ministero circa l’effettiva pericolosità della condotta, si rischierebbe di imporre un metodo di acquisizione della prova disfunzionale alle ragioni che hanno portato a ricorrere alle fattispecie di pericolo astratto65.

Un escamotage per uscire da questa situazione di impasse potrebbe essere quello di valorizzare adeguatamente l’idea di cui, sia la dottrina italiana che tedesca, si erano già fatte

portatrici, ossia quella di smorzare la portata della presunzione di normale pericolosità intendendola non come assoluta, bensì come relativa.

In questo modo non si imporrebbe al Pubblico Ministero di dare prova dell’effettiva pericolosità della condotta, ma si darebbe all’imputato la possibilità di dimostrare che il pericolo non si è realizzato nel caso di specie.

Tale prova, sebbene rimessa alla valutazione del giudice secondo il suo libero apprezzamento e comunque soggetta al criterio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, sarebbe sufficientemente in grado di arginare il potere del giudice da un eventuale repressione indiscriminata di condotte apparentemente tipiche ma inoffensive.

Tuttavia questa soluzione, ammettendo la prova della non pericolosità in concreto, opera un’inversione dell’onere della prova e finisce per far gravare sull’imputato un onere dell’accusa comportando il rischio di collisione con il canone dell’in dubio pro reo.

Al contrario, secondo il punto di vista di Catenacci66 , questa

impostazione potrebbe dirsi fondata, in quanto rappresenterebbe un diritto per l’imputato di provare l’assenza di tipicità del fatto, proprio per la mancanza di offensività.

L’attribuzione di tale facoltà troverebbe corrispondenza nelle disposizioni del Codice di procedura penale che regolano la formazione della prova.

In particolare il riferimento andrebbe principalmente all’art. 190 c.p.p. rubricato “diritto alla prova” e all’art. 187 c.p.p. in base al

quale oggetto di prova sono anche i fatti che si riferiscono alla punibilità67.

Questo meccanismo, così congegnato, potrà funzionare solo tenendo bene a mente che l’accertamento dell’effettiva pericolosità deve essere ammesso solo quando l’esposizione del bene al pericolo sia un elemento costitutivo della fattispecie. Quindi tale accertamento sarà, evidentemente, escluso laddove la struttura della fattispecie sia tale da dar luogo alla tutela di mere funzioni amministrative.

Secondariamente la non punibilità della condotta appartenente alla categoria di quelle ritenute generalmente pericolose dal legislatore, dovrà essere sottoposta ad alcune condizioni fondamentali:

a) L’assenza di pericolosità dovrà essere provata allegando uno o più fatti specifici;

b) La dimostrazione della presenza di una circostanza che sia in grado di annullare la prognosi di pericolosità operata dal legislatore e non solo di metterla in dubbio.

Nel fare ciò si dovrà mostrare fedeltà al criterio che ha portato il legislatore a concludere per la presunta pericolosità della condotta, e coglierne la ratio.68

67 Quindi se ex art 49,2 c.p. si ha la non punibilità per inidoneità dell’azione a

determinare l’evento dannoso o pericoloso, anche l’assenza della pericolosità presunta dal legislatore, dovrebbe essere oggetto di diritto alla prova.

68 Quindi per “annullare” la prognosi di pericolosità del legislatore, ad

esempio, si potrà far leva su argomenti quali il venir meno della legge scientifica di copertura che ha portato a concludere per la pericolosità di una determinata condotta.