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3.2 Metodologia di ricerca

3.2.2 La ricerca etnografica

Alla fine di un percorso riflessivo sulla metodologia da adottare, la scelta è stata quella utilizzare la ricerca etnografica e la sua cassetta degli attrezzi77. La

caratteristica propria di questa tipologia di ricerca è la capacità di modularsi in base ai contesti in cui viene svolta al ricerca sul campo, mettendo a disposizione una serie di strumenti che possono essere valutati per la loro efficacia nel raccogliere il punto di vista dell’altro. “Fare etnografia significa anche descrivere

un particolare modo sociale in base a una prospettiva non scontata, cioè

osservare e descrivere realtà sociali (relazioni, istituzioni, professioni…), in base a presupposti che ne illustrino aspetti poco evidenti o comunque non ovvi. Tale attività viene svolta ignorando deliberatamente le gerarchie morali e cognitive al fine di problematizzare la distribuzione della legittimità tra i mondi sociali (Dal Lago, De Biasi, 2002, p.X)”78. Alla fine di una fase riflessiva sul metodo da adottare, la scelta è stata di utilizzare la ricerca etnografica e la sua cassetta degli attrezzi. La caratteristica propria di questa tipologia di ricerca è la capacità di modularsi in base ai contesti in cui viene svolta la ricerca sul campo, mettendo a disposizