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dell’insegnamento, la possibilità di frazionare in maniera analitica i contenuti da apprendere secondo una progressione algoritmica che consente di evitare in modo totale l'errore, di favorire la retroazione, di fornire risposte costruite, di controllare immediatamente la risposta data, di realizzare progressi sicuri e costanti nell'apprendimento. In esso interesse, impegno personale, attenzione, memoria, nuove acquisizioni, risistemazione culturale si verranno a saldare con la padronanza dei metodi e delle tecnologie. È chiaro che l'impiego di questi strumenti ai fini dell'insegnamento non si può certo inserire nella scuola tradizionale ma solo in un progetto che si propone di creare scuole modello, di formare insegnanti preparati, di semplificare e di programmare ciò che si deve apprendere, di migliorare la prestazione dei materiali utilizzati, di definire in modo più organico gli obiettivi, di costruire curricoli scolastici articolati nello spazio, nel tempo, nei contenuti, nei sistemi di verifica e di controllo.

c) Il materiale nella macchina di Pressey non era programmato. (Avrebbe potuto esserlo, e in seguito vennero scritti programmi per macchine simili). La mia macchina era programmata per trarre profitto da ciò che noi avevamo imparato sull’immediatezza del rinforzo nell’analisi sperimentale del comportamento. Gli studenti progredivano a piccoli passi e, per essere sicuri che procedessero con successo, il loro comportamento veniva attentamente sollecitato o suggerito e quindi rinforzato.

Sollecitazioni e suggerimenti venivano ‘fatti scomparire’ il più presto possibile”. (idem, p. 122).

È il concetto espresso nell’esempio dell’apprendimento dal maestro di origami: subito evidente ciò che è da ritenersi corretto. Muta insomma la situazione didattica: lo stimolo educativo viene offerto come aiuto per non sbagliare e viene gradualmente tolto (fading) quando il soggetto inizia a padroneggiare la nuova abilità o le procedure di un compito. Afferma ancora Skinner:

“Ben presto ho usato una macchina basata sugli stessi principi per insegnare parte di un corso sul comportamento umano, con un programma scritto in collaborazione con James G. Holland (1961). Come ho detto molte volte, Allan Calvin usò macchine piuttosto simili in una scuola di Roanoke, in Virginia, per insegnare in una classe ottava, tutta l’algebra della nona classe in mezzo anno.

La classe ottenne dei punteggi superiori a quelli standard della nona classe quando, l'anno successivo, fu sottoposta a test di verifica”. (p. 123).

Tuttavia la chiusa di questo paragrafo trova Skinner in una situazione di sconforto:

“Per alcuni anni è stato in auge un movimento per la promozione di macchine per insegnare. Sull’argomento hanno visto la luce centinaia di articoli e una ventina di libri; e cominciarono ad essere pubblicati ogni anno cataloghi di programmi disponibili. Un quarto di secolo più tardi, tuttavia, l’istruzione programmata nelle scuole è rara. Non è riuscita a trovare spazio nelle scuole, ma è viva e vegeta nell’industria, dove si spendono ogni anno milioni di dollari per programmi d’istruzione. L’insegnamento, nell’industria, una volta si chiamava addestramento, e in quanto tale è stato più o meno messo da parte, ma ciò che oggi imprenditori e impiegati hanno bisogno d’imparare è simile a ciò che viene insegnato nelle scuole e nei college. Le macchine per insegnare mancano nelle scuole non perché l’istruzione programmata sia fallita, ma perché nell’attuale sistema educativo è difficile essere ritenuti affidabili se non si dà spazio a modi migliori di insegnamento”.

(idem, p. 123).

In un altro paragrafo però l’autore si chiedeva come avrebbero potuto configurarsi la scuola e l’educazione del futuro, e in questo paragrafo appare tutta l’idealità di Skinner e la fiduciosa credenza, per lui così pragmatico, nel delineare un futuro ben diverso. Scriveva:

“È difficile dire come apparirà la scuola del futuro. L’architettura probabilmente seguirà la funzione, e la funzione della scuola nel suo insieme non è ancora chiara. Possiamo essere sicuri, comunque, che le scuole saranno molto diverse da quelle che abbiamo visto fino ad oggi. Esse saranno luoghi piacevoli. Come negozi, ristoranti e teatri razionalmente gestiti, avranno un bell’aspetto, un buon profumo e una buona musica. Gli

studenti verranno a scuola non per la minaccia di punizioni qualora non dovessero andarci, ma perché ne saranno attratti”. (idem, p. 125).

