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Introduzione

“Le parabole di Gesù - nota Jeremias - conducono gli ascoltatori in un mondo loro familiare, dove tutto è tanto semplice e chiaro, che persino un bimbo può capirle; tanto evidente, che l’uditore non può che rispondere: Sì, è proprio così”. La parabola del seme in Mc. 4, 1-20 è la più importante parabola di Gesù, ed è presente in tutti e tre vangeli. Essa è nota per la sua semplicità e chiarezza e per la ricca introduzione scenica, utilizzando materiale tradizionale di un ciclo di miracoli e della raccolta premarciana, insieme alle formule di allineamento.

Cercheremo di fare un’analisi letteraria, presentando il contesto nel quale Gesù ha detto tale parabola, puntualizzando la sua struttura letteraria e facendo un confronto sinottico per evidenziare le corrispondenze tematiche. Poi sviluppo un percorso esegetico che è ovviamente la parte più interessante, perché ci permette a capire la parabola nel suo insieme. Alla fine si tenterà una presentazione dei messaggi teologici della parabola nelle diverse prospettive (cristologiche, soteriologiche, ecclesiologiche ed escatologiche).

I. Analisi letteraria

La pericope di Mc 4,1-20 rappresenta un rilevante testo del vangelo marciano da diversi punti di vista. Anzitutto viene presentata la più importante parabola di Gesù, attestata nella triplice tradizione (Mt 13,1-9; Mc 4,1-9; Lc 8,4-8), la cui valenza teologica rivela la prospettiva dei singoli vangeli e dei contesti specifici redazionali. Inoltre la parabola del seminatore e la sua spiegazione (Mt 13,18-23; Mc 4,13-20; Lc 8,11-15) costituiscono uno straordinario messaggio teologico che inerisce alla persona e alla missione di Cristo (cristologia), al ruolo della Parola di Dio in ordine alla salvezza (soteriologia) e al destino personale e comunitario dei credenti (escatologia)381.

I. 1 Il contesto

Marco inserisce questo capitolo dentro la sezione del ministero di guarigione e predicazione in Galilea. Dunque tutto il quarto capitolo di Marco è una ricomposizione di insegnamenti di Gesù, focalizzati sul tema del regno di Dio e della sua crescita. Anche se il ministero di Gesù si svolge prevalentemente a Cafarnao sul mare di Galilea e la scena di questi detti parabolici ha il suo background sul mare con una barca, sembra che il materiale delle parabole di Gesù sia stato preso dai villaggi e dalle fattorie della Nazareth collinare dell’epoca della sua giovinezza. Dunque non c’è alcun dubbio che Gesù storicamente abbia predicato in parabole382.

Si intravede che nella sezione narrativa di Marco, la parabola del seminatore serve da un indizio che ci fa intuire ciò che è accaduto nella proclamazione del regno iniziata da Gesù. Infatti Marco cerca di descrivere il risultato dell’insegnamento di Gesù in mezzo al suo popolo che non lo comprendeva e non si convertiva.

381 Cfr. J. JEREMIAS, Le parabole di Gesù, Brescia 1967; X. LÉON-DUFOUR, Studi sul Vangelo, Milano 1968, 351-418; 516-518; G. DANIELI, «Le sette parabole del regno», ParVit 14 (1969) 16-22; V. FUSCO V., Parola e Regno. La sezione delle parabole (Mc 4,1-34) nella prospettiva marciana, Brescia 1980; B. ESTRADA-BARBIER, El sembrador. Perspectivas filològico-hermenéuticas de una paràbola, Salamanca 1994.

Ugualmente Matteo e Luca collocano questa sequenza parabolica nell’annuncio del regno, anche se il contesto si differisce leggermente tra di loro. Si pensa che già Marco abbia avuto a sua disposizione una raccolta di parabole. Un confronto con i passi paralleli di Matteo e Luca evidenzia che il testo di Marco, grazie ai suoi abbondanti semitismi, è il più fedele e vicino al racconto originario di Gesù ed essi l’hanno attinto a Marco.

I. 2 La struttura

Mc 4,1-20 si propone come testo tipologico ed esemplare nella prospettiva dello studio redazionale della tradizione biblica marciana e della valenza narrativa della predicazione di Gesù383. Tale significato va conferito all'inserzione preziosa quanto complessa di Mc 4,10-12 (Mt 13,10-15; Lc 8,9-10), in cui viene indicato il senso del metodo parabolico e il ruolo messianico-escatologico della predicazione del Cristo.

