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ASQUALEF
ORNARO1 Appartenente a una famiglia di antica nobiltà, Ferenc Deák (1803-1876) entrò in politica nel 1833 come deputato alla Dieta di Pressburg. Liberale moderato, fu ministro della Giustizia nel governo Batthyány durante la prima fase della rivoluzione nazionale del 1848-49, cercando di mediare tra Vienna e l’ala più radicale dei liberali kossuthiani. Negli anni Cinquanta si ritirò temporaneamente dalla politica attiva diventando l’emble-ma della resistenza passiva alla reazione austriaca, per poi rientrarvi nel 1861 come
lea-terriera e dall’alta borghesia magiare, prosecutore delle iniziative avviate fin dal ricostituito Parlamento2del 1861 da quel partito cosiddetto ‘dell’indiriz-zo’ (Felirati Párt)3che, forte dei suoi 258 deputati (58%), era cioè favorevo-le a una petizione al sovrano perché riconoscesse la costituzione del 1848. A contrastare questa linea prevalente era in Parlamento soprattutto il Partito cosiddetto della ‘risoluzione’ (Határozati Párt)4, decisamente minoritario (100 deputati – 23%) e per di più indebolito dalla perdita del suo leader più prestigioso, László Teleki, suicidatosi nel maggio del 1861. In Deák e negli altri moderati ungheresi prevalse, come è noto, anche la non secondaria con-siderazione secondo cui una sparizione totale dell’Impero austriaco dallo
der del gruppo dei liberali “petizionisti”, propensi cioè a un compromesso con Vienna. Negli anni successivi elaborò, alla testa del suo partito (Deák Párt), la base dell’accordo che venne poi accettato e ratificato nel 1867 sotto il nome di Ausgleich (Kiegyezés). Aspro fu in quegli anni lo scontro tra Deák e Kossuth, per il quale legare l’Ungheria alle sorti dell’Austria costituiva un vero e proprio atto suicida. Cfr., a questo proposito, i tanti spunti contenuti negli scritti del grande esule (Kossuth Lajos iratai, 13 voll., Athenaeum, Budapest 1880-1911) e, in particolare, la famosa ‘lettera di Cassandra’, indirizzata a Deák da Parigi proprio alla vigilia del Compromesso (22 maggio 1867), in cui Kossuth lo supplicava di non coinvolgere la nazione oltre quei limiti che le avrebbero impedito di costruire il proprio avvenire (ivi, vol. VIII: Levelek [Lettere], pp. 3-17). Per una biografia di Deák si rinvia, tra i molti studi a lui dedicati, all’ormai classica opera di Béla K. KIRÁLY, Ferenc Deák, Twayne Publishers, Boston 1975.
2L’Assemblea nazionale ungherese (Országgyűlés) era storicamente composta di due Camere: quella dei magnati (Főrendiház), di nomina regia e di numero variabile, riserva-ta ai rappresenriserva-tanti delle varie caste nobiliari, decisamente più imporriserva-tante prima del 1848, successivamente – con la riforma del 1888/VII – ridotta solo ai signori con un’im-posizione fiscale superiore alle 6.000 corone; e quella dei deputati (Képviselőház), eletti-va (con sistema censitario, il cui numero venne fissato in 413, a cui si aggiungeeletti-vano 40 deputati in rappresentanza del regno di Croazia e Slavonia.
3Il nome del partito richiamava, e riprendeva in qualche modo, l’usanza della Dieta ungherese, in epoca feudale, di preparare e sottoporre al sovrano un felirat (humillima
repraesentatio) in ordine alla promulgazione di una determinata legge. Si trattava di un
semplice indirizzo, di una petizione al re, il quale poteva accettare, respingere o rimanda-re per modifiche il felirat. Sebbene non dimentichi della dichiarata sovranità dello Stato ungherese nel 1848, Deák e il suo partito avevano scelto questa tattica ‘morbida’ per esporre le posizioni degli ungheresi (riconoscimento della costituzione ungherese e delle tradizioni storiche) ritenute indipensabili per trattare con Vienna e giungere, così, a un compromesso con l’Austria.
