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Prendiamo il caso dell’Ucraina, che semplicemente non esisteva anterior-mente alla Prima guerra mondiale: le terre ucraine erano divise fra Impero austro-ungarico e Impero russo e la natura ucraina delle stesse era oggetto del contendere fra aspirazioni nazionali diverse e necessariamente confliggenti laddove riguardavano gli stessi territori: Galizia, Bucovina, Transcapazia o Subcarpazia a seconda che ci si ponga al di qua o al di là di quei monti. La minoranza rusyna, qualora vogliamo vederla come un insieme, vive oggi soprattutto in quattro paesi: Polonia (Łemkowszczyzna), Slovacchia (Prešov), ex-Jugoslavia (Vojvodina) e Ucraina (Zakarpattja), con una ulteriore presen-za anche in Ungheria, ovviamente, in Romania, nella Repubblica ceca, in Croazia, tanto che si vorrebbe considerarla un quarto popolo slavo-orientale accanto a russi, bielorussi, ucraini. In quest’ottica non si parla di dialetto rusyn, ma di lingua rusyna. Nella Vojvodina, in Serbia, questo riconoscimen-to linguistico è stariconoscimen-to effettuariconoscimen-to già nel lontano 1923; in Slovacchia nel 19951. Questo significa che qui i rusyny sono considerati un popolo separato da quello ucraino, cosa che non è invece vera per l’Ucraina, dove il rusyn è con-siderato un dialetto ed i rusyny un sotto-gruppo di Ucraini.

Non posso qui addentrarmi nell’esame dell’evoluzione della questione rusyna o panrusyna (dato l’ampio raggio di insediamento di minoranze rusy-ne dall’Ucraina alla Polonia alla Romania alla Slovacchia all’Ungheria alla ex-Jugoslavia) dal punto di vista politico attuale, mi limito a sottolineare che dietro alla rivendicazione politica esistono una visione storica e una conce-zione storiografica specifica. Basti segnalare gli studi di Paul Robert Magocsi, ottimo studioso canadese di storia ucraina2, che si è dedicato all’e-same della questione rusyna, garantendole un posto nel panorama culturale europeo e mondiale3. Le tesi di Magocsi sono state sottoposte a critiche seve-re da parte di vari storici4, ma è indubbio che qui si pone un problema che non può essere frettolosamente messo da parte.

1Elaine RUSINKO, Straddling borders: literature and identity in Subcarpathian Rus’, University of Toronto Press, Toronto, Buffalo; London 2003. In questo volume Elaine Rusinko ricorda che nel 1995, in Slovacchia, è stata codificata, per la prima volta, una lingua letteraria rusyna.

2Paul Robert MAGOCSI, A History of Ukraine, University of Toronto Press, Toronto [etc.] 1996.

3 Primo fra tutti lo studio Paul Robert MAGOCSI, Shaping of a National Identity:

Subcarpathian Rus’, 1848-1948, Harvard University Press, Cambridge, MA, 1978.

Ricordiamo fra gli altri anche ID., A New Slavic Nation is Born, East European Monographs, Boulder 1996; P. R. MAGOCSI - I. POP (eds.), Encyclopedia of Rusyn

History and Culture, University of Toronto Press, Toronto; Buffalo, 2005. Di MAGOCSI

segnaliamo poi i 5 volumi dal titolo Carpatho-Rusyn Studies: An Annotated

Negli ultimi anni, grazie alla rete, la comunità rusyna, negli Stati Uniti ed in Canada, ha potuto connettersi e dare l’avvio ad un processo sfaccettato di riscoperta e valorizzazione del proprio patrimonio culturale. I rusyny sono riconosciuti come minoranza etnica in Slovacchia, Polonia, Ungheria, Cechia, Serbia, ma non in Ucraina.

