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La possibile moratoria e l’esclusione dal voto

2.2. Il trattamento dei crediti muniti di prelazione

2.2.1. La possibile moratoria e l’esclusione dal voto

Con la modifica degli artt. 160 e 177 l. fall., attuata attraverso il decreto n. 169/2007, era stata introdotta per la prima volta la possibilità di assoggettare anche i creditori assistiti da privilegio, pegno o ipoteca alla falcidia concordataria, prevedendone una soddisfazione non integrale.89

Si discuteva, tuttavia, sulla possibilità di prevedere per tali crediti una dilazione di pagamento, così come avveniva per i chirografari.

Dottrina e giurisprudenza prevalenti ritenevano che una dilazione fosse ammissibile, a condizione che il pagamento differito prevedesse il riconoscimento degli interessi legali e che il creditore privilegiato fosse ammesso al voto.90 Vi erano però anche molte opinioni contrarie, convinte del fatto che i principi generali della responsabilità patrimoniale e la funzione stessa dei privilegi e delle garanzie non potessero ammettere una “novazione unilaterale” dell’obbligazione originaria, senza una preventiva ed espressa adesione dell’interessato (mediante accordo dilatorio o remissorio, rinuncia al privilegio, pactum de non petendo ecc.).91

Il legislatore è intervenuto sul punto con l’art. 186-bis, secondo comma, lett. c), riuscendo, tuttavia, a risolvere solo parzialmente le questioni aperte.

L’articolo dispone che, nel concordato con continuità aziendale, <<il piano può prevedere, fermo quanto disposto dall’articolo 160, secondo comma, una moratoria fino a un anno dall’omologazione per il pagamento dei creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che sia prevista la liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione. In tal caso, i creditori muniti di cause di prelazione di cui al periodo precedente non hanno diritto al voto>>.

89 Da allora, nel caso in cui il bene oggetto di prelazione sia incapiente, si ammette la degradazione a

chirografo della parte di credito non garantita che, conseguentemente, può anche rimanere insoddisfatta. In ogni caso, ai sensi dell’art. 160, secondo comma, il piano deve prevedere una soddisfazione dei crediti privilegiati non inferiore a quella realizzabile sul ricavato dei beni, in caso di liquidazione.

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Cfr. Trib. Mantova, 16 settembre 2010, in Il Caso.it; Trib. Cassino, 27 luglio 2012, www.osservatorio-

oci.org; Trib. Modena, 27 febbraio 2010, in Il Caso.it; in dottrina FERRO, Commento sub art. 160 l. fall.., in FERRO (a cura di), La legge fallimentare, II ediz., Padova 2011, p. 1727.

91 Così BOTTAI, Crediti prelatizi dilazionati e diritto di voto nel concordato: un falso problema, in Il

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La norma introduce, dunque, espressamente la possibilità di pagare con dilazione anche i creditori privilegiati, a condizione che i beni su i quali insiste la prelazione non siano oggetto di liquidazione anticipata, perché non funzionali all’esercizio dell’impresa.

Il riferimento all’art. 160, comma 2, è funzionale a chiarire che, quando una parte del credito prelatizio degradi a chirografo per incapienza del bene oggetto del privilegio, la dilazione del pagamento potrà riguardare comunque la residua parte di credito che resta garantita.

Risulta, invece, poco chiaro il termine “moratoria”: senza dubbio esso determina un effetto dilatorio, ammettendo una proroga del pagamento del credito in linea capitale; non è, però, certo se tale dilazione implichi anche la non decorrenza degli interessi correlati, oltre che la sospensione del loro pagamento.