4 I suoi aderenti sostenevano la volontà di formulare e comunicare le posizioni ungheresi non nella forma di petizione, bensì in quella, più intransigente, di risoluzione (határozat) approvata dal Parlamento, senza margini cioè per trattative o, ancor meno, compromessi.
scacchiere centro-orientale europeo avrebbe avuto conseguenze negative per la stessa Ungheria, la quale sarebbe diventata una vittima predestinata dei contrapposti appetiti imperialistici di Prussia e Russia in quell’area. Un accordo con Vienna nell’ambito di una monarchia costituzionale austriaca avrebbe potuto, invece, meglio salvaguardare gli interessi della nazione. Fu così che il partito dei fedelissimi di Kossuth andò sempre più dividendosi e assottigliandosi, trasformando lo stesso ex governatore, ormai in esilio volontario a Torino, in una sorta di simulacro vivente delle belle ma utopisti-che idee quarantottiste di radicale distacco dall’Austria.
La riconciliazione con Vienna fu, dunque, un modo pragmatico per risol-vere non uno, bensì due problemi: quello del ripristino delle prerogative e delle leggi che l’Ungheria si era data nel 1848 e quello, non meno importante e sentito soprattutto dalla Corte di Vienna, di porre un freno alle difficoltà dell’Impero (accentuate, come è noto, dalla disfatta di Sadová) attraverso una ristrutturazione interna dello stesso e un nuovo patto con le minoranze nazio-nali che avrebbe potuto, anche se solo in parte, compensare la perdita di autorità degli Asburgo nel grande mosaico tedesco che si avviava ormai a riunirsi indissolubilmente sotto l’insegna degli Hohenzollern e del cancelliere Bismarck.
A gestire la delicata materia dell’accordo con l’Austria e ad ergersi a pro-tagonista assoluto di questa prima fase – fino alla fine degli anni Settanta – della nuova vita della nazione all’interno della rinnovata cornice isti tu -zionale5non fu però Ferenc Deák, ritiratosi dalla politica attiva e morto alcu-ni analcu-ni dopo, bensì il conte Gyula Andrássy6, vero e proprio suo erede alla guida del partito moderato e conciliatorista.
5 La sua denominazione ufficiale diventava Österreichisch-Ungarische Monarchie. Più comunemente veniva chiamata Österreich-Ungarn o anche k.u.k. Doppelmonarchie e perfino Donaumonarchie.
6Nato nel 1823 a Kassa (Košice), fu anch’egli tra i principali protagonisti della luzione nazionale ungherese del 1848-49, con l’incarico di rappresentare il governo rivo-luzionario a Costantinopoli. Condannato a morte in contumacia dall’Austria, andò esule a Londra, venendo più tardi graziato dall’imperatore e potendo rientrare, così, in patria nel 1857, dove ben presto divenne membro della Dieta e tra i più ferventi sostenitori del riavvicinamento a Vienna. Morì a Volosca (Volosko), nei pressi di Fiume, nel 1890. Tra i molti studi a lui dedicati, si segnalano in particolare quelli di István DIÓSZEGI(si veda, per es., Bismarck és Andrássy. Magyarország a német hatalmi politikában a XIX. század
második felében [Bismarck e Andrássy. L’Ungheria nella politica di potenza tedesca
della seconda metà del XIX secolo], Teleki László Alapítvány, Budapest 1998). Importanti anche i lavori di Tibor SIMÁNYI, Julius Graf Andrássy. Baumeister der
Doppelmonarchie, Mitstreiter Bismarcks, ÖBV, Wien 1990, e di Rainer F. SCHMIDT,
Graf Julius Andrássy. Vom Revolutionär zum Aussenminister, Muster-Schmidt Verlag,
Su di lui vanno spese alcune considerazioni che, naturalmente, non posso-no posso-non partire dalle ben posso-note simpatie che egli riuscì a conquistarsi da parte della giovane imperatrice Elisabetta e, suo tramite, dallo stesso Francesco Giuseppe in ordine alla positiva conclusione di un compromesso tra austriaci e magiari. Ma, se si vuol esprimere un bilancio complessivo sull’attività di statista svolta da Andrássy nel corso di un quindicennio passato ai massimi vertici della politica prima ungherese e poi austro-ungarica (fu, infatti, capo del primo esecutivo ungherese riconosciuto dal sovrano nel periodo che va dal febbraio 1867 al novembre del 1871 e, successivamente, autorevole mini-stro degli Esteri della Duplice Monarchia dal 1871 all’ottobre 1879), non si possono non mettere in evidenza alcuni tratti essenziali del suo operato e certe sue scelte di politica estera, talune condivise dall’opinione pubblica magiara, altre decisamente meno, tutte comunque sfociate in un vincolo con la Germania sempre più stretto che a distanza di tre decenni avrebbe finito, come è noto, per rivelarsi fatale per la sopravvivenza stessa dell’Austria-Ungheria imperiale e multinazionale7.