I. 2.1 Il testo marciano e la struttura letteraria

Il racconto della parabola del seminatore si inserisce nel più ampio contesto di Mc 4,1-34 che presenta una struttura letteraria così articolata:

Mc 4,1-20: parabola del seminatore, inserzione, spiegazione della parabola;

Mc 4,21-25: parabola della lampada, detto sulla misura del giudizio;

Mc 4,26-29: parabola del seme che cresce nella terra;

Mc 4,30-32: parabola del granellino di senapa;

Mc 4,33-34: conclusione della sezione sulle parabole.

Uno sguardo sintetico all'intero testo consente di valutare l'importanza centrale e programmatica di Mc 4,1-20 che senz'altro ricopre un posto di rilievo, sia per la completezza della narrazione, sia perché le altre parabole minori seguenti fanno riferimento a quella del seminatore, che si collega all'invito programmatico all'ascolto della Parola: «ascoltate...» (v. 3), verbo di riferimento per l'intera pericope.

Mc 4,1-10 è divisibile in tre sezioni distinte: I) vv. 1-9; II) vv. 10-12; III) vv. 13-20. Procedendo ad un confronto sinottico delle tre versioni della parabola, si osserva la seguente corrispondenza tematica:

Mc Mt Lc__________________

vv.1-2 Introduzione vv.1-2 Introduzione v.4

I. vv.3-9 parabola del seminatore vv.3-9 il seminatore vv.5-8 parabola del seme II. vv.10-13 scopo di parabole vv.10-17 scopo di parabole vv.9-10 scopo delle parabole III. vv.14-20 spiegazione vv.18-23 spiegazione vv.11-15 spiegazione Il testo ha una sua ben definita struttura tripartita in tutti e tre i vangeli ed è suddiviso nella (I) parabola del seminatore, nei (II) motivi del parlare in parabole e nella (III) spiegazione del racconto. E’ evidente che nella parabola del seminatore i differenti tipi di terreni vengono enfatizzati come pure in Matteo e Luca. I primi due versetti che evidenziano caratteristiche tipiche di Marco (i termini tipicamente marciani come pàlin, didàskein, parà ten tàlassan, òklos, pollà).creano un location all’insegnamento di Gesù, ambientandolo sulla barca nel mare. Anche Matteo offre la medesima panorama. Invece Luca non inserisce tale collocazione della parabola del seme, ma mette in evidenza la grande folla.

383 Per il significato e l'uso del genere parabolico, cfr. V. FUSCO, Oltre la parabola. Introduzione alle parabole di Gesù, Roma 1983; H. WEDER, Metafore del regno. Le parabole di Gesù: ricostruzione e interpretazione, Brescia

Questi due versetti sono verosimilmente un’introduzione quasi redazionale, perché potrebbe essere una rielaborazione della introduzione tradizionale alla raccolta premarciana delle parabole che iniziava pressappoco così: ‘Gesù salì sulla barca e sedette, stando in mare, e la gente sedeva sulla riva. E diceva loro:…’384. La parabola che inizia sostanzialmente dal v. 3-8 (il quadruplice terreno) non mostra ritocchi marciani. Secondo Weder, i versetti 3-9 potrebbero essere dello stadio di Gesù385. Il v. 3 contiene un antefatto seguito da tre frasi perfettamente parallele anche nei particolari, che descrivano l’esito negativo di tre porzioni minori della semenza. Si può strutturare in seguente modo. Osserviamo le corrispondenze letterarie:

Kai ò cadde sulla via

kai àllo cadde sul suolo roccioso

kai àllo cadde tra le spine

L’esito negativo di tre porzioni della semenza ha una struttura seguente.

Kai vennero gli uccelli la divorarono

Kai si alzò il sole fu bruciata

Kai crebbero le spine la soffocarono

Il v. 8 descrive un esito positivo del seme che cade sul terreno buono. Anche qui in Marco l’ordine delle cifre del rendimento è descritto in modo progressivo ed ascensionale (30, 60, 100) a differenza di Matteo che segue quello regressivo (100, 60, 30). Quale sarebbe il motivo per cui Matteo capovolge un ordine che corrisponde alla progressione dei diversi rendimenti? Secondo Léon-Dufour386, questo non è per minimizzare lo scopo ottimistico della parabola ed indebolire la fiducia che la comunità primitiva attingeva alla parabola originale, ma potrebbe esserci che Matteo abbia dovuto correggere un testo sgraziato, quindi più antico di Marco, prescindendo dal significato teologico che per la comunità apostolica avevano l’ordine crescente delle cifre e le aggiunte che ne sottolineano il valore. Invece Luca menziona soltanto una cifra del rendimento (100 e non 30, né 60).

