Introduzione
In questo quarto capitolo cerchiamo di elaborare la parabola matteana del “padrone generoso”, nota come la parabola “degli operai dell’ultima ora” (Mt 20,1-16). Già questo cambiamento di titolazione può indirizzare la nostra attenzione al contenuto principale che cercheremo di sottolineare in varie dimensioni: la centralità dell’infinita bontà e misericordia del Padre, tema centrale e motore di tutta la dinamica narrativa e teologica del racconto parabolico stesso. Ad un primo sguardo superficiale e generale, il testo potrebbe apparire povero di contenuti e di messaggi teologici ma, approfondendo il contesto in cui esso è incorniciato all’interno dell’intero Vangelo di Matteo, si apre dinanzi al nostro sguardo un orizzonte molto più ampio che ci permette di cogliere le tante sfumature che sono in esso nascoste. Potremmo quasi dire che il nostro impegno è quello di andare alla ricerca del “tesoro nascosto nel campo” (Mt 13, 44) per gustarne così la bellezza e al contempo la sua ricchezza spirituale e culturale.
I.Analisi letteraria
I.1 Alcune problematiche preliminari
Soltanto il Vangelo di Matteo, tra i sinottici, riporta la parabola del padrone generoso, parabola sulla cui interpretazione gli studiosi avanzano molteplici proposte. Una premessa da fare è quella relativa al testo che prendiamo in esame: la parabola in se stessa si articola nei primi 15 versetti del capitolo 20, ma, per poter comprendere in pienezza il messaggio del racconto, è necessario prendere in considerazione il logion che Matteo riporta subito dopo, al v. 16.
Una prima problematica da affrontare è quella riguardante il titolo. Sembrerebbe una questione apparentemente marginale ma, di fatto, non lo è. Infatti, in poche battute e in modo puntuale, il titolo che si attribuisce ad una parabola, è la chiave di lettura della dinamica dell’intero racconto e del messaggio in esso contenuto. Per questo motivo gli studiosi hanno avanzato diverse proposte: “il padrone della vigna”130, “parabola del padrone generoso”131, “parabola della ricompensa uguale per un lavoro disuguale”132… ma, al dire dello studioso J. Gnilka, “prevale e va preferita l’antica designazione di parabola degli operai della vigna”133. Tuttavia non è dello stesso parere Gourges, il quale sostiene che la denominazione classica non tiene conto del rilievo che il brano stesso dà al personaggio del padrone: in tutte le scene le azioni degli altri personaggi sono viste in funzione del padrone della vigna, anche quando quest’ultimo non compie azioni dirette (il momento della paga: vv. 8-11), ad esempio, anche se vede come protagonista il fattore, tuttavia questi non fa altro che eseguire gli ordini del padrone). Per questo motivo, il noto studioso, ritiene che siamo dinanzi allo stesso caso della parabola di Lc 15, 11-32, “in cui l’attenzione è portata non tanto sul comportamento del figlio prodigo quanto su quello del padre, in funzione del quale è definita tutta la dinamica del racconto”134. Il titolo più indicato, quindi, sarebbe quello di “ parabola degli operai dal salario uguale ”135 poiché, seppure in modo germinale, rimanda tutto all’iniziativa primaria del padrone. Non meno interessante è la proposta
130Cfr. R. FABRIS, Matteo,Roma 1996, 429.
131 Cfr. J. JEREMIAS, Le parabole di Gesù, Brescia 1967,167.
132 Cfr. J. SCHMID, L’evangelo secondo Matteo, Brescia 1972,.350.
133 Cfr. J. GNILKA, Il vangelo di Matteo(CTNT), II, Brescia 1991, 262.
134 Cfr. M. GOURGUES, Le parabole di Gesù in Marco e Matteo,dalla sorgente alla foce, Leumann 2002, 119.
135 Ibidem.
che fa il noto studioso Jeremias indicando questo brano con il titolo “parabola del padrone generoso”136: a mio avviso, questa designazione è la più appropriata poiché pone l’attenzione del lettore su colui che è il protagonista principale dell’intera vicenda, intorno al quale si sviluppa tutta la dinamica della racconto (piano narrativo) e il suo contenuto (piano teologico). Dopo aver presentato la posizione di alcuni autori circa la questione della designazione della parabola, ci soffermeremo brevemente sulla questione relativa al contesto in cui il racconto è inserito all’interno dell’intero Vangelo secondo Matteo.
