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LA PARABOLA DEL DEBITORE SPIETATO (Mt 18,21-35)

I. 1 Contesto introduttivo

La parabola del «debitore spietato» è collocata dall’evangelista all’interno del capitolo 18 che tratteggia le regole della comunità. E’ presentata come esempio di Gesù sul tema del perdono (v. 22). Sulla domanda di Pietro a Gesù circa quante volte bisogna perdonare, Mt si sofferma in modo particolare, quasi a sottolineare il ruolo specifico che Pietro riveste rispetto agli altri 11. La formula introduttiva del v. 23 è un indizio chiaro del fatto che Mt trovò la parabola nel suo materiale particolare. Il v. 31 rivela una maniera tipica e propria di Mt di esprimersi. I versetti 32, 34 presentano analogie con i vv. 23, 34; ci fa pensare allora che i vv. 32, 34 sono stati aggiunti alla parabola in un secondo momento, sicuramente prima di Mt. La parabola originaria (vv. 23-30) costituisce una forma più antica della tradizione e la sua origine potrebbe darsi nel mondo palestinese. Nella comunità prima di Mt la parabola originaria (vv.23-30) fu arricchita da una introduzione tipica di questa tradizione che fu completata dai vv 32-34.

Matteo poi collocò la parabola nel contesto della domanda di Pietro circa il perdono e vi inserì altri ritocchi, come per esempio il v. 31 da intendere in senso ecclesiologico.

La parabola si articola in tre scene. Le prime due sono simmetriche e mettono in evidenza il contrasto tra il diverso comportamento dei due creditori (vv.24-27. 28-30): la petizione dei due debitori è formulata con le stesse parole (v.26-29) ma con esito opposto. La terza scena (vv. 31-34) descrive il castigo del servo spietato. La narrazione è stata adattata alle esigenze della comunità, soprattutto nella identificazione del re con Dio, del condono del debito con la remissione dei peccati, del terribile castigo con il giudizio escatologico.

I. 2 La strutturazione del racconto

Questa pagina risente del lavoro redazionale di Matteo. Il dialogo introduttivo della parabola trova riscontro in Lc 17,4: nel originale matteano c’è il ruolo di Pietro e la risposta di Gesù. La storia del servo spietato non ha paralleli nella tradizione evangelica, anche se possiamo fare degli accostamenti con due parabole di Lc, dove un servo è chiamato a rendere conto al suo padrone, (Lc16, 1-2) e a due debitori viene condonato interamente il debito, Lc7,41-42. E’ chiaro però che sia lo sviluppo che il significato delle due parabole è ben diverso224. In Lc la parabola ha come titolo servo inetto e malvagio. Fa da introduzione a questa parabola uno scambio di battute tra Gesù e Pietro. (18,21-22). Il discorso finale poi si rivolge a tutti i discepoli:

l’intervento iniziale di Pietro solleva un problema che riguarda i rapporti comunitari. La frase di apertura richiama la situazione che da avvio all’intero dramma: la decisione del re di fare i conti con i suoi servi, 18,23. Tutta la vicenda si svolge in tre atti. Sia i personaggi che le situazioni hanno uno schema fisso: situazione, dialogo, parole, decisioni, azione. Il racconto della parabola pone il suo accento sul modo di agire del re/padrone e quello del servo debitore condonato.

Questo contrasto emerge maggiormente per l’enorme sproporzione tra il debito del primo servo verso il suo padrone rispetto a quello che il suo collega ha nei suoi riguardi, 1/600.000225.

224 R. FABRIS, 395.

225 La somma di “diecimila talenti” ha un valore suggestivo più che finanziario reale. E’ enorme come somma! Il talento attico è unità di peso e monetaria pari a 36 kg di argento, a 6000 dramme o 100.000 denari (G.Flavio), per avere un idea di valore economico di 100.000 talenti basti pensare che la rendita annua del regno di Erode era di 900

I.3 Ipotesi di ricostruzione delle fonti

Mt attinge a due fonti: nell’istruzione introduttiva che Gesù impartisce a Pietro risale alla fonte Q. Gli interventi redazionali di Mt li troviamo all’inizio e alla fine della parabola (passaggio con “perciò” nel v. 23 e applicazione della parabola nel v.35 , con un logion costruito sul modello 5,15). L’evangelista determina in questa parabola il comportamento cristiano, ricordando un detto (v.22) e una parabola di Gesù (v.23-35). Questa parabola è l’esegesi più bella alla quinta domanda del “Padre nostro” e completa l’insegnamento di Matteo sul perdono.