Uno dei primi e certamente principali meriti a lui attribuibili fu l’avere ottenuto da Vienna e l’avere poi posto in essere la riorganizzazione dell’eser-cito nazionale su base territoriale (Magyar Királyi Honvédség), che, come sappiamo, svolse almeno formalmente un suo ruolo specifico nel sistema generale di difesa della Duplice Monarchia8, benché i vertici militari di que-sta rimanessero sempre saldamente in mani austriache fino allo scoppio della guerra mondiale.
Analogamente si può definire una sua personale vittoria l’avere insistito sul mantenimento di una posizione di neutralità dell’Austria-Ungheria nel conflitto franco-prussiano del 1870. Dopo la sua successione a Friedrich Ferdinand von Beust nella carica di ministro degli Esteri, egli preferì rivolge-re le attenzioni dell’Impero alla rivolge-realizzazione di una privolge-reponderanza asburgi-ca nel quadrante balasburgi-canico del continente, là dove le diverse nazionalità del-l’area erano da tempo in fermento contro l’Impero ottomano, ormai in crisi profonda, ma rischiavano pure di cadere sotto l’egemonia del potente Impero russo. Di qui il suo impegno a limitare, se non a contrastare, l’influenza russa nei Balcani e la necessità di allinearsi, a questo scopo, alla politica perseguita
7 Cfr., sull’argomento, le recenti considerazioni di György DALOS, Ungheria in un
guscio di noce. Mille e venti anni della storia del mio paese, Beit, Trieste 2012, pp.
98-103.
8Esso contava anche sull’apporto della corrispondente austriaca k.k. Landwehr oltre che sulla struttura portante dell’esercito comune, la k.u.k. Gemeinsame Armee.
da Bismarck. Il ‘patto dei tre imperatori’9 e la successiva ‘duplice alleanza’ austro-tedesca10 furono sicuramente due delle tappe più significative dell’a-zione diplomatica condotta negli anni Settanta da Andrássy per restituire pre-stigio alla Monarchia austro-ungarica e per contenere il pericolo russo nell’a-rea sud-orientale europea. Ciò fu particolarmente evidente in occasione della crisi bosniaca del 1875 e della successiva guerra russo-turca, in cui la neutra-lità dell’Austria-Ungheria non significò affatto la passiva accettazione del-l’ingerenza russa nei Balcani, come ben dimostra l’esito del Congresso di Berlino (giugno-luglio 1878), dove, dopo le illusioni di incontrastata egemo-nia accarezzate dal principe Gorčakov con il trattato di Santo Stefano, tanto Bismarck quanto Andrássy fecero valere tutto il peso diplomatico delle gran-di potenze che essi rappresentavano, imponendo alla Russia sostanziali limi-tazioni al suo espansionismo nell’area sud-orientale europea e riuscendo, in particolare, il ministro austro-ungarico a vedersi riconosciuto nel contempo, col consenso anche della Gran Bretagna, il diritto all’occupazione militare e alla conseguente amministrazione della Bosnia-Erzegovina come fattore di equilibrio nella tormentata e incandescente area balcanica.