A voler essere generosi si potrebbe dire, con un eufemismo, che francamente questo aspetto è ancora in corso di realizzazione. Magari fra qualche decennio, magari non qui, qui in Italia intendiamo. Dove invece l’utopia skinneriana c’ha preso, almeno in parte, sta scritto in quanto segue:

Gli studenti trascorreranno più tempo a scuola. Cominceranno quando saranno più piccoli, in parte anche per la minore possibilità di cure in casa, per il fatto che le madri saranno impegnate in occupazioni professionali. Gli studenti rimarranno a scuola più a lungo, nei fatti se non per principio, grazie alla minore mortalità scolastica. Le scuole insegneranno molte più cose. E dovranno farlo necessariamente, se impartiranno un insegnamento di doppia durata rispetto al passato. Se ciò che oggi viene insegnato in 12 anni dovesse equivalere a ciò che una volta veniva insegnato in 6, l’istruzione risulterebbe sfasata rispetto alla crescita personale, e le imprese sarebbero costrette a trovare posti di lavoro per lavoratori molto giovani.

Invece di finire prima, gli studenti studieranno molte altre cose”. (pp. 125/6).

In fondo si può leggere fra le righe anche l’aspetto negativo dovuto alla scuola intesa come parcheggio onde evitare un esubero di forza lavoro che il mondo produttivo non è in grado di accogliere:

“L’istruzione programmata permetterà agli studenti di scegll( re tra molti più campi, perché i curricoli non saranno limitali alla competenza degli insegnanti disponibili. Gli studenti brillanti saranno in grado di proseguire in determinati campi molto più in là di quanto sia possibile oggi, grazie ai programmi a disposizione. Gli studenti saranno liberi di passare allo studio di materie che risulteranno loro particolarmente interessanti e rinforzanti in stesse. Avranno meno motivi per cercare altrove i loro rinforzi per esempio, nel sesso, nella violenza, nelle droghe”.

Anche questa previsione si è un poco smarrita all’interno, come direbbe Skinner stesso, del condizionamento operante esercitato dalla società dei consumi o della società liquida, come direbbe Bauman.

“Gli insegnanti avranno più tempo per parlare coi loro studenti. Le discussioni in classe sono attualmente rare e non molto simili a conversazioni tra amici o colleghi. Pochi di noi godono di una conversazione in cui si viene apprezzati. Tra amici una risposta brillante viene applaudita; in classe è più probabile che venga punita come tentativo di accattivarsi il favore dell’insegnante, e le punizioni gestite da altri studenti possono essere severe.

Nelle prime scuole dei Gesuiti uno studente veniva esplicitamente contrapposto ad un ‘emulo’, a qualcuno da emulare. Quando uno studente non riusciva a rispondere, l’insegnante si rivolgeva all’emulo. I due di solito si odiavano. Qualcosa del genere è sopravvissuto. In molte classi si dice che gli studenti bravi non rispondono

prontamente o non rispondono affatto e che inventano talvolta risposte sbagliate per mantenere un posto accettabile nel gruppo.

“Gli insegnanti del futuro fungeranno molto più da consiglieri, stando probabilmente a contatto con determinati studenti per più di un anno e riuscendo a conoscerli meglio. Gli insegnanti saranno più in grado di aiutare gli studenti a scegliere i campi più consoni ai loro interessi. Anziché insegnare soltanto a dei singoli in modo inefficace, come nelle condizioni attuali, essi avranno la soddisfazione di far parte di un sistema che dovrà insegnare efficacemente a tutti gli studenti. Grazie all’aumentata produttività, l’insegnamento diverrà una professione non solo gratificante, ma anche riccamente remunerata”. (pp.126/127)

Anche su quanto scritto in questa parte si potrebbero, dati alla mano, fare obiezioni che la realtà ci metterebbe con naturalezza in bocca. Oggi, e non solo nel nostro paese, la condizione degli insegnanti non è fra le più invidiabili. È anche vero che Skinner si rendeva conto dell’utopia che stava elaborando, dal momento che aggiungerà:

“Possiamo permetterci questo tipo di scuola? La vera domanda è se possiamo permetterci di continuare con quello che abbiamo ora.A lungo andare, le scuole buone faranno risparmiare una grande quantità di denaro.

