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Profili problematici del concordato con continuità aziendale

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Academic year: 2021

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INDICE

Premessa ... 3

I PARTE: Il piano 1.1. I concordati misti ... 9

1.1.1. Il criterio della “prevalenza” ... 9

1.1.2. La funzionalità dei beni ... 12

1.1.3. L’indicazione dei risultati attesi dalla prosecuzione dell’attività ... 14

1.2. L’ammissibilità del trasferimento di azienda ... 18

1.2.1. Individuazione delle fattispecie ... 18

1.2.2. L’orizzonte temporale del piano ... 22

II PARTE: La disciplina di favore 2.1. Il pagamento dei crediti anteriori ... 27

2.1.1. Il problema della compatibilità della richiesta con la domanda prenotativa di concordato ... 29

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2.2. Il trattamento dei crediti muniti di prelazione ... 36

2.2.1. La possibile moratoria e l’esclusione dal voto ... 36

2.2.2. Il termine annuale ... 40

III PARTE: Autonomia privata e sindacato dell’autorità giudiziaria 3.1. Premessa ... 45

3.2. L’ammissione al concordato in continuità ... 45

3.2.1. La valutazione sulla convenienza ... 47

3.2.2. La fattibilità della proposta ... 53

3.2.3. La c.d. “riqualificazione” ... 58

BIBLIOGRAFIA ... 61

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Premessa

Una delle principali novità introdotte in materia fallimentare con il Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, più noto come “Decreto Sviluppo, 1 è rappresentata dall’art. 186-bis, rubricato “Concordato con continuità aziendale”.2

Sebbene l’ampia formulazione dell’art. 160 consentisse, già in passato, di ritenere ammissibile un concordato basato sulla prosecuzione dell’attività d’impresa,3 oggi esso trova una specifica definizione e regolamentazione, rivelando alcune affinità con la legge Prodi-bis, in materia di amministrazione straordinaria. L’art. 186-bis considera, infatti, come concordato in continuità, quello il cui piano preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio, ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione. La nozione introdotta con la riforma accomuna, dunque, fattispecie molto diverse tra loro, declinando la continuità aziendale in senso tanto soggettivo, quanto oggettivo.4

A ben vedere, la norma si inserisce in quel passaggio da un sistema a soggetto ad un sistema ad attività, iniziato in Italia già dagli anni Settanta: 5 fu il d.l. 30 gennaio 1979, n. 26,6 a riconoscere per primo all’impresa un interesse “in sé”, distinto da quelli dei vari soggetti in essa coinvolti. Il processo iniziato con la l. Prodi ebbe seguito con la l. 10 ottobre 1990, n. 287, “Norme per la tutela della concorrenza e del mercato” (volta a tutelare l’interesse oggettivo del mercato alla concorrenzialità ed avente ad oggetto direttamente l’impresa), per poi subire una forte accelerazione con la riforma organica della disciplina delle società di capitali (d.lgs. n. 6/2003), che poneva l’impresa al centro del fenomeno societario. Nel tempo, in altre parole, si è verificata una sorta di

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Il decreto è stato in seguito convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 134. Per un quadro generale si veda LAMANNA, La legge fallimentare dopo il “Decreto sviluppo”, Il Civilista, Giuffré, Milano 2012.

2 Va precisato che, sebbene la norma richiami la continuità dell’azienda, “quest’ultima può al più essere

conservata o gestita con criteri di continuità, ma ciò che, più appropriatamente ed in effetti può proseguire, è l’attività d’impresa”. LAMANNA, op. cit., p. 58.

3 Ai sensi dell’articolo, infatti, il piano di concordato può prevedere la <<la ristrutturazione dei debiti e la

soddisfazione dei crediti attraverso qualsiasi forma, anche mediante cessione dei beni, accollo, o altre operazioni straordinarie>>. Nella prassi si erano, così, diffuse due forme di concordato: i c.d. “concordati

di ristrutturazione” o “di risanamento”, in cui l’attività proseguiva, dopo la ristrutturazione, in capo alla stessa impresa, senza cessione a terzi dell’attività; e i “concordati liquidatori”, che prevedevano la cessione dei beni a terzi, atomisticamente o in forma aggregata attraverso il trasferimento dell’azienda.

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Secondo parte della dottrina, la nozione di continuità aziendale utilizzata dal legislatore è “spuria”. FABIANI, Riflessioni precoci sull'evoluzione della disciplina della regolazione concordata della crisi

d'impresa, in Il Caso.it, II, 303/2012.

5 Cfr. FERRO LUZZI, Lezioni di diritto bancario, I, Giappichelli, Torino 2004, p. 36-37.

6 Convertito, con modificazioni, nella l. 3 aprile 1979, n. 95: “Provvedimenti urgenti per

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rivoluzione copernicana, che ha posto non più l’uomo al centro di un sistema in sua funzione ricostruito, ma l’organismo produttivo e la sua l’attività, oggettivamente considerata.7

Questo spostamento di prospettiva, dall’imprenditore all’impresa, caratterizza anche il più recente intervento riformatore in ambito fallimentare, che vede la preservazione dell’attività quale obiettivo principale di molte disposizioni.8

In linea con tale obiettivo, l’art. 186-bis individua per i piani in continuità una disciplina che potremmo definire “di favore”: al comma 2, lettera c), si prevede la possibilità di una moratoria pari a un anno dall’omologazione per il pagamento di creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, salvo che, prima dello spirare del termine, sia prevista l’alienazione dei beni o diritti su cui sussiste il diritto di prelazione. Il terzo comma prevede che i contratti in corso di esecuzione, fatta salva la volontà del debitore ex art. 169-bis, non si risolvono per effetto dell’apertura della procedura, rendendo inefficaci eventuali patti contrari; tale previsione è valida anche per i contratti stipulati con le pubbliche amministrazioni, salva la necessità di una relazione, redatta da un professionista, attestante la conformità della prosecuzione del rapporto al piano e la capacità di adempiere del debitore.

L’ammissione al concordato non impedisce (sempre che sussista l’attestazione di conformità al piano e di capacità dell’impresa di adempiere gli obblighi contrattuali) la partecipazione della stessa a procedure di assegnazione di contratti pubblici, a condizione che un terzo operatore, in possesso dei requisiti, si impegni a mettere a disposizione le risorse necessarie all’esecuzione dell’appalto e a subentrare all’impresa ausiliata, qualora essa fallisca nel corso dell’esecuzione.9 Infine, il comma 5 consente all’impresa in concordato con continuità di concorrere all’assegnazione di appalti anche

7

FERRO LUZZI, op. cit., p. 38.

8 L’art. 33 del decreto, che rappresenta ai nostri fini la norma principale, è rubricato “Revisione della

legge fallimentare per favorire la continuità aziendale”. L’art. 186-bis non è, infatti, l’unico, tra le norme

di nuova introduzione, ad affrontare il tema della continuità. Molte altre disposizioni hanno la finalità di orientare il debitore verso scelte concordatarie che prevedano il mantenimento in vita dell’impresa: ne sono un esempio l’art. 182-sexies, che prevede la paralisi ex lege della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale e dei connessi obblighi di ricapitalizzazione, per il periodo intercorrente tra data di deposito della domanda (anche solo prenotativa) di concordato e l’omologazione; l’art. 182-quinquies, che consente al proponente di chiedere al tribunale l’autorizzazione a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi essenziali alla prosecuzione dell’attività, e l’art. 169-bis, che detta finalmente una disciplina per i contratti in corso di esecuzione, prevedendo che il debitore possa essere autorizzato a sciogliersi dai contratti o a sospenderli, ove la prosecuzione del rapporto costituisca un ostacolo alla realizzazione del piano, e riservando al contraente un indennizzo in moneta concorsuale.

9 Contestualmente all’introduzione di questa norma, è stato modificato l’art. 38 del Codice degli appalti

pubblici, laddove esso non prevedeva la possibilità di partecipare agli appalti per le imprese in concordato. Tale possibilità è ora ovviamente limitata alle sole ipotesi di concordato preventivo in continuità.

