• Non ci sono risultati.

Portaerei e corazzate a confronto

3.1 Le caratteristiche belliche delle grandi corazzate.

La seconda rivoluzione industriale permise un notevole sviluppo della lavorazione dei metalli e l’utilizzo di sistemi propulsivi di nuova generazione, questi progressi scientifico-industriali si rispecchiarono in ambito bellico e in particolar modo nel settore navale.

Crebbe fortemente l’utilizzo di una corazzatura in metallo per proteggere le navi nelle zone più vulnerabili sia dell’opera viva che dell’opera morta.

Come conseguenza, fu necessario costruire cannoni più grandi per perforare queste nuove difese, facendo in modo che il dislocamento complessivo di queste nuove navi crescesse moltissimo.

Questa mole di massa spaventosa era messa in moto dai nuovi motori a vapore, ergo nel corso dei decenni si passò dalla comparsa del fumaiolo accanto agli alberi con pennoni sui ponti coperti, alla completa eliminazione di questi ultimi, oramai poco efficienti.

Gradualmente anche i cannoni subirono un’evoluzione, passando dalla versione ad avancarica a quella a retrocarica; ciò fu un elemento fondamentale per migliorarne compattezza, velocità di volata del colpo, latenze di ricarica e gittata.

Tutte queste innovazioni stabilirono il tramonto dell’epoca delle grandi navi di legno.39

All’inizio del Novecento fu fatto un ulteriore passo in avanti sulla strada delle moderne corazzate: divenne evidente infatti, a seguito degli eventi della Battaglia di Tsushima, che con la crescita del calibro dei cannoni secondari l'identificazione e distinzione degli impatti di questi ultimi e di quelli primari (indispensabile per correggere il tiro) si rivelò sempre più problematica; un’ulteriore evidenza fu che il danno dei cannoni principali era molto

35

maggiore di quello dei secondari e infine, che la cadenza di tiro dei calibri maggiori diventava sempre più simile a quella dei pezzi minori, eliminando così il maggior pregio di questi ultimi. Ergo le principali Potenze rivierasche si orientarono verso la progettazione e la costruzione di corazzate monocalibro.

Gli inglesi dimostrano superba maestria nella costruzione di questa tipologia di navi, le più famose furono quelle del tipo “Dreadnought”, talmente rivoluzionarie in termini qualitativi, di velocità, di protezione e di efficienza di fuoco da segnare un vero e proprio punto di svolta: tanto che da quel momento in poi si cominciò a classificare le corazzate come “Dreadnought” e “pre-Dreadnought”.

Bisogna dire che nonostante la battaglia di Tsushima avesse aperto gli occhi al mondo, le idee che portarono alla nascita delle corazzate di tipo “Dreadnought” furono introdotte già in precedenza dal colonnello del Genio Navale Vittorio Cuniberti, le cui teorie tuttavia ebbero maggiore sviluppo all’estero che in Italia. La costruzione delle “Dreadnought” portò le altre Potenze mondiali ad adeguarsi ai nuovi standard bellici marittimi.40

Nei primi anni del Novecento la competizione navale tra Germania e Regno Unito accelerò il progresso tecnologico navale e la Prima Guerra Mondiale rappresentò un fondamentale catalizzatore per il miglioramento delle caratteristiche di queste navi. La saldatura elettrica ridusse il peso complessivo a parità di volume, l’utilizzo di nuove leghe metalliche concedeva protezioni rinforzate rispetto al passato, i sistemi telemetrici di puntamento (sebbene rudimentali all’epoca) garantivano livelli di precisione neanche lontanamente confrontabili con i precedenti e l’uso della ricerca chimica nelle cariche di lancio permetteva di raggiungere gittate di oltre 19.000 metri.

In meno di un secolo era giunta a maturazione l’idea della corazzata moderna: una nave le cui capacità di combattimento si erano rivelate formidabili e senza paragone rispetto ad altri tipi di unità fino a quel momento costruite.41

Esclusa la parentesi della “vacanza navale”, sancita dal Trattato di Washington, lo sviluppo di queste navi restò costante e si focalizzò su caratteristiche ben precise come: volume di

40 Ivi, p. 63.

41 N. Friedman, Battleship. Design and development, 1905-1945, London, Conway Maritime Press,

36

fuoco, corazzatura, velocità e dislocamento. Chiusa la parentesi sulla nascita delle navi da battaglia possiamo comprendere meglio perché tali unità erano considerate le punte di diamante delle flotte militari fino alla Seconda Guerra Mondiale. Le grandi corazzate che hanno partecipato al Secondo Conflitto Mondiale avevano un interessante denominatore comune, vale a dire il calibro dei cannoni principali.42

Il calibro di queste incredibili armi variava da i 12,5 pollici (320 millimetri) per le corazzate italiane della classe “Conte di Cavour” fino ai 16 pollici (406 millimetri) delle corazzate britanniche classe “Nelson” o della classe americana “Iowa”. Gli unici cannoni a superare tale limite furono quelli delle supercorazzate giapponesi della classe “Yamato”, i quali raggiungevano i 460 millimetri anche se erano identificati come cannoni da 400 millimetri per mascherarne il vero calibro.43