I governi non avranno bisogno di spendere il denaro che spendono ora per il fatto che le scuole sono così scadenti. Ci sarà meno bisogno di forze di polizia, che ora spendono tanto del loro tempo per porre rimedio al fallimento dell’educazione. I governi saranno migliori se i cittadini che li mandano al potere saranno più saggi e più responsabili. Le attività commerciali e industriali, alle quali è legata in definitiva l’educazione, avranno una forza lavoro molto più preparata. La vita sarà migliore per tutti, e persone meglio preparate si prende-ranno una maggiore responsabilità per il futuro del mondo”. (p. 127).

Con un certo grado di attendibilità, e forse in parte un poco lontano dal desiderio che muoveva Skinner, si può affermare che oggi sono disponibili due grandi modelli, che si presentano entrambi come capaci di rispondere alle sfide del cambiamento, ma che sembrano porsi come reciprocamente alternativi, quello funzionalista e quello antropocentrico. Così scrive Italo Fiorin, (‘La scuola luogo di relazioni e apprendimenti significativi’ in Andrea Canevaro, L’integrazione scolastica, ed Erickson, 2007):

“La prospettiva funzionalista intende la scuola al servizio del progresso economico, e considera corretto che sia il ‘mercato’ a dettare gli indirizzi che devono i curricoli scolastici, fissando le competenze ritenute indispensabili. Dal punto di vista del disegno curricolare, l'impostazione privilegiata segue un andamento top-down competenze da sviluppare riguardano i saperi ritenuti utili, cioè funzionali alla domanda del mercato.

Identificati i profili di uscita finali, attraverso un movimento deduttivo di progressiva semplificazione, si definiscono gli obiettivi specifici di apprendimento ritenuti via via adeguati alle età degli studenti. La sopravvalutazione dei saperi utili non comporta, di per sé, la scomparsa di altri insegnamenti meno immediatamente spendibili, ma certamente la loro marginalizzazione.

“Al contrario, la prospettiva antropocentrica costruisce il curricolo non a partire dai profili di uscita, ma dalle esigenze profonde di sviluppo della persona. Il curricolo nasce dal basso, e le competenze di riferimento non sono identificate avendo riferimento l’output finale, dal momento che è troppo lontano il termine del percorso di scolarizzazione, ma riguardano le dimensioni costitutive della persona, che chiedono all’azione educativa di essere riconosciute, sostenute e valorizzate. Questo non significa indifferenza nei confronti dell’esigenza di garantire agli studenti buone competenze in vista della professione scelta o del successivo indirizzo universitario, ma il riferimento agli aspetti esplicitamente funzionali dell’itinerario formativo viene spostato in avanti e non è mai esclusivo; soprattutto nei cicli iniziali dell’istruzione prevale una attenzione all’integralità, all’unitarietà della persona. ‘Imparare ad apprendere’ è uno dei valori guida, ma altrettanto lo sono l’‘imparare a vivere’ e l’‘imparare a convivere’.

“La prospettiva antropocentrica non è disposta a sostituire la logica pedagogica con la logica economicistica.