I.2 Il contesto
L’evangelista Matteo ha “incastonato” la parabola che stiamo considerando in un contesto ben delineato e preciso, alla cui base è possibile scoprire una solida trama che intreccia abilmente il racconto con le diverse tematiche teologiche presenti nell’intero Vangelo. In questo studio cerchiamo di delimitare il contesto del racconto parabolico partendo inizialmente da una visione più ampia che, tenendo presenti le tematiche teologiche, ci permette di gettare uno sguardo su tutto il Vangelo, per poi
“stringere l’obiettivo” sui brani che incorniciano il nostro testo.
Innanzitutto una prima tematica che ci permette di contestualizzare questo racconto parabolico è quella della vigna. Infatti, il capitolo 20 di Matteo apre una “trilogia parabolica”137 (capp. 20-22), incentrata su questo simbolo: gli operai della vigna (Mt 20, 1-16), il padre e i due figli (Mt 21,28-32) e i contadini ribelli (Mt 22,33-41). Tale elemento, nell’AT e soprattutto nella letteratura profetica, è utilizzato per indicare il popolo eletto (cfr. Is 5,7; Os 10,1; Ger 2,21; Ez 19,10) nel suo rapporto di fedeltà-infedeltà all’amore di Dio. Matteo evidenzia il fatto che ora la vera vigna è Gesù, circondato di cure e mondato dal Padre affinchè porti un frutto abbondante (Mt 15,13), il frutto della fedeltà. Ma vigna è anche la Chiesa, il nuovo Israele, i cui membri sono in comunione con il Maestro. Tale elemento ci permette di individuare nella sezione dei capitoli 20-22 una “tematica di transizione”: dal discorso ecclesiale (che precede il capitolo 20) al discorso escatologico (che inizia al capitolo 23), dal nuovo Israele (la Chiesa) al campo di azione di Dio (il Regno)138.
La tematica teologica del simbolo della vigna non è l’unica che ci permette di delineare il contesto di Mt 20. Infatti, possiamo notare che lo scenario in cui è collocata la parabola del padrone generoso è quello che ha come estremi di riferimento il secondo (17,22) e il terzo (20,18) annuncio della passione139. Intrecciata con questa sezione è quella che ha come tematica l’istruzione dei discepoli e la polemica con i capi del popolo (capp. 19-22) . È una sezione molto ampia che riporta prevalentemente dialoghi, dibattiti e istruzioni.
Dopo il capitolo 17, infatti, Matteo presenta l’insegnamento di Gesù sul discepolato: per essere figli del Padre come Gesù è necessario essere piccoli. Egli presenta due tipi di piccolezza: quella del discepolo e quella del debole della comunità che deve essere cercato (Mt 18,10ss: la pecorella smarrita). Anche l’episodio del giovane ricco, che precede immediatamente la nostra parabola, presenta l’allusione al tema della piccolezza. Gli stessi brani che poi seguono il terzo annuncio della passione (20,17-19), hanno come tematica centrale la modalità del discepolato (20,20-28; 20,29-34): la figura del discepolo, così, ci rinvia anche al grande discorso ecclesiale dell’intero Vangelo.
