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RANCESCOG
UIDA1 Sui limiti e la variabilità della sovranità della casa d’Asburgo si veda, fra tanti, Robert J.W. EVANS, Felix Austria. L’ascesa della monarchia absburgica: 1550-1700, Il Mulino, Bologna 1981.
tici e nei fatti figlia di preesistenti sentimenti di identità comunitaria, etnica e nazionale2. In sostanza la vera novità, non solo ideologica ma effettuale e politica, era la richiesta dell’indipendenza del singolo popolo perché potesse costituirsi una propria “casa”, cioè lo Stato nazionale, piccolo o grande che fosse. Ovviamente in qualche caso l’osservatore dell’epoca, come anche lo storico in seguito, possono aver avuto l’impressione che fosse l’idea a pre-correre e quasi a creare l’esigenza e l’aspirazione politica; in altri casi invece le richieste e i programmi politici erano con tutta evidenza collegati se non derivati da una situazione reale, cioè non creata sul momento o in modo arti-ficiale. Su questa distinzione si potrebbe discettare a lungo, ma è facile capire che l’uso del nobile e suggestivo termine di nazione per i popoli polacco e ungherese era cosa facile non solo perché forniti di alcuni distintivi come la lingua, la letteratura, la cultura, le antiche strutture ecclesiastiche, ma soprat-tutto perché la precedente storia statale aveva lasciato in essi piena coscienza di una precisa identità. Si pensi soltanto, come trascorsi storici, agli Arpadi, agli Angiò d’Ungheria o a Mattia Corvino, come ai Piasti o agli Jagelloni di Polonia3.
Due dei quattro grandi imperi, quello russo e ancor più quello tedesco, tendevano alla omogeneità etnica all’interno dei propri confini. Per favorire tale omogeneità il governo tedesco fu impegnato, senza grande successo, in Posnania contro l’elemento polacco, cospicuo e dotato di grande capacità di resistenza; si impegnò in questo senso il cosiddetto hakatism, termine costruito sulle iniziali dei nomi di tre esponenti4del movimento per la germa-nizzazione di quella vasta regione a maggioranza etnica polacca. Lo strumen-to fondamentale, in uso già dal 1886, riguardò la cessione delle proprietà
ter-2Troppo lungo e noto il dibattito sulla pre-esistenza delle nazioni (rispetto agli Stati nazionali) oppure sull’invenzione delle nazioni, per cercare di fornire una traccia storio-grafica al di là di alcuni contributi di autori che variano da Anderson a Hobsbawn, da Smith a Gellner. Cfr. Ernest GELLNER, Nations and Nationalism, Basil Blackwell, Oxford 1983; Eric HOBSBAWM, Nations and Nationalisms since 1781, Cambridge University Press, Cambridge 1990; Benedict ANDERSON, Imagined Communities, Verso, London 1991; Anthony D. SMITH, Le origini etniche delle nazioni, Il Mulino, Bologna 1998; ID., Le origini culturali delle nazioni. Gerarchia, alleanza, repubblica, Il Mulino, Bologna 2010.
3 Mi sia consentito rinviare al mio saggio La nazione democratica: i movimenti di
indipendenza nell’Europa centro-orientale (Polonia, Ungheria), in «Annali» della
Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, 2003, pp. 57-79.
4 Hannemann, Kennemann e Tiedemann: questi i nomi dei tre fondatori nel 1899 dell’Associazione per la difesa delle Marche orientali (Deutscher Ostmarkenverein).
riere, ma al tirar delle somme i risultati desiderati da Berlino non vennero: la resistenza polacca fu demografica ancor prima che economica5. Nell’impero zarista da quando i fermenti delle varie nazionalità avevano intaccato la vec-chia idea imperiale, non legata a una concezione etnica o nazionale, aveva iniziato a diffondersi l’idea pan-russa. Per essa, gli altri popoli slavi dell’im-pero erano solo varianti rispetto alla nazione russa: dunque la tendenza era a compattare i sudditi dello zar sotto il profilo nazionale, sebbene per molti (tatari e altre popolazioni asiatiche o caucasiche) continuava a valere solo il vincolo dinastico o politico6. Tale idea non si identificava certo, ma aveva relazioni con il panslavismo, ideologia applicabile a territori ancora più vasti, abitati da altri popoli slavi.
Tardivamente, dal 1908, i Giovani Turchi cercarono di imitare tali tenden-ze nell’impero del sultano, tendentenden-ze assolutamente distanti dagli usi dei con-quistatori ottomani. Nonostante un lavoro di preparazione politica e ideologi-ca antecedente il 19087, essi ebbero troppo poco tempo per coltivare e conso-lidare una identità ottomana indistinta (che sarebbe comunque stata più idea-le e politica che non basata su fondamenta più tradizionali) e – in presenza di fattori favorevoli – la disgregazione di quell’impero lungo linee etno-nazio-nali era fenomeno universalmente atteso e pronosticabile. La storia degli ulti-mi decenni dei Balcani, ma anche del Nord Africa stavano a provarlo8.
5 Angelo TAMBORRA, L’Europa centro-orientale nei secoli XIX e XX (1800-1920), Vallardi, Milano 1971, pp. 275-277; nel 1886 era stata costituita una Commissione per la colonizzazione della Posnania, organismo «fort mal conçue, qui devait renforcer l’élé-ment allemand dans l’Est [mais] eut en fait le résultat contraire» (Norman DAVIES,
Histoire de la Pologne, Fayard, Paris 1986, p. 197).
6 La nota opera di Andreas KAPPELER, La Russia, storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, Roma 2006, è una buona guida per lo studio di questo fenomeno di tra-sformazione dell’ideologia della classe dirigente e della Corte zarista; si veda pure Darius STALIŪNAS, Making Russians. Meaning and practice of Russification in
Lithuania and Belarus after 1863, Rodopi, Amsterdam-New York 2007; Theodore R.
WEEKS, Nation and state in late imperial Russia: nationalism and Russification on the
Western frontier, 1863-1914, DeKalb, Northern Illinois University press 2008.
7I Giovani Turchi, in parte eredi della corrente dei Giovani ottomani, già viva dagli anni Sessanta dell’Ottocento, erano gli affiliati ai Comitati Unione e Progresso, costitui-tisi dal 1899 come capillare organizzazione rivoluzionaria soprattutto all’interno delle forze armate stanziate in Europa. Tra le opere recenti si vedano Klaus KREISER -Christoph K. NEUMANN, Turchia, Porta d’Oriente, Beit, Trieste 2010, pp. 277-281, e Francisco VEIGA, Il potere conquista il potere. Considerazioni sulla rivoluzione dei
Giovani Turchi, 1908, in A. BASCIANI– A. D’ALESSANDRI (a cura di), Balcani 1908.
Alle origini di un secolo di conflitti, Beit, Trieste 2010, pp. 21-32.
Nell’Austria-Ungheria invece prendevano piede aspirazioni e convinci-menti alquanto differenti rispetto a quelli sin qui illustrati. Quelle aspirazioni e quei convincimenti furono ben rappresentati da un intellettuale romeno (dal nome vagamente slavo) Aurel Popovici, nato a Lugoj nel Banato, allora parte integrante della Duplice Monarchia. Egli propose la trasformazione dell’im-pero negli Stati Uniti della Grande Austria9. Andava così oltre le aspirazioni più tradizionali al trialismo dei boemi, poi fatto proprio anche da serbi e croati. Pure il trialismo auspicava che la Monarchia non fosse più solo Duplice, cioè non fosse appannaggio soltanto delle nazioni austro-tedesca e ungherese, ma si fondasse almeno su una terza componente (il Regno di Boemia o Corona di san Venceslao, oppure semplicemente anche sui popoli slavi).
È lecito porsi una domanda: di tutte le tendenze presenti nei diversi impe-ri, quale era la più proiettata verso il futuro? Il panrussismo (in certa misura pure il panslavismo) ebbe il suo seguito – sotto le vesti di una ideologia nata occidentalista e internazionalista quale il bolscevismo o marxismo-leninismo – nelle vicende dell’Unione Sovietica destinata a divenire la maggiore Potenza europea, in concorrenza con quelle extra-europee. Il pangermanesi-mo scivolò progressivamente verso un’ideologia, quella nazional-socialista, che esasperava al massimo grado il conflitto etnico e razziale, immaginando lo sterminio integrale o parziale, di una razza, cioè di alcuni popoli, e la
sot-un brandello d’Europa, che includeva Costantinopoli, alla penisola anatolica, e al Medio - oriente arabo (attuali Siria, Iraq, Giordania, Palestina, Israele, penisola arabica); si veda il classico Stanford Jay SHAW- Ezel Kural SHAW, History of the Ottoman Empire and
modern Turkey, Cambridge university press, Cambridge 1976-1977.
9Die vereinigten Staten von Grosse-Osterreich, Elischer Nachfolger, Leipzig 1906.
In mancanza di una biografia scientifica e completa, su di lui si possono leggere Les
pré-curseus de l’éuropéisme. I. Aurel C. Popovici, Fondation Européenne Dragan, Milan
1977; e Constantin SCHIFIRNEŢ, Aurel C. Popovici: un punct de vedere conservator
asu-pra naţiunii, in Geneza modernă a ideii naţionale, Editura Albatros, Bucureşti 2001, pp.
96-116. Per una visione più “pessimista” sia su Popovici sia sulle possibilità di trasfor-mazione della Duplice Monarchia si veda Catherine HOREL, La question nationale en
Autriche-Hongrie: droits et réalités, in D.T BATAKOVIĆ(ed.), Minorities in the Balkans.
State policy and interethnic relations (1804-2004), Institute for Balkan Studies, Belgrade
2011, pp. 25-32. Invece per Lucian Boia (protagonista di una profonda revisione storio-grafica dell’idea nazionale romena, piuttosto che l’inclusione della Transilvania nello Stato nazionale romeno, «la soluzione ideale sarebbe stata forse la ristrutturazione radi-cale dell’impero, perché divenisse da monarchia dualista austro-ungarica una comunità di popoli uguali»; LUCIAN BOIA, De ce este România altfel?, Humanitas, Bucureşti 2013, p. 72.
tomissione socio-economica dei superstiti. La repubblica kemalista fece della Turchia il relativamente piccolo ma nazionale erede dell’enorme impero pluri-continentale su cui avevano regnato i successori dell’emiro Osman. L’Austria - Ungheria si dissolse ancora prima che fossero siglati i trattati di Saint Germain (1919) e del Trianon (1920)10 dando vita a due repubbliche separate, mentre molti suoi territori entravano a far parte di Stati già esistenti (Romania) oppure neo-costituiti (Cecoslovacchia, Polonia, Jugoslavia).
Eppure proprio la Duplice Monarchia sembrava essere non troppo distante da una soluzione equa per tutti i popoli, soluzione capace di farli collaborare in un’unica grande cornice di stampo federale che, in prospettiva, avrebbe potuto servire da esempio per altri popoli, aggregandoli progressivamente per libera scelta. Realizzando il sogno di quanti già nell’Ottocento parlavano degli Stati Uniti d’Europa, si sarebbe così attuata in anticipo quella stessa scelta che i popoli europei, quasi tutti ormai, hanno fatto in conseguenza di un secondo impressionante lavacro di sangue avvenuto tra il 1939 e il 1945. Senza mitizzare il mito asburgico, nella cosiddetta “prigione dei popoli” vi era un germe di futuro più che in altre grandi cornici sovrannazionali e negli Stati più o meno nazionali. Vi era anche un’idea di tolleranza che altrove mancava. Forse bisognava passare attraverso la fase degli Stati nazionali dif-fusi in tutti o quasi gli angoli del Continente, e vederli scontrarsi tra di loro, perché quel seme germogliasse e si cominciasse a pensare a Unioni e federa-zioni tra pari, e soprattutto non esclusive. Dopo il primo conflitto mondiale che teoricamente sancì il successo dell’idea nazionale e dello Stato-nazione, negli anni Venti e Trenta tali progetti furono proposti ripetutamente.