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riunita in un raggruppamento temporaneo di imprese, purché non rivesta la qualità di mandataria e sempre che le altre imprese aderenti al gruppo non siano sottoposte a loro volta ad una procedura concorsuale.

Altra disposizione che evidenzia il favor del legislatore per la continuità è contenuta nel comma 4 dell’art. 182-quinquies: la norma consente al debitore che presenti una domanda di concordato con continuità di chiedere al Tribunale l’autorizzazione a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni e servizi, se un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, terzo comma, lett. d), attesta che tali prestazioni sono essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa, nonché funzionali ad assicurare la miglior soddisfazione dei creditori.

Due le condizioni, perché la disciplina riservata al concordato in continuità possa trovare applicazione: in primo luogo, il piano deve prevedere un’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura. Dovrà quindi essere depositato un vero e proprio progetto imprenditoriale, sostenuto da un preciso piano finanziario.

In secondo luogo, la relazione dell’esperto asseveratore deve attestare che la prosecuzione dell’attività d’impresa prevista dal piano è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori. L’obiettivo ultimo, quindi, anche in un concordato in continuità, continua ad essere rappresentato dal grado di soddisfacimento del ceto creditorio.10

In presenza di una delle ipotesi indicate al primo comma, l’art. 186-bis sembra fondare una disciplina ad applicazione necessaria. Deve, tuttavia, evidenziarsi come tale norma possa sollevare alcune difficoltà interpretative.

Innanzitutto, la variante della continuità aziendale “pura”, contemplante la prosecuzione dell’attività in capo alla stessa impresa e la soddisfazione dei creditori grazie agli utili realizzati per mezzo della continuità, è stata, nella prassi, attuata solo di rado;11 più spesso, la prosecuzione si realizza attraverso forme di concordato “miste”, o

10

Lo chiarisce la stessa relazione di accompagnamento al decreto: “la continuità aziendale non è un

valore in sé, ma soltanto in quanto strumentale alla soddisfazione degli interessi del ceto creditorio”.

Critico su questa scelta del legislatore Lamanna, il quale sottolinea come essa “sembra subordinare la

prosecuzione dell’impresa sempre e comunque al miglior soddisfacimento dei creditori, sovvertendo in certo senso ciò che sembrava ormai un dato acquisito per il nuovo concordato preventivo, ossia che esso servisse più a salvare l’impresa che a soddisfare i creditori. Sembra trattarsi quindi di un possibile arretramento delle finalità della riforma in quest’ordine di idee”. LAMANNA, Il c.d. decreto sviluppo: primo commento sulle novità in materia concorsuale, in Il Fallimentarista, Giuffré 2012, p. 31.

11 Questo tipo di piano è stato addirittura definito una “rara avis”. LAMANNA, La legge fallimentare,

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che prevedono, in varie forme, la separazione dell’azienda dall’imprenditore che ne era in precedenza titolare. In tutti questi casi, non è scontato poter ricondurre la fattispecie concreta all’ambito applicativo del concordato con continuità aziendale.

Ulteriori incertezze interpretative sorgono, poi, ad una lettura più attenta delle varie norme che delineano la disciplina di tale forma di concordato, anche al di fuori dell’art. 186-bis.

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I PARTE: Il piano

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1.1. I concordati misti

1.1.1. Il criterio della “prevalenza”

Mentre non si pongono dubbi circa l’applicabilità dell’art. 186-bis all’ipotesi in cui l’imprenditore decida di proseguire direttamente l’attività, servendosi della totalità dei cespiti ricompresi nel patrimonio aziendale e destinando i proventi al soddisfacimento dei creditori, meno certa è l’attribuzione della qualità di concordato con continuità aziendale nei confronti di un piano “misto”, nel quale, cioè, alla prosecuzione dell’attività si affianchi la liquidazione di alcuni beni, estranei al perimetro aziendale.

Se in caso di concordato per cessio bonorum, dottrina e giurisprudenza tendono ad escludere che il piano possa prevedere la cessione solo parziale dei beni, sul presupposto che l’art. 2740 c.c. (ai sensi del quale qualsiasi debitore risponde delle obbligazioni assunte con tutto il suo patrimonio, presente e futuro) debba valere a fortiori per l’imprenditore in stato di crisi;12 al contrario, qualora sia presentato un concordato in continuità, il legislatore consente espressamente all’imprenditore di liquidare alcuni assets e destinare il restante patrimonio alla prosecuzione dell’attività.13 Nel concordato in continuità, dunque, in netto contrasto con i principi generali del sistema di diritto comune, il debitore è libero di proporre ai creditori la conservazione di parte del patrimonio in capo alla proponente. Questa previsione, secondo parte della

12 Per la dottrina si veda DI PIRRO, Il nuovo concordato preventivo,CELT, Piacenza 2012 e AUDINO,

sub art. 161, in MAFFEI ALBERTI, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova 2013. Per la giurisprudenza cfr. Trib. Roma, 25 luglio 2012, in Il Caso.it, secondo cui <<una proposta concordataria

con finalità liquidatorie che preveda il mantenimento di parte dell’attivo in capo alla società proponente (...) si porrebbe in aperto contrasto con l’art. 2740 c.c., che pone il principio della responsabilità patrimoniale del debitore verso i suoi creditori con tutto il suo patrimonio, in quanto finirebbe per legittimare – a fronte dell’effetto esdebitatorio del quale godrebbe la società proponente ai sensi dell’art. 184 l. fall. con riferimento alla porzione di debiti non pagata in sede concordataria – una vera e propria sottrazione ai creditori di quella società di parte dell’attivo. Né la circostanza della sottoposizione al voto della proposta può modificarne l’esito: la possibilità per la maggioranza di esprimersi sulla convenienza della proposta con effetto autoritativo anche verso la minoranza dissenziente incontra i limiti posti dall’ordinamento tra i quali, si ripete, quello della liceità della causa e dell’oggetto con riferimento all’art. 2740 c.c.>>; in questo senso anche Trib. Roma, 29 luglio 2010, in Il Caso.it e App.

Roma 5 marzo 2013, in Il Caso.it, ai sensi del quale <<se il concordato è liquidatorio, la parziale

distrazione del ricavato dei beni destinati al soddisfacimento dei creditori sociali viola l’art. 2740 c.c. a prescindere dalla destinazione degli stessi>>.

13 L’ultima parte del primo comma dell’art 186-bis afferma, infatti, che <<il piano può prevedere anche

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giurisprudenza,14 sarebbe espressione della volontà del legislatore di salvaguardare i valori aziendali, tramite il recupero dell’impresa: unico obiettivo che possa giustificare la previsione di una deroga al principio della responsabilità patrimoniale. La disciplina del concordato in continuità, in effetti, ammette un sacrificio delle (immediate) ragioni dei creditori, unicamente allo scopo di tutelare le esigenze di continuità dell’impresa, continuità che non sarebbe certamente ipotizzabile, ove si ritenesse di dover sottrarre al debitore l’intero patrimonio aziendale.

Questione più complessa è stabilire se si possa ancora parlare di continuità quando i beni che l’imprenditore intende liquidare rappresentano la parte preponderante dell’attivo (come può accadere nel caso in cui il patrimonio aziendale ricomprenda un ampio complesso immobiliare non strettamente strumentale all’esercizio dell’impresa) o il piano prevede una consistente e sostanziale riduzione dell’attività, con la chiusura di stabilimenti, la cessazione di unità locali e il licenziamento di gran parte dei dipendenti.15

In questi casi, si rende necessario appurare quali disposizioni, tra quelle di cui all’art. 182 e quelle di cui all’art. 186-bis, debbano essere applicate. I regimi in questione presentano, infatti, peculiarità tali da renderne sostanzialmente impraticabile l’applicazione congiunta: se il concordato ha ad oggetto la cessione di beni, è richiesta la nomina di un liquidatore, superfluo in caso di continuità aziendale;16 per contro, la novella del 2012 detta regole particolarmente rigorose per la costruzione e l’attestazione di un piano in continuità (nell’intento di contemperare l’interesse alla conservazione del valore aziendale con quello del soddisfacimento dei creditori), oltre a prevedere tutta una serie di agevolazioni (cui abbiamo in precedenza accennato) che difficilmente potrebbero operare in uno scenario liquidatorio, trovando giustificazione proprio nell’obiettivo della conservazione aziendale. Si pone, dunque, un problema di individuazione della disciplina applicabile.

