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Capitolo II Il governo della casa Il governo del regno (1548-78)

2.2. I matrimoni

Grandi introiti quindi, molto spesso frutto di investimenti feudali anche se non mancavano le spese, per nulla trascurabili sicché, in alcuni casi, anziché comprare feudi occorreva venderne. La necessità, infatti, di rimborsare debiti – che il più delle volte consistevano nella dote da attribuire a una figlia che contraeva matrimonio - imponeva scelte radicali, rese meno fastidiose dal fatto che il matrimonio della prole femminile, nel caso di una fortunata successione, si poneva come strumento per ottenere eredità che avrebbero implementato le sostanze del casato. Nell’immediato però tutto ciò implicava la corresponsione della dote.

E’ il caso della vendita, effettuata da Carlo nel 1574, della baronia di Pietra Belice con il relativo “marcato de li Marzucchi” a Giorgio Tagliavia per 4000 onze. Metà di questa cifra doveva esplicitamente servire per la dote della figlia Anna andata in sposa a Giovanni Ventimiglia nel 1570, mentre 1000 onze dovevano essere destinate per la dote dell’altra figlia, Isabella, andata in sposa, nello stesso anno, a Ercole Branciforti conte di Cammarata104.

Sarà proprio la dote per la figlia Anna a costringere il padre a soluzioni assai impegnative per trovare le liquidità necessarie; servivano ben 5600 onze e il duca,

103 Ibidem, p.40.

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spinto dal bisogno, non esitò a chiedere al ricchissimo mercante Angelo Setayolo105 la cifra di 560 onze annuali per 10 anni pagandone ovviamente gli interessi. A ciò si aggiunga che per assicurare la restituzione della somma, il Terranova fu costretto a garantire con tutti i suoi possedimenti. Si trattava di una soluzione naturale ma allo stesso tempo rischiosa visto che, di fatto, metteva un’ipoteca sui suoi feudi. In più, poco tempo dopo Carlo, forse per paura di dare troppo potere a una sola persona o, come affermato in precedenza, per variare i soggetti economici su cui appoggiarsi, accettò che diversi personaggi subentrassero al Setayolo nel suo credito. Accadde così che Salvatore Caves, priore del convento di S.Cita a Palermo, Nicola Bologna figlio di Mariano, il potentissimo Vincenzo Opezinghi (più volte giurato di Palermo) e sua moglie Melchiona Bologna diventarono i suoi nuovi creditori106.

Ma la figlia che a causa della sua dote regalerà al principe di Castelvetrano per lunghi anni notti insonni fu di certo Isabella. Ancora al dicembre 1576 (cioè 6 anni dopo il matrimonio) Carlo doveva versare 1500 onze nelle mani del marito Ercole Branciforti. Per ottenere questa cifra egli vendette con la facoltà di riscatto il feudo dei “Fontanelli”, pertinenza di Castelvetrano, a don Gaspare Ventimiglia proprio per il prezzo di 1500 onze. Si trattava tuttavia di una perdita momentanea poiché quando Francesco Giglio si offrì di fargli da creditore per il riscatto, il duca non si fece scappare l’occasione per tornare in possesso del suo feudo. Un affare presto concluso: Giglio versò 1500 onze al Terranova ottenendo in cambio 120 onze annuali in perpetuo e, a garanzia delle 120 onze annuali, gli Aragona Tagliavia posero nuovamente tutti i loro possedimenti (incluse le abitazioni), ma almeno la proprietà dei “Fontanelli” poté tornare all’antico proprietario107.

Il problema quindi di trovare liquidità per far fronte alle doti era un assillo per il Terranova, legato non solo alle figlie ma anche ad alcune doti di lungo corso di suoi lontani parenti come, ad esempio, Melchiona Bologna, figlia di Pietro, che vantava una soggiogazione di 120 onze annuali nei confronti di Carlo ottenuta come dote per il suo matrimonio con Aloisio Ventimiglia108. Per rimediarvi il ricorso al debito divenne una prassi corrente e persino la moglie di Carlo, Margherita Ventimiglia nel

105 Il Terranova farà diversi affari col Setayolo ma il duca non era il solo a contendersi i vantaggi di

un uomo d’affari così competente. Il Setayolo infatti era un punto di riferimento per una buona fetta della nobiltà siciliana; in un atto del febbraio 1573 Carlo de Aragona Tagliavia insieme a Giliberto de Bononia marchese di Marineo e a Vincenzo Del Bosco conte di Vicari promettono di dare, in solido, onze 2665,15 ad Angelo Setayolo. Per approfondire il peso economico del Setayolo vedi il capitolo IV.

106 ASP, Fondo Notai defunti, Notaio Occhipinti, minuta 3780. 107 ASP, Fondo Notai defunti, Notaio Occhipinti, minuta 3781. 108 ASP, Fondo Notai defunti, Notaio Occhipinti, registro 3733.

