Introduzione
«Un sommario sguardo alla Wirkungsgeschichte di questa pagina conferma subito che essa è stata sempre molto letta e citata, però in maniera un po’ frammentaria e senza porre tutti gli interrogativi che essa suscita in noi oggi»277. Con queste parole Vittorio Fusco apre un suo brevissimo articolo sul testo di Mt 25,31-46, esprimendo in pochi tratti come esso provochi interesse su un piano esegetico. Tuttavia, Fusco lascia intendere come il brano del giudizio universale vada a sollevare temi che toccano il lettore, credente o non, nell’intimo della sua esistenza (anche tramite un approccio sommario e superficiale!). Effettivamente la pagina matteana riguarda l’uomo nel contesto ultimo dell’eschaton e questo non può che scuotere il suo cuore, perennemente incerto su ciò che accadrà. Soprattutto in una società come quella odierna in cui la questione dei tempi ultimi non viene più sollevata nella frenesia del quotidiano, il testo di Matteo giunge di fronte all’uomo moderno come un invito a fermarsi un attimo, anche solo un attimo, per aiutarlo a riflettere su quella domanda che accompagna da sempre il genere umano:
«qual è il nostro destino?».
Lo scontro, poi, con la parola «giudizio», che acquista sempre più un’accezione negativa e alienante nella mentalità comune, porta il lettore a non rimanere impassibile davanti alla verità schiacciante di un confronto finale, “faccia a faccia”, con Dio. Anche l’idea di essere giudicati sulle opere e sulla scelta scomoda degli ultimi, dei poveri (che richiedono uno sporcarsi costantemente le mani senza scendere a nessun tipo di compromesso!), non può che produrre inquietudine nel cuore dell’uomo e destare la coscienza da quel sonno diabolico che manda nell’oblio la necessità di manifestare la fede nella prassi cristiana.
L’eticità è, in effetti, il richiamo ultimo che scaturisce dalle righe evangeliche, senza finire, tuttavia, per sminuire la portata del racconto con una lettura miratamente orizzontalistica, causando quella frammentarietà da cui Fusco ha messo in guardia. Il giudizio universale richiama sicuramente il cristiano ad una costante e gravosa responsabilità, affinché questi non dimentichi mai che la sua vocazione si esplica e trova senso nel servizio, però tutto ciò non va in alcun modo ad intaccare la gioia e la pace interiore dell’impatto, le quali fioriscono dalla certezza di poter incontrare l’Amato in ogni fratello che si ama.
I. Analisi letteraria
I.1 trasmissione e contesto della pericope di Mt 25,31-46
Mt 25,31-46 si introduce all’interno del quinto grande discorso del vangelo di Matteo, conosciuto come il discorso escatologico (Mt 24-25), e segna la fine della vita pubblica di Gesù.
La sua delimitazione non genera alcun problema tra gli esegeti, sulla quale trovano una certa concordanza di parere: il testo inizia dopo le due parabole delle dieci vergini (25,1-13) e dei talenti (25,14-30) e si presenta netto il distacco con il v. 30, «là sarà pianto e stridore di denti», che corrisponde all’applicazione della parabola che lo precede. Anche il limite inferiore è netto visto che il cap. 26 segna in maniera esplicita, nei suoi versetti introduttivi, la fine dei discorsi e l’inizio del racconto di passione.
Per quanto riguarda la trasmissione del testo, le edizioni critiche riferiscono una sola difficoltà quasi irrilevante278: al v. 41 alcuni manoscritti presentano: «il fuoco eterno preparato per il
277 V.FUSCO, «Carità, Chiesa, Mondo nella descrizione del giudizio finale (Mt 25,31-46)», Rassegna di Teologia 3(1985) 270.
diavolo e per i suoi angeli», mentre altri riportano: «il fuoco eterno preparato dal Padre mio per il diavolo e i suoi angeli». Potrebbe costituire una differenza sostanziale per la comprensione testuale, tuttavia l’appellativo «Padre mio», indispensabile per identificare chiaramente in Gesù il re della parabola, si riscontra già in precedenza al v. 34. Per questo motivo gli specialisti non trovano grosse resistenze nel dare maggior credito alla lectio brevior, dove la mancanza di tale specificazione assume un grosso significato teologico279.