14 Cfr. ancora Trib. Roma, 25 luglio 2012: << la previsione di parziale cessione dei beni costituisce

deroga legale alla previsione dell’art. 2740 c.c. per il caso di concordato in continuità ed è espressione dell’evidente volontà del legislatore di favorire il risanamento dell’impresa; se ne deduce a contrario l’impossibilità di ammettere un concordato liquidatorio con cessione parziale dei beni in assenza di un’espressa previsione legislativa derogatoria dell’art. 2740 c.c.>> e App. Roma 5 marzo 2013, in Il Caso.it.

15 PAJARDI, Codice del fallimento - VII ed., Milano, Giuffré 2013, sub art. 186-bis. 16

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Una possibile soluzione al problema è stata individuata dalla dottrina17 nel c.d. principio della “prevalenza”,già utilizzato nel diritto civile in materia di contratti misti: secondo questo criterio, in presenza di un contratto costituito da elementi di tipi contrattuali diversi, deve trovare applicazione la disciplina dello schema negoziale tipico al quale siano riconducibili gli elementi prevalenti del contratto, senza tuttavia negare ogni rilevanza giuridica agli ulteriori elementi presenti.18

Trasferendo il criterio in ambito concordatario, ogni qual volta la prosecuzione dell’attività d’impresa si riveli funzionale alla liquidazione (se, ad esempio, il temporaneo mantenimento della rete commerciale sia strumentale all’alienazione della merce presente in magazzino a condizioni più favorevoli), o risulti secondaria – in termini qualitativi e quantitativi – rispetto alla liquidazione atomistica del patrimonio, dovrebbe trovare applicazione l’art. 182, salvo che per gli aspetti strettamente concernenti la continuità d’impresa, per i quali verrebbero in considerazione le disposizioni di cui all’art. 186-bis.19 Al contrario, laddove il piano sia prevalentemente incentrato sulla prosecuzione in proprio dell’attività o sul trasferimento dell’azienda, il regime da osservare sarebbe quello dell’art. 186-bis, salva l’applicazione delle modalità di vendita di cui all’art. 182 con riferimento alla dismissione dei beni non strumentali.20 La giurisprudenza di merito sembra seguire questa impostazione. Si segnala, in particolare, un decreto pronunciato dal Tribunale di Mantova il 19 settembre 2013. Il caso riguarda una società che, dopo aver presentato ricorso ex art. 161, sesto comma, l.

17 In questo senso AMBROSINI, Appunti in tema di concordato con continuità aziendale, in Crisi

d’Impresa e Fallimento, 2013, p.5.

18 Cass., 12 dicembre 2012, n. 22828in Diritto & Giustizia, 2012: “in tema di contratto misto, la relativa

disciplina giuridica va individuata in quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (cosiddetta teoria dell'assorbimento o della prevalenza), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi, che sono voluti dalle parti e concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili con quelle del contratto prevalente”.

19 In particolare, l’esperto sarebbe comunque chiamato ad attestare la funzionalità della continuazione

aziendale al miglior soddisfacimento dei creditori. Si veda AMBROSINI, ibidem.

20 Il criterio della prevalenza era, del resto, utilizzato anche prima della riforma del 2005. L’art. 160 l. fall.

disciplinava allora due sole forme di concordato: il concordato con garanzia e il concordato con cessione dei beni. Il primo, strumentale alla conservazione dell’azienda, contemplava l’offerta da parte del debitore di <<serie garanzie reali o personali di pagare almeno il quaranta per cento dell’ammontare dei crediti

chirografari>>, mentre il secondo prevedeva, se non fosse stata possibile la vendita in blocco, la cessione

di tutti i beni esistenti nel patrimonio del debitore, ad eccezione di quelli di cui all’art. 46 l. fall.. Per stabilire la disciplina applicabile nei casi in cui alla cessione dei beni si fosse abbinata una garanzia, si ricorreva, appunto, al criterio della prevalenza: qualora il debitore avesse proposto la cessione dei beni e concesso una fideiussione fino ad un determinato ammontare, il concordato sarebbe stato da annoverare tra quelli con cessione dei beni; se, invece, la fideiussione avesse avuto lo scopo di garantire ai creditori chirografari il pagamento di una certa percentuale, il concordato avrebbe dovuto essere ricompreso tra quelli con garanzia. Si veda CIRILLO, Il concordato preventivo e fallimentare nella crisi d'azienda,

Maggioli Editore, 2012, p. 66, e PINTO, Disciplina del concordato preventivo misto, in Fall., 1997, p. 343.

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fall., prima del deposito del piano concordatario, aveva concesso in affitto tre distinti rami d’azienda, concludendo i relativi contratti preliminari di cessione. Il piano concordatario prevedeva, pertanto, la prosecuzione dell’attività mediante affitto e successiva vendita dei rami d’azienda, supportata dalla cessione delle rimanenze in magazzino, dal recupero di alcuni crediti e dall’acquisizione di royalties. Il Tribunale, nello stabilire quale disciplina applicare a questa fattispecie, in parte liquidatoria e in parte in continuità, ha ritenuto che le ulteriori attività previste dal piano non potessero portare a qualificare il concordato come liquidatorio, non essendo prevalenti, in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al valore dell’azienda che sarebbe rimasta in esercizio.21

Se ne ricava il seguente principio: per individuare le norme da applicare in caso di concordato misto, occorre verificare se le operazioni di dismissione previste, ulteriori rispetto alla prosecuzione dell’attività, siano o meno prevalenti, in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al valore dell’azienda che permane in esercizio, quand’anche per mezzo di cessione a terzi.22

1.1.2. La funzionalità dei beni

Un ulteriore aspetto che occorre approfondire in tema di concordati misti, è quello concernente la funzionalità dei beni aziendali all’esercizio dell’impresa.

Com’è noto, l’art. 186-bis prevede la possibilità di liquidare alcuni beni, ma non lascia all’imprenditore una completa libertà di scelta in merito: la norma specifica, infatti, che deve trattarsi di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.

Ci si chiede, allora, se il requisito della funzionalità debba essere verificato con riferimento all’attuale attività di impresa, così come esercitata dal debitore al momento della presentazione della domanda di concordato o, piuttosto, avendo riguardo alle

21 Trib. Mantova, 19 settembre 2013, in Il Caso.it: << tenuto conto che la fattispecie indicata rientra

nella previsione dell’art.186 bis l.f. contemplando la prosecuzione dell’attività per mezzo della cessione dell’azienda nel suo complesso in esercizio; valutato in particolare che oltre alla cessione dell’azienda in esercizio le ulteriori attività previste riguardano unicamente la vendita del magazzino, il recupero di crediti e l’acquisizione di royalties (queste ultime neppure valorizzate dall’attestatore), ma dette attività non possono portare a qualificare il concordato come liquidatorio, non essendo prevalenti, in termini quantitativi e qualitativi, rispetto al valore azienda che permane in esercizio, quand’anche per mezzo di cessione a terzi (...)>>.

22 Di diverso avviso altra parte della dottrina, secondo cui “a ben vedere, è la stessa norma a non

condizionare la compatibilità tra concordato in continuità e liquidazione dei beni concordatari ad un criterio ponderale”. VELLA, Il concordato con continuità aziendale, in FERRO, BASTIA, NONNO, Il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione, IPSOA, Milano 2013, p. 168.