Per quanto riguarda la disputa con le autorità religiose del popolo, un primo dibattito è presente già nel cap. 19, in cui i farisei pongono la domanda a Gesù circa la liceità del divorzio. A questo seguono le diatribe del cap. 21 in cui i capi dei sacerdoti pongono a Gesù l’interrogativo sulla sua autorità, e tre parabole che costituiscono un unico blocco: la parabola dei due figli (21, 23-27), dei vignaioli omicidi (21, 33-46) e delle nozze (22, 1-14). La narrazione parabolica dei vignaioli omicidi è indirizzata
136 Cfr. J. JEREMIAS, 167.
137 Cfr. R. FABRIS, 431. Anche lo studioso S. Grasso accoglie e sostiene questa proposta.
138 Cfr. M. F. LACAN, Vite-vigna, in X. LÉON-DUFOUR (ed.), Dizionario di Teologia Biblica, Casale Monferrato 1982, 1393-1395.
139 Cfr. M. GOURGUES, 117.
proprio ai sacerdoti e ai farisei, i quali dopo averla ascoltata decidono di uccidere Gesù (22, 46). A queste tre parabole seguono nuovamente quattro dispute: con i farisei e gli erodiani circa la liceità del pagamento del tributo a Cesare (22, 15-22), con i sadducei circa la questione della risurrezione dei morti (22, 23-33), con l’esperto della legge mandato dai farisei a interrogare Gesù circa il comandamento più grande (22, 34-36), con i farisei circa l’identità del Messia (22, 41-46). Questa sezione è stata elaborata da Matteo sia con un intento polemico verso il giudaismo che non accoglie il Messia umile, sia per educare la comunità ecclesiale a cui indirizza lo scritto, affinché i discepoli non corrano il rischio di camminare sulla strada dell’infedeltà giudaica: in questo modo le due tematiche (modalità del discepolato e disputa con i capi) non sono accostate tramite elementi letterari evidenti, bensì per mezzo dell’intento dell’evangelista140.
In maniera più particolare, H. Weder, evidenzia che il filo conduttore che segue Matteo all’interno di 20,1-16, scaturisce dalla domanda di Pietro a Gesù circa la ricompensa della sequela (Mt 19, 27)141. Questo appare evidente se prendiamo in considerazione il termine che introduce l’intero racconto in 20,1 e che le nostre traduzioni non riportano: è presente un gar («poiché») che, nell’intenzione dell’evangelista, rimanda il lettore a quanto Gesù ha insegnato prima ai suoi discepoli. Si tratta della risposta del Maestro a Pietro riguardo alla ricompensa promessa a coloro che lasciano tutto per seguirlo (19,27-30). Matteo riprende questo contesto dalla tradizione marciana adattandolo alla sua teologia: a differenza di Mc 10,30 che presenta una ricompensa “nel presente”, egli, omettendo questo particolare, manifesta un orientamento escatologico.
Un altro elemento importante sottolinea il legame esistente tra la nostra parabola e il brano che lo precede: il versetto di Mt 19,30. È proprio questo “ritornello” posto alla fine del capitolo 19 («Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi i primi») e al termine della parabola stessa in maniera rovesciata («Così gli ultimi saranno i primi, e i primi ultimi»), a costituire una sorta di cornice all’intero racconto:
“Queste due frasi a forma di slogan, la cui terminologia «primo» e «ultimo» viene ripresa all’interno della parabola nella direttiva del padrone del pagamento degli operai (v. 8), costituiscono il motivo guida del racconto” 142. In questo senso i versetti 1-15 del capitolo 20 diventano l’applicazione di 19,30: il tema della promessa fatta ai discepoli si prolunga così all’interno della parabola. Su questa linea lo studioso Marguerat, pur condividendo con altri studiosi la relazione tra Mt 19,27-30 e Mt 20,1-16, si distanzia circa il tema: egli non vi scorge la promessa di una ricompensa bensì un avvertimento a non cadere nella presunzione di ritenersi i primi nel regno di Dio143.