Qui la questione del riconoscimento politico dei rusyny come entità speci-fica è problematico, perché comunque sono pochi coloro che si riconoscono come tali, vuoi per gli effetti dell’ucrainizzazione condotta dalle autorità sovietiche nel dopoguerra, vuoi perché l’influenza dei circoli esplicitamente ‘rusynofili’ è limitata5. Ma è certo che dal punto di vista storico e storiografi-co il problema merita di essere studiato, sottraendolo alle sollecitazioni poli-tiche o alle improvvisate, per quanto generose, ricognizioni della diaspora, vasta ed eterogenea.

Per tornare però alle denominazioni pre-nazionali, per ciò che concerne il discorso sulla minoranza rutena nell’Impero austro-ungarico è chiaro che questo concerne la Galizia, la Bucovina e, nella parte specificamente unghe-rese della Doppia monarchia, la Transcarpazia o Subcarpazia e la Slovacchia. A proposito di ruteni, io scelgo di parlare di minoranza nazionale più che di gruppo etnico, ma anche questa distinzione è chiaramente oggetto di polemi-ca, dato che la definizione di gruppo etnico viene vista come sminuente rispetto a quella di minoranza nazionale.

In realtà è chiaro che abbiamo a che fare con problemi regionali e di fron-tiera che già erano evidenti all’indomani della divisione nazionale dell’Europa ex-imperiale dopo la Prima guerra mondiale.

Come già ricordava Calvi in conclusione ad un suo pregnante articolo del 19946 bisogna ritornare allo studio dello State Building più che del Nation Building, perché dello stesso State possono far parte ben più di una sola Nation. Ma questo è il problema dell’oggi, che dovevo richiamare prima di affrontare la questione dei ruteni di Ungheria nel periodo fra Ottocento e Novecento dove si attuavano i grandi movimenti di rinascita nazionale che mettevano in crisi le cornici imperiali. In questo contesto la questione dei ruteni del Regno d’Ungheria ha tratti specifici rispetto a quella dei ruteni di

4 Si veda per es. Ivan L. RUDNYTSKY, Carpatho-Ukraine: A People in Search of

Their Identity, in ID., Essays in modern Ukrainian history, Canadian Institute of

Ukrainian Studies, University of Alberta, Edmonton 1987, pp. 353-373.

5 Taras KUZIO, The Rusyn Question In Ukraine: Sorting out Fact from Fiction, in «Canadian Review of Studies in Nationalism», 32 (2005).

6 Luca CALVI, Di nuovi e vecchi regionalismi e micronazionalismi attorno a

Bjelarus’ ed Ucraina, in Unioni, leghe e disunioni d’Eurasia. Fascicolo monografico di:

Galizia e Bucovina, tanto da avere portato a voler distinguere questi ruteni dai loro confratelli, enfatizzandone differenze linguistiche e culturali quasi non fossero dovute a fattori geografici e storici ben evidenti.

I ruteni di Ungheria, che qui chiamerò spesso rusyny per chiarezza esposi-tiva, più che per una scelta distinesposi-tiva, nel XIX secolo erano circa mezzo milione e vivevano nella regione subcarpatica nordorientale, nella parte nor-dorientale del Regno d’Ungheria; villaggi rusyny si trovavano in tredici comitati, ma solo in sette di questi comitati avevano una presenza consisten-te: secondo il censimento ungherese del 1910 Szepes (7,1), Sáros (22), Zemplén (11.4), Bereg (42.6), Ung (38.1), Maramaros (44.6) e Ugocsa (37,5)7.

Essi vivevano in piccoli villaggi, lavorando nelle campagne o nella fore-sta. I dati del censimento del 1910, riportati da Magocsi, attestano che l’89.6 per cento dei rusyny erano contadini, pastori, taglialegna e che questa per-centuale decrebbe molto lentamente negli anni successivi, tanto che ancora nel 1956 ben il 70 per cento di loro era ancora occupato nelle stesse attività.