Il brano è inquadrato da detti di Gesù sul perdono. Una è la parola di risposta a Pietro, che chiede quante volte dovrà perdonare e si sente dire che deve perdonare fino a settanta volte sette. La seconda è una parola conclusiva della parabola dei due servi, e insiste anch’essa sulla necessità assoluta del perdono : “Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello”. E’ una parabola in tre scene ben strutturata ed unitaria226. Prendiamo in considerazione la prima e la seconda scena: esse sono perfettamente parallele fra loro. La situazione di partenza è simile: un debitore sprovveduto, secondo la legge di quel tempo era condannabile e viene condannato e che implora misericordia al creditore. L’esito delle due scene è però contrastabile: nella prima scena il debito viene cancellato; nel secondo caso il debito non viene condonato. Per vedere meglio tale contrasto, bisogna prendere in considerazione altri elementi, tipo il valore della moneta di quel tempo. Appare subito chiaro come il rapporto tra le due somme sia sproporzionato. C’è ancora un altro aspetto: la sproporzione tra le due cifre supera la sproporzione tra i due personaggi. Non è la stessa cosa tra i due bilanci del re e del servo. La prima è astronomica ed è troppo alta anche per un re; la seconda, invece, è piccola anche per un semplice servo. Qui però c’è il paradosso. Il debito astronomico è condonato, quello piccolo, no. Questo è il punto centrale di tutto il messaggio della parabola. Lo stesso protagonista, nella prima scena appare nei panni della vittima, come debitore che chiede il condono; nella seconda scena appare nel ruolo opposto di colui il quale non ha pietà e si rivela appunto spietato. Nella prima scena, grande è il debito e grande è colui al quale si è chiesto di condannarlo; nella seconda scena, il debito è piccolo ed piccolo è colui che viene implorato: ciò rende più ammirevole la generosità del re e più abietta l’ostinazione del servo. Contribuisce a dare un maggiore effetto anche il poco lasso di tempo che intercorre tra le due scene. Ci si aspetterebbe che dalla gioia ancora viva dallo scampato pericolo, corrispondano sentimenti di benevolenza verso gli altri, invece sembra che non sia successo niente.

Un uomo ha ricevuto il condono di un enorme debito, ma subito dopo rifiuta a sua volta di condonare il debito ad un altro. Segue subito una terza scena, simile a quella di partenza. Il protagonista si ritrova nuovamente davanti al re per sentirsi però dire che l’annullamento della condanna è stato a sua volta annullato: il debito è ripristinato e la legge dovrà fare il suo corso.

Ci ritroviamo al punto di partenza con la differenza che la conclusione tragica prima evitata ora è messa in atto. Qualcosa ha rovinato tutto. Il re prima ha perdonato ma ora non è disposto più a perdonare più. Evidentemente il servo ha fatto sì che il re si comportasse in questo modo. È lo stesso re a dare la risposta spiegando : “ Dovevi perdonare anche tu come io ho perdonato a te”.

Nel sovrano il condono era stato provocato da un moto di “compassione”: Il termine in greco significa qualcosa di molto profondo che muove dalle viscere splanchnistheìs . Lo stesso re si era immedesimato nel servo. Il rifiuto di solidarietà da parte del primo servo nei confronti del secondo servo lo ferisce come ferisce un padre la situazione dei discordia fra due fratelli. Gli ascoltatori di questa parabola non hanno avuto difficoltà nel comprenderla e approvano la condanna da parte del servo spietato. Da questa parabola viene fuori una immagine veterotestamentaria di Dio, di un Dio che si è rivelato solidale con l’uomo.

I. 4 L’articolazione e spiegazione

vv. 23-27: situazione del primo servo debitore di 10000 talenti;

vv. 28-30: situazione del secondo servo, debitore di 100 denari;

vv. 31-34: giudizio e condanna del primo servo da parte del padrone;

v. 35: applicazione ecclesiale;

In Matteo c’è un intento pratico pastorale nel proporre questa parabola. Egli intende raccomandare la pratica del perdono fraterno illimitato sull’esempio e sullo stile di quello di Dio rivelato in Gesù. Nel dialogo iniziale, Pietro si fa portavoce della comunità che ha come modello di perdono le regole del mondo giudaico. Questa parabola illustra bene il passaggio da una concezione quantitativa a quella qualitativa del perdono.

