3 CAPITOLO TERZO: ADOLESCENZA E ADHD
3.4 La prosocialità
Secondo la definizione di numerosi psicologi (Batson, 1998; Eisenberg et al., 2006; Fiske, 2004), può essere definito prosociale qualsiasi comportamento volontario diretto a favorire altre persone. La riflessione sulla prosocialità si estende alle differenze individuali al di là dei comportamenti manifesti: aiutare, donare, consolare; la loro connessione a particolari sentimenti e la loro ricorrenza in contesti e tempi diversi hanno portato ad indagare l’organizzazione mentale in grado di assicurare coerenza a questo tipo di condotte. Un nuovo orientamento della ricerca psicologica dirige quindi la sua attenzione ai processi affettivi e cognitivi che sottendono le condotte e le strutture mentali che organizzano tali processi.
La prosocialità, intesa come tendenza a far ricorso ad azioni che si contraddistinguono per gli effetti benefici che producono negli altri, appartiene infatti alla sfera delle abitudini, alle modalità usuali di interazione sociale.
Nei bambini la prosocialità risulta un importante predittore del rendimento scolastico. I bambini prosociali sono spesso intellettualmente dotati, ma non sono le loro abilità intellettuali che determinano il loro successo e la loro popolarità. La tendenza ad aiutare i compagni, a condividere i giochi e ad offrire un sostegno affettivo si rivela decisiva nel sostenere il percorso scolastico oltre che nel contrastare tendenze aggressive e depressive (Caprara, Barbanelli, Pastorelli, Radura e Zimbardo, 2000). Inoltre, intuire e assecondare le
richieste altrui sono da considerare elementi di promozione in quanto apportano simpatia, riconoscenza e apprezzamento.
Le condotte prosociali non sono fortuite, ma intenzionali e, in quanto tali, rispecchiano la concentrazione di strutture emotive, conoscitive e motivazionali come sentimenti, convinzioni di efficacia, valori e aspettative. Esse rappresentano uno stile di comunicazione interpersonale fortemente evoluto almeno per due ragioni: determinano effetti positivi in contesti in cui vi siano rapporti umani e sono sempre il risultato di una serie articolata di fattori come l’autocontrollo, l’assertività, l’empatia e le capacità di problem solving.
In particolare, l’empatia, ossia la capacità di sintonizzarsi cognitivamente ed emotivamente con gli altri, è uno dei fattori motivazionali più importanti del comportamento prosociale ed ha un ruolo centrale in quanto precursore e segnale della capacità di percepire e sentire i bisogni e le esigenze altrui. Secondo Eisenberg (2008) l’empatia viene definita come percezione del bisogno dell’altro ed implica comprensione e simpatia. Il contagio emotivo, frequente nei bambini, consiste nel sentire la stessa emozione dell’altro e nel rifletterla, ma non è una risposta cognitiva e può presentarsi in bambini molto piccoli che non differenziano chiaramente tra il proprio e l’altrui disagio.
Con il progredire dell’età le risposte empatiche, oltre a riconoscere le emozioni e a reagirvi istintivamente, si arricchiscono di altri valori: sul piano dello sviluppo cognitivo identificare e comprendere il significato delle emozioni dell’altro costituisce un’abilità complessa e discriminativa che implica il superamento dell’egocentrismo. Solo se i soggetti sono in grado di differenziare il proprio stato emotivo da quello di un altro possono sviluppare sentimenti di compassione e compartecipazione emotiva, capaci di sollecitare tentativi di aiuto adeguati ad alleviare lo stato di bisogno altrui. L’empatia è stata riconosciuta come una fondamentale leva in grado di inibire le condotte aggressive e di favorire le condotte prosociali (Feshbach, 1978; Hoffman, 1984). L’empatia e la capacità di autoregolazione ed esecuzione sono quindi elementi decisivi per l’efficacia dell’agire prosociale. Lo sviluppo dei comportamenti prosociali se da un lato è strettamente legato allo sviluppo della capacità empatica (Hoffman, 2001; Eisenberg, 2006), dall’altro è favorito dall’accuratezza della comprensione della situazione dell’altro (Zahn e Waxler, 1982).
Le risposte empatiche e prosociali richiedono quindi la capacità di padroneggiare la propria attivazione emotiva e presuppongono un grado elevato di decentramento cognitivo, ossia la capacità di considerare le situazioni dal punto di vista dell'altro.
Non va sottovalutato il ruolo positivo dell'empatia nel ridurre l'aggressività: la condivisione empatica svolge infatti un'importante funzione di adattamento dell'individuo al gruppo riducendo il ricorso a comportamenti aggressivi (Bonino, Lo Coco e Tani, 1998). Possono essere proposti quindi ai bambini progetti volti a migliorare le capacità empatiche, allo scopo di ridurre i conflitti presenti nelle classi. Gli studi di Feshbach (1996) indicano che in tale contesto ad un aumento dell'empatia corrisponde un parallelo aumento del comportamento prosociale. La messa in atto di specifici programmi pedagogici volti allo sviluppo della capacità empatica, basati su una serie di semplici esercizi sotto forma di gioco finalizzati a promuovere lo sviluppo delle capacità di riconoscere le emozioni altrui e di rispondervi empaticamente, porteranno ad una maggior cooperazione, socievolezza e competenza interpersonale dei bambini
All’interno del contesto scolastico sono attuabili anche numerose attività volte allo sviluppo della prosocialità. Sarebbe opportuno, come avviene per l’educazione linguistica o per quella logico matematica, che l’insegnante pianificasse il suo intervento finalizzato ad educare gli allievi a star bene con gli altri, a condividerne emozioni e stati d’animo, a prevenire e risolvere i conflitti, ad esprimere il proprio punto di vista, ad accogliere o rivolgere una critica, a collaborare, ad aiutare.
In ogni caso, una variabile determinante nell’educazione prosociale dell’allievo è la figura dell’insegnante: egli stesso rappresenta un modello di comportamenti altruistici e collaborativi. La tecnica più adatta nei contesti educativi, sebbene si possano proporre attività e applicare strategie, resta sempre quella del “modellamento” o modeling, vale a dire l’apprendimento per imitazione, che fa leva su modelli rappresentati dagli stessi docenti, oppure su modelli di compagni che vengono sistematicamente rinforzati nel loro essere prosociali.
L’educazione alla prosocialità può essere promossa attraverso protocolli di apprendimento cooperativo e role playing in classe (Olweus, 1993; Fonzi, 1997) che attivino risorse personali (allenare al riconoscimento delle emozioni, all’empatia, alla ricerca di alternative di negoziazione e al controllo degli impulsi) e che ristrutturino il clima sociale (negli spettatori delle prepotenze, nella classe, tra gli insegnanti e i genitori).
La possibilità di promuovere negli individui un senso di adeguatezza personale e un buon concetto di sé sembra incidere notevolmente nel favorire lo sviluppo di comportamenti prosociali: numerosi studi sottolineano il ruolo svolto dall'empatia nel contrastare l'aggressività e nel promuovere le relazioni sociali positive di accettazione reciproca.