Va ricordato che le idee federali e confederali (distinguibili tra loro in ragione della maggiore o minore autonomia riconosciuta alle singole compo-nenti nazionali) furono molto diffuse già nel XIX secolo, anche e soprattutto tra coloro che combatterono la dinastia absburgica. Mazzini, il quale credeva nell’unità della singola nazione (“Italia una, libera e repubblicana” il suo motto) e alla collaborazione tra le nazioni, successiva ai singoli processi di unificazione e rinascita, introdusse una variante nel suo pensiero quando dovette trattare dei popoli dell’Europa centrale e balcanica. Si trattava in parole semplici di una variante federale o confederale. Proprio parlando della nazione ungherese aveva immaginato già negli anni Trenta11 del XIX secolo
10Tra tanta storiografia si veda A. BASCIANI- R. RUSPANTI(a cura di), La fine della
Grande Ungheria fra rivoluzione e reazione (1918-1919), Beit, Trieste 2010.
11 Giuseppe MAZZINI, Dell’Ungheria [1833], in Scritti editi ed inediti. Edizione
che essa dovesse guidare un grande Stato, da creare sulle ceneri dell’impero austriaco, e comprendente in realtà più popoli: in sostanza si trattava dell’Ungheria storica, con tutta la sua varietà etnica interna. Con il tempo aveva aggiustato il tiro e corretto la sua ipotesi. Resosi conto che, sotto la spinta delle nuove idee romantiche e nazionali che correvano per tutta Europa, ormai anche altri popoli ambivano alla dignità di nazioni, prese a suggerire soluzioni concordate, cioè la Confederazione danubiano-balcani-ca12. Tanti lo seguirono su questa strada, sia pure con alcune specificazioni o variazioni: personaggi minori ma buoni conoscitori dei popoli dell’area come Marco Antonio Canini13, e maggiori, però meno informati su quelle realtà nazionali, come Giuseppe Garibaldi. Tutti immaginavano che i popoli dalla Croazia sino alla Bulgaria, una volta battuti gli imperi austriaco e ottomano – che nella loro visione dovevano cadere insieme – dovessero, potessero e volessero serrare tra loro un vincolo federale o confederale, per essere ognu-no padrone in casa propria nel pieognu-no rispetto della propria identità nazionale, ma anche delle diversità o mescolanze regionali. Naturalmente tali progetti si preoccupavano pure degli equilibri continentali poiché non solo i conservato-ri conoscevano l’importanza dell’Etat du centre, cioè dell’Austconservato-ria. Persino nel Medio Evo l’esistenza di una Potenza al centro del continente europeo aveva avuto una funzione essenziale, salvo a ricordare che all’epoca essa era svolta dal regno ungherese di Mattia Corvino.
Non va taciuto poi che proprio nel clima del Quarantotto in seno all’Impero d’Austria si erano palesate idee simili, cioè di ispirazione federale o fortemente autonomistica, non tra rivoluzionari e cospiratori, ma in una sede altamente rappresentativa, cioè nel Parlamento o Costituente riunito a Kremsier (Kroměříž)14. In quella sede l’elemento tedesco e quello ceco
tro-12Si vedano Giuseppe PIERAZZI, Mazzini e gli slavi dell’Austria e della Turchia, in
Mazzini e il mazzinianesimo. Atti del XLVI congresso di Storia del Risorgimento, Roma
1974; Francesco GUIDA, Mazzini e il problema delle nazionalità con particolare
riguar-do all’Europa orientale, in Le lotte secolari di italiani e bulgari per la creazione di uno Stato indipendente, Gutenberg, Sofia 2006, pp. 299-321; ID., Giuseppe Mazzini e l’Europa orientale, in Il mazzinianesimo nel mondo, IV (2011), Pisa, Istituto Domus
mazziniana (supplemento al Bollettino della Domus mazziniana di Pisa), 2012, pp. 121-145.