L’impossibilità per i creditori muniti di prelazione di pretendere il pagamento prima del termine annuale potrebbe, in effetti, essere interpretata come volontà di introdurre un differimento ex lege dell’originario termine di scadenza del credito: ciò determinerebbe la non debenza degli interessi, che in tale periodo sarebbero altrimenti maturati, in virtù dell’art. 55 l. fall., espressamente richiamato dall’art. 169.92 E questa lettura sarebbe senz’altro coerente con l’ottica di favor verso l’istituto adottata dal legislatore nel suo intervento riformatore.93

Tuttavia, per com’è formulata, la norma non sembra far differire il termine di scadenza, quanto piuttosto escludere l’esigibilità di crediti già venuti a scadere che, come tali, sono quindi produttivi di interessi. Nel silenzio della norma sul punto, infatti, dovrebbero invocarsi i princìpi generali sulle obbligazioni pecuniarie e, in particolare, il disposto dell’art. 1282, 1° comma, c.c., ai sensi del quale i crediti liquidi ed esigibili di somme di denaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente.94

È pur vero che qualunque moratoria legale non può che arrestare il decorso degli interessi di mora, non potendo il debitore essere considerato inadempiente; allo stesso modo, la sospensione dovrebbe riguardare anche gli interessi convenzionali e qualunque altra penale a titolo risarcitorio, prevista come effetto per l’irregolare o non tempestivo

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L’art. 55, primo comma, l. fall. recita: << La dichiarazione di fallimento sospende il corso degli interessi convenzionali o legali, agli effetti del concorso, fino alla chiusura del fallimento, a meno che i crediti non siano garantiti da ipoteca, da pegno o privilegio, salvo quanto è disposto dal terzo comma dell'articolo precedente.>>

93 In questo senso AMBROSINI, Appunti in tema di concordato, cit., p.15. 94

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adempimento. Analoga conclusione non è, però, proponibile per gli interessi compensativi (nella misura del tasso legale), legati alla naturale fecondità del denaro e finalizzati a riequilibrare il vantaggio che il debitore trae dalla dilazione del pagamento.95 Vista nella sua funzione “indennitaria”, infatti, la decorrenza degli interessi dovrebbe concorrere a scongiurare il rischio che si verifichino casi di “esproprio senza indennizzo”.

Dunque, seppur coerente con la presumibile intenzione del legislatore, la possibilità di escludere la maturazione degli interessi sembra non poter essere ammessa.96

Questa soluzione è avvalorata dalla previsione, introdotta in sede di conversione in legge del decreto, secondo la quale i creditori soggetti a moratoria non hanno diritto di voto: tale previsione apparirebbe oltremodo ingiusta, se il sacrificio si estendesse anche al diritto di riscuotere gli interessi.97

Sull’esclusione del diritto di voto occorre, peraltro, fare alcune precisazioni. Come è stato osservato,98 l’affermazione che “in tal caso” i creditori non votano può avere diversi significati:

 che questa è l’unica ipotesi in cui è consentito non pagare subito i creditori privilegiati;

 che i creditori devono di regola essere pagati subito e non maturano diritto di voto quando la liquidazione concordataria è temporalmente comparabile con la liquidazione fallimentare, mentre nel caso in cui vi sia un disallineamento, il voto deve essere riconosciuto;

 che i creditori privilegiati possono essere pagati in ritardo e voteranno solo nel caso in cui la dilazione ecceda il termine annuale.

Il sacrificio del diritto di voto, in effetti, sembrerebbe giustificato solo in caso di totale indifferenza del creditore rispetto al concordato, situazione che si verifica solo quando il pagamento avviene integralmente all’omologa. Tuttavia, una simile conclusione comporterebbe un’interpretazione fortemente riduttiva della norma.

Sul punto, la dottrina è divisa.

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LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p.62.

96 Si tratterebbe, dunque, di un caso in cui lex minus dixit quam voluit. AMBROSINI, Appunti in tema di

concordato, cit., p.16.

