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2.2. Il trattamento dei crediti muniti di prelazione

2.2.2. Il termine annuale

Con riguardo al termine annuale previsto dalla norma, occorre chiedersi se esso sia da ritenere perentorio o se, invece, vi sia spazio per richiedere una moratoria più ampia.

Com’è stato osservato,103

la risposta a questa domanda risulta decisiva per la stessa sorte dell’istituto del concordato con continuità aziendale: il vincolo di un pagamento integrale di tutti i creditori prelatizi entro lo scadere dell’anno dall’omologazione potrebbe, infatti, rivelarsi pericoloso in caso di piani complessi ed aleatori, quali sono quelli tipici della continuità d’impresa. Questo profilo potrebbe addirittura rendere più appetibile un concordato liquidatorio, o comunque, decretarne maggiori probabilità di successo, evidenziando una paradossale “eterogenesi dei fini”,104

rispetto al dichiarato intento del legislatore di favorire la conservazione e il recupero dei valori aziendali.

Sono state fornite in dottrina due diverse letture del termine di moratoria.

La prima, muovendo dal presupposto che i creditori privilegiati non votino, circoscrive la dilazione alla durata massima di un anno, escludendo che possa essere prevista una moratoria maggiore.105

102 Cfr. LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p. 62.

103 VELLA, Il concordato con continuità aziendale, cit., p. 190.

104 Termine utilizzato da LAMANNA, La legge fallimentare, cit., p. 9, che evidenzia come <<gran parte

delle norme che sono state introdotte hanno subito, nel passaggio dal tavolo tecnico alla traduzione in d.l. prima, e in legge poi, uno stravolgimento che ne ha depotenziato la funzione quali misure a sostegno della conservazione dell’impresa, enfatizzandone piuttosto quelle di salvaguardia pura e semplice del debitore, a dispetto, per di più, della complessiva credibilità e tutela del credito>>.

105 LAMANNA, ibidem, p. 62. Questo anche l’orientamento maggioritario della giurisprudenza: cfr.

Questionario OCI, in FERRO, BASTIA, NONNO, op. cit., p. 162. Si segnala in tal senso la recente pronuncia del Trib.Marsala, 05 febbraio 2014, disponibile su Il Caso.it.: << Il debitore può in definitiva

sospendere, al massimo per un anno, il pagamento dei privilegiati, onde poter nelle more riorganizzare la propria attività e reperire le risorse necessarie al risanamento del debito. In questa ipotesi, e sempre che siano riconosciuti gli interessi di mora, i creditori privilegiati non votano in quanto la soluzione concordataria, prevedendo una soddisfazione comunque contenuta in tempi brevi, non disallinea la loro posizione rispetto a quanto conseguirebbero con la liquidazione fallimentare, rendendo gli stessi indifferenti all’una o all’altra soluzione>>.

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Tale lettura si fonda sul rilievo che la moratoria non deroga all’art. 55 l. fall., con la conseguenza che gli interessi continuano a maturare anche nel periodo di dilazione (salvo divenire esigibili solo al termine dello stesso), e che, dunque, la previsione di ulteriori interessi non costituirebbe una soluzione in grado di bilanciare una maggiore dilazione, dato che essi sono già dovuti per la moratoria annuale; né sarebbe possibile ipotizzare un diverso meccanismo compensativo per il maggior sacrificio sul piano temporale.

A sostegno di questa tesi, si può rilevare che il diritto alla moratoria non contempla eccezioni legate alla natura dei crediti prelatizi: essa potrebbe applicarsi, dunque, anche ai crediti retributivi dei lavoratori, i quali dovrebbero sopportare una dilazione di pagamento maggiore rispetto a quella, già molto dilatata, di un anno dall’omologazione, che oltretutto si andrebbe a sommare al periodo intercorrente tra la presentazione del ricorso (anche in bianco) e l’apertura della procedura, e a quello ulteriore tra l’apertura della procedura e il decreto di omologa. Ciò costituirebbe, secondo alcuni, un sacrificio intollerabile.106

Tuttavia, il tenore letterale della norma lascia aperto un diverso percorso interpretativo: parte della dottrina, valorizzando la locuzione “in tal caso” dell’ultima parte della disposizione, ricollega l’esclusione dal voto alla condizione che il pagamento avvenga entro l’anno.107

Di qui, la possibilità di ammettere una dilazione ultrannuale, salva l’attribuzione al creditore privilegiato del diritto di esprimersi sulla proposta.