13Canini molto scrisse e molto operò; riguardo alla Lega per la liberazione e l’affra-tellamento della penisola slavo-ellenica (che costituì in occasione dell’insurrezione bosniaca del 1875) e alla Società elleno-latina si veda il suo Storia di un libro, Torino 1882; per un quadro più completo del personaggio rinvio al mio L’Italia e il Risor
-gimento balcanico. Marco Antonio Canini, Edizioni dell’Ateneo, Roma 1984.
varono un compromesso, mai più raggiunto in seguito, per quanto riguardava la Boemia-Moravia, ma soprattutto furono avanzati diversi progetti di riorga-nizzazione dell’Impero in più entità, a volte includendo e a volte escludendo l’Ungheria. Tali entità dovevano essere cinque per Ludwig von Lönher, sette per il serbo di Croazia Ognjeslav Utješenović Ostrožinski, otto per František Palacký, mentre quattordici le province autonome (con poteri su finanza, politica e cultura) secondo la proposta approvata infine dal Parlamento. Questo, però, fu sciolto, dopo l’emanazione della Costituzione del 4 marzo 1849, che ebbe i tipici caratteri di una Costituzione octroyée, sicché le diete locali ebbero poteri molto limitati15. Al termine della fase cosiddetta dell’as-solutismo, un effimero tentativo di decentramento fu il Diploma dell’ottobre 1860, presto superato dalla Patente del febbraio 1861 che vide prevalere nuo-vamente il principio della centralizzazione. Proprio il Compromesso del 1867 sembrava riprendere, all’articolo 19, alcune idee del Parlamento di Kremsier, senza spingersi però a riconoscere l’esistenza legale alle nazionalità, ma dando spazio a interpretazioni elastiche e generose verso le singole comunità nazionali. Invece la legge ungherese XLIV del 1868 dedicata, appunto, alle nazionalità, menzionava come ufficiale una sola lingua, quella ungherese, pur riconoscendo l’esistenza delle altre (lo stesso principio si trova nel
Nagodba o Compromesso croato-ungherese del medesimo anno a vantaggio
della lingua croata)16.
Con la realizzazione dello Stato unitario italiano e di quello germanico, il principio di nazionalità andò sempre più scolorandosi in una visione alquanto diversa, condizionata anche dalle ragioni della geopolitica. In sostanza, l’a-scesa del pangermanesimo e del panslavismo trasformarono, agli occhi di molti, il tradizionale conflitto tra Potenze e il balance of power, in una lotta tra razze. Ebbe certo minore notorietà, ma si manifestò anche una ideologia panlatinista, di cui ottimo rappresentante fu Bruto Amante più che suo padre Errico17. Si potrebbe affermare che egli era un intellettuale di provincia isola-to, ma non fu così. Egli oltre a essere uno dei pochi italiani attenti alla realtà
degli Interni Pillersdorf ; l’assemblea aveva iniziato i suoi lavori a Vienna, ma dopo la repressione manu militari della rivolta nella capitale imperiale, si era trasferita nella cit-tadina morava.
15HOREL, La question nationale en Autriche-Hongrie: droits et réalités, cit., pp. 12-13.