Non rifiuta la provocazione che deriva alla scuola misurarsi con la realtà esterna, non mette in discussione la necessità che un sistema di istruzione e formazione debba saper abilitare i giovani ai saperi professionali, così come oggi sono richiesti. Rifiuta, però, di lasciarsi definire e giudicare esclusivamente in termini di utilità. Le capacità che vanno riconosciute e fatte evolvere in competenze sempre più ricche sono riferite a tutte le dimensioni costitutive della persona. I saperi funzionali sono importanti, ma lo sono anche i saperi relativi alla dimensione corporea, quelli estetici, quelli sociali, quelli etici, quelli della cittadinanza. E lo sono per tutti gli alunni, nessuno escluso”. (p.130)

Qui si parla di scuola, ma credo che l’invito a leggere da una prospettiva che non sia meramente di

‘mercato’ anche gli altri servizi che si occupano di persone con disabilità, possa essere raccolto e fatto diventare operativo.

Del resto il cosiddetto ‘Modello dei sostegni’ proposto dal dall’AAMR va proprio in quella direzione. Questo infatti è quanto si legge nella 10° edizione del Manuale AAMR, a p. 177, ed.

Vannini, 2005:

“Il modello si fonda su un approccio ecologico per la comprensione del comportamento che dipende dalla valutazione del divario tra capacità e abilità e tra abilità adattive della persona e competenze richieste per il funzionamento efficace in un ambiente.

“I fattori idiosincratici, sia di rischio sia protettivi, relativi alla salute fisica e mentale, l’ambiente con le relative richieste e le disabilità correlate possono influenzare i sostegni che migliorano il livello di funzionamento della persona.

“Il divario tra abilità e richieste è valutato in termini di nove potenziali aree di sostegno: sviluppo della persona, insegnamento ed educazione, vita nell’ambiente domestico, vita nella comunità, occupazione, salute e sicurezza, comportamento, socializzazione e protezione e tutela legale.

“L’intensità dei sostegni necessari è determinata per ciascuna di queste nove aree di sostegno.

“I sostegni hanno funzioni diversificate che agiscono in modo da ridurre il divario tra una persona e le richieste del suo ambiente. Queste funzioni del sostegno sono l’insegnamento, il favorire i legami tra le

persone, la programmazione finanziaria, l’assistenza sul lavoro, il sostegno comportamentale, l’assistenza nel-l’ambiente domestico, l’accesso e utilizzo dei servizi della comunità e l’assistenza sanitaria.

“Le fonti di queste funzioni del sostegno possono avere carattere naturale o basarsi sui servizi. Quindi i servizi dovrebbero essere considerati un tipo di sostegno fornito da enti e/o professionisti.

“Gli esiti personali desiderati derivanti dall’uso dei sostegni includono l’aumento dell’indipendenza, la creazione di relazioni, i contributi personali, la partecipazione scolastica e alla vita di comunità e il benessere personale”.

Prendiamo ora, poiché questo avvicina molto l’approccio di Skinner, il penultimo di questi sette punti, quello che richiama la funzione di sostegno del servizio. In cosa si avvicina a quanto diceva Skinner? Sul carattere dell’intervento teso a organizzare le conseguenze del sostegno. E non è ciò che sosteneva Skinner quando affermava che “…noi non impariamo ‘facendo’, come sosteneva Aristotele; impariamo quando ciò che facciamo ha conseguenze rinforzanti (c.n.)” (p. 132, ‘Una rivisitazione dell’istruzione programmata: estratti da un altro saggio sulle macchine per insegnare’

in Difesa del comportamentismo, ed Armando, 2006).

Crediamo che un servizio per persone con disabilità costituisca un valore aggiunto nel momento in cui è in grado di organizzare ‘conseguenze rinforzanti attraverso i sostegni’.

Skinner si spese molto per sostenere l’utilità delle conseguenze rinforzanti. Per vincere la diffidenza rispetto ai suoi esperimenti si attivò con dimostrazioni pubbliche. È forse il caso di ricordare l’esperimento del cane e le sue applicazioni e le riflessioni a cui arrivò Skinner grazie a quello e a altri esperimenti.

.“Costruendo attentamente certe ‘contingenze di rinforzo’, è possibile cambiare rapidamente il comportamento e mantenerlo efficace per lunghi periodi di tempo. Posso illustrare il processo centrale, il condizionamento operante, con un episodio.