Come sottolinea a sua volta Maria Mayer8la società subcarpatica era pre-valentemente composta di contadini: non vi erano grandi proprietari o signori feudali ruteni, né capitalisti od operai data la mancanza di sviluppo industria-le. Molto esigue, sottolinea poi Magocsi, erano le cifre di una piccola bor-ghesia rusyna o di un ceto professionale.

I rusyny erano scarsamente presenti nelle città, dove, del resto, i gruppi più rappresentati erano costituiti da ebrei, magiari e, nel XX secolo da cechi e poi da russi.

Essi rimanevano insomma nei villaggi e restavano, come ricorda sempre Magocsi sulla scorta di indici che vanno dal 1910 al 1930, «poveri ed illette-rati» rispetto alle altre componenti nazionali presenti dell’Impero asburgico9.

La vita rurale del resto non conobbe grandi sviluppi fra Ottocento e Novecento: si nasceva e si moriva per lo più nello stesso villaggio o al massi-mo in quello vicino; la scelta lavorativa riguardava la coltivazione dei campi o il pascolo del bestiame, spesso combinati; al limite ci si poteva spingere ad emigrare, prevalentemente verso gli Stati Uniti.

Così era anche per ciò che concerne i ruteni da una parte all’altra dei Carpazi. Povertà e analfabetismo portavano inevitabilmente all’immobilismo

7MAGOCSI, Shaping of a National Identity… cit., p. 9.

8Maria MAYER, Rusyns of Hungary: Political and Social Developments, 1860-1910, East European Monographs, Boulder 1997.

9 Per un quadro d’insieme rimando a Arthur J. MAY, La monarchia asburgica, il Mulino, Milano 1973. Cfr. anche Marek WALDENBERG, Le questioni nazionali

«economico, sociale ed intellettuale» rendendo ancor più difficile il compito dell’intelligencija di «sviluppare un movimento nazionale o di creare una coscienza nazionale nelle menti delle masse rurali»10. Se l’indicatore prescel-to per misurare la ‘maturità’ di un popolo è quello della nascita di un movi-mento nazionale supportato da una coscienza nazionale diffusa, i ruteni d’Ungheria erano estremamente svantaggiati non solo rispetto ad altre popo-lazioni slave, ma anche rispetto ai loro confratelli d’altre parti dell’Impero asburgico o, addirittura, dell’Impero russo.

Il problema del divario fra le élites politicamente impegnate e le masse rurali è un problema diffuso in Europa centro-orientale, e non solo sotto il profilo ‘nazionale’: basti pensare al populismo russo ed alla sua ideologia anarco-socialista che come ben analizzava Venturi ha sempre oscillato nel corso dell’Ottocento fra il mito dell’andata al popolo e la tentazione blanqui-sta, di cui in fondo l’attentato ad Alessandro II nel 1881 rappresenta l’apogeo11.

Se il movimento nazionale ucraino è emerso nel XX secolo con forza pro-prio nel più arretrato Impero russo e non in quello asburgico, fra i ‘piccoli russi’ più che fra i ‘ruteni’, ciò è avvenuto grazie all’effetto delle rivoluzioni russe del 1917, perché si è saldato con la questione sociale, molto più sentita a livello delle masse che non la predicazione su una ‘patria’ sempre rappre-sentata sotto le specie di governi variamente definibili ‘borghesi’. Ma basta pensare all’opposizione degli eserciti contadini ai governi ucraini che tenta-vano di consolidare l’indipendenza nell’Ucraina degli anni 1918-1920 per capire come momento sociale e nazionale non coincidessero nel senso voluto dai patrioti, donde una delle ragioni del fallimento del progetto ucraino12.

Tornando all’Ottocento, ed all’Ungheria, l’arretratezza economica, sociale e culturale della regione subcarpatica, e dei rusyny che lì vivevano, spiega le caratteristiche del cosiddetto movimento nazionale rusyno, che stentò a con-solidarsi, che fu condizionato da fattori esterni, che venne portato avanti da intellettuali privi di un adeguato supporto sociale. Di qui la considerazione che la rinascita nazionale rusyna è stata, per forza di cose, conservatrice e lontana dai problemi economici e sociali.

10MAGOCSI, Shaping of a National Identity… cit., p. 16.

11Franco VENTURI, Il populismo russo, III, Einaudi, Torino 1972; Giulia LAMI, Un

ribelle “legale”. N. K. Michajlovskij (1842-1904). Contributi per una biografia intellet-tuale, Unicopli, Milano 1990.

12 Giulia LAMI, La questione ucraina fra ’800 e ’900, Cuem, Milano 2005; Ettore CINNELLA, La tragedia della rivoluzione russa (1917-1921), Luni, Milano, Trento 2000, in part. cap. 3; A.V. ŠUBIN, Nestor Machno: bandiera nera sull’Ucraina. Guerriglia

Si combatteva soprattutto per la sopravvivenza della cultura rusyna, per tenere vivo l’alfabeto e la lingua e in questa battaglia primeggiava la Chiesa greco-cattolica, che preservando la lingua liturgica slava forniva il contesto legale per conservare la lingua tradizionale e l’alfabeto.

La locale intelligencija faticava ad impostare il discorso identitario al di fuori di schemi e termini religiosi. Del resto questa intelligencija era di origi-ne ecclesiastica: non solo perché origi-nella maggior parte dei casi si trattava di figli o di nipoti di preti greco-cattolici, ma perché, in effetti, il modo più ido-neo per fare carriera era quello di entrare nei seminari greco-cattolici non tanto e non solo per diventare preti, ma anche insegnanti quando non entram-be le cose. Se da un lato l’abbandono del villaggio, il distacco dalla vita rura-le, comportava necessariamente l’esposizione all’ambiente linguistico e sociale magiaro, contribuendo ad alienare l’aspirante intellettuale dall’origi-nario mondo ruteno, dall’altro, la frequentazione con altri slavi all’interno degli istituti di formazione poteva portare ad una riscoperta e valorizzazione delle proprie radici. Il ruolo di promozione culturale e sociale offerto dalla Chiesa greco-cattolica fu quindi essenziale fino al 1918, quando, nel nuovo stato cecoslovacco, i ruteni poterono frequentare scuole elementari e secon-darie laiche dove l’insegnamento nella lingua locale era garantito, contraria-mente a quanto non fosse nel vecchio stato magiaro.

Il problema della Chiesa greco-cattolica, nata dall’unione di Užhorod (Ungvár) nel 1646, nel Regno d’Ungheria fu sempre quello di conservare un’autonomia rispetto ai tentativi della Chiesa cattolica ungherese di portarla verso il rito latino, problema analogo a quello vissuto dalla Chiesa greco-cat-tolica galiziana rispetto alla Chiesa catgreco-cat-tolica polacca. In Ungheria, tuttavia, i rapporti fra le due Chiese, grazie alle iniziative del potere imperiale, furono più equilibrati e lo status dei preti greco-cattolici, con le relative immunità e privilegi, venne sostanzialmente garantito.

Nel 1771, l’imperatrice Maria Teresa eresse Mukačevo (Munkács) a dio-cesi, rafforzandone così l’identità greco-cattolica rispetto alla diocesi di Eger e mettendo fine ad un lungo conflitto. I rusyny del resto beneficiarono delle riforme teresiane e giuseppine nel campo educativo, acquisendo il diritto ad una istruzione elementare in madre lingua, anche se in ultima istanza il com-pito di organizzare le scuole ricadde sulla Chiesa greco-cattolica.

Nel 1777 la sede amministrativa della diocesi di Mukačevo fu trasferita a Užhorod che divenne anche sede della scuola teologica, mentre a Vienna e a Leopoli (L’viv in ucr.) furono istituiti centri di formazione del clero greco-cattolico, favorendo la sprovincializzazione del clero rusyno, finalmente in contatto con confratelli d’altre parti dell’Impero13.