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prospettive di prosecuzione dell’attività esplicitate nel piano: tenendo conto, quindi, delle necessarie ristrutturazioni aziendali.Si pensi, a titolo esemplificativo, all’immobile in cui è svolta l’attività d’impresa: seguendo la prima impostazione, tale immobile sarebbe necessariamente ritenuto funzionale e, di conseguenza, non liquidabile. Applicando invece la seconda opzione interpretativa, la liquidazione dell’immobile risulterebbe possibile, se il debitore o il cessionario optassero per l’esercizio dell’attività in altro immobile. La seconda interpretazione, che dà rilievo all’autonomia privata, consentendo una maggiore elasticità nelle scelte gestionali, appare in effetti preferibile;23 essa risulta, inoltre, sicuramente più in linea con l’obiettivo della riforma di favorire la continuità aziendale: obiettivo che potrebbe essere vanificato se si imponesse al debitore di ricomprendere ad ogni costo l’immobile nel compendio aziendale.24

Una seconda questione che si pone in merito al requisito di funzionalità, riguarda le conseguenze che potrebbero verificarsi nel caso in cui i beni di cui sia prevista la liquidazione fossero a tutti gli effetti funzionali all’esercizio dell’impresa.

Si prospettano tre possibili misure sanzionatorie:

- ritenere che la non liquidabilità dei beni funzionali ne comporti una sorta di accorpamento coattivo all’azienda, con conseguente invalidità degli atti di alienazione eventualmente compiuti (alternativamente qualificabile come nullità, inefficacia relativa o inopponibilità);

- ritenere che la stessa previsione di un simile atto liquidatorio influisca negativamente sulla fattibilità del concordato con continuità, determinando l’inammissibilità della proposta, per violazione di legge;25

- ritenere che il concordato proposto non possa più essere configurato come concordato in continuità, con conseguente non applicabilità delle speciali disposizioni ad esso dedicate.

In mancanza di pronunce giurisprudenziali, parte della dottrina osserva come l’ultima soluzione sembri più coerente con la funzione definitoria assolta dalla norma,

23 In questo senso BALDASSARE, PERENO, Prime riflessioni in tema di concordato preventivo in

continuità aziendale, in il Fallimentarista, Giuffré, 2012 eLAMANNA, La legge fallimentare, cit., p.64.

24 La norma non indica la destinazione del ricavato della liquidazione dei beni non funzionali,

consentendo, perciò, di ipotizzarne il reinserimento nel circuito dell’attività, da cui verranno tratte le risorse per la soddisfazione dei creditori. Occorre però considerare che i beni potrebbero essere gravati da una causa di prelazione speciale o generale, con la conseguenza che i creditori titolari del relativo privilegio dovrebbero poter avere voce in capitolo sulla destinazione del ricavato della liquidazione.

25 Questo l’orientamento maggioritario emerso dalla ricerca svolta dall’OCI - Osservatorio sulle Crisi

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nel punto in cui consente di considerare ancora come concordato in continuità quello il cui piano preveda anche la liquidazione di beni non funzionali all’esercizio dell’impresa.26

Difettando il requisito della mancanza di funzionalità dei beni da liquidare, il piano non potrebbe dunque qualificarsi come in continuità, ma andrebbe a configurare in un’ipotesi di concordato liquidatorio.27

Ci si può chiedere, infine, se il piano possa prevedere l’alienazione di beni funzionali all’attività d’impresa, garantendo al tempo stesso il mantenimento della disponibilità di tali beni in capo a chi sarà chiamato ad esercitare l’attività, mediante la stipula di contratti ad hoc, quale il leasing. La risposta dovrebbe senz’altro essere positiva, in quanto funzionale all’attività è, appunto, la disponibilità del bene, e non la sua proprietà.28

1.1.3. L’indicazione dei risultati attesi dalla prosecuzione dell’attività

Se la migliore soddisfazione dei creditori è la condicio sine qua non per l’accesso al concordato in continuità, nel piano il debitore dovrà dimostrare, con ragionevole certezza, che la futura gestione sarà in grado di produrre nuova ricchezza, da destinare ai creditori concorsuali.

In effetti, la continuità aziendale nel concordato preventivo non è una scelta discrezionale che il debitore può esercitare nel predisporre il piano di risanamento, ma deve trovare fondamento in una situazione di fatto e di diritto che ne consenta la realizzazione. È necessario che la prosecuzione dell’attività risulti compatibile con le condizioni di mercato; che l’impresa sia capace, in prospettiva, di tornare a produrre utili; che si disponga di sufficienti flussi finanziari; che la situazione debitoria possa essere affrontata mediante un piano di ristrutturazione; infine, che siano assicurati mezzi liquidi sufficienti sia per superare la situazione transitoria propedeutica al risanamento, sia per riavviare l'ordinaria produzione ed il recupero della normale capacità reddituale.29

26 LAMANNA, La legge fallimentare, cit., 64.

27 Di diverso avviso parte della dottrina, secondo cui la figura di concordato con continuità aziendale

ricorrerebbe ogni qualvolta l’azienda, ancorché privata di beni strumentali, sia idonea all’esercizio dell’attività di cui è prevista la continuazione. Cfr. MAFFEI ALBERTI, sub art. 186-bis, op. cit., p. 1328.

28 MAFFEI ALBERTI, ibidem.

29 Si veda LO CASCIO, Crisi delle imprese, attualità normative e tramonto della tutela concorsuale, in Il

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Proprio per questo, in caso di continuità, il piano deve contenere, oltre agli elementi previsti dall’art. 161, comma 2, lett. e),30 di nuova introduzione, anche “una analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività di impresa prevista dal piano di concordato, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura”.31

Ciò che la norma richiede è, dunque, un “budget” completo del futuro andamento dell’impresa, che dovrà prendere in considerazione tanto gli aspetti economici della gestione, quanto quelli finanziari.32 Non è invece specificato quale sia il necessario orizzonte temporale di stima.

La norma andrà valutata alla luce delle due diverse forme in cui può esprimersi la continuità aziendale: quella in cui l’attività sia proseguita dallo stesso debitore, e quella in cui l’azienda sia trasferita a vario titolo a terzi.

Concentrando in un primo momento l’analisi sulla prima fattispecie,33 l’indicazione dei costi e dei ricavi attesi non potrà che estendersi fino al momento in cui si prevede che l’impresa avrà superato la crisi, in modo tale da poter soddisfare, nei limiti proposti e con le previste modalità, i creditori concorsuali.34

È facile constatare la complessità di una simile valutazione prospettica: l’estensore del piano dovrà procedere ad un’analisi approfondita dell’andamento storico delle voci di bilancio dell’azienda, e affrontare un notevole sforzo “predittivo” cercando, da un lato, una coerenza con i risultati realizzati negli esercizi passati, e, dall’altro, un appiglio ad impegni espressi, ad esempio, in contratti di durata, che possano ragionevolmente garantire la realizzazione dei flussi previsti nel piano. Quanto alla stima del fabbisogno finanziario, la relazione dovrà quantificare, in considerazione

30 La norma richiede la presentazione, insieme al ricorso, di un piano contenente la descrizione analitica

delle modalità e dei tempi di adempimento della proposta. Sul punto si veda AMBROSINI, Contenuti e

fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012, in Il Caso.it, n. 306/2012.

31

Art. 186-bis, comma 1, lett. a), l. fall.

32 Secondo Vitiello, la previsione di tali contenuti obbligatori ulteriori <<risponde alla necessità di

meglio tutelare la massa dei creditori, ma non può considerarsi un dato di discontinuità rispetto al sistema previgente. Infatti il cd. budget costituisce fisiologicamente, e da sempre, un elemento immanente al piano che contempli la continuità dell'attività d'impresa, tanto da giustificare l'affermazione secondo cui un piano che non avesse contenuto l'indicazione di costi, ricavi e coperture finanziarie sarebbe stato monco e generico, quasi un non-piano.>> VITIELLO, Brevi (e scettiche) considerazioni sul concordato preventivo con continuità aziendale, in Il Fallimentarista, Giuffré 2013, p. 3.

33 Quanto alla seconda ipotesi, ad una prima sommaria disamina della normativa, potrebbe ritenersi non

rilevante l’interessamento da parte del ceto creditorio o da parte del tribunale alle future sorti dell’azienda, una volta che quest’ultima sia fuoriuscita dal perimetro concordatario. Tuttavia tale conclusione può considerarsi condivisibile solo se il trasferimento si realizzi immediatamente, con la contestuale riscossione del corrispettivo, e la gestione successiva da parte dei terzi non sia idonea, neanche in parte, ad influire sulle sorti del concordato. Per un’analisi più approfondita si rinvia al paragrafo 1.2.2.

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delle esigenze dell’impresa, le uscite ragionevolmente necessarie per il mantenimento della continuità aziendale, e individuare, almeno di massima, le entrate sufficienti a coprirle.

L’art. 186-bis non richiede espressamente alcuna attestazione per i contenuti di cui alla lettera a). Tuttavia, è evidente come l’indicazione dei costi e dei ricavi attesi sia funzionalmente collegata all’attestazione prevista alla successiva lettera b): senza un bilancio previsionale, imposto dal legislatore per valutare rischi, costi e benefici della continuazione dell’impresa, l’obiettivo del miglior soddisfacimento dei creditori non potrebbe essere seriamente attestato. È ragionevole ritenere, dunque, che l’attestatore debba estendere la propria indagine all’accertamento del ripristino delle condizioni di equilibrio economico e finanziario dell’impresa, nel termine previsto dal piano, muovendo proprio dai dati dei costi e dei ricavi attesi, indicati al suo interno. 35

Una verifica di questo tipo deve ritenersi ancor più necessaria qualora le modalità di soddisfacimento prevedano in tutto o in parte la conversione del debito in strumenti di equity.36 In tal caso, la stima del grado di soddisfacimento per i creditori dipenderà dal valore “a regime” dell’impresa, ossia dal valore che l’impresa assumerà una volta attuate le azioni previste dal piano e ristabilite le condizioni di equilibrio finanziario.37

Tutto ciò si traduce nella necessità che il contenuto del piano sia tale da consentire all’esperto di cogliere l’effettiva idoneità della proposta ad assicurare il risanamento dell’impresa. In questo senso, il piano dovrebbe rispondere a quattro requisiti:38

essere credibile, con esposizione di obiettivi raggiungibili; sostenibile da un punto di vista

35In proposito, Vella afferma che “sotto il profilo soggettivo, il piano di cui alla lettera a) e l’attestazione

di cui alla lettera b) sono documenti distinti e di diversa paternità, il primo facendo capo al debitore proponente, il secondo al professionista attestatore da lui nominato. Sotto il profilo oggettivo, invece, i contenuti illustrati nel piano in ordine al bilancio previsionale di esercizio finiscono per ridondare nella attestazione di funzionalità della continuazione dell’esercizio dell’impresa al migliore soddisfacimento dei creditori, ed implicano di conseguenza una assunzione di paternità da parte dello stesso attestatore, pena la inaffidabilità delle sue conclusioni.” VELLA, Il concordato con continuità aziendale, in FERRO,

BASTIA, NONNO, op. cit., p. 185. Tuttavia, parte della dottrina ritiene che l’analisi possa essere limitata alla correttezza dei criteri utilizzati per le previsioni. Si veda MAFFEI ALBERTI, sub art. 186-bis, op.

cit., p. 1328.

36 Nel contesto del concordato con continuità aziendale “diretto” talvolta l’imprenditore offre ai creditori,

anziché un ammontare in numerario, un certo numero di azioni proprie (in alcuni casi di futura emissione), secondo un determinato rapporto di cambio tra crediti e titoli. Questa modalità di soddisfacimento è senz’altro ammissibile nella misura in cui sia rivolta ai chirografari, i quali dovranno manifestare il proprio consenso al riguardo; più problematico destinarla ai creditori muniti di privilegio, perciò esclusi dal voto: il loro assenso dovrebbe essere ricercato in sede extra-concorsuale. Si veda AMBROSINI, op. cit., p. 20.

37 QUATTROCCHIO, RANALLI, Concordato in continuità e ruolo dell’attestatore: poteri divinatori o

applicazione di principi di best practice, in IlFallimentarista.it, p. 7 ss.

38 Così COVINO, JEANTET, Il concordato con continuità aziendale: linee guida e sindacato del

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economico e finanziario; verificabile, grazie all’indicazione dettagliata dei fattori determinanti dei ricavi e dei costi39 (in modo tale che siano comprensibili le variazioni di questi ultimi rispetto agli anni precedenti); motivato, con esatta e chiara specificazione delle azioni che dovrebbero consentire il raggiungimento degli obiettivi prefissati.

Naturalmente, essendo fondata su ipotesi circa il possibile andamento futuro dei fenomeni considerati, la situazione previsionale avrà carattere necessariamente soggettivo. Al riguardo, la dottrina considera utile prevedere una possibile “forbice”, entro la quale i valori potranno modificarsi, in funzione di un diverso andamento degli eventi previsti.40

39 Il Tribunale di Milano sottolinea come non sia sufficiente l’indicazione del solo cash flow generato

dalla gestione, in assenza di un’analitica descrizione della base generativa dei costi. Si veda ZENATI, Il

concordato con continuità aziendale: requisiti del piano e oggetto della relazione di attestazione, in Il Fallimentarista, Giuffré, 2013.

40 FARNETI, La fattibilità del concordato in continuità nella prospettiva dell’aziendalista, in il

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1.2. L’ammissibilità del trasferimento di azienda

1.2.1. Individuazione delle fattispecie

La necessità che sia attestata l’esistenza di un rapporto funzionale di causa-effetto tra continuità aziendale e migliore soddisfazione dei creditori si giustifica tenendo conto che la continuità implica necessariamente l’assunzione del rischio inevitabilmente connesso all’esercizio di un’attività d’impresa.

In quest’ottica, appare netta la distinzione - alla quale prima si è fatto cenno - tra concordati puramente liquidatori e concordati caratterizzati dalla continuazione dell’attività: se i primi prevedono una sostanziale cristallizzazione del patrimonio del debitore, i secondi contemplano la permanenza – più o meno estesa – su quel patrimonio del rischio d’impresa.

Tuttavia, la lettera del primo comma dell’art. 186-bis sembra ricomprendere nel perimetro applicativo del concordato in continuità anche fattispecie tipicamente liquidatorie:41 la norma richiama, in particolare, la cessione dell'azienda in esercizio e il conferimento della stessa in una o più società, anche di nuova costituzione.

Ci si chiede, dunque, se la disciplina prevista per il concordato in continuità debba applicarsi anche ai piani ove è prevista - seppur soggetta alla condizione dell’omologazione del concordato - la cessione a titolo definitivo dell’azienda, con pagamento immediato o dilazionato del prezzo.

Vi sono al riguardo diverse opinioni.

Secondo una prima tesi, il concordato in continuità ricomprende tutti i casi in cui l’attività d’impresa continui in qualche modo a svolgersi, indipendentemente dal fatto che ciò avvenga da parte dell’imprenditore o di terzi.42 Si tratta di una lettura avente carattere puramente oggettivo: in ogni caso di continuità aziendale troverebbe

41 Secondo Riva, le nuove previsioni normative avrebbero ripopolato la categoria logica del concordato in

continuità “mediante la trasmigrazione di un cospicuo numero di procedure da una categoria all’altra,

grazie alla riqualificazione delle fattispecie più comuni della cessione a terzi”. RIVA, Concordato preventivo e operazioni straordinarie, in AA.VV., Il nuovo concordato preventivo a seguito della riforma, I quaderni, nr. 43, 2012.