Tutto ciò, come è noto, lungi dall’eliminare, o anche solo dallo stempera-re, le tensioni delle nazionalità presenti nella regione, non fu condiviso com-pletamente dall’opinione pubblica ungherese, tradizionalmente orientata in senso filoturco e preoccupata per le ripercussioni negative, sul piano interno, di un accentuarsi delle agitazioni nazionalistiche degli elementi slavi – serbi
9Il Drei-Kaiser-Abkommen austro-tedesco-russo, del 23 ottobre 1873, venne in realtà a completare, con l’avallo di Bismarck, la convenzione militare austro-russa (Schönbrunner Konvention) sottoscritta il 6 giugno precedente. Il patto, come è noto, fu rinnovato nel giugno 1881 con un accordo difensivo basato sulla reciproca neutralità, il cosiddetto Dreikaiserbund, destinato a durare fino al giugno 1887, quando, di fronte all’incancrenirsi dei rapporti tra Austria-Ungheria e Russia, quest’ultima si decise a sot-toscrivere a Berlino un patto segreto di ‘controassicurazione’ con la Germania (Rückversicherungsvertrag) che, tre anni dopo, il nuovo Kaiser, Guglielmo II, avrebbe denunciato, sconfessando così la politica estera fino a quel momento seguita da Bismarck e favorendo, di fatto, l’avvicinamento franco-russo e la successiva alleanza (1892) tra le due potenze.
10Il patto segreto difensivo, il cosiddetto Zweibund fortemente voluto da Bismarck e Andrássy a coronamento della loro azione diplomatica al Congresso di Berlino e sotto-scritto dalle due parti a Vienna il 7 ottobre 1879 dopo lunghi mesi di trattative, fu, come è noto, il punto di partenza di un’alleanza che, dopo alcuni anni (maggio 1882), divenne tripolare per la volontà espressa dall’Italia di entrare a farne parte. La ‘Triplice Alleanza’, più volte rinnovata, sarebbe rimasta in vigore fino alla denuncia del patto da parte italiana, all’inizio di maggio del 1915.
e croati – del Regno, ma soprattutto dall’opposizione presente nel Parla -mento guidata dal dimissionario ministro delle Finanze Kálmán Széll, che nel novembre del 1878 chiese a viva voce le dimissioni di Andrássy; dimis-sioni che in quell’occasione vennero respinte, ma che furono da lui stesso volontariamente date l’anno seguente (ottobre 1879), subito dopo aver con-cluso la già ricordata alleanza difensiva-offensiva (la Duplice) con la Germania, che legava ancora più fortemente le sorti della Monarchia austro-ungarica al potente e baldanzoso vicino tedesco.
In questo primo periodo preso in esame, ma anche nei venticinque anni successivi all’uscita di scena del conte Andrássy, le redini del potere gover-nativo ungherese rimangono saldamente nelle mani dei moderati, prima come Partito Deák e poi, a partire dal 1875 (dopo la fusione con il grosso del Centro-sinistra), come Partito liberale (Szabadelvű Párt), lasciando all’oppo-sizione un ruolo nettamente marginale. Questa prevalenza è ampiamente documentata dal livello di consensi, assai stabile nel tempo (con punte di schiacciante superiorità nelle tornate elettorali del 1875 e in quelle a cavallo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo), che si concentra intorno a questa formazione politica: se, infatti, negli anni in cui la figura dominante (e la denominazione stessa del partito) è ancora Deák, riesce ad avere il 56-57% dei seggi in Parlamento (elezioni del 1865, 1869 e 1872), un travolgente suc-cesso si registra appunto nel 1875 (80,4% dei mandati) e, dopo un ventennio in cui ottiene sempre un numero di seggi che oscilla tra il 56 e il 63%11, anche nelle elezioni del 1896 (70,2%) e del 1901 (67%)12. Al di là delle dif-ferenze iniziali esistenti tra Partito Deák e Centro-sinistra, va sicuramente notato che la fusione avvenuta alla vigilia delle elezioni del ’75 fu un espe-diente adottato all’insegna della continuità politica di un sistema che, dopo i primi anni di promettenti prospettive sul piano di un armonico sviluppo della società ungherese nel suo complesso, già all’inizio degli anni Settanta comin-ciò a chiudersi nei riguardi della questione sociale e della questione delle nazionalità, privilegiando invece gli interessi delle classi dominanti tradizio-nali e ignorando o avversando, in una fase di incipiente crisi economica, le istanze provenienti dagli strati inferiori della società e segnatamente dal mondo operaio e contadino, che cominciava allora a darsi le prime timide forme di struttura organizzativa13.