13 Sulle complesse vicende della Chiesa greco-cattolica si veda A. B. PEKAR, The

I ruteni d’Ungheria, nella prima metà del secolo XIX, specialmente fra gli anni ’30 e gli anni ’50, guardavano tuttavia alla Russia come punto di riferi-mento per il consolidariferi-mento della propria identità slava, non diversamente, va detto, da quanto accadeva fra i ruteni – per non dire di altri slavi14 – di altre parti dell’Impero.

L’attrazione esercitata dalla Russia nei confronti degli elementi più dina-mici dell’intellettualità subcarpatica era del resto un dato di fatto già dal Settecento, perché proprio in Russia gli elementi più colti potevano ambire ad un inserimento nell’apparato amministrativo ed educativo in via di costru-zione e di sviluppo. Nell’ottica russa, del resto, gli abitanti della Subcarpazia erano comunque parte della loro civiltà, quanto i Bielorussi o gli Ucraini, fra-telli slavi separati, ma appartenenti, anche linguisticamente, alla stessa fami-glia. Era in fondo sempre l’idea dell’unità originaria della Rus’ di Kiev di cui Mosca sarebbe stata la naturale erede: idea ancora viva, per certi versi, al giorno d’oggi, per il suo valore geopolitico, più ancora che culturale15. Accanto a questo sentimento d’affinità verso la Russia, i rusyny nutrivano, in generale, quello d’appartenere a buon diritto alla ben più ampia famiglia dei popoli slavi, che proprio nella prima metà dell’Otttocento elaboravano a par-tire dal romanticismo tedesco il senso di una propria, irrrinunciabile identità.

Come declinare queste identità prossime, ma diverse?

Come sappiamo questo problema era all’ordine del giorno presso gli slavi dell’Impero asburgico e in questo contesto il caso dei ruteni d’Ungheria era di grande interesse storico e linguistico, anche se dal canto loro proprio i ruteni d’Ungheria stentavano a trovare la propria strada verso un’affermazio-ne identitaria.

Il problema della lingua era centrale e in questo essi segnavano il passo rispetto, per esempio, ai Cechi o anche agli Slovacchi. Bisognava partire dallo slavo ecclesiastico declinato in chiave rusyna e quindi mescolato al dia-letto locale? O bisognava puntare al modello russo, semmai recepito in termi-ni rusyny, dato che il russo era una lingua letteraria compiuta e di prestigio? La questione alla vigilia del 1848 non era né chiara né definita. Basti pensare che nessun delegato rusyno partecipò ai lavori del Congresso slavo che si tenne a Praga dal 2 al 10 giugno 1848, anche se il caso dei ruteni d’Ungheria fu ricordato nel corso del congresso16. Secondo Maria Mayer un momento importante per il consolidamento della tendenza russofila in Ungheria si

col-14 Per parlare di popoli vicini a quello ruteno si veda il caso slovacco: L’udovit HARAKSIM, Slovak Slavism and Panslavism, in M. TEICH - D. KOVÁČ- M. BROWN

(eds.), Slovakia in History, Cambridge University Press, Cambridge [etc] 2011, pp. 101-119.

15Giulia LAMI, Ucraina 1921-1956, Cuem, Milano 2008.

loca nel 1849, data della sconfitta della rivoluzione ungherese grazie all’inte-vento delle truppe russe e della politica austriaca pro-russa di quel periodo: sembrò allora, per esempio ad Adol’f Dobrianskii (1817-1901), molto influente fra gli intellettuali rusyny, che questi dovessero identificarsi con la nazionalità grande-russa e che dovessero guardare come modello letterario alla lingua russa.