42 In tal senso FABIANI, op. cit., p. 22; AMBROSINI, Appunti in tema di concordato, cit., p. 9.;

MAFFEI ALBERTI, sub art. 186-bis, op. cit., p. 1328. Concorde anche parte della giurisprudenza, secondo cui “ciò che caratterizza il concordato in continuità è l’elemento oggettivo della prosecuzione

della attività di impresa, essendo del tutto irrilevante il soggetto che tale continuazione garantisce, se il debitore, o imprenditore/società diversa (alla quale il debitore partecipi o meno) mediante cessione o conferimento”. Trib. Firenze, 27 marzo 2013, in Il Fallimentarista, Giuffré.

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applicazione la disciplina dell’art. 186-bis, con la conseguenza dell’inammissibilità della domanda che contempli una qualsiasi forma di prosecuzione dell’attività senza al contempo fornire al Tribunale le indicazioni richieste dalla norma.

Una seconda soluzione interpretativa, di carattere soggettivo, esclude che la disciplina dell’art. 186-bis possa trovare applicazione nei casi in cui l’azienda è trasferita ad un soggetto diverso dal proponente.43 Secondo questa ipotesi, il riferimento alla cessione (o al conferimento) dell’azienda in esercizio sarebbe funzionale ad estendere la disciplina dell’articolo alle ipotesi nelle quali il piano concordatario contempli solo una prosecuzione medio tempore dell’esercizio dell’attività d’impresa da parte del debitore, funzionale alla conservazione dei valori in prospettiva della dismissione del complesso aziendale.44 È stato rilevato come, seguendo questa impostazione, le indicazioni ed attestazioni richieste dalla norma troverebbero anche una specifica collocazione temporale, in quanto andrebbero riferite al solo periodo nel quale il piano concordatario prevede che sia il debitore proponente ad esercitare l’impresa, in vista del trasferimento a terzi.45

Secondo una terza opinione, rientrano nell’ambito del concordato con continuità aziendale tutti i casi nei quali il rischio d’impresa ricade, anche indirettamente, sul debitore (e, di conseguenza, sui suoi creditori):46 in caso di cessione, pertanto, occorrerà valutare se la gestione successiva da parte dei terzi sia idonea, anche solo indirettamente, ad influire sulle sorti del concordato.

In questa prospettiva, ogni volta in cui l’esercizio dell’attività d’impresa prosegue, anche presso un terzo, si avrà un’ipotesi di concordato in continuità, con la sola esclusione dei casi in cui l’azienda, già alla data della domanda, sia stata concessa in affitto e risulti destinata ad essere acquistata ad un prezzo predeterminato, per effetto di un contratto (anche preliminare) vincolante. Solo in quest’ultimo caso, in effetti, i

43 VITIELLO, op. cit., p.2.

44 Così anche Arato: <<E’ una forma di concordato in cui è prevista una sorta di “esercizio provvisorio

dell’impresa” (per usare la terminologia fallimentare dell’art. 104 l. fall.) in vista del ritorno in bonis della stessa impresa oppure del trasferimento a terzi dell’attività/azienda “in esercizio”>>. ARATO, Il concordato con continuità aziendale, in Il Fallimentarista, Giuffré 2012, p. 3

45 Cfr. QUAGLIOTTI, L’incerta perimetrazione del concordato in continuità, relazione al convegno

“L’impresa recuperata - La soluzione delle crisi di impresa dopo il decreto sviluppo 2012”, Pisa, 28 marzo 2013 e ARATO, op. cit., pp. 3-4.

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creditori saranno totalmente indifferenti alle sorti dell’impresa, dipendendo piuttosto la loro soddisfazione dalla solvibilità dell’affittuario-acquirente dell’azienda.47

Questa lettura, intermedia rispetto alle precedenti visioni, limita dunque le fattispecie riconducibili all’art. 186-bis l.f.:

- al caso in cui il promissario acquirente dell’azienda proponga di pagare il prezzo di acquisto grazie alle risorse generate dall’azienda o, comunque, rapportando, in aumento o in decremento, il prezzo di acquisto ai flussi di cassa dell’azienda; - al caso, analogo al precedente, in cui il concordato sia adempiuto grazie agli utili

prodotti dalla conferitaria;

- al caso in cui l’acquisto dell’azienda sia condizionato, o comunque successivo, all’omologazione del concordato e tale acquisto non sia preceduto da alcun contratto di affitto d’azienda (in tale ipotesi, sarà necessario dar prova del fatto che sia possibile, quantomeno, gestire in equilibrio economico e finanziario il periodo intercorrente tra il deposito del ricorso e la cessione dell’azienda). Le ulteriori ipotesi di trasferimento dell’azienda del debitore concordatario, nelle quali sia promesso il pagamento di un prezzo minimo e fisso, rientreranno, invece, nella fattispecie ordinaria di concordato preventivo, rimanendo qualificabili come soluzioni di tipo liquidatorio.48

Anche volendo individuare le fattispecie di concordato con continuità aziendale in funzione della disciplina ad esso applicabile,49 l’ultima soluzione proposta sembra essere la più coerente.Ciò emerge in particolare da due previsioni dell’art. 186-bis: in primo luogo, come abbiamo già visto, la norma richiede l'analitica indicazione nel piano dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell'attività d'impresa, delle risorse finanziarie necessarie e delle corrispondenti modalità di copertura. Tali dati sarebbero irrilevanti se il prezzo della cessione d’azienda fosse prestabilito e completamente indipendente dalla prosecuzione dell’attività. In secondo luogo, il comma 6 dell’articolo

47

In questo senso STANGHELLINI, Concordato con continuità aziendale: la fattispecie. Appunto per la

discussione, in Crisi di impresa e continuità aziendale, Materiali del corso di perfezionamento “Il nuovo

diritto fallimentare”, Firenze, 15 e 29 novembre 2012, II, p. 131.

48

Di questo avviso anche il Tribunale di Lucca che, valutando in sede di ammissione una proposta di concordato, prospettante l’affitto dell’azienda, accompagnato da una proposta irrevocabile di acquisto della stessa da parte dell’affittuaria, rileva: << ritenuto trattarsi di concordato liquidatorio, e non in

continuità, in quanto l’affitto e il prezzo della cessione sono interamente predeterminati e non sono in alcun modo collegati ai risultati dell’esercizio stesso, non è necessaria l’attestazione di cui all’art. 186-bis comma II, lett. a) e b) >>. Trib. Lucca, 13 maggio 2013, inedita.

49 Si veda TOMBARI, Alcune riflessioni sulle fattispecie del concordato con continuità aziendale, in Il

Fallimentarista, Giuffré, 2013, p.3., il quale rileva la <<centralità della “continuazione dell'impresa” - a prescindere dalla sua componente “oggettiva” o “soggettiva” - come componente del piano e al fine del soddisfacimento dei creditori>>.

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dispone che il tribunale provveda ai sensi dell’art. 173 se, nel corso della procedura, l’esercizio dell’attività di impresa cessi o risulti manifestamente dannoso per i creditori. Ancora, non vi potrebbe essere danno ai creditori se l’andamento dell’attività d’impresa non influisse in alcun modo sul pagamento del corrispettivo stabilito per la cessione.

Ammettere nell’ambito del concordato con continuità aziendale (così come ritiene la prima lettura) qualsiasi ipotesi di prosecuzione oggettiva dell’attività, svuoterebbe, in effetti, di senso molte delle disposizioni dell’art. 186-bis. D’altra parte, limitare le fattispecie al solo caso di risanamento “diretto” da parte dell’imprenditore comporterebbe un’interpretazione forzata della lettera della norma, che richiama chiaramente la cessione e il conferimento dell’azienda in esercizio.