E’ interessante notare la frequenza di parole che indicano emozioni forti. Sappiamo benissimo che solitamente i vangeli non indulgono alle emozioni; in questo caso il brano ha parole ricchissime di pathos. Innanzitutto il primo servo si getta a terra in un gesto di intensa supplica; il padrone si impietosisce e condanna. Il verbo “impietosirsi” , “commuoversi nelle viscere” è lo stesso usato da Lc 10, 33 per indicare la reazione del samaritano di fronte al ferito o in Lc 15, 20 per esprimere ciò che il padre della parabola sente quando vede il figlio prodigo che ritorna. Un altro momento forte di emozione si ha quando il primo servo aggredisce con violenza il suo debitore e questi, a sua volta, si getta a terra e lo supplica. E’ messa in evidenza l’emozione degli altri servi che, secondo il testo greco, sono molto addolorati. Carico di pathos è inoltre il rimprovero del padrone del servo, perché ha mancato di pietà: “ Non dovevi forse tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? Il verbo “ impietosirsi”

splagchnizomai lascia il posto al verbo eleomai che viene usato in riferimento alla misericordia di Dio verso l’uomo. Ancora un' altra parola di Gesù ricca di forza emotiva: “ Se non perdonerete di cuore al vostro fratello”, anzi “ a partire dal vostro cuore”.

La parabola non parla del perdono reiterato ma della misericordia che deve avere la meglio sulla rivendicazione inflessibile dei propri diritti. Per capire questa parabola essa va collocata nel contesto ecclesiologico e cristologico. La misericordia di Dio, infatti, posta come modello da imitare, si è manifestata concretamente nella missione del Figlio, espressione della bontà del Padre. È in sintesi lo stesso messaggio del discorso della montagna: l’amore sommo di Dio rivelato nel Cristo deve riflettersi nei rapporti interpersonali fra i suoi seguaci. Punto di partenza sono le colpe dell’uomo nei confronti di Dio sono paragonabili ai debiti di questo mondo. Questa metafora si ricollega anche alla diversa entità delle due somme di danaro: questo contrasto tra il debito enorme col padrone, e quello irrisorio del servo ci rimanda alla differenza tra il rapporto Dio - uomo e il rapporto uomo - uomo. Quindi Padrone e servo sono metafora di Dio e dell’uomo. La parabola poi non parla della misericordia del padrone in generale ma del realizzarsi di questa misericordia in un determinato evento. Questo evento viene a coincidere con la persona di Gesù: l’amore che si rivela nel comportamento di Gesù nei confronti dei “debitori di Dio”che ha il suo fondamento dell’amore di Dio.

Il nuovo contesto in cui collocare i rapporti umani, è Gesù stesso il quale dona agli uomini l’amore proveniente da Dio. In Lui si rende visibile, come poi nella parabola stessa, la radicale anteriorità dell’amore di Dio che in partenza va oltre il nostro comportamento e delle nostre aspettative. Con l’aggiunta dei vv. 32-34 la comunità prima di Mt introduce nella narrazione il giudizio che la parabola originariamente lasciava agli uditori. Si vuole così sottolineare che il comportamento errato del servo nel giorno del giudizio: esso non rimarrà impunito. Nel padrone è chiaramente celata la figura di Dio nel giorno del giudizio. Dio chiede a noi la compassione nei confronti degli altri uomini. Mt indirizza la parabola alla sua comunità e ciò risulta dal fatto che egli descrive lo sdegno dei servi (v.31) che corrisponde appunto allo sdegno della comunità.

I. 5 Il testo

23 A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. 24 Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. 25 Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. 26 Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. 27 Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.

28 Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! 29 Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. 30 Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

31 Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto. 32 Allora il padrone fece chiamare quell' uomo e gli disse:

Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. 33 Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? 34 E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.

35 Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

I. 6 Analisi esegetica vv.23 – 24:

A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi.

Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti.

La parabola è illustrazione della basilea . E’ introdotta da una motivazione. Vengono proposte due immagini: un re, i servi e due debitori. La somma del debito è enorme: diecimila talenti indica il massimo di danaro immaginabile che fa pensare più che ad un semplice debitore ad un satrapo.

v. 25:

Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito.

Lo schiavo chiamato chiede una dilazione consapevole che il re potrebbe buttarlo in prigione, lui e la sua famiglia. La vendita della moglie non era tuttavia conosciuta dal giudaismo.

v. 26:

Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.

Il debitore e il padrone sono entrambi consapevoli che il debito non potrà essere estinto.

Nonostante questa consapevolezza il debitore si mette in atteggiamento di supplica.

v. 27:

Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.

Accade l’impensabile: il re condona il debito e lo lascia libero. Va ancora una volta sottolineata la forza dei verbi utilizzati dall’evangelista: la «pietà» indica l’azione interna (viscerale) di Dio che ama in modo compassionevole l’uomo (splagchnistheis). Il re «condona» nel senso di

«sciogliere» dalla schiavitù (apelysen) il suo suddito debitore. Va considerato come il linguaggio economico in realtà si trasforma in un linguaggio «teologico», che indica la profonda relazione insaurata tra il re e il suo interlocutore.

v. 28:

Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi!