Come abbiamo visto, questa posizione aveva un suo retroterra e non può essere letta solo in termini politici e/o in senso antimagiaro. È certo, tuttavia, che gli eventi del biennio rivoluzionario stimolarono anche da parte rusyna una risposta che si orientò naturalmente verso Vienna perché realisticamente sembrò che di lì potesse venire una prima soluzione del problema rusyno, ormai alla ribalta come tutti gli altri nello scenario della primavera dei popo-li. Adol’f Dobrianskii elaborò un programma politico sostanzialmente incen-trato sull’unità della Rus’ subcarpatica e della Galizia: i ruteni austriaci dove-vano insomma unirsi in un’unica provincia. L’attivista rusyno si trovò a Vienna proprio nel momento in cui veniva concordato l’intervento russo e venne investito della carica di commissario civile presso l’esercito invasore, che peraltro entrò in Ungheria proprio attraverso i Carpazi, festeggiato con stupore dalla popolazione locale che ne rilevava la vicinanza linguistica ed etnica.

Le prospettive che sembrarono aprirsi per un’autonomia rusyna si richiu-sero però rapidamente con il ritorno del controllo nelle mani di Vienna, dopo la sconfitta del movimento rivoluzionario ungherese, anche se gli eventi ave-vano dimostrato come le minoranze slave fossero senz’altro più filoaustria-che filoaustria-che filomagiare.

In una difficile posizione venne a trovarsi la Chiesa greco-cattolica, con-servatrice, quindi filoasburgica, ma con cautela, perché consapevole di dover pur sempre operare in un mondo magiaro e di non poter alimentare eccessive divisioni al suo interno. Guardando però al peraltro ristretto ambiente intel-lettuale rusyno, bisogna sottolineare che già allora esistevano accanto alla corrente russofila, una corrente puramente rutena e quella cosiddetta ‘magiarona’ che andarono rafforzandosi per riemergere nel 1867, anno del Compro -messo austro-ungarico. A queste due correnti si affiancò anche quella ucrai-nofila, in connessione con lo sviluppo dell’ucrainismo non solo in Galizia, ma anche in Russia, dove i diritti nazionali e linguistici dei “piccoli russi” non venivano certo tutelati o promossi. Gli ucrainofili e i rusynofili chiara-mente potevano fare fronte comune contro l’assimilazione, nonostante le dif-ferenze di impostazione su molti problemi a partire da quello della lingua. La tendenza russofila decresce significativamente dal 1871, come dimostra il cambio della guardia che si verifica a favore dei rusynofili all’interno della società di San Basilio, centro della rinascita culturale rusyna, fino ad allora dominato dai russofili. Ma è con la fine del secolo che l’attività culturale, per

quanto segnata da richieste di autonomia amministrativa e linguistica desti-nate a rimanere più teoriche che a tradursi in concrete opzioni politiche, si coniuga con uno specifico attivismo politico.

Nel 1895, con la nascita del Partito popolare cattolico ungherese, si apro-no nuove possibilità per i rusyny che si ricoapro-noscoapro-no largamente nel program-ma di questo partito. Il programprogram-ma del Partito popolare, partito d’opposizio-ne, riserva infatti uno spazio specifico alla questione delle minoranze nazio-nali, dall’istruzione scolastica, alla pubblicazione di libri, giornali e così via e tiene conto del problema contadino che è particolarmente grave nelle zone montane dove risiedono i rusyny. Le elezioni parlamentari del 1896 diventa-no così un banco di prova. Viene tuttavia a mancare il decisivo supporto al partito popolare del vescovo di Mukačevo, Iulii Firtsak (Gyula Firczák), che, come è stato ricostruito, poté, senza esporsi direttamente, contrattare benefici di varia natura, giungendo ad un compromesso con il primo ministro Bánffy.

Data l’inquietudine della popolazione rusyna, pronta a secondare il Partito popolare cattolico, venne varato, come contrappeso, un programma d’aiuto