L’ipotesi del conferimento merita, infine, una distinta considerazione: in tale caso il debitore conferente è destinato a divenire socio della conferitaria e il valore della partecipazione, così come le concrete possibilità di realizzo della stessa, saranno necessariamente correlate all’andamento dell’azienda conferita. Ove non sia prevista una cessione delle azioni, saranno gli utili derivanti dalla prosecuzione dell’attività, per la quota connessa alla partecipazione sociale acquisita, a consentire il soddisfacimento dei creditori; se invece si opti per l’alienazione della quota, il prezzo della partecipazione (e la stessa possibilità di collocarla sul mercato) dipenderà, ancora, dalla capacità dell’azienda conferitaria di produrre utili.

In entrambi i casi, secondo la lettura proposta, ci troveremo di fronte ad un concordato con continuità aziendale, risultando la prosecuzione dell’attività in seno alla conferitaria essenziale ai fini del soddisfacimento dei creditori. Si pensi, inoltre, al caso particolare di conferimento d’azienda in una NewCo, di cui si preveda di cedere, in una fase successiva, le partecipazioni di controllo. Nell’arco di tempo che precede la vendita, la NewCo conferitaria resterà nella completa disponibilità del debitore concordatario che ne detiene le partecipazioni di controllo: è ancor più evidente, in questo caso, che il rischio d’impresa continuerà a gravare sui creditori e sul buon esito del concordato fino all’avvenuta cessione della quota, non realizzandosi, di fatto, un cambiamento dei soggetti alla guida dell’azienda.50

50 Cfr. BALDASSARE, PERENO, op. cit.; MAFFEI ALBERTI, sub art. 186-bis, op. cit., e LAMANNA,

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1.2.2. L’orizzonte temporale del piano

Com’è noto, il piano di cui all’art. 161, secondo comma, lettera e), deve contenere l’analitica indicazione dei costi e dei ricavi attesi dalla prosecuzione dell’attività, delle risorse finanziarie necessarie e delle relative modalità di copertura. La disposizione mira a fornire ai creditori adeguate informazioni circa le conseguenze della continuazione aziendale, affinché essi possano valutare con attenzione e cognizione di causa la proposta del debitore, conoscendo l’ammontare delle risorse destinate a tale scopo e, pertanto, sottratte al loro immediato soddisfacimento.

L’esposizione del piano previsionale, particolarmente complessa nell’eventualità di prosecuzione in proprio dell’attività, tende ad assumere connotati diversi, in termini di oggetto dell’indagine e di estensione temporale della stessa, in caso di continuità attuata in via indiretta.

Vale la pena ribadire la distinzione tra continuità aziendale indiretta e continuità aziendale “di natura liquidatoria”:51 nel primo caso, il soddisfacimento dei creditori è assicurato dai flussi finanziari generati dall’azienda, per effetto della prosecuzione dell’attività da parte di terzi; nel secondo caso, esso consegue al mero pagamento del prezzo di cessione del complesso aziendale, garantito e non condizionato ai futuri risultati dell’attività. L’ipotesi di continuità aziendale di natura liquidatoria dovrebbe più propriamente essere inquadrata nell’ambito del concordato per cessione dei beni, seppur non preveda una liquidazione atomistica. Tuttavia, volendo ammetterla tra le fattispecie del concordato con continuità (secondo la lettura più ampia del primo comma dell’art. 186-bis), il relativo piano potrà limitarsi all’individuazione dei flussi generati per effetto del pagamento esogeno del prezzo, e l’attestazione, alla verifica dell’attuabilità del piano concordatario nel suo complesso, anche grazie alle disponibilità di tali risorse finanziarie.

Non sarà invece necessario esaminare le vicende dell’azienda presso il cessionario.52 In tutti i casi di continuità aziendale indiretta, per contro, la previsione dello svolgersi della gestione futura costituisce un elemento informativo essenziale, ai fini sia del giudizio di fattibilità del piano ad opera del Tribunale, sia della valutazione di convenienza della proposta da parte dei creditori. Il piano concordatario dovrà,

51 QUATTROCCHIO, RANALLI, op. cit., p.2.

52 Di diverso avviso Ambrosini, il quale afferma la necessità di verificare la solvibilità del cessionario,

passando, se del caso, per l’accertamento della ragionevolezza del relativo business plan, ancorché estraneo al piano di concordato. AMBROSINI, Appunti in tema di concordato, cit., p.10.

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pertanto, riguardare non solo l’impresa soggetta a procedura concorsuale, ma anche la cessionaria o conferitaria, destinata a proseguire l’attività.53

In caso di continuità attuata mediante il conferimento dell’azienda, in cui si preveda il soddisfacimento dei creditori attraverso la vendita delle azioni della conferitaria o attraverso i dividendi e i riparti della stessa (o, ancora, attraverso l’assegnazione diretta delle partecipazioni ai creditori), il “budget” dovrà essere riferito alla società conferitaria, e il professionista sarà chiamato a svolgere una verifica di sostenibilità economica e finanziaria della stessa, per escludere fenomeni di insolvenza “indotta”.54

L’attestatore dovrà, inoltre, esprimersi sul valore economico del capitale dell’azienda all’esito del risanamento: solo così sarà possibile valutare l’adeguatezza degli strumenti di ristoro proposti ai creditori. Il piano, in questo caso, dovrà certamente avere un orizzonte temporale che superi la data del conferimento, per giungere fino a quella del previsto trasferimento a terzi delle quote o, in caso di mantenimento della partecipazione, dell’avvenuto soddisfacimento dei creditori, secondo le ulteriori modalità previste.

In caso di affitto e successiva cessione dell’azienda ad una società di nuova costituzione, con pagamento dilazionato e non garantito del prezzo, il budget aziendale dovrà riguardare ancora una volta la società cessionaria: la prosecuzione dell’attività da parte della NewCo sarà, infatti, essenziale al fine di garantire il pagamento del corrispettivo e, in via mediata, la soddisfazione dei creditori. Nell’ipotesi considerata, il piano e la connessa analisi del professionista dovranno estendersi fino al momento in cui si prevede l’incasso del prezzo di vendita.55

La sostenibilità del piano aziendale in capo alla cessionaria dovrà essere indagata anche in un particolare caso di cessione d’azienda con pagamento immediato del prezzo: quando, cioè, la prosecuzione aziendale sia funzionale alla liquidazione di eventuali beni non trasferiti (ad esempio, crediti per acconti su commesse, la cui recuperabilità è subordinata al completamento dei lavori in corso e potrebbe, perciò, essere pregiudicata, qualora l’acquirente non fosse in grado di portarli a termine in modo adeguato). In questo caso, l’orizzonte temporale di analisi del piano non potrà

53 LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p.60. 54

Così LAMANNA, ibidem.

55 Di opinione completamente diversa Bianco: <<gli obblighi informativi riguarderanno solo la posizione

del ricorrente e pertanto i costi e i ricavi attesi dovranno essere quelli derivanti dal pendente contratto di affitto, dal corrispettivo della cessione o dal valore dei titoli derivante dal conferimento.>> BIANCO, Il

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fermarsi all’incasso del prezzo, ma dovrà estendersi fino al momento di avvenuto completamento dei lavori.56

Infine, in caso di cessione d’azienda subordinata all’omologa e non preceduta da alcun contratto di affitto, il piano dovrà evidenziare la capacità, stavolta del debitore, di gestire l’azienda in equilibrio dalla data di presentazione del ricorso fino a quella del previsto trasferimento: sarà questo l’arco temporale di riferimento per l’analisi.