La scena si sposta su di un altro ambiente. Entra in gioco un altro personaggio: è un compagno di schiavitù che non è in grado di restituirgli la somma irrisoria di cento denari. L’evangelista in modo enfatico propone il contrasto tra il comportamento precedente e l’attuale. Il contrasto accade anzitutto nella linea del tempo: «appena uscito». L’asimmetria costruita nella relazione precedente tra il re e il suo suddito, ora è annullata nell’incontro con il conservo. Malgrado questo cambiamento, il servo liberato non è in grado di costruire una relazione di misericordia con il suo simile.

v. 29:

Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito.

Si ripete la scena della implorazione che non trova questa volta la stessa comprensione. La promessa della restituzione questa volta è realistica eppure non si ammette in questo caso alcuna dilazione.

v. 30:

Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.

Il creditore è irremovibile e lo fa chiudere in prigione. Qui c’è un richiamo implicito a Matteo 5,5 s.

v. 31:

Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto.

Alcuni colleghi dello schiavo assistono indignati alla scena e si fanno portavoce dell’accaduto presso il padrone. E’ facile intravedere in questa figura della parabola il ruolo della comunità cristiana che giudica il caso.

v. 32:

Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato.

L’ira del padrone domina questa scena. L’ira nella prospettiva dell’evangelista applicata alla figura del Kyrios va intesa nel senso del giudizio finale verso l’uomo. Il servo è definito

«poneròs» (malvagio) e l’intero dialogo è un vero giudizio finale non solo sull’atteggiamento del servo, ma sull’intera sua esistenza!

v. 33:

Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?

E’ la domanda ammonitrice con la quale egli chiede conto dell’operato del debitore. Tale domanda sembra rivolta come monito all’intera comunità che assiste alla scena. Si evince chiaramente come il testo abbia una notevole finalità persuasiva e pedagogica. L’accento viene posto sulla dimensione etica dell’impegno cristiano. In gioco non è la visione di Dio e della sua misericordia, ma la scelta dell’uomo di vivere fino in fondo il suo impegno cristiano, definito come «condivisione della pietà».

vv. 34-35:

E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello».

L’epilogo indica la destinazione finale del servo (esclusa la sua famiglia). L’espressione sembra indicare un lasso temporale (finchè non…), secondo la stessa richiesta che il servo aveva anticipato precedentemente al re (cfr. v. 26). Tale indicazione ha la funzione di lasciare aperta la prospettiva del giudizio e della misericordia.

Il v. 35 E’ la dichiarazione della parabola, che alcuni autori attribuiscono all’evangelista o alla comunità. Infatti l’interpretazione che emerge dell’idea di Dio «giudice» contrasta con la prospettiva della misericordia e del perdono. Anche in questa conclusione va considerata la latenza pedagogica ed ecclesiale dell’invito alla riconciliazione, probabilmente necessario nel contesto della comunità matteana.

II.7 Messaggi teologici

Il giudaismo conosceva già il dovere del perdono delle offese, aveva tariffe ben precise a cui riferirsi. La grettezza umana è sempre sollecita a ricercare una misura, una norma che le dia soddisfacimento. Perdonare, si, ma quante volte? I rabbini per sottolineare la liberalità di Dio, dicevano che Egli perdona tre volte: le scuole rabbiniche esigevano dai loro discepoli di perdonare un certo numero di volte e questo tariffario variava da scuola a scuola. Ecco che Piretro chiede a Gesù quale sia il suo tariffario. Gesù precedentemente aveva detto di amare i nemici e di pregare per quelli che ci perseguitano per essere figli del Padre che è nei cieli (cf. Mt 5-6). Pietro, dal contatto con Gesù ha capito che le misure fino ad allora ritenute valide ora non servono più e tenta di dare una risposta : “fino a sette volte?”. Gesù formula la sua risposta riprendendo un numero simbolico che sta a significare sempre. La parabola che poi segue, da ragione di questo dovere di perdonare sempre, senza limiti.

Il senso della parabola è che Dio perdona gratuitamente il peccato a chi gli chiede perdono, dimostrando una benevolenza nei confronti dei peccatori assolutamente disinteressata.

Come conseguenza di questa esperienza di perdono di Dio l’uomo deve imparare a perdonare i

Come conseguenza di questa esperienza di perdono di Dio l’uomo deve imparare a perdonare i