Differente è la posizione di Gourgues, il quale sostiene che il nostro testo si relaziona a quello che lo precede semplicemente come applicazione del tema dei primi e degli ultimi e non va collegato direttamente alla domanda di Pietro circa la ricompensa (e quindi alla tematica che sottolinea la modalità del discepolato) perché altrimenti la sentenza finale di Mt 20,16 come applicazione significherebbe che gli ultimi saranno primi, cioè passeranno davanti a Pietro e gli Undici che hanno fatto di più. Inoltre, Gourgues muove un’ulteriore osservazione. Egli nota che l’affermazione del v. 16 si trova nella stessa forma, ma in maniera isolata, in Lc 13,30: Luca non riporta il logion nella forma presente in Mc 10,31 (i primi ultimi) forse per evitare di ripetere un logion che un’altra fonte gli trasmetteva in forma diversa (gli ultimi primi) e che poi inserisce in 13,30? Se questa ipotesi risultasse vera, allora Matteo, riporta entrambe le formule per cercare di unirle nell’ambito di un contesto affine.
Si tratta allora di una parola di Gesù di cui si era perduto il contesto originario e che Matteo avrebbe posto dopo la parabola? Se questo è vero, secondo Gourgues, non è il caso di “spremere il contesto” per ricavare il significato e il messaggio della parabola144.
140 Cfr. S. GRASSO, Il Vangelo di Matteo, 57-62.
141 Cfr. H. WEDER, Metafore del Regno, Brescia 1991, 262.
142 Cfr. S. GRASSO, 473.
143 Cfr. nota 4 in M. GOURGUES, 117.
144 Questa posizione contraddirebbe ciò che Gesù afferma in 19, 28-29: “siederete anche voi su dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele”. Inoltre, se come dice Gourgues il racconto parabolico di Mt 20 non va relazionato direttamente a Pietro ma al tema degli ultimi e dei primi,dov’è il legame tra 19,30 con quello che lo precede? Dobbiamo considerare 19, 27-30 come una parentesi di cui non tener conto? Se si considera l’attività letteraria di Matteo, possiamo scorgere nel suo
I.3 La struttura
Se per quanto riguarda la questione del contesto di questa parabola le problematiche sono diverse e, come abbiamo potuto costatare, ancora disparate tra i vari studiosi, diverso è, invece, lo studio della strutturazione del testo per la quale prenderemo in considerazione la parabola in quanto tale (vv. 1-15) escludendo il logion del v. 16. Tuttavia più che di una strutturazione è meglio parlare di un’articolazione della parabola: il racconto nella sua linearità narrativa, temporale e direi anche teologica, non ci permette di rintracciare al suo interno elementi tali da poter arrivare ad una possibile strutturazione.
La maggioranza degli esegeti ritiene che l’elemento in base al quale è possibile trovare l’articolazione del testo è quello di ordine cronologico: «di mattino» (v. 1) e «venuta la sera» (v. 8). Le affermazioni temporali di questi due versetti, infatti, permettono di individuare nel brano due parti:
1. Il giorno (dall’alba al tramonto) 20, 1-7 2. La sera 20, 8-15
Tuttavia Gourgues, pur difendendo la legittimità del riferimento all’elemento temporale, intuisce la possibilità di una nuova suddivisione tenendo presente il movimento dell’azione all’interno della dinamica narrativa. Pertanto avremo un racconto in tre momenti:
1. l’ingaggio 20, 1-7 2. la paga 20, 8-10 3. la giustificazione 20, 11-15
Questa possibilità sembra essere avvalorata e confermata se si pone l’attenzione all’intervento dei personaggi nell’ambito dell’azione narrativa:
1. il padrone e gli operai 20, 1-7 2. il fattore e gli operai 20, 8-10 3. il padrone e gli operai 20, 11-15145
I due schemi proposti, come abbiamo potuto notare, presentano come criteri due parametri diversi: il primo segue l’ordine cronologico che si sviluppa nell’arco di una giornata, mentre il secondo prende in considerazione l’azione interna del racconto parabolico. Se la prima articolazione, che ha come cardini di riferimento i due momenti della giornata, rimane ad un livello esterno all’azione narrativa, la seconda penetra in maniera più particolareggiata nel testo, tenendo conto dell’evolversi dell’intera vicenda narrata.
