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2.2 La portaerei nella Regia Marina: idee e progetti.

2.4 La Regia Aeronautica e la cooperazione aeronavale.

Alla fine della Prima Guerra Mondiale l'importanza del mezzo aereo crebbe rapidamente, si intravidero grandi prospettive di sviluppo in seno a questo strumento straordinario sia in campo civile che in campo militare.

Fu presa la decisione di scorporare l'Arma aerea dal Regio Esercito e dalla Regia Marina, elevandola a Forza Armata autonoma come Regia Aeronautica, con l'emanazione del regio decreto 28 marzo 1923, n. 645. Il 30 agosto 1925 fu inserito un altro importante tassello attraverso la creazione del Ministero dell'Aeronautica. Il 1° gennaio 1926, venne istituito lo Stato Maggiore dell'Aeronautica con a capo il generale di divisione Pier Ruggero Piccio che divenne, di fatto, il primo capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica.

Durante il Fascismo la Regia Aereonautica si sviluppò ulteriormente e le fu data particolare importanza con la nomina nel 1929 di Italo Balbo a ministro dell'Aviazione. Fu presentata dai gerarchi fascisti del tempo come un fiore all'occhiello, grazie soprattutto ai numerosi record conquistati. Nell’estate 1939, in cooperazione con la Regia Aeronautica, la Regia Marina aveva portato a termine le ultime grandi manovre. Le manovre furono esaltate dal noto ammiraglio Cavagnari, a comprova dell’efficienza dell’Italia fascista ma, in effetti, le due Armi condussero una guerra indipendente esattamente come la Marina e l’Esercito giapponese.

33 Per un’ immagine dell’aereo Fairey “Swordfish” vedi in appendice l’allegato 9.

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Apparvero subito evidenti le gravissime deficienze nella collaborazione tra cielo e mare e resta un mistero, uno dei tanti misteri italiani della Seconda Guerra Mondiale, le motivazioni di queste deficienze.

La scarsissima coordinazione poteva essere imputata all'ottusa rivalità tra Regia Aeronautica e Regia Marina. Ciò provocò grandissimi insuccessi di cui furono protagonisti avieri e marinai italiani. Il conflitto di potere tra Aeronautica e Marina, con la prima che aveva il monopolio di tutto ciò che volava grazie alla legge Balbo, contribuì ulteriormente alla decisione di non costruire portaerei, le quali invece si sarebbero rivelate sicuramente utili per combattere la Royal Navy, dotata di portaerei e radar.35

Un’altra azione importante sarebbe stata almeno la formazione di squadriglie di aerei basati a terra appositamente addestrate a operazioni navali e sotto il comando funzionale della Marina. Invece l'ammiraglio comandante in mare non poteva chiedere direttamente l'appoggio aereo, ma tramite Supermarina doveva inoltrare la richiesta ai vertici dell'Aeronautica, con i ritardi immaginabili.

Il governo fascista, che aveva osteggiato la richiesta della Marina di costruire portaerei e di avere aerei propri, solo a conflitto inoltrato e dopo il disastro della battaglia navale di Capo Matapan, rivide le proprie convinzioni.

I rapporti tra la Marina e l’Aeronautica furono sempre torbidi e ciò si rispecchiò anche a livello di comunicazione e collaborazione: ad esempio, si può citare l’ordine impartito il 20 giugno 1940 dal capo di Stato Maggiore della Regia Aeronautica generale Francesco Pricolo ai Comandi periferici, perché Aviazione e Marina non ordinassero contemporaneamente ricognizioni nella stessa zona. Una cosa che oggi verrebbe vista come immotivata e addirittura sconsiderata.36

Uno degli effetti più evidenti di queste gravi lacune comunicative si vide chiaramente durante la Battaglia di Punta Stilo, dove la flotta italiana dovette sostenere per tre ore sulla via del ritorno le incursioni dei bombardieri italiani. Su 126 aerei almeno una cinquantina

35 M. Angelozzi-U. Bernini, Il problema aeronavale italiano. Aspetti storici e attuali, Livorno

Belforte Editore 1981, p. 45.