Con il nostro racconto, dunque, Matteo fa terminare il discorso escatologico, esattamente come avviene in Marco con la parabola del portiere vigilante (Mc 13,33-37). Il v. 31 si apre facendo menzione della venuta del Figlio dell’uomo, collegandosi così con l’ultima parte del cap. 24, dove dal v. 26 al v. 44 una serie di pericopi avevano trattato sia della «parusia» sia della
«venuta» (verbo érchomai280) del Figlio dell’uomo, generando un distacco evidente rispetto alla prima parte del capitolo, che è incentrata su avvenimenti anteriori alla manifestazione finale.
Emerge con forza la vicinanza della descrizione, in Mt 25,31-32, della venuta del Figlio dell’uomo con quella presente in Mt 24,30-31, vicinanza data non solo dalla tematica trattata ma anche dalla struttura espositivo-semantica:
Di fronte a tali paralleli espliciti, non pochi esegeti si sono chiesti se, per questioni di coerenza, fosse stato meglio collocare il racconto alla fine del cap. 24 e precisamente in successione al v.
44 che menziona per l’ultima volta il Figlio dell’uomo. Tuttavia, seppure non si parli più del Figlio dell’uomo e della sua venuta da 24,45 a 25,30, da una lettura attenta emerge chiaramente come questa sia la tematica che, sottintesa nelle tre parabole precedenti, sarà esplicitamente presente in Mt 25,31-46. È interessante notare anche il chiaro collegamento con le quattro parabole che si succedono da Mt 24,42 a 25,30281:
1 2 3 4
In queste parabole si parla della venuta di un personaggio che rispettivamente è: il ladro in 24,43, il padrone di casa in 24,46, lo sposo in 25,10 e il padrone in 25,19. Ora, questi personaggi rappresentano simbolicamente il Figlio dell’uomo e lo si capisce con certezza dal fatto che al termine della prima parabola, in Mt 24,44, l’applicazione effettua in modo evidente l’accostamento: «Perciò anche voi (…), perché nell’ora che non immaginate il Figlio dell’uomo verrà». In questo modo si rende evidente il collegamento del racconto di Mt 25,31-46 con ciò
279 Per ulteriori spiegazioni occorre far riferimento alla parte prettamente teologica del seguente lavoro.
280 Il verbo érchomai si ritrova in 24,30 («vedranno il Figlio dell’uomo venire sopra le nubi del cielo») e in 24,44 («nell’ora che non immaginate, il Figlio dell’uomo verrà»). Il termine parusia, invece, è presente in 24,27.37.39 (tra volte la stessa formula: «così sarà la venuta del Figlio dell’uomo»).
che lo precede, prospettandosi non come brano isolato ma come la conclusione di una lunga evocazione della manifestazione finale del Figlio dell’uomo, espressa inizialmente in modo diretto (24,26-41) e poi mediante l’uso delle parabole (24,42-25,30).
Un’ulteriore contestualizzazione della pericope matteana con le parabole precedenti è garantita da una sorta di logica interna all’intero discorso escatologico che si rende manifesta nel passaggio dall’indicativo all’imperativo, riscontrabile quest’ultimo a partire dalla prima parabola, quella del ladro. Si può dire che dall’evocazione della parusia in sé si passa all’esortazione dei discepoli per indurli ad assumere nella loro vita terrena quegli atteggiamenti di vigilanza e di responsabilità in vista dei tempi ultimi e del giudizio finale. Le stesse parabole, inoltre, nascondono una sottile, ma comunque presente, alternanza tra questi due tipi di atteggiamenti: si può, dunque, parlare di parabole della vigilanza (V), in cui si ritrova l’esortazione «vigilate», sottolineando quindi la necessità di vegliare, e di parabole della responsabilità (R), in cui i personaggi hanno dei compiti da svolgere durante l’assenza del loro padrone:
V R V R
Il padrone e il ladro
Il servo e il suo padrone
Le dieci vergini e lo sposo
I tre servi e Il loro padrone
Mt 25,31-46 si distacca dalle altre parabole perché mette in scena direttamente il Figlio dell’uomo; ciò, tuttavia, non comporta una sua estraneità con gli atteggiamenti consigliati ai discepoli, e di conseguenza con le parabole precedenti, perché la pericope ha il compito di esprimere con chiarezza e concretezza in che cosa consistono quella vigilanza e quella responsabilità che Matteo ha voluto esaltare.
Essendo a conclusione del discorso escatologico e quindi dei cinque grandi discorsi che scandiscono il vangelo di Matteo, Luigi Di Pinto è spinto ad affermare che «la scena del giudizio costituisce dunque l’ultimo passo dell’ultima istruzione del Signore alla sua chiesa. Per Matteo, questa scena e il messaggio che racchiude nascono e si comprendono nel segno dell’ultimità, recano il valore del definitivo. Oltre non c’è più da cercare. Si è approdati alla situazione finale che illumina retrospettivamente tutta la storia umana e il presente del cristiano. Il ricordo più prezioso che deve imprimersi nella memoria del discepolo, mentre Gesù si avvia verso la sua pasqua, è nascosto qui»282.