Il volume di fuoco principale non era più distribuito sulla fiancata della nave, ma era concentrato in torri ben protette da una spessa corazzatura che arrivava a qualche decina di centimetri. Il peso complessivo dell’intera torre corazzata dipendeva dallo spessore delle lamiere difensive e dal calibro dei cannoni, che di solito erano accorpati in soluzioni binate, trinate o quadrinate. Generalmente una torre poteva pesare dalle 1.000 alle 1.700 tonnellate. Le torri erano organizzate sulla nave lungo un asse longitudinale e il loro numero variava da due a quattro, le loro posizioni erano studiate rigorosamente al fine di evitare i rispettivi campi d’ingombro e mantenere sempre il maggiore volume di fuoco possibile. Esistevano in aggiunta alle torri principali, complessi secondari con calibri ridotti a sei pollici (152 millimetri) che erano molto efficienti per quanto riguarda il rendimento termodinamico delle bocche da fuoco. Ovviamente il calibro minore non permetteva il raggiungimento di gittate paragonabili a quelle dei cannoni principali.44

Ai calibri ancora più piccoli in dotazione a queste navi, erano generalmente assegnati compiti di lotta anti-aerea e non anti-nave, questo proprio a causa del fatto che calibri come il 90/50 avevano modeste gittate e anche qualora gli scontri a fuoco fossero stati a distanze molto ridotte era davvero difficile che i colpi perforassero le protezioni di altre navi simili.

42 Ivi, p. 134. 43 Ivi, p. 142. 44 Ivi, p. 151.

37

Infine, le corazzate erano fornite di un arsenale di armi automatiche capaci di sviluppare un elevatissimo volume di fuoco, prevalentemente impiegato come fuoco di sbarramento anti-aereo o contro mezzi leggeri insieme ai cannoni di piccolo calibro.

Queste caratteristiche offensive permisero alle navi da battaglia di essere impiegate, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, come unità da supporto alle azioni di sbarco, nelle operazioni di cannoneggiamento della costa e ovunque servisse sviluppare una concentrazione di fuoco imponente.

Il primo elemento che salta all’occhio è l’inconfondibile profilo slanciato che accomuna le navi di questo tipo. Linee sobrie e pulite non solo offrivano un’immediata immagine di potenza da qualunque punto di vista, ma erano soprattutto il frutto di minuziosi calcoli ingegneristici fatti al fine di migliorare la stabilità della nave a parità di dislocamento e superficie esposta al fuoco. Alle caratteristiche offensive si associano elementi difensivi di notevole interesse.45

Per tenere testa alle minacce subacquee erano installate protezioni anti-siluro e assorbitori capaci di resistere teoricamente a teste in guerra dell’ordine di 300 chlogrammi di esplosivo ad alto potenziale. Le corazzature verticali più importanti, andavano ad inspessirsi solitamente nella zona chiamata “cintura di galleggiamento” fino a raggiungere i 350 millimetri di spessore. Un altro punto critico da proteggere erano le sovrastrutture, compresi i sistemi d’arma.46

I cannoni di grosso calibro e l’imponente corazzatura, rappresentavano un importante onere in termini di massa complessiva della nave. Per mettere in moto delle navi così pesanti era dunque necessario disporre di apparati di propulsione adeguati.

Gli inglesi, con le “Dreadnought”, furono i primi a utilizzare le turbine a vapore al posto dei motori a vapore diffusi a bordo fino a quel momento; i tedeschi, con la classe “Deutschland”, sperimentarono i motori Diesel, scoprendo prestazioni molto superiori rispetto a quelle degli altri motori coevi.47

45 Ivi, p. 154.

46 E. Bagnasco-A. De Toro, Le navi da battaglia classe Littorio (1937-1948), cit., p. 56.

38

Gli apparati delle grandi navi da battaglia erano, di solito, composti da otto caldaie che consentivano velocità di punta anche superiori ai 30 nodi e ampia autonomia, in funzione soprattutto, dalla grande capacità di stivaggio di combustibile nelle casse gasolio.

Infine un altro aspetto da tenere in considerazione era il fatto che le poderose artiglierie principali e secondarie non sarebbero state sfruttate al meglio delle loro possibilità usando i vecchi metodi di direzione del tiro. Sulle grandi corazzate del decennio precedente l’inizio del Secondo Conflitto Mondiale, erano stati previsti sui torrioni alcune stazioni STD (stazioni direzione del tiro), di solito una principale e alcune secondarie. Sulle navi moderne queste stazioni hanno assunto il nome di ADT (apparato direzione del tiro) e sono equipaggiate con sistemi integrati capaci di elaborare il miglior piano d’ingaggio delle minacce in base al contesto, utilizzano particolari radar di punteria per aumentare la precisione sul target.48 Alcune delle corazzate della Seconda Guerra Mondiale, erano

equipaggiate con sistemi telemetrici e con dispositivi radar, anche se a quel tempo erano ancora allo stato embrionale.

Ricapitolando: la nave da battaglia era una grande unità armata, la cui caratteristica peculiare era l’artiglieria di grosso calibro: più i cannoni erano grandi e potenti, più era grande la probabilità di battere il proprio avversario da una distanza di sicurezza, ossia oltre la gittata massima delle sue armi. Era ironico pensare che alcuni cannoni riuscivano a sparare salve oltre i 40.000 metri, tuttavia, erano abbastanza inutili senza adeguati sistemi d’individuazione e di puntamento non ottici, dato che l’orizzonte visivo raggiunge i 32.000 metri circa.49