16Ivi, pp. 14-15. Si veda in proposito, in questo volume, il saggio József Eötvös, un
grande pensatore liberale europeo dell’Ungheria dualista di Roberto Ruspanti, in cui
viene indicata la posizione di Eötvös, ispiratore della Legge XLIV del 1868, sul tema del riconoscimento delle lingue nazionali. (NdC)
17Si veda il recente volume collettaneo Errico Amante e il figlio Bruto in rapporto al
della Romania, che si era allora costituita in Stato nazionale, cui dedicò il volume La Romania illustrata: ricordi di viaggio, apparso nel 1888 e da poco ripubblicato, di essa teneva conto nel progetto di costituire una Lega di popoli latini, cui aggiungeva quello greco, esprimendo una opinione niente affatto solitaria. Le sue erano le stesse idee propagandate da Giovenale Vegezzi Ruscalla (proprio in contrasto con i progetti di Confederazione danubiana: i romeni dovevano unirsi con i latini non con gli ungheresi e gli altri popoli del bacino danubiano)18, dal già menzionato Canini, da Carlo Michele Buscalioni19, Lorenzo Michelangelo Billia20, Enrico Croce21, Angelo ed Enrico De Gubernatis22 e da altri intellettuali non ignoti al vasto
pubbli-18Si veda Antonio D’ALESSANDRI, I romeni della Transilvania, il Risorgimento
ita-liano e l’alternativa fra confederazione latina e danubiana, in I. CÂRJA(a cura di),
Unità nazionale e modernità nel Risorgimento italiano e romeno, Presa Universitară
Clujeană, Cluj-Napoca 2011, pp. 97-119.
19Buscalioni (Mondovì, 1824 - Napoli 1885) fu ai vertici della Società nazionale che tanta parte ebbe nella fase cruciale del Risorgimento, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta; fu anche elemento di spicco della Massoneria, fondò l’Agenzia Stefani e costi-tuì nel 1864 la Società internazionale neo-latina, cui tra gli altri concorse Canini, con il quale continuò a collaborare negli anni Settanta e Ottanta. Si veda la voce sul Dizionario
biografico degli italiani, scritta da Giuseppe Monsagrati, secondo il quale anche
attra-verso la Società internazionale neo-latina «la monarchia sabauda avrebbe dovuto assu-mere la posizione di guida di una sorta di lega dei paesi latini in opposizione al panger-manesimo ed al panslavismo». Detta Società ebbe però vita breve e la sua azione fu priva di risultati concreti. Si veda anche ID., Dalla massoneria alla fratellanza dei
popo-li: i progetti internazionali di Carlo M. Buscalioni, in F. CONTI- M. NOVARINO(a cura di), Massoneria e Unità d’Italia. La Libera Muratoria e la costruzione della nazione, Il Mulino, Bologna 2011, pp. 145-163.
20Seguace di Rosmini e sodale di Buscalioni, scrivendo su di lui, sulla Grecia e sulle relazioni greco-albanesi si schierò per l’idea “pan-latinista”; La lega filellenica e l’ideale
politico di Carlo Michele Buscalioni, Botta, Torino 1885; Carlo Michele Buscalioni,
Fina, Torino 1885; Grecia e Albania, Botta, Torino 1880, e Unione Tipografico Editrice, Torino 1886; La questione di Candia e la confederazione orientale, Uffizio della Rassegna Nazionale, Firenze 1890.
21Vicino agli ambienti garibaldini, e con un’esperienza nell’Internazionale, già diret-tore de La Lombardia di Milano, si recò a Bucarest dove per due anni (1878-79) diresse
La Voce d’Italia. Nell’opuscolo La Romania davanti all’Europa, oltre a difendere gli
interessi romeni di fronte alla Russia, definiva la nazione romena non solo barriera con-tro l’espansionismo zarista ma pure avamposto in Oriente di una Confederazione latino-ellenica, costituita da albanesi, greci e romeni, che doveva agire in perfetta sintonia di interessi con l’Italia e con l’Occidente europeo. Si veda Domenico CACCAMO, L’Italia,
la questione d’Oriente e l’indipendenza romena, in «Storia e politica», 19, 1983, 3, pp.
435-456, pp. 111-113.
candi-co23. Queste idee di lega dei popoli latini si coniugarono con la politica dina-stica e matrimoniale dei Savoia. Infatti, alcuni membri della famiglia reale italiana, uomini o donne, furono sovrani in Spagna e in Portogallo, ebbero un ruolo nel secondo impero francese, cercarono di salire sul trono ellenico.
Colpisce come molti seguaci di questa ideologia pan-latinista fossero