I.2 struttura e articolazioni di Mt 25,31-46
Mt 25,31-46 presenta «una costruzione molto armoniosa»283, usando le parole di Gourgues, il quale individua una tripartizione del testo (accettata, tra l’altro, da diversi esegeti):
ad un quadro centrale (vv. 34-45), sul quale poggia la maggior parte del racconto, fanno da cornice una breve introduzione (vv. 31-33) e una conclusione, costituita da un semplice accenno finale all’esecuzione del giudizio (v. 46). Ciononostante la parte centrale, per via della sua ampiezza e della sua palese forma di dittico, è diventata oggetto della fantasia interpretativa degli esegeti.
Gourgues stesso concentra la propria attenzione su questa costruzione parallela nella quale entrambe le parti, che presentano un tóte iniziale («allora»), sono divisibili in altre due sezioni: la sentenza (positiva nei vv. 34-36, negativa nei vv. 41-43) e la spiegazione o giustificazione di questa, generata dallo stupore di entrambi i gruppi. Gourgues, presumibilmente, propone il suo schema sulla base della presenza ripetitiva dell’elenco delle sei
282 L.DI PINTO, Il giudizio finale sul servizio ai fratelli (Mt 25,31-46): punto focale del discorso escatologico, PSV 8 (1983) 176.
opere, nominato due volte dal re e due volte rispettivamente da quelli che sono alla sua destra e da quelli che sono alla sua sinistra. Vista la centralità contenutistica di questo elenco, non a caso presente più di una volta, è facile pensare che la struttura del testo vuole proprio esaltare le sei opere, la cui ripetizione risulterebbe altrimenti un appesantimento inutile del brano.
Joachim Gnilka284, soffermandosi di meno sullo stile letterario del racconto, non ha intenzione di creare ulteriori spaccature ed esemplifica la struttura dividendola semplicemente in tre parti, senza prendere in considerazione il versetto conclusivo: all’introduzione, identica a quella di Gourgues (vv. 31-33), seguono il dialogo con quelli di destra (vv. 34-40) e il dialogo con quelli di sinistra (vv. 41-45).
Una suddivisione molto più articolata è data, invece, da Di Pinto285 il quale, pur mantenendo la tripartizione, considera il corpo centrale come un dittico con quadri simmetrici e contrapposti. La parte di ogni dialogo, infatti, presenta una sentenza (v. 34//v. 41), una prima motivazione (vv. 35-36//vv. 42-43), una reazione di sorpresa (vv. 37-39//v. 44) e una seconda motivazione (v. 40//v. 45). Questa struttura, molto probabilmente, segue l’andamento altalenante del dialogo, nel quale la parola viene presa ora dal re, ora dai due gruppi. Simile alla struttura di Di Pinto è quella riscontrabile in Rinaldo Fabris286 il quale, pur ragionando con lo stesso criterio di giudizio, denomina diversamente le varie sezioni. Alla sentenza (v. 34//v. 41) e alla motivazione (vv. 35-36//vv. 42-43) si susseguono la domanda (vv. 37-39//v. 44) e la risposta del re (v. 40//v. 45). Prendo in considerazione la struttura di Gourgues287 perché, senza esagerare nelle suddivisioni (come in Di Pinto e in Fabris), riesce ad essere moderato, fornendo, inoltre, una motivazione più approfondita degli aspetti tematici di quel parallelismo che Gnilka, invece, giustifica a livello stilistico e, solo in modo generico, a livello contenutistico.
I.3 genere letterario di Mt 25,31-46
Nell’affrontare lo studio del testo di Mt 25,31-46 ci si imbatte in una questione alquanto accesa inerente al genere letterario cui appartiene, visto la divergenza riscontrabile nei diversi pareri che provengono dal mondo esegetico.
284 Cfr. J.GNILKA, Il vangelo di Matteo, 535.
285 Cfr. L.DI PINTO,Il giudizio finale sul servizio ai fratelli (Mt 25,31-46): punto focale del discorso escatologico, 177-178.