11 Più esattamente: 58% (1878), 57% (1881), 56,5% (1884), 63% (1887), 58,8% (1892). Questi dati elettorali e quelli riportati nelle note successive sono tratti da
hu.wikipedia.org/wiki/Magyarorszagi_orszaggyulesii_valasztasok_a_dualizmus_kor aban
12Cfr. ibidem.
Quanto alle altre forze politiche in campo nella prima fase del dopoAus
-gleich, basterà ricordare come buona parte delle forze che – tanto sul versante
dei conservatori (Konzervatív Párt) quanto su quello del Centro-sinistra (Balközép), formato da esponenti della media e piccola nobiltà e da intellet-tuali di orientamento più marcatamente nazionalista – si erano inizialmente opposte al Compromesso del 1867 (anche se per ragioni diverse: gli uni per-ché chiaramente schierati con Vienna, gli altri perper-ché contrari non tanto alla sostanza quanto alla forma in cui il Compromesso era stato realizzato e fauto-ri perciò di un nuovo e più vantaggioso accordo per l’Unghefauto-ria, senza mini-steri in comune) finisca, dopo qualche anno, per confluire nel grande conteni-tore liberale costituito dal partito di governo, consentendogli la schiacciante affermazione del 1875 appena ricordata. Gli esponenti più intransigenti del Partito conservatore non riusciranno, in quella stessa importante tornata elet-torale, ad ottenere che un modestissimo 5% dei mandati (appena 21 deputati contro i 333 del Szabadelvű Párt)14. Più consistente numericamente, invece, l’opposizione moderata esercitata dai liberali dissidenti di Albert Apponyi e Pál Sennyei dal 1878 fino alla fine del secolo, prima come Opposizione unita (Egyesült Ellenzék), poi come Opposizione moderata (Mérsékelt Ellenzék) e, infine, come Partito nazionale (Nemzeti Párt)15.
Anche sul versante opposto dell’opposizione, quello degli ‘eredi’ del radi-calismo quarantottista di Kossuth (personaggi come József Madarász, László Böszörményi e, soprattutto, Dániel Irányi), che ancora nelle elezioni del ’69 e del ’72 aveva ottenuto, sommando i voti del Centro-sinistra e dell’Estrema Sinistra (Szélsőbal), un non trascurabile 36-37% dei mandati parlamentari16, i risultati non furono migliori, perché, dopo che il grosso del Centro-sinistra si unì con il Partito Deák, la restante parte diede vita insieme a una frazione
diretta da Mihály Táncsics (1799-1884), il quale l’anno dopo fonda pure il giornale che ne rappresenta le posizioni, la «Arany Trombita» [Tromba d’oro]. Dieci anni dopo sarà la volta del Partito dei non votanti (Nemválasztók Pártja) di Léo Frankel e, nel 1880, del Partito generale dei lavoratori (Általános Munkáspárt), di ispirazione più chiaramente marxista, che precede la nascita (1890) del Partito socialdemocratico d’Ungheria (Magyarországi Szociáldemokrata Párt).
14Cfr. http://hu.wikipedia.org/wiki/Magyarorsz..., cit.
15Le cifre indicano un partito d’opposizione moderata che va perdendo progressiva-mente peso in Parlamento. Passa, infatti, dal 8,1% (75 seggi) del 1878, al 13,8% (57) del 1881 e poi, via via, al 15,5% (64) nel 1884, al 10,6% (44) nel 1887, al 14,8% (61) nel 1892 e all’ 8,2% (33) nel 1896. Cfr. ibidem.