“Molti anni fa pubblicai un articolo intitolato How to Teach Animals *‘Come insegnare agli animali’+ (1951). I redattori di Look trovarono difficile credere quanto asserivo e mi sfidarono. Se davvero riuscivo ad insegnare ad un animale così rapidamente come sostenevo, essi volevano delle fotografie. Accettai la sfida. Avrei insegnato ad un cane a stare sulle sue zampe posteriori in pochi minuti. Non avrei toccato il cane o attirato la sua attenzione in alcun modo. Non gli avrei dato alcuna ragione per stare eretto (tenendo, per esempio, un pezzo di carne al di sopra della sua testa). Avrei semplicemente rinforzato il suo comportamento.

“Sarebbe stata necessaria una certa preparazione. Un rinforzo è molto potente quando segue in modo molto rapido: in misura ottimale, in una frazione di secondo. Dare ad un cane affamato un

pezzo di carne è operazione troppo lenta. Il cane deve vedere la carne, avvicinarsi e afferrarla, e ciò richiede del tempo. Se il rinforzo deve essere essenzialmente istantaneo, è necessario un rinforzatore condizionato.

Nel mio articolo avevo spiegato in quali condizioni sistemare il suono di un congegno metallico come rinforzatore. Dovendo prendere delle fotografie, avrei preferito il flash. I membri che componevano lo staff di

Look dovevano comperare un cane e dargli la razione quotidiana nel modo seguente: mentre il cane si muoveva intorno alla stanza, essi dovevano scattare un flash e quindi dare al cane un pezzo di carne. Esso avrebbe risposto ben presto al flash avvicinandosi per farsi dare il cibo; e se, dopo un giorno o due, il cane avesse fatto così istantaneamente, io avrei vinto la sfida.

“Quando vidi il cane per la prima volta, presi l’interruttore chi azionava il flash e dissi al fotografo di puntare l’obiettivo della macchina fotografica sul cane. Avevo posto delle linee orizzontali su una parete della stanza, e quando il cane si avvicinava ad esse, facevo scattare il flash. Il cane andava verso il reporter di Look per essere nutrito e poi tornava vicino alle linee: era prevedibile dato che avevo appena rinforzato il fatto che si era recato in quel punto. Prendendo la mira al livello della testa del cane, scelsi una linea un po' al di sopra della sua posizione normale e rinforzai il primo movimento che portò la sua testa a quell’altezza. Quando il cane ritornava dopo essere stato nutrito, risultava chiaro un effetto: l’animale teneva la sua testa notevolmente più in alto, ed allora potevo scegliere una linea ancora più in alto. A mano a mano che mi spostavo da una linea ad un’altra più in alto, le zampe anteriori del cane cominciavano a staccarsi dal pavimento, finché l’animale assunse una posizione eretta, come dovevasi dimostrare. Poiché era avanzata della carne, proseguii questo ‘rinforzo differenziale’ fino a quando il cane saltò con il corpo in posizione eretta, con le zampe posteriori quasi a trenta centimetri dal pavimento. Era stata scattata una foto per ciascun flash, e Look ne pubblicò una che mostrava lo spettacolare salto finale.

“Nella maggior parte dei testi introduttivi di psicologia non si troverà una corretta spiegazione di questo genere di esperimento da me compiuto col cane”. (idem, pp.129/130).

Ovviamente, aggiunge Skinner, non insegniamo in questo modo con i bambini, con le persone. Si agisce con procedure diverse, ma l’aspetto centrale del rinforzo (del sostegno) è identico.

Aggiunge ancora Skinner:

“Non insegniamo al bambino a fare un nodo con un rinforzatore condizionato, dando al bambino due pezzi di spago e quindi rinforzando ogni mossa che contribuisce a fare un nodo. Invece, mostriamo al bambino come si fa un nodo; noi modelliamo il comportamento, ed il bambino ci imita. Ma perché il bambino dovrebbe fare così?

“Prima che noi possiamo mostrare al bambino come si fa un nodo, egli deve avere imparato ad imitare, e tale apprendimento avrà avuto luogo attraverso il condizionamento operante. Poiché la muscolatura vocale della specie umana è venuta sotto il controllo operante, noi possiamo anche dire al bambino come si fa un nodo, e in tal caso il bisogno di un repertorio operante acquisito è ancora più ovvio.