286 Cfr. R.FABRIS,Matteo, 504.
Nel presente lavoro di seminario, che vede come tema lo studio del metodo parabolico nella pericope matteana, non si è voluto appositamente nominare il testo d’esame con l’appellativo di parabola, perché non tutti gli studiosi la identificano come tale. Per un lavoro completo si è pensato di riportare le differenti opinioni, con le eventuali motivazioni (lì dove sono presenti), che giustificano l’appartenenza del testo ad un genere letterario anziché ad un altro. L’idea di una parabola in Mt 25,31-46 è stata introdotta all’inizio, molto probabilmente, da Jeremias, il quale proseguendo gli studi di Julicher e di Dodd, porta a segno un grande momento della storia della ricerca sulle parabole evangeliche, «approfondendo meglio il collegamento tra le parabole e le situazioni concrete del ministero di Gesù, proprio per metterne in luce i contenuti decisamente escatologici, ed almeno implicitamente anche cristologici»288.
Nella sua opera, oramai classica, Le parabole di Gesù, Jeremias dedica alcune pagine al brano evangelico in questione, sottolineando in nota che «tutta la pericope è mašal»289. L’esegeta
288 V.FUSCO, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, 17.
Mt 25,31-46
I. Preparativi del giudizio
31Quando il Figlio dell’uomo verrà nella gloria, insieme con tutti i suoi angeli, si sederà sul suo trono glorioso.
32Tutte le nazioni della terra saranno riunite di fronte a lui ed egli le separerà in due gruppi, come fa il pastore quando separa le pecore dai capri:
33metterà i giusti da una parte e i malvagi dall’altra.
II. Giudizio
A. Sentenza positiva A’. Sentenza negativa
34Allora il re dirà a coloro (che saranno) alla sua destra: «Venite,benedetti dal Padre mio, ricevete in eredità il Regno (che è stato) preparato per voi fin dalla fondazione del mondo.
35Perchè io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato sa bere; ero forestiero e mi avete ospitato,
36nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a
42Perchè ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete
39E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti?»
40Rispondendo, il re dirà loro: «In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me».
44Anch’essi allora risponderanno dicendo:
«Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito?».
45Ma egli risponderà: «In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l’avete fatto a me».
III. Esecuzione del giudizio
46E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna.
fornisce, inoltre, una spiegazione puntuale di come vada inteso il termine, che altrimenti si presterebbe ad una troppo estesa interpretazione; in effetti, sostiene Jeremias, in questo caso mašal va considerato come «discorso apocalittico di rivelazione» e, per non generare le premesse ad ulteriori interpretazioni, il suo significato viene da lui paragonato a quello dei mešalim [l’etiopico mesal] dell’ Henoch aethiopicus, i quali erroneamente sono di solito indicati come
«discorsi simbolici». Infine, anche l’immagine della separazione del gregge (vv.32s) viene designata dall’autore come mašal, in questo caso, però, nella sua accezione di «paragone».
Un altro piccolo accorgimento, meno dettagliato, ma certamente non irrilevante per questo studio, è riscontrabile quando Jeremias tratta del terzo strato della tradizione, cioè quello concernente il testo proprio del primo vangelo canonico: Mt 25,31-46 compare, infatti, tra le parabole proprie a Matteo290 (13,24-30(con 36-43).44.45s.47-50; 18,23-35; 20,1-15; 21,28-32;
22,11-14; 25,1-13). Un ultimo riferimento è, peraltro, rintracciabile all’interno del discorso sulla parusia, dove il testo è incluso in una collezione di «parabole sulla parusia» (Mt 24,32-25,46)291 , insieme a quelle parabole che lo precedono. Anche Gourgues, nel suo studio sulle parabole, dedica un intero paragrafo al genere letterario di Mt 25,31-46: egli riconosce che abitualmente il testo è considerato una parabola «perché si presenta come un racconto che descrive una trasformazione di situazioni»292, ma preferisce distanziarsi da questa convinzione letteraria perché individua al suo interno l’alternarsi di due registri, quello fittizio, tipico della parabola, e quello reale. Se nella prima scena, infatti, il personaggio principale è il Figlio dell’uomo (vv. 31-32a), subito dopo paragonato al pastore, nella seconda scena, il personaggio assume le sembianze di un re, dando così al racconto un carattere fittizio.
Tuttavia, l’espressione «benedetti del Padre mio» (v. 34b) permette di identificare il re con lo stesso Gesù, favorendo in tal modo un ritorno del racconto su di un piano reale, così come accade nuovamente, in seguito, mediante l’espressione «i miei fratelli più piccoli» (v. 40).
