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Portaerei e corazzate a confronto

3.2 Le peculiarità delle navi portaere

Molto diverso, fu il percorso che portò alla nascita delle navi portaerei. Come già accennato nei capitoli precedenti, l’aviazione era sorta solo all’inizio del Novecento, tuttavia gli sviluppi e le potenzialità di questo mezzo erano immaginabili, soprattutto in ambito bellico.

48 Ivi, p. 87.

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La lungimiranza nel vedere un connubio tra il potere navale e quello aereo stuzzicò diverse nazioni, che sperimentarono soluzioni diverse ma giunsero tutte a una conclusione simile. Sicuramente non fu un percorso facile: ogni nave da guerra presenta problemi tecnici e costruttivi, ma probabilmente nessuna in numero uguale a quello delle portaerei.

Tali problemi derivavano dalla doppia natura, navale e aerea, dei compiti che queste unità dovevano svolgere.

La portaerei va considerata in primo luogo come un aeroporto galleggiante e mobile, autosufficiente, con le dotazioni di combustibile e lubrificante per i motori, i magazzini per il munizionamento e infine, le officine per i montaggi e le riparazioni dei mezzi aerei e dei loro armamenti. Tali esigenze influiscono in modo predominante sul progetto di una portaerei, nonostante per quest’unità siano di importanza essenziale anche le caratteristiche navali, come stabilità, manovrabilità, armamento, velocità e protezione.50

Il primo elemento da definire nel progetto di una portaerei è costituito dalle dimensioni del ponte di volo, tali da permettere l’appontaggio e la partenza dei velivoli imbarcati.

Da questo dato è possibile ricavare indirettamente la quantità di aerei imbarcati e il dislocamento dell’unità. Nelle portaerei in servizio tra gli anni Trenta e Quaranta del XX secolo il ponte di volo variava dai 152 metri della Ryuzyo ai 284 metri delle portaerei classe “Midway”. Ciò può giustificarsi poiché, alcune portaerei erano progettate per compiere decolli e atterraggi contemporaneamente. Inoltre, la lunghezza del ponte dipendeva e dipende ancora oggi, dalle peculiarità degli apparecchi imbarcati.

Le dimensioni del ponte stesso definiscono la lunghezza e la larghezza delle sottostanti rimesse per gli aerei di bordo, il progetto delle quali rappresentò un problema tecnico e costruttivo di notevole interesse, in primis a causa dell’ampiezza della stessa rimessa e inoltre per la necessità di non sistemare puntelli intermedi di sostegno, che sarebbero d’ostacolo alla manovra degli apparecchi.

In più, al momento del progetto della portaerei, bisognava prevedere dimensioni adeguate ai velivoli imbarcabili al momento e anche di eventuali altri apparecchi imbarcabili in futuro, per tutto il tempo in cui la nave sarebbe rimasta in squadra.

Mentre i velivoli (soprattutto all’epoca) erano relativamente poco costosi, la nave che li trasportava era un progetto tutt’altro che economico; pertanto era necessario fare un progetto certosino e lungimirante proprio per evitare costosi lavori di adattamento della rimessa ai nuovi velivoli.

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Il trasporto degli apparecchi dalle rimesse al ponte di volo era effettuato mediante degli ascensori, studiati in modo tale da potere funzionare correttamente anche con un certo grado di sbandamento. Sulla maggior parte delle portaerei vi era un ascensore verso prora e uno verso poppa, su alcune di dimensioni maggiori, era possibile trovarne anche un terzo nella parte centrale.

La nave portaerei presenta una preoccupante vulnerabilità: la grande superficie del ponte di volo poteva essere resa facilmente inservibile con pochi proietti o bombe.

Ergo, queste unità non erano in grado di sostenere un combattimento d’artiglieria, anche soltanto contro degli incrociatori, senza correre rischi molto gravi.51

Di conseguenza la portaerei, il cui armamento principale è costituito dagli apparecchi imbarcati, doveva evitare per quanto possibile di giungere a distanza utile di tiro delle navi da guerra avversarie.

Era necessario e importantissimo il ruolo di esplorazione dei ricognitori di giorno e dei sistemi di radiolocalizzazione di notte o con nebbia.