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lanciò bombe contro le navi che reagirono abbattendo anche un S.79. S’ironizzò di una battaglia italo-italiana.

La battaglia si svolse nel pomeriggio del 9 luglio 1940 al largo del promontorio calabro di Punta Stilo e fu la prima e unica battaglia combattuta tra le flotte corazzate italiana e britannica. Si risolse sinteticamente in un preliminare e fallito attacco di nove aerosiluranti inglesi partiti dalla Eagle e un poco fruttuoso scontro tra i rispettivi incrociatori in avanguardia, a cui seguì un duello a distanza tra le corazzate Cesare e Conte di Cavour e la Warspite.

Alle ore 16.05 l’Ammiraglio di squadra Inigo Campioni interruppe il combattimento ripiegando in direzione del Golfo di Napoli attraversando lo Stretto di Messina, poiché la flotta inglese tagliava la rotta verso Taranto.

Appena terminato il contatto balistico, la parola fu lasciata alle forze aeree contrapposte, con quelle inglesi limitate ai soli nove aerosiluranti della H.M.S. Eagle. Prevedibilmente più massiccio fu invece l’intervento dell’Aeronautica italiana, che aveva il vantaggio di disporre di basi aeree prossime alla zona dello scontro. Ciononostante i 126 bombardieri impiegati in ripetuti raid sulle navi inglesi tra le 16.43 e le 21.10 non colsero nessun successo, anzi bersagliando per errore, le unità italiane sulla rotta di ritorno.37

Pricolo in una nota datata 23 agosto 1940 scriveva che 120 S.M. erano tempestivamente preparati e opportunamente armati pronti a partire da tutte le basi della Sicilia, tuttavia la vigile attesa dei mezzi aerei non fu minimamente orientata dai Comandi della Marina con i quali dovevamo operare. Era noto che il problema del reciproco riconoscimento durante la battaglia - terrestre, navale e aerea - rappresentasse una altissimo obiettivo, fino a quel momento mai interamente raggiunto; e terminò scrivendo che l’impiego dell’aviazione da bombardamento nel corso della battaglia navale doveva essere limitato a quei pochi e definiti casi, nei quali la situazione sia talmente chiara da non consentire equivoci di sorta. Supermarina lamentava spesso che i caccia “Fiat G.50”, a difesa di Taranto in base a Grottaglie non erano in grado di raggiungere i ricognitori nemici, Superaereo, estremamente risentito, faceva osservare che il problema era da attribuirsi principalmente alla insufficiente

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e troppo ristretta rete di avvistamento sul mare che non permetteva agli aerei di alzarsi in volo e affrontare l’avversario da una quota superiore.38

Lascia terribilmente perplessi inoltre, il fatto che quando il Comando Supremo era chiamato a dirimere i continui contrasti tra le due Forze Armate, non “ordinava”, ma “pregava” i Comandi delle due Armi, caratterizzati da supponenza, inconsapevolezza di quanto avveniva all’estero, assoluta certezza di essere i migliori, confortati dalla sicumera e dall’ignoranza dei dirigenti politici.

A tutto questo si aggiungeva una sostanziale povertà di mezzi: alla data del 10 giugno 1940 gli aerei assegnati alla collaborazione con la Marina erano 202 ricognitori marittimi, 150 idroricognitori imbarcabili su unità navali, cui si aggiungevano 95 idrovolanti bombardieri “Cant Z. 506”, poi retrocessi al meno impegnativo ruolo di ricognitori.

Superaereo, il 20 luglio 1940 scriveva che nonostante fosse possibile stabilire il contatto radiotrasmittente-radioricevente diretto tra navi e aerei, non si aveva un’assoluta certezza che i collegamenti funzionassero in ogni caso. Lo storico Ferruccio Botti scriveva che, per tutto il primo anno di guerra, mancarono collegamenti radio diretti tra aerei e navi e tra comandi aerei e terrestri. Alla fine del 1940 la situazione era disperata: dall’Egeo alla Libia, l’Italia era in inferiorità schiacciante sia in aria che in mare.

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CAPITOLO III