97 LAMANNA, ibidem. 98

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Vi è, in primo luogo, chi esclude a priori il diritto di voto, nella convinzione che la portata innovativa della disposizione consista proprio nell’aver imposto ai creditori privilegiati una dilazione “non compensata”, al fine di incentivare il ricorso al concordato con continuità aziendale e di agevolarne la riuscita.99

Secondo altri, il creditore pagato tardivamente dovrebbe invece essere sempre ammesso al voto, in quanto anche un pagamento dell’intero ammontare della pretesa, se eseguito in via dilazionata, configurerebbe un “soddisfacimento non integrale”, con riguardo a quanto previsto dall’art. 160, comma 2, l. fall..100 Questa lettura, come abbiamo già evidenziato, andrebbe però ad abrogare sostanzialmente l’ultimo periodo del comma 2.

Vi è, infine, chi sposta l’attenzione sul limite temporale stabilito dalla norma, affermando che il diritto di voto debba essere concesso nella misura in cui si ammetta la possibilità di estendere la moratoria oltre l’anno dall’omologazione.101

La questione del diritto di voto, in ultima analisi, suscita alcune perplessità anche in via derivativa, con riferimento ad una particolare (ma plausibile) ipotesi. Nulla vieta al debitore che continui l’attività d’impresa di proporre anche ai chirografari, anziché un soddisfacimento in percentuale, un pagamento integrale ma dilazionato. Se ciò avvenisse, i creditori chirografari avrebbero senz’altro accesso al voto, in virtù del loro rango, mentre ai privilegiati lo stesso diritto potrebbe essere negato, a seconda della

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LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p. 62. L’autore, partendo dal presupposto che i creditori privilegiati pagati in ritardo non possano votare, nega la possibilità di prevedere una moratoria maggiore di un anno. Si veda inoltre MAFFEI ALBERTI, sub art. 186-bis, op. cit., p. 1329, secondo cui <<la

semplice dilazione di un pagamento che resta comunque integrale, perlomeno nei limiti di cui all’art. 160, 2° co., non è stata ritenuta sufficiente a fare concorrere i creditori privilegiati con quelli chirografari, che subiscono la falcidia concordataria, nel determinare le sorti della proposta di concordato>>.

100 In questo senso LO CASCIO, op. cit., p. 13 e BONFATTI, La disciplina dei crediti privilegiati nel

concordato preventivo con continuità aziendale, in Crisi d’Impresa e Fallimento, 2013, p. 31. Secondo

quest’ultimo, in particolare, la “parte residua del credito” per la quale al creditore privilegiato spetterebbe il diritto di voto, dovrebbe essere determinata, nell’ipotesi di pagamento integrale ma dilazionato della pretesa, dalla <<entità della perdita quantificata non già in termini economici (l’entità della passività iscritta nel bilancio del debitore che non è possibile soddisfare), ma in termini finanziari (la differenza tra il soddisfacimento prospettato al creditore privilegiato nella proposta di concordato preventivo, per capitale ed – eventualmente – interessi, ed il soddisfacimento che sarebbe conseguito ad un pagamento immediato>>.

101 VELLA, Il concordato con continuità aziendale, cit., p. 189: <<La lettura combinata delle due parti

della norma – quella sulla moratoria e quella sul diritto di voto – sembra per la prima volta sancire l’integralità della soddisfazione ottenuta dai creditori prelatizi mediante un pagamento intervenuto entro l’arco temporale di un anno dall’omologazione, con il correlato difetto di interesse alle sorti della proposta concordataria che giustifica la privazione del diritto di voto (...). Al contrario, a fronte di una moratoria ultrannuale il pagamento non potrebbe considerarsi integrale, rendendo necessaria l’adesione della volontà dei creditori privilegiati, da esercitarsi – a seconda delle diverse letture – preventivamente e singolarmente, ovvero all’interno del meccanismo concordatario maggioritario>>. Si veda inoltre

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lettura che si accoglie. Ciò farebbe emergere un’illogica e potenzialmente incostituzionale disparità di trattamento, a meno che non si ritenesse che in tale ipotesi anche i chirografari non votino: soluzione che si porrebbe, però, in evidente contrasto con le norme che disciplinano il diritto di voto nel concordato.102

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