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II PARTE: La disciplina di favore

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2.1. Il pagamento dei crediti anteriori

Al fine di agevolare la prosecuzione dell’attività d’impresa in ambito concordatario, l’art. 182-quinquies, comma 4, l. fall., prevede la possibilità, per il debitore che presenti domanda di concordato con continuità aziendale (anche nelle forme di cui all’art. 161, sesto comma) di essere autorizzato dal tribunale a pagare crediti anteriori per prestazioni di beni o servizi. L’autorizzazione è subordinata alla duplice condizione di essenzialità di tali prestazioni per la prosecuzione dell’attività d’impresa e di funzionalità delle stesse alla migliore soddisfazione dei creditori. La sussistenza di tali condizioni deve risultare dall’attestazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d).57

La norma rappresenta un’importante deroga al principio della par condicio creditorum, che si giustifica in ragione sia della necessità di consentire al debitore, già prima della presentazione della proposta, l’ottenimento delle risorse necessarie all’esercizio dell’impresa, sia di garantirgli la conservazione dei rapporti contrattuali, soprattutto di durata, ritenuti indispensabili al programmato proseguimento dell’attività.58

L’impresa in crisi, in effetti, si trova molte volte nella difficoltà di acquisire beni e servizi essenziali da fornitori strategici che, prima di procedere con nuove forniture, richiedono il pagamento dei crediti pregressi.

Non è del tutto chiaro se il trattamento preferenziale consentito dalla norma riguardi anche il quantum del credito pregresso: se, cioè, l’autorizzazione determini il pagamento integrale, oltre che immediato, della pretesa.

Secondo parte della dottrina, dovrebbe preferirsi la soluzione negativa, poiché diversamente si avrebbe un’alterazione non solo del principio della parità di trattamento, ma anche di quello dell’inalterabilità delle cause di prelazione, senza che la legge lo preveda espressamente.59 Avendo natura eccezionale, invece, la norma non potrebbe essere interpretata estensivamente, né applicata in via analogica a fattispecie non contemplate. Seguendo questa interpretazione, dunque, l’autorizzazione darebbe luogo a una mera anticipazione della fase esecutiva del concordato, che non

57 Tale attestazione non è, invece, necessaria nel caso in cui i pagamenti siano effettuati <<fino a

concorrenza dell’ammontare di nuove risorse finanziarie che vengano apportate dal debitore senza obbligo di restituzione o con obbligo postergato alla soddisfazione dei creditori>>.

58 In questi termini ARGENZIO, Il concordato preventivo in continuità aziendale, in Bilancio e Reddito

d’Impresa, n. 2/2013, p. 59.

59 In questo senso LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p.66; PAJARDI, sub art. 182-quinquies, op.

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implicherebbe necessariamente un soddisfacimento integrale: l’importo del pagamento sarebbe semplicemente quello specificato dal debitore nel piano.

Altra parte della dottrina, tuttavia, ritiene che la previsione debba essere intesa nel senso di pagamento integrale, ossia prededuttivo tout court, di tali posizioni creditorie concorsuali.60 Secondo questa tesi, nell’intento di perseguire l’obiettivo della continuità aziendale, il legislatore ammetterebbe la possibilità per l’autorità giudiziaria (opportunamente supportata da un esperto) di confezionare, nella sostanza, un titolo di prelazione a vantaggio di alcuni creditori, che legittimerebbe gli stessi a conseguire immediatamente ed integralmente il corrispettivo dovuto.61 Tutto ciò a condizione che i pagamenti destinati ai medesimi creditori “strategici” valgano ad assicurare la prosecuzione dell’attività, in modo tale che la mancata dispersione dei valori aziendali possa andare a vantaggio anche degli altri creditori, mediante un incremento (per la precisione, il migliore incremento prospettabile) della quota di riparto loro spettante.

L’autorizzazione, in altre parole, avrebbe l’effetto di estraniare il debito anteriore dall’ambito della soluzione concordataria, cosicché (salvo il caso in cui il creditore sigli con il debitore istante un’intesa modificativa dell’originario titolo della sua pretesa) la ragione del credito dovrebbe determinarsi, sia in relazione al quantum che alle modalità di soddisfazione, in perfetta conformità alle previsioni del contratto che ne è fonte. Si tratterebbe, dunque, di una vera e propria rottura del regime della concorsualità.62

La possibilità di pagare anticipatamente i creditori strategici non rappresenta, peraltro, una novità assoluta. Essa poteva, eccezionalmente, essere già ammessa, previa autorizzazione del Giudice Delegato, quale atto di straordinaria amministrazione, ai sensi dell’art. 167 l. fall. (tale autorizzazione sarebbe, però, potuta intervenire solo dopo il decreto di ammissione). Inoltre, anche prima dell’introduzione della disposizione in esame, il debitore aveva la possibilità di distinguere il trattamento dei suoi creditori chirografari utilizzando l’istituto delle classi e niente gli avrebbe vietato di individuare, quale criterio di aggregazione di una classe, proprio la natura strategica dei creditori, prevedendo per questi un trattamento migliore.63

60 PATTI, Il miglior soddisfacimento dei creditori: una clausola generale per il concordato preventivo?,

in Il Fallimento, n. 9/2013, p. 1101. In tale senso anche STANGHELLINI, Il concordato con continuità

aziendale, in Il Fallimento, n. 10/2013 e ABETE, Il pagamento dei debiti anteriori nel concordato preventivo, in Il Fallimento, n. 9/2013. Concorde, inoltre, anche parte della giurisprudenza: si veda Trib.

Piacenza, 12 ottobre 2012, in Crisi d’impresa e continuità aziendale, materiali del corso di perfezionamento “Il nuovo diritto fallimentare”, Firenze, 15 e 29 novembre 2012.

61 Cfr. ABETE, op. cit., p. 1117. 62 PATTI, op. cit., p.1101. 63

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La reale portata innovativa dell’art. 182-quinquies, quarto comma, risiede, pertanto, nell’aver previsto la possibilità di ottenere l’autorizzazione al pagamento in una fase antecedente all’ammissione alla procedura (in particolare, nell’interregno64 che va dalla presentazione del ricorso “in bianco” fino al decreto di ammissione); inoltre nell’aver limitato tale possibilità alle sole prestazioni accertate quali essenziali per la prosecuzione dell’attività d’impresa e funzionali al soddisfacimento dei creditori.

2.1.1. Il problema della compatibilità della richiesta con la domanda prenotativa di concordato

L’art 182-quinquies rappresenta espressione massima della problematica relazione esistente tra concordato con continuità aziendale e pre-concordato, anch’esso introdotto nel nostro ordinamento dal d.l. n. 83/2012.

Il pre-concordato (definito anche concordato con riserva o concordato in bianco e disciplinato dall’art. 161, sesto comma, l. fall.) consente al debitore di depositare un ricorso avente contenuto molto ridotto,65 finalizzato ad ottenere dal tribunale un termine per predisporre e poi presentare la vera e propria proposta di concordato, corredata dal piano e dalla documentazione di cui ai commi 2 e 3 dell’art. 161. Questo termine può

essere compreso fra sessanta e centoventi giorni, ed è prorogabile di ulteriori sessanta giorni in presenza di giustificati motivi. Alla scadenza, in alternativa alla proposta definitiva di concordato, il debitore potrà depositare una domanda di omologa di un accordo di ristrutturazione ai sensi dell’art. 182-bis, comma 1.

L’introduzione dello strumento della domanda con riserva, che costituisce forse la principale novità della riforma, risponde a varie finalità. Una di esse, non secondaria, è quella di facilitare l’emersione anticipata della crisi d’impresa e la cristallizzazione del patrimonio aziendale (anche nell’eventualità di un insuccesso del tentativo concordatario)66 in un’ottica di allerta e di prevenzione della crisi. La presentazione di una domanda con riserva, pur consentendo l’accesso alla protezione offerta dalla procedura di concordato in vista della presentazione di qualsiasi tipo di proposta e di

64 Così lo definisce LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p.65. 65

La norma richiede unicamente il deposito dei bilanci relativi agli ultimi 3 esercizi e (dopo l’emanazione del d.l. n. 69/2013) dell’elenco nominativo dei creditori, con l'indicazione dei rispettivi crediti.

66 Cfr. art. 69-bis, comma 2: << Nel caso in cui alla domanda di concordato preventivo segue la

dichiarazione di fallimento, i termini di cui agli articoli 64, 65, 67, primo e secondo comma, e 69 decorrono dalla data di pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese >>.

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