I.4 Il testo
1 “Il regno dei cieli, infatti, è simile a un padrone di casa che uscì di mattina presto per assoldare braccianti per la sua vigna. 2 Accordatosi con i braccianti per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. 3 Uscito verso le nove, ne vide altri che stavano nella piazza inoperosi 4 e disse loro: Andate anche voi alla vigna e vi darò il giusto. Quelli andarono. 5 Uscito di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre del pomeriggio, fece lo stesso. 6 Verso le cinque del pomeriggio, uscito trovò altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno inoperosi? 7 Gli risposero: Perché nessuno ci ha assoldati. E lui: Andate anche voi alla vigna.
vangelo una certa linearità e chiarezza: Matteo dà unità letteraria a raccolte di sentenze e insegnamenti diversi collegandoli insieme mediante parole-gancio: egli sistema il tutto attraverso 5 discorsi. Non esiste tra loro nessuna connessione?
L’evangelista è semplicemente un raccoglitore di materiale, oppure nella sistematizzazione di quest’ultimo segue un intento teologico ben preciso?
145 Cfr. M GOURGUES, 118.
8 Venuta la sera, il padrone della vigna dice al suo fattore: Chiama i braccianti e dá loro il salario, cominciando dagli ultimi fino ai primi. 9 Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10 Quando vennero i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più, ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro.
11Ricevendolo mormoravano contro il padrone di casa dicendo: 12 Questi ultimi hanno fatto un’ora sola e li hai considerati uguali a noi che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. 13 Quello, rivolgendosi a uno di loro, disse: Amico, non ti sto trattando ingiustamente.
Non ti eri accordato con me per un denaro? 14 Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. 15 Non mi è lecito fare delle mie cose quello che voglio? O il tuo occhio è cattivo perché io sono buono? 16 Così gli ultimi saranno primi, e i primi ultimi”.
Da un punto di vista testuale questa parabola non presenta al suo interno nessun elemento che ci permette di riscontrare ritocchi redazionali146. Tuttavia, è da notare, che diversi manoscritti antichi presentano un’aggiunta ulteriore al v. 16: «perché molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti».
Quest’attestazione, tuttavia, manca nei manoscritti di maggior interesse per lo studio della critica testuale: probabilmente si tratta di una ripresa di Mt 22,14 tipica degli ambienti ecclesiastici del secondo secolo147.
I.5 Analisi esegetica148 v. 1:
Il regno dei cieli, infatti, è simile a un padrone di casa che uscì di mattina presto per assoldare braccianti per la sua vigna.
“ Il regno dei cieli è simile… ”: come già notato sopra, la traduzione CEI non riporta il termine gar («poiché»). Questa congiunzione da un punto di vista tematico permette di precisare il contesto in cui è inserito il racconto parabolico che stiamo esaminando. Siamo di fronte ad un tipico dativo d’inizio:
nelle parabole di Gesù è presente quando il racconto costituisce una risposta ad una domanda precedente (elemento che avvalora quanto detto a proposito del contesto).
L’espressione “è simile” è una contrazione dell’espressione più corretta «la cosa sta nei riguardi di…come con…»: in tal senso il Regno non è paragonato al padrone, alla vigna o ai lavoratori ma trova analogia con la resa dei conti: qui è concepito in senso escatologico, come di solito avviene nella predicazione di Gesù.
Ama proi sta per “al levar del sole”.
“… padrone di casa… ”: il ruolo primario e centrale del padrone è messo in evidenza dal fatto che otto dei dieci verbi all’indicativo contenuti nei vv. 1-7 si riferiscono a lui. I due verbi rimanenti, apelthon e legousin, sebbene hanno come soggetto gli operai, si tratta in tutte e due i casi di un'azione in risposta a quella del padrone che sempre prende l'iniziativa. Qui è chiaro il riferimento a Dio al quale appartiene il Regno e l’iniziativa della chiamata.