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1575, pur di ottenere 2000 onze accettò una soggiogazione di 200 onze annuali, con un interesse del 10%, dal barone di Favarotta e dal barone di Castelluccio109.

Quando sul finire degli anni ’70 il duca ebbe terminato l’onerosa opera di

maritare pressoché tutte le sue figlie, le gravezze e le soggiogazioni sul suo

patrimonio salirono vertiginosamente toccando livelli mai raggiunti in passato. Se nel 1550, infatti, queste ammontavano a 532 scudi, già nel 1580 arrivarono a ben 6000

110, delle quali una buona fetta erano proprio dovute alle doti. Era di certo una cifra

spaventosa che costringeva il duca a una più accorta gestione delle proprie finanze, ma si trattava pur sempre di uscite ineluttabili, in altri termini della contropartita della non divisione dell’eredità111.

Se è vero che i matrimoni delle figlie crearono un generale impoverimento delle casse del casato, i matrimoni dei figli maschi portarono invece una boccata d’ossigeno giacché erano proprio tali matrimoni - insieme alla compravendita dei feudi - fonti di lucro per eccellenza oltre che tasselli fondamentali nell’ascesa politica del casato; matrimoni e affari costituivano quindi un unico grande “business” che mescolava insieme potere e rendita.

Anche delle nozze e della gestione degli affari dei figli maschi Carlo fu l’artefice, la mente che pianificava e dirigeva le strategie familiari nel complesso panorama del potere nobiliare. In ogni contratto di un certo rilievo - quali compravendite di feudi, tutoraggi e soggiogazioni - egli risulta, infatti, sempre come co-titolare. Inoltre sia Giovanni che Pietro, e più in là anche Simone e Ferdinando, non avranno mai una vera autonomia gestionale dei loro affari giacché tutto era controllato direttamente o indirettamente dal padre. E così, anche quando qualcuno di essi acquistava un feudo o un territorio, veniva sempre evidenziata la comproprietà col padre. Addirittura, a prescindere dall’avvenuta esecuzione di un atto, gli stessi figli in più occasioni affermeranno per iscritto delle procure in “bianco” per delegare il padre nello svolgimento di tutti gli affari inerenti i loro beni.

Ecco perché il matrimonio di un figlio maschio era per Carlo un introito di cui beneficiavano le casse del casato. A tal proposito, particolarmente lucrosa fu l’unione del terzogenito Pietro con Castellana Centelles, figlia di Almeric conte di Galeani e di una Del Bosco, già vedova di Giuseppe De Magistro-Antonio marchese di Sambuca. Si trattava di un matrimonio che sancì preziose alleanze non con una bensì con diverse casate (i Galeani, i Del Bosco e i De Magistro-Antonio) e che garantì diritti e attese su feudi fino a quel momento pressoché inaccessibili. Se a tutto ciò

109 ASP, Fondo Notai defunti, Notaio Occhipinti, minuta 3780. 110 M. Aymard, Une famille de l’aristocratie sicilienne, cit., p. 57. 111 Ibidem, p. 60.

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aggiungiamo una dote assai cospicua (per l’occasione la sposa portò in dote al marito la favolosa cifra di ben 16235 onze)112, è fuor di dubbio come l’architettura di questo matrimonio sia stata una vera opera d’arte. Unico neo di questa unione, il figlio di Castellana e del fu Giuseppe, Nicola; come immaginabile si trattava di un bambino che Pietro avrebbe sperato non fosse mai esistito o che almeno avesse potuto spirare presto ma, ad ogni modo, la sua presenza era una realtà con la quale Pietro doveva far i conti.

A Nicola, come ovvio, spettava il titolo di marchese ma vista la sua giovanissima età e la tutela affidata alla madre, l’influenza degli Aragona Tagliavia si fece sentire non poco sulle scelte e sulle operazioni economico-politiche del marchesato. E non appena Nicola si emancipò dalla tutela della madre, anche per lui si profilò un matrimonio sapientemente tessuto in ben altri palazzi. E così il giovane marchese di Sambuca venne dato in sposo a Elisabetta Bologna (la quale portò una dote di 8 mila onze) figlia di Vincenzo Bologna e di Emilia Aragona113.

Meno fortunato invece il matrimonio del primogenito Giovanni, marchese d’Avola – anch’egli accasato giovanissimo come i suoi fratelli – con la figlia del barone di Muxaro Maria de Marinis Moncada nel 1559, poiché dopo la sua morte nel 1577, la vedova si liberò presto delle responsabilità del marchesato ingabellandolo per intero per ben 9 anni al prezzo di 2600 onze annuali al cugino del marito114, quel Carlo, barone del Cellaro, del quale abbiamo già accennato.