L’autore nota anche una sovrapposizione simile in relazione agli altri personaggi che compaiono nella scena: inizialmente identificati in maniera realistica con «tutte le genti» (v. 32a), sono poi paragonati alle pecore e ai capri (vv. 32b-33). E ancora, nella seconda scena si realizza il passaggio al registro fittizio, quando il racconto parla di «quelli alla destra» (v. 34) e di «quelli alla sinistra» (v. 41) del re, per poi ritornare, un’ultima volta, sul piano reale con la designazione di «giusti» (v. 37.46) e di «maledetti» (v. 41). Sono individuati, in aggiunta, dall’autore ulteriori elementi del racconto che attestano uno spostamento analogo dal simbolico al reale: quando i beneficiari della sentenza positiva si vedono attribuire in eredità il «regno preparato fin dalla fondazione del mondo» (v. 34), si potrebbe intendere l’azione in senso simbolico, in accordo, in qualche modo, con la condizione regale di colui che pronuncia la sentenza; differentemente, invece, bisogna considerare la sentenza negativa, la quale vede condannati con realismo i reprobi al «fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (v. 41). La stessa cosa va detta per il versetto finale in cui l’esecuzione del giudizio è descritto in modo realistico in termini di
«supplizio eterno» e di «vita eterna».
Dopo aver mostrato, dunque, delle motivazioni che allontanano dal considerare la pericope una parabola in senso stretto, Gourgues cerca di esaminare altri generi per poter dotare Mt 25,31-46 di una identità letteraria. Esamina, innanzitutto, se si tratta di un racconto esemplare; ma, nonostante l’interesse per i comportamenti umani messi direttamente in scena, l’autore si ritrova con la stessa difficoltà di prima per via della presenza di elementi reali, abitualmente assenti nella trama fittizia di un racconto esemplare. Altro tentativo viene realizzato a partire dagli elementi allegorici presenti nel testo, come l’identificazione del re con il Figlio dell’uomo e quella delle persone alla destra con i giusti però, anche in questo caso, non è possibile fare un discorso unitario, perché non tutti gli elementi possono essere ricondotti al genere allegorico, con il rischio, tra l’altro, di forzare la pericope verso un’allegoresi inopportuna. Gourgues, nel tirare le conclusioni, delinea l’«incoerenza» letteraria di Mt
25,31-290 Cfr. J.JEREMIAS, Le parabole di Gesù, 96.
291 Cfr. J.JEREMIAS, Le parabole di Gesù, 66.
46, che egli stesso definisce «una specie di genere ibrido»293, perché ad elementi parabolici si mischiano dei tratti tipici del racconto esemplare, senza peraltro escludere il genere dell’allegoria. È solamente accennato il genere apocalittico che l’autore svilupperà durante l’esegesi, ma che avrebbe potuto benissimo approfondire in questo paragrafo per un discorso più ampio e completo sul genere letterario.
Anche nell’opera dedicata al primo vangelo canonico di Joachim Gnilka294 è possibile trovare delle notizie sul genere di Mt 25,31-46 e, seppure manchino di sistematicità, offrono dei buoni spunti per una collocazione letteraria del testo. L’autore si pone esplicitamente in una posizione di contrasto nei confronti della tesi di Jeremias e di Friedrich, i quali, secondo lui, includono la pericope nei loro libri sulle parabole (considerandola in tal modo una parabola) per un’errata interpretazione dell’iniziale paragone tra l’azione del Figlio dell’uomo e quella effettuata dal pastore. Egli, infatti, controbatte questa ipotesi sia facendo perno sull’insufficienza del contenuto nel testo(in effetti si tratta appena di un solo versetto all’interno di una pericope corposa) sia facendo forza sulla forma futura del verbo, inusuale per il genere parabolico, che abitualmente preferisce i verbi al presente o al passato (in quanto parabole appunto!). Gnilka continua, inoltre, poggiando la sua argomentazione sul legame del brano con Mt 24,29-31, evidenziando un parallelismo non solo a livello contenutistico, ma anche per la forma verbale utilizzata. Egli, infine, tira le sue conclusioni riguardo al genere letterario di Mt 25,31-46 e, seppure ha scartato fin dall’inizio l’idea di Jeremias, come è stato già detto, per altre vie e, paradossalmente, senza alcuna esitazione, afferma che ci si trova di fronte ad un «discorso apocalittico di rivelazione», senza, quindi, affermare nulla di nuovo rispetto al collega tedesco.
Ora, appare chiaro e piuttosto logico pensare a delle incomprensioni sorte tra i due autori: non è
Ora, appare chiaro e piuttosto logico pensare a delle incomprensioni sorte tra i due autori: non è