“ uscì ”: quest’azione del padrone è sottolineata ben cinque volte: l’azione è sempre la stessa, cambiano solo le circostanze di tempo. Infatti, il padrone esce (è usato quattro volte il verbo exerchomai) a intervalli regolari dall’alba fino al crepuscolo. Ogni volta trova dei disoccupati e li manda nella sua vigna.
146 Cfr. WEDER, 262.
147 Cfr. nota n. 41 di WEDER, 262.
148 Per l’analisi esegetica: cfr. J.-M. LAGRANGE, Saint Matthieu, Parigi 1927, ad locum; A. LANCELLOTTI, Matteo, (NVB, 33), Roma 1975; J. JEREMIAS, Le parabole di Gesù, Brescia 1967.
“ per prendere a giornata lavoratori ”: gli uomini che erano senza lavoro, il lunedì si raggruppavano tutti presso una piazza comune di Gerusalemme attendendo che qualcuno li assumesse per tutta la settimana, come era usanza allora: la retribuzione era giornaliera. Nel caso della parabola in questione, il tempo è ristretto ad una sola giornata.
“ vigna ”: questa immagine è tipica delle regioni montagnose di Giuda ed è usata nell’AT per designare il popolo eletto (cfr. Is 1,8; 5,1). Tuttavia non bisogna fermarsi a questo simbolismo. Infatti, l’evangelista introducendo questa icona rimanda il lettore ad una “necessità lavorativa”, se così si può dire: la vigna necessita un lavoro fatto in fretta poiché bisogna terminare la vendemmia prima che la stagione delle piogge arrivi con le sue notti fresche.
v. 2:
Accordatosi con i braccianti per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna.
“… per un denaro al giorno ”: il verbo symphoneo è il termine tecnico usato per i contratti di lavoro e vendita, anche presso le antiche civiltà vicine a Israele.
Ten hemeran ha senso distributivo. Un denaro era la paga normale di una giornata lavorativa (cfr. Tb 5,15).
v. 3:
Uscito verso le nove, ne vide altri che stavano nella piazza inoperosi
“ Uscito “: è la seconda uscita.
“… verso le nove del mattino …”: trites oran, letteralmente sarebbe l’ora terza. In Oriente la giornata lavorativa iniziava con il sorgere del sole fino all’apparizione delle prime stelle e veniva computata nominalmente di 12 ore. Qui, l’invio degli operai nei diversi momenti della giornata ha semplicemente lo scopo di mettere in risalto l’ineguaglianza delle loro prestazioni, a cui il padrone attribuirà uguale ricompensa.
v. 4:
e disse loro: Andate anche voi alla vigna e vi darò il giusto. Quelli andarono.
“…Andate anche voi nella mia vigna… ”: non ci sono discussioni e i lavoratori accettano la proposta senza contrattare la paga immaginando che avranno una paga rapportata alle ore lavorative che svolgeranno (dikaion “ vi darò il giusto”) e quindi, nel loro caso, corrispondente a una somma inferiore ad un denaro. È da notare che, di volta in volta, il contratto diventa sempre meno preciso.
v. 5:
Uscito di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre del pomeriggio, fece lo stesso.
“…Uscì di nuovo …”: è la terza uscita.
“… fece altrettanto …”: epoiesen hosautos è una formula tipica dell’evangelista Matteo (cfr. 21,36) poiché non ha riscontri in Luca e Marco. Questo fatto, come altri elementi dello stile e del vocabolario usato, dimostrerebbero che Matteo ha ricevuto questa parabola dalla tradizione e l’ha riscritta.
“… fece altrettanto …”: epoiesen hosautos è una formula tipica dell’evangelista Matteo (cfr. 21,36) poiché non ha riscontri in Luca e Marco. Questo fatto, come altri elementi dello stile e del vocabolario usato, dimostrerebbero che Matteo ha ricevuto questa parabola dalla tradizione e l’ha riscritta.