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La guerra, lucroso affare di pochi privati

Capitolo II Il governo della casa Il governo del regno (1548-78)

3.6. La guerra, lucroso affare di pochi privati

La guerra, in quegl’anni di grandi sforzi logistici, fu occasione di lucro per diversi mercanti e uomini d’affari. La Regia Corte, come abbiamo accennato, aveva

425 Ivi, c.176. 426 Ivi, c.117. 427 Ivi, cc.277-278.

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bisogno di grandi quantità di vettovaglie - frumento soprattutto - e per reperire velocemente il necessario si rivolse a tutti quei soggetti economici che potevano approntarne in misura consistente. Si trattò come ovvio di un grande affare soprattutto per gli investitori genovesi i quali, disponendo di grandi capitali e di solide ramificazioni politiche nell’isola, furono in grado di attuare vere e proprie politiche speculatorie su vasta scala. A causa dello stato di necessità le autorità siciliane non potevano andare troppo per il sottile; i rifornimenti granari, specie per le fabbriche di biscotto dovevano essere garantiti, e con celerità, per cui troppo spesso il regno si trovò costretto a pagare il grano, proprio quello siciliano, a prezzi talora anche esorbitanti.

Pochi esempi possono essere assai esplicativi.

Tra l’ottobre del 1572 e il gennaio successivo per rifornire la fabbrica di Messina la corte comprò 6500 salme di grano da Pietro Gregorio e Antonio Lomellino in quattro partite provenienti dai caricatori di Termini, Sciacca e Castellammare del Golfo. I fratelli genovesi guadagnarono per l’occasione 7500 onze cioè in media 37 tarì per salma venduta428. Un prezzo indiscutibilmente sostenuto. Un altro Lomellino, questa volta Andrea, nel novembre 1572, vendette alla corte, anche in questo caso per le esigenze delle fabbriche biscottificie, 1700 salme di grano a tarì 39 e grani 10 lucrando più di 2200 onze429.

Sebbene i membri della famiglia Lomellino furono tra quanti guadagnarono più di chiunque altro, l’affare fu così appetitoso da attirare molteplici investitori: nel novembre del 1572, Francesco Campana vendette alla corte 500 salme di grano a tarì 39 e grani 10 la salma da consegnarsi presso le fabbriche di Palermo430, due mesi dopo altre 2000 salme al prezzo di 1 onza e 10 tarì la salma431, e infine, durante l’estate, altre 1000 salme al prezzo più contenuto di 38 tarì la salma432. Mentre accadevano queste transazioni Pietro d’Afflitto e Prospero Lo Iudici riuscirono a piazzare due partite di grano presenti nel caricatore di Sciacca ma furono meno fortunati, per le 749 salme vendute alla corte ottennero soltanto 32 tarì la salma433. Altrettanto esiguo il guadagno di un altro siciliano, Angelo Setayolo, il quale lucrava poco più di 31 tarì a salma dalle 1000 reperite e vendute a Sciacca434. Notevolmente

428 Ivi, c.49, cc.71-72, 95-96, 119, 185. Nello specifico vennero estratte 1000 salme da Termini,

1100 da Sciacca e 4400 salme da Castellammare.

429 Ivi, cc.100-101. 430 Ivi.

431 Ivi, cc.190-191.

432 ASP, Tribunale del Real Patrimonio, Lettere e dispacci viceregi, vol. 602 c.442. 433 ASP, Tribunale del Real Patrimonio, Lettere e dispacci viceregi, vol. 601 c.189. 434 Ivi, c.125.

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più fortunato invece un altro genovese, Giacomo Mutio, che nelle stesse settimane vendeva al regno, per le fabbriche termitane, 1000 salme a 39 tarì e 10 grani435.

Accanto a questi mercanti troviamo investitori dai volumi d’affari meno corposi ma altrettanto indicativi. Nel già citato novembre del 1572 la corte comprò 400 salme di grano da Romeo di Bernardo e 81 dal toscano Minarbet a tarì 39 e grani 10 la salma da versare alla fabbrica di biscotti di Palermo436. Il mese dopo la corte comprò allo stesso prezzo 400 salme da Francesco Corsi e 100 nuovamente da Minarbet437 mentre, all’inizio del nuovo anno, 1000 salme di grano da Paolo Mastiani al costo di 38 tarì la salma438.

Non mancarono altri mercanti i quali proposero ingenti partite cerealicole ma i prezzi non sempre erano tollerabili. Addirittura nel gennaio 1573 alcuni venditori proposero al secreto di Messina di comprare 5000 salme di frumento al prezzo di 55 tarì e 10 grani la salma; si trattava come ovvio di un prezzo folle, tale da sfiorare le due onze la salma, cosicché Carlo suggerì al secreto di rinunciare all’offerta439.

Da questi exempla comprendiamo come i prezzi del grano tendessero ad oscillare tanto sensibilmente quanto rapidamente tuttavia, accanto al fenomeno speculativo, non possiamo non notare la tendenza del mercato cerealicolo stesso verso una strutturazione fortemente oligopolistica. Tra la seconda metà del 1572 e la prima metà dell’anno seguente, infatti, su un campione di quasi 20 mila salme di grano vendute alla corte per fabbricare biscotti il 90% proveniva da soli cinque mercanti: Pietro e Antonio Lomellino con il 31% delle vendite, Giacomo Mutio col 22%, Francesco Campana col 20%, Andrea Lomellino l’11% e il Setayolo col 6%.

435 Giacomo Mutio oltre ad essere un ricco mercante genovese era anche un prestigioso armatore;

con le sue navi trasportò spesso grano dai caricatori alle città sede di biscottifici. Nel novembre 1572, ad esempio, trasportò 600 salme di grano da Girgenti a Palermo a 6 tarì la salma guadagnando così 180 onze. Ivi, c. 74-75.

436 Ivi, cc.72-73. 437 Ivi, c.119.

438 ASP, Tribunale del Real Patrimonio, Lettere e dispacci viceregi, vol.599 c.224. 439 Ivi, cc. 192-197.

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Fornitori di grano alla corte per le fabbriche di biscotti

Tornando al fenomeno speculativo occorre precisare che manovre di questo genere non riguardarono solamente i traffici cerealicoli bensì quelli di tutte le merci riconducibili allo sforzo bellico. Nel gennaio 1573, in una fase parecchio convulsa nella ricerca di vettovaglie, Carlo dovette accettare le 300 botti di vino siracusano provenienti da un mercante. Il vino in questione era offerto a 6 onze la botte, un prezzo elevato tanto che Carlo non lesinò una lamentela definendolo “un puoco

caretto” specie se confrontato ad altre partite (come quelle acquistate nell’agrigentino

costate mezza onze la botte), ma alla fine accettò di comprarlo440.

Spinta dal bisogno, quindi, la corte dovette sborsare cifre talvolta assai elevate; l’ondata speculativa colpì davvero tutti i prodotti suscettibili di uso militare, persino il costo dei ceci toccò punte elevate. Un certo Paolo Visconti, infatti, non esitò a chiedere 54 tarì la salma per circa 143 di ceci (presenti nel caricatore di Terranova).

440 Ivi. Pietro e Antonio Lomellino 31% Giacomo Mutio 22% Angelo Setayolo 6% Andrea Lomellino 11% Francesco Campana 20% Paolo Mastiani 5% Altri 5%

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Anche in questo caso il Presidente del regno, suo malgrado, ordinò di accettare l’offerta441.

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Capitolo IV

Tra mare e grano

(1571-1577)