“Mostrare e dire sono mezzi per ‘sollecitare’ il comportamento, per indurre le persone a comportarsi in una data maniera per la prima volta, in modo tale che il comportamento possa essere rinforzato. Noi non impariamo per imitazione, comunque, o perché ci viene detto quello che dobbiamo fare. Debbono seguire i delle conseguenze. Si pensi al modo in cui la maggior parte di noi ha imparato a guidare un’automobile.

All’inizio, giravamo lo starter quando vedevamo l’istruttore fare così, premevamo il pedale del freno quando egli ci diceva ‘premi’ e così via. Ma le mosse che facevamo avevano delle conseguenze. Quando giravamo la chiavetta, si accendeva il motore; quando premevamo il pedale del freno, la macchina rallentava o si

fermava. Queste erano conseguenze naturali, e dipendevano molto più strettamente dal comportamento di quanto dipendesse il comportamento del cane del flash. Esse infine modellavano un guida esperta. Fino a quando rispondevamo a delle istruzioni, la macchina si muoveva ma non eravamo noi a guidarla. Noi abbiamo

‘imparato’ a guidare, nel senso di guidare bene, solo quando le contingenze di rinforzo mantenute dalla macchina hanno preso il sopravvento” (idem, pp.131/132)

Ancora qualche riflessione su rinforzatori e ricompense in ambito educativo, partendo da quel che dice Skinner, tra affermazioni connotate da un tratto che potremmo definire ‘ideale’ e altre che invece hanno sicuramente una corrispondenza nella ‘realtà’ e non solo in quella della ricerca.

Vediamo:

“Si afferma spesso che l’educazione è preparazione. ‘Preparazione alla vita’, si diceva una volta. Gli insegnanti dimenticano spesso, però, che preparare non è la stessa cosa che vivere. Le conseguenze che inducono gli studenti a venire a scuola, ad ascoltare i loro insegnanti, a osservare le dimostrazioni, a studiare, a rispondere a delle domande, non sono le stesse che si verificheranno quando essi useranno ciò che hanno appreso.

Studenti e insegnanti tendono a spostarsi troppo rapidamente verso la fase ‘viva’.

“Lo studente che desidera diventare un violinista o un tennista generalmente vuole subito suonare o giocare;

gli studenti che rivendicano il diritto di scegliere quello che studieranno di solito cercano di saltare la fase dell’istruzione. Anche coloro che criticano l’istruzione programmata dicendo che gli studenti dovrebbero imparare a leggere libri veri vogliono uscire dallo stadio preparatorio troppo in fretta.

“L’istruzione programmata fu progettata per correggere un errore di base: solo raramente un comportamento in classe può essere immediatamente rinforzato, e uno studente non può procedere subito ad utilizzare nuovi materiali. Ecco perché gli insegnanti debbono ricorrere a qualche tipo di punizione. Un tale ritorno a contingenze aversive può essere impercettibile. Una commissione che si era presa l’incarico di studiare le scuole ebbe a lamentare, significativamente, che ‘un allarmante numero di studenti lascia la scuola superiore con l’idea che il mondo adulto tolleri i ritardi, le assenze, e i comportamenti sbagliati’;

auspicava, quindi, ‘standard di educazione severi e una dura disciplina’. La parola disciplina si è molto allontanata dalla sua associazione originaria con la parola discepolo; ora significa ‘punizione’, che a sua volta significa più abbandoni e più atti vandalici.

“La commissione sembrò esserne consapevole e aggiunse che desiderava ‘incoraggiare la massima creatività sul modo di raggiungere quegli standard di educazione’. In altre parole, la commissione non sapeva come raggiungerli.

“Tornare a un controllo punitivo significa ammettere che abbiamo fallito nel risolvere un problema centrale dell’educazione. Risposte corrette e segni di progresso (c.n.) sono i tipi di rinforzatori più appropriati per l’istruzione come preparazione, ma devono seguire altri rinforzatori, se c’è un senso nell’insegnamento”.

(‘Una rivisitazione dell’istruzione programmata…’, pp. 132/133).