Questa seconda interpretazione sembra preferibile innanzitutto per ragioni “di sistema”:108

l’art. 182-bis, che disciplina gli accordi di ristrutturazione dei debiti, ammette, infatti, il differimento ex lege del pagamento dei creditori estranei all’accordo, stabilendo una moratoria automatica che prescinde dal loro consenso, se contenuta nel termine di centoventi giorni. Oltre tale termine, la dilazione non è proibita, ma presuppone l’inclusione nell’accordo dei soggetti che la subiscono e l’ottenimento del loro consenso.

Ma la ragione principale che dovrebbe indurre ad ammettere una moratoria ultrannuale è dettata dal rischio concreto, cui già abbiamo fatto cenno, che la previsione di un termine annuale perentorio si riveli un ostacolo difficilmente superabile per la

106 LAMANNA, ibidem, p. 63.

107 AMBROSINI, Appunti in tema di concordato, cit., p. 12. 108

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costruzione di un piano in continuità, soprattutto se la forma prescelta sia quella della ristrutturazione diretta.109

Qualora, infatti, i beni sui quali insiste la garanzia fossero funzionali alla prosecuzione dell’impresa, le risorse per provvedere al pagamento dei crediti prelatizi sarebbero costituite dai soli flussi di cassa dell’attività, che riuscirebbero, tuttavia, ad assumere una consistenza significativa non prima del medio periodo, e non certo entro l’anno dall’omologazione. La dilazione concessa all’impresa per onorare il debito sarebbe, in questo caso, non solo inefficace, ma anche dannosa per l’esecuzione del piano.110

In questa prospettiva, tenuto anche conto dell’ottica di favor del riformatore per le procedure concordatarie capaci di coniugare l’interesse privato dei creditori con quello pubblico di salvaguardia dell’attività d’impresa, sembrerebbe ragionevole accogliere un’interpretazione dell’articolo 186-bis, comma 2, lett. c) che faccia dello stesso un’ulteriore “arma” a disposizione del debitore e non, invece, un limite alla sua autonomia nella formulazione del piano.111

109 VELLA, Il concordato con continuità aziendale, cit., p. 190.

110 Sul punto si veda VENEGONI, Concordato in continuità: alcune riflessioni operative (dalla parte

dell’advisor), in Il Fallimentarista, Giuffré, 2013, p. 6.

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III PARTE:

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3.1. Premessa

Il carattere della concorsualità ha subito, nel tempo, profonde modifiche. Se nel disegno originario della legge del ’42 l’apertura del concorso aveva soprattutto una funzione conservativa del patrimonio del debitore, che si coniugava con un’esaltazione della par condicio creditorum, il decreto legge n. 83/2012 contempla una tutela dell’interesse collettivo “dinamica”,112

caratterizzata da una costante ingerenza del giudice nella gestione dei rapporti in corso di esecuzione e, talvolta, da un arretramento del principio della parità tra i creditori, sacrificato al “più alto” obiettivo della preservazione dei valori aziendali.113 L’importanza del ruolo attribuito all’autorità giudiziaria sembrerebbe segnare un’inversione di tendenza rispetto alle precedenti riforme, che tendevano a valorizzare l’autonomia privata nelle soluzioni concordatarie alle crisi d’impresa. Il Decreto Sviluppo si affida sempre più spesso al tribunale, chiamandolo a svolgere una funzione di controllo pregnante e, in alcuni casi, necessariamente di merito: ciò soprattutto nell’ambito del concordato con continuità aziendale.114

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