Altra interessante considerazione riguardava il calibro dei cannoni installati su queste navi. Le prime, varate dopo il trattato di Washington, erano dotate di calibri massimi che raggiungevano i 203 millimetri; mentre negli anni successivi le Marine iniziarono a rendersi conto che la minaccia principale per queste navi era costituito proprio dagli aerei, dunque si optò per impiegare cannoni da 155 millimetri, più piccoli e veloci, maggiormente utili nella lotta anti-aerea.

Infine, tutte le portaerei entrate in servizio negli anni immediatamente precedenti il Secondo Conflitto Mondiale e nel corso di questo, dalle più piccole unità di scorta ai più grandi bastimenti da 45.000 tonnellate della classe “Midway”, entrate in forza alla squadra navale americana alla fine della guerra, hanno ricevuto soltanto un armamento di artiglieria leggera, costituita da cannoni aventi calibro massimo di 114-127 millimetri con capacità di tiro antiaereo e navale.

La disposizione delle artiglierie era soggetta alle esigenze imposte dal servizio aereo; solo su alcune di esse, come la classe “Essex”, i cannoni più grossi erano sistemati in torrette disposte a proravia e a poppavia dell’isola.

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Generalmente, invece, le artiglierie erano installate su strutture laterali, simili a mensole sporgenti dai fianchi dello scafo, oppure su nicchie ricavate sui fianchi stessi, ma ad un’altezza inferiore di quella del ponte di volo52.

Oltre alla difesa contro i proietti, le bombe d’aereo e quelle subacquee, le portaerei dovevano anche essere dotate di un’efficacie difesa passiva, in particolare contro gli incendi.

Questi erano una minaccia particolarmente consistente per questa tipologia di navi, e ciò era dovuto alla presenza di grandi depositi di benzina destinata agli apparecchi imbarcati, o alla presenza stessa sul ponte di volo, prima e durante le azioni, degli apparecchi con i serbatoi pieni e con l’armamento di bombe e siluri.

Era noto che nei locali chiusi la benzina può portare alla formazione di vapori, generalmente più pesanti dell’aria e quindi ristagnanti, che possono facilmente infiammarsi o creare anche miscele esplosive.

Sovente si rifornivano gli apparecchi nelle rimesse stesse, dunque occorreva mantenere un’adeguata aereazione, che normalmente era ottenuta mediante grandi aperture praticate nelle pareti laterali delle rimesse stesse o tramite ventilazione forzata (metodo usato dagli inglesi) con aperture nelle zone prodiere53.

Le caratteristiche e le potenzialità belliche delle portaerei, ne faranno di loro le grandi protagoniste della guerra sul mare, decretandone il contributo fortemente decisivo nelle sorti del conflitto. Emerge dunque in questo confronto la reale efficacia di questi mezzi, soprattutto quando confrontata con quella delle corazzate.

A riprova di quanto scritto, basti pensare che in 44 mesi di operazioni navali nel teatro del pacifico, escludendo le operazioni anfibie, si verificarono 25 battaglie o azioni navali, che possono essere suddivise in 12 scontri combattuti con l’artiglieria e 13 con l’aviazione imbarcata in mare o contro unità maggiori all’ancoraggio.

Ma in tutti questi 25 scontri, le corazzate non hanno usato la loro artiglieria principale contro altre unità di superficie che in quattro casi soltanto, limitandosi negli altri casi a essere usate

52 Ivi, p. 87. 53 Ivi, p. 89.

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come batterie contraeree per la difesa delle portaerei o dei convogli che scortavano o per i cannoneggiamenti costieri.

Sempre in queste 25 azioni, risultò che il 73% degli affondamenti fu causato dagli aerei, il 6% dal cannone, il 4% dalle unità siluranti di superficie e il 17% dai sommergibili. Da questi dati, e se si tiene conto che le battaglie combattute dagli aerei imbarcati furono le più importanti e decisive, appare evidente che nella Seconda Guerra Mondiale la portaerei sostituì la nave di linea armata di cannoni nella sua funzione di “capital ship”54.

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CAPITOLO IV

Analisi delle principali battaglie che hanno caratterizzato il