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La para-subordinazione: un secondo esempio

L'ipotesi interpretativa giurisprudenziale proposta riguarda inoltre non solo i lavoratori coinvolti in un appalto di manodopera, ma anche e soprattutto quelle figure che non godono di alcuna, o quasi, tutela correlata lavoro dipendente, per il semplice fatto che non si tratta di lavoro dipendente.

Ci si riferisce appunto alle collaborazioni coordinate e continuative a progetto, diffusesi notevolmente nel corso degli ultimi 15 anni come forma di lavoro para- subordinato anche se la loro originaria previsione da parte della legge sul nuovo processo del lavoro del 1973 aveva l'unica finalità di estendere ad alcuni rapporti (come quello di agenzia), la giurisdizione del giudice del lavoro.

In altre parole, si vuole rilevare che un fenomeno che ha assunto negli anni notevoli dimensioni si è potuto sviluppare nonostante una sostanziale assenza di apposta disciplina.

La ragione di questo accadimento è stata ricondotta, sempre dalla medesima dottrina37, all'avallo di una giurisprudenza che molto spesso ha attribuito natura autonoma anche al lavoro di soggetti economicamente dipendenti da un solo committente, che inoltre utilizzano strumenti di lavoro del committente ma che non partecipano al suo rischio di impresa, e che quindi, non essendo soggetti al potere direttivo in forma tale da rendere subordinato il rapporto, venivano catalogati come para-subordinati e quindi sostanzialmente autonomi.

Ciò è stato possibile sempre grazie ad una interpretazione dell'art. 2094 c.c. che molto spesso ha attribuito importanza essenziale esclusivamente all’elemento della cd. “eterodirezione”38, vale a dire al fatto di operare “sotto comando” di altri, tramite l’esercizio di un incisivo potere direttivo e disciplinare. Con la riforma del 2003 si è cercato di arginare il ricorso alle c.d. co.co.co (ovvero collaborazioni coordinate coordinative di cui all'art. 409 c.p.c.) disciplinando innanzi tutto l'istituto ed introducendo parametri più rigidi per la costituzione di un regolare contratto di lavoro para-subordinato.

Il legislatore del 2003 ha cioè eliminato le antiche co.co.co sostituendole con le c.d. co.co.pro., ovvero i contratti di lavoro a progetto di cui all'art. 61 e ss. del dl.gs. 276/0339.

In sostanza però le co.co.pro. non sono alto che co.co.co cui è stato aggiunto, come condizione di legittimità, la previsione di un progetto, programma di

37 Piccinini, op. cit. 38 Piccinini, op. cit..

39 Si rammenta che, in ogni caso le co.co.co. non sono scomparse: le pubbliche amministrazioni, infatti sono ancora legittimate a stipulare contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche se non riconducibili ad un progetto specifico (art. 1 e 61, D.Lgs. n. 276/2003). Ne consegue che nell’ambito di Enti Locali, Scuole od Università, anche in conseguenza del blocco di nuove assunzioni nel pubblico impiego, vi sia un diffusissimo ricorso a tali forme di rapporto - si parla di oltre 300.000 persone - spesso per far fronte a funzioni proprie tipiche dell’Amministrazione.- Piccinini, op. cit.

lavoro o fare di esso che il collaboratore è tenuto a realizzare in "autonoma coordinazione" con il committente. La scarna e malfatta disciplina di questo istituto ha in pratica esplicato delle modalità attuative del contratto di collaborazione coordinata e continuativa, prevedendo altresì la sanzione civile del riconoscimento del lavoro come subordinato se nella concretezza dell'esercizio del rapporto non vengono rispettati i termini contrattuali (art. 69 d.lgs 276/03).

Nel settore privato le collaborazioni coordinate e continuative, che continuano ad essere vietate per settori e posizioni specifiche (ad esempio per le prestazioni professionali per le quali è necessaria l’iscrizione in apposito albo, e quindi anche per molti giovani giornalisti, il cui sindacato, non a caso, rivendica tra gli obiettivi prioritari quello dell’attrazione del lavoro autonomo nell’ambito del lavoro subordinato), si sono quindi trasformate, utilizzando le “maglie” offerte dall’art. 61 del D.Lgs. n. 276/2003, prevalentemente in contratti a progetto, anche quando non sempre era individuabile una chiara esigenza temporanea della prestazione volta alla realizzazione di un progetto specifico. Questa è, attualmente, la forma contrattuale più utilizzata per rispondere alle esigenze di collaborazioni che abbiano, almeno apparentemente, un carattere non subordinato.

Sulla genuinità del ricorso massiccio a tale forma contrattuale vi sono però molti dubbi.

Non si vuole qui demonizzare quelle forme di lavoro effettivamente autonomo, cioè genuine, ma stigmatizzare quelle utilizzate fraudolentemente per mascherare rapporti sostanzialmente dipendenti.

Tutte le forme di lavoro para-subordinato presentano infatti, per i datori di lavoro, soprattutto tre vantaggi, rispetto ad una loro “regolarizzazione” come

contratti di lavoro a tempo indeterminato: il primo è il minor costo, dato, sia dai minori oneri contributivi, sia dal fatto che non esistono tabelle salariali che impongano compensi minimi mensili (come invece avviene per i dipendenti da parte del contratti collettivi nazionali di lavoro); il secondo riguarda le minori garanzie rispetto ad alcuni istituti - regolamentati dalla legge e dai contratti collettivi solo per i dipendenti - quali ferie, malattia, maternità, ecc..; il terzo è dato dalla sostanziale inesistenza di regole che disciplinino la cessazione del rapporto. Ai corrispondenti svantaggi per il prestatore di lavoro, si aggiunge quello della mancanza di tutela del credito, con due conseguenze negative in caso di fallimento del committente (o comunque di sua insolvenza, quando non è più in grado di pagare i compensi dovuti): infatti, da una parte, il codice civile attribuisce ai collaboratori non dipendenti un grado inferiore di privilegio rispetto ai lavoratori dipendenti; dall’altra, nei loro confronti non interviene alcun Fondo di solidarietà INPS (che per lavoratori subordinati copre integralmente il pagamento del Trattamento di fine rapporto e parzialmente delle ultime tre mensilità).

Se quindi domina l'atteggiamento giurisprudenziale per cui subordinazione è solo etero-direzione, e se grazie all'avallo di questo orientamento sono gemmate le figure di lavoro precario sopra descritte, allora si impone quantomeno un'attenta valutazione di ciò che nella pratica effettivamente sono parasubordinazione, autonomia autentica, lavoro esternalizzato legittimamente e subordinazione.

3. La modulazione della posizione datoriale ed i riflessi sul rapporto di