16Più esattamente, il Centro-sinistra era passato da un 20,8% dei seggi nel ’65 a poco più del 27% nelle tornate elettorali del ’69 e del ’72, mentre i dissidenti della Sinistra estrema erano cresciuti dal 4,2 % del ’65 al 9,5% del ’69 e al 8,9% del ’72. Cfr. ibidem.
dell’Estrema sinistra al Partito dell’indipendenza (Függetlenségi Párt), che nel 1875 non riuscì a raccogliere che l’8,7% dei mandati e 36 seggi. Capeggiato per un decennio circa da Lajos Mocsáry, questo partito si fuse, nel 1884, con il Partito dei quarantottisti kossuthiani, andando così a formare il Partito dell’indipendenza e del ’48 (Függetlenségi és Negyvennyolcas
Párt), che per un ventennio rappresentò la forza politica d’opposizione
numericamente più consistente nel Parlamento ungherese fino alla vittoria elettorale del 1905, bissata in maniera travolgente l’anno dopo17. Va comun-que detto che la compattezza di comun-questo partito fu solo di facciata a causa dei differenti modi di pensare dei suoi leader (Irányi, Justh, Helfy da una parte; Ugron e Bartha da un’altra; Mocsáry – poi espulso – da un’altra ancora) e che la contestazione del Dualismo andò via via attenuandosi tra gli indipen-dentisti, i quali misero da parte il quarantottismo e la lotta per le riforme radi-cali e per la conciliazione con le minoranze, preferendo piuttosto adattarsi alla realtà (e ai vantaggi) del sistema dualistico, di cui garantirono, sostan-zialmente, la continuità una volta vinte le elezioni, nel 1905.
Sono questi insomma, per tornare ancora alla prima stagione del periodo dualistico, gli anni – e sarà così per tutto il quindicennio che va dal 1875 al 1890 – in cui si afferma, tra tutte, la figura di un altro liberale che ha segnato la storia dell’Ungheria nel periodo preso qui in esame: Kálmán Tisza (1830-1902). Di lui, che era partito dalle posizioni del Centro-sinistra solo modera-tamente favorevoli a un accordo con Vienna e solo a condizioni diverse rispetto a quelle poi stipulate18, si può senz’altro affermare che fu il vero e proprio fondatore, nel marzo 1875, di quella che sarebbe stata la forza politi-ca di governo incontrastata per i successivi trent’anni: il Partito liberale. La sua sostanziale moderazione nel fare opposizione lo aveva reso l’uomo adat-to, ancora prima che andasse al governo, a superare la crisi dei primi anni Settanta e a consolidare, grazie alla sua prudenza e al pragmatismo della sua
17I risultati elettorali si mantennero sostanzialmente stabili, con l’eccezione del 1896, fino alla vittoriosa impennata del 19051906: 1884 (18,1% 75 seggi), 1887 (18,9% -78), 1892 (20,8% - 86), 1896 (12,1% - 50), 1901 (19,1% - 79), 1905 (39,9% - 165), 1906 (61,3% - 253). Da notare come alle elezioni del 1892, del 1896 e del 1901 fosse presente una frazione scissionista del partito, il Partito ‘Ugron’ (dal nome del suo leader), capace di ottenere una dozzina di seggi in ciascuna di queste tornate elettorali. Nelle ultime ele-zioni prebelliche, quelle del 1910, il partito si trovò di nuovo spezzato in più tronconi, dei quali i più consistenti furono la frazione ‘Kossuth’ (12,3% e 51 seggi) e la frazione ‘Justh’ (10,6% e 44 seggi). Cfr. ibidem.
18Si vedano i punti del suo programma di Bihar (1868), in cui si sostenevano la sop-pressione dei ministeri in comune, la creazione di un esercito nazionale e l’indipendenza completa delle finanze e del commercio ungheresi.
azione politica, il sistema del Dualismo in Ungheria. Operazione che gli riu-scì in pieno per un quindicennio attraverso il ricorso a un formale rispetto del costituzionalismo nei rapporti con il Parlamento e con la burocrazia di Stato (il che non escludeva, però, la pratica della corruzione e dell’intimidazione nelle elezioni e della cooptazione di uomini di stretta fiducia al vertice di enti e istituzioni), ma, nello stesso tempo, anche attraverso l’inflessibilità e perfi-no l’uso della forza nel reprimere ogni forma di contestazione e ogni