Il v. 9 infatti appartiene alla parabola originaria e va di pari passo con l’introduzione originaria

‘ascoltate’, e non è di Marco, che avrebbe costruito piuttosto con la formula ‘ei tis’che ricorre spesso in Marco387. Anche Dufour è pienamente d’accordo con Weder e ritiene che l’inciso del v.9: “e diceva loro” significa dal punto di vista letterario che l’ammonizione seguente è una aggiunta388. Il v. 10 dà un’impressione di una tradizione transizionale tra parabola e spiegazione.

Dunque non evidenzia alcuna sfumatura tipicamente marciana. Anche la formula introduttiva al v. 11 non è necessariamente marciana, ma era stata inserita tra la parabola e la spiegazione già prima di Marco. Il v. 13a e il v. 13b non possono appartenere allo stesso livello di tradizione, perché nel v. 13a ‘questa parabola’ in singolare si riferisce ai vv. 3-9, mentre nel v. 13b le parabole in plurale presuppone già la generalizzazione dei vv. 10.12. quindi il v.13a appartiene alla vecchia transizione tra parabola e spiegazione, mentre il v.13b fu inserito più tardi da Marco

384 Cfr. H. WEDER, 128.

stesso389. Invece la spiegazione della parabola dal v. 14-20 sicuramente non poteva attribuirsi a Gesù390. In modo particolare, Jeremias esamina i motivi per poter arrivare alla conclusione che è alla chiesa primitiva che dobbiamo attribuire la spiegazione della parabola del seminatore.

Richiamiamo i seguenti motivi: il termine ‘ho logos’, utilizzato per indicare il vangelo, quindi la parola, compare soltanto nella spiegazione della parabola. E si tratta di un termine tecnico dei tempi apostolici, che si trova nei passi neotestamentari At 8, 4; 2Tim 4, 2; 1Tess 1, 13; At 17, 11;

e che significa la Parola che viene annunciata ed accolta. Questa spiegazione della parabola contiene molte parole sconosciute dai sinottici, ma sono frequenti nella letteratura del NT, particolarmente in Paolo: speìrein nel senso di annunciare; rìza, saldezza interiore; pròskairos, ellenismo che non ha un corrispondente in aramaico. Alla fine, questa applicazione della seminagione all’annuncio della Parola non corrisponde all’uso di Gesù che paragona di preferenza la venuta del Regno all’ammasso del raccolto. Dunque molti esegeti, a questo proposito, concordano con la linea di Jeremias391.

I. 3 Il testo sinottico

Mc 4,1-20 Mt 13,1-9.10-15.18-23 Lc 8,4-15

389Cfr. H. WEDER,131; Schweizer invece considera marciano tutto intero v. 13, perchè Mc. Mette in risalto l’intelligenza da parte di tutti.

10 Quando poi fu solo, i suoi con il cuore e convertirsi, e io li risani.

I. 4 Analisi esegetica392 vv. 1-2:

“Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva.

Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento…”

In questa introduzione alla sezione parabolica, vengono presentati il quadro ambientale, cioè il lago di Galilea dove Gesù insegna spesso-viene indicato da kai palin (Mc 2,13; 3,7-9; 5,21).

Questo ‘di nuovo’ implica anche il fatto che Gesù, dopo la chiamata dei Dodici e il rifiuto da parte degli scribi e farisei, riprende con entusiasmo e tenacia la sua missione d’annuncio. E’

interessante notare i personaggi nella scena: Gesù ed una gran folla. E’ la prima volta che il termine ochlos (folla) è affiancato dall’aggettivo pleitos (numerosa) che evidenzia una moltitudine straordinaria che crea tale necessità di farlo salire sulla barca. Come pensa Grasso, tale folla numerosa qualifica anche l’importanza del primo discorso riportato nel vangelo di Marco e il progressivo aumento del consenso che Gesù riscontra presso la gente.

vv. 3:

“Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare..”

L’invito all’ascolto, che riappare nella conclusione della parabola (v. 9), indica l’importanza dell’insegnamento di Gesù. Anche sembra un richiamo allo shemà : “Ascolta, Israele” (Dt 6,4-9).

Questo significa che non basta un semplice ascolto superficiale della Parola, ma è indispensabile un’accoglienza profonda con piena adesione di fede al messaggio di Gesù, perché si tratta della Parola definitiva di Dio per la salvezza.

vv. 4-7:

“Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto.”

Colui che semina (contadino) non si preoccupa per niente dei terreni sui quali cade il seme.

Questo sembra davvero un comportamento strano, perché di solito un agricoltore cerca di far rendere al massimo il suo terreno. Dunque questa caratteristica apparentemente rimane una contraddizione della parabola, ma non lo è. Perché ha un effetto narrativo molto importante all’interno del racconto parabolico, cioè la seminagione avviene ovunque e in maniera indiscriminata. Si nota che qui la figura del seminatore scompare e si concentra sui diversi tipi di terreni nei quali cade il seme. E’ importante vedere la presenza degli agenti esterni che negativamente influiscono i terreni. Quindi è chiaro che il fallimento della produzione è dovuto non solo dal tipo di terreni (strada, sassi, poca terra), ma anche a causa degli agenti esterni come gli uccelli, il sole e le spine che impediscono la crescita del seme. Infatti, l’accentuato fallimento della produzione fa pensare delle esperienze di insuccesso e di crisi dell’annunzio di Gesù a partire dalla contrapposizione della famiglia e degli scribi e dalle cinque dispute galilaiche (Mc 2,1-3,6).

v. 8:

“E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno”

Al contrario dei terreni improduttivi, qui invece appare un terreno buono e fertile, la cui produzione è il 30, 60, 100. Qui il seme produce frutto esclusivamente per la qualità della terra.

Questa immagine del frutto descrive l’adesione e l’accoglienza dell’azione di Dio, che si traducono nella fede attiva e perseverante. E’ interessante vedere una tensione tra il momento della semina e il momento del raccolto, che si culmina nel fatto che la produzione abbondante ottenuta alla fine fa dimenticare la perdita del seme che cade sui terreni sterili. Anche se nei confronti di Gesù si vede un rifiuto e un fallimento, ma l’esercizio della sua attività pubblica provoca entusiasmo e adesione.

v. 9:

“E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!”

Questo appello ‘òs echei òta àkoùein, àkouèto’ è molto forte per il suo verbo raddoppiato. Tale formula appellativa ricorre spesso nella letteratura cristiana canonica ed extracanonica (Mc4,23;

Mt11,15; Lc14,35; Ap2,7.11.19; nel vangelo di Tommaso ricorre 6 volte). Sembra che in questo versetto, si tratta semplicemente di un’esortazione a capire il messaggio della parabola. Ma c’è qualcosa di più. Il rifiuto dei primi tre suoli e l’accoglienza del terreno buono corrispondono rispettivamente a situazioni di non ascolto e di ascolto. Come afferma Fusco, il senso fondamentale di tale appello non è parenetico, cioè di obbedire ed operare, ma è un appello noetico, cioè di riflettere, a fare attenzione a comprendere393.

v.10:

“Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro”

Qui il quadro ambientale in cui Gesù racconta le parabole cambia dalla barca nel lago con la folla sulla spiaggia, ad un ritirarsi in privato con i suoi discepoli. Infatti il termine kata monas (in privato) appare solo qui in Marco a differenza di kat’idian (in disparte) che invece ricorre spesso (Mc4,34; 6,31; 13,3). Con Gesù rimangono ‘quelli che erano intorno’. Il termine hoi peri auton corrisponde a coloro che si sono riuniti presso di lui per ascoltare la parola, e sono identificati da lui come quelli che compiono la volontà di Dio e per questo motivo hanno stabilito un rapporto familiare con lui, di cui fa parte anche il gruppo dei discepoli. E’ interessante notare nella domanda sul significato delle parabole l’uso plurale di parabole, mentre Gesù finora ne ha raccontato una sola. Questo potrebbe essere un indizio che Marco riporti soltanto alcuni racconti scelti nella sezione parabolica. Poi a differenza di Marco e Luca, nel vangelo di Matteo i discepoli domandano la ragione per cui Gesù parla in parabole.

v.11:

“A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole”

La riposta di Gesù si è svolta al gruppo di quelli che erano intorno a lui e il mistero del regno di Dio è concesso a questi. Il verbo didòmi (dare), qui utilizzato al perfetto passivo dèdotai, indica due cose che l’azione ha come soggetto Dio, l’autore della rivelazione e che questa azione è avvenuta nel passato con un’inferenza nel presente. Poi Marco, a differenza di Matteo e Luca, usa il termine mysterion al singolare, il quale termine è per indicare il progetto di Dio sulla storia, come traduce l’ebraico ràz. Il mistero del regno è il progetto di Dio nascosto che ora è rivelato in Gesù. L’espressione ‘ekeinois dè tois ex ò’ («quelli di fuori») in Marco appare solo qui e quelli di fuori sono coloro che si oppongono alla sua missione e non capiscono la sua parola, e nel linguaggio paolino sono i non credenti. Essi sono come i terreni fruttuosi della parabola.

v. 12:

“perché:guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano, perché non si convertano e venga loro perdonato”

Il testo ripreso dal racconto di vocazione del profeta Isaia (Is 6,9-10) che mette in evidenza la durezza del cuore degli israeliti e che la interpreta teologicamente come lo scandalo dell’incredulità da parte del popolo nei confronti di Dio, qui in Marco serve a mettere in evidenza la mancanza di adesione alla parola di Gesù.

v.13:

“Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole?”

Qui è chiaro che anche quelli che erano intorno a lui vengono rimproverati dalla domanda di Gesù per il loro fraintendimento che è una caratteristica dei discepoli, ricorrente nel vangelo di Marco (Mc 6,52; 7,18; 8,14-21). La incomprensione non è relativa tanto al significato della parabola, quanto al loro senso in rapporto al ministero di Gesù. Tuttavia quelli che erano intorno a lui poi comprenderanno la parabola non per il loro merito o intelligenza, ma grazie al rapporto stretto con Gesù.

v.14:

“Il seminatore semina la parola”

Questo versetto ripresenta la figura del seminatore che adesso non semina più il seme come nella parabola, ma la parola. Il termine lògon ‘parola’ appare 8 volte nella spiegazione della parabola.

Si nota che il seme è allegorizzato, come osserva Grasso394, ma la figura del seminatore non è fatta corrispondere ad alcun personaggio o situazione reale. Si può capire dall’intero racconto che la parola è quella di Dio, e si è manifestata nella missione di Gesù, ma continua ad essere annunciata e diffusa in abbondanza nella storia dalla comunità in missione. Non a caso l’uso del tempo presente del verbo speìrei (semina) sta proprio per conferire il senso dell’attualità e della continuità dell’azione.

v.15:

“Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro”

All’inizio del versetto, il pronome ‘quelli’ fa pensare che l’immagine sulla quale si costruisce, sia quella dei semi, ma alla fine del versetto, ‘la parola seminata in loro’ farebbe pensare che l’immagine sulla quale si costruisce l’allegoria è il terreno. Qui la parola seminata viene eliminata dall’azione di satana quale figura compare fin dall’inizio nel racconto marciano. Il verbo ‘seminare’ alla forma medio passiva ha una funzione di non menzionare il soggetto dell’azione che per un lettore attuale è identificabile con l’azione della chiesa. L’agente del male satana, approfittando della precarietà della parola ancora soltanto ascoltata e non interiorizzata, riesce con violenza ad eliminarla sia durante la missione di Gesù che nella vita futura della comunità cristiana.

vv.16-17: “Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi,

al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono”

Questi versetti presentano un inizio di grande auspicio, ma subito dopo si presenta il momento critico, causato dall’instabilità dell’accoglienza che è descritta dall’immagine della pianta che non riesce ad avere radici. Il seme che cadde nel terreno sassoso corrisponde a coloro che ascoltano la parola e la accolgono con gioia, ma poi sono incostanti e si abbattono. Questa situazione è provocata da una duplice condizione, cioé l’avversità e persecuzioni che sono sempre presenti nella vita della comunità che aderisce al vangelo.

Questi versetti presentano un inizio di grande auspicio, ma subito dopo si presenta il momento critico, causato dall’instabilità dell’accoglienza che è descritta dall’immagine della pianta che non riesce ad avere radici. Il seme che cadde nel terreno sassoso corrisponde a coloro che ascoltano la parola e la accolgono con gioia, ma poi sono incostanti e si abbattono. Questa situazione è provocata da una duplice condizione, cioé l’avversità e persecuzioni che sono sempre presenti nella vita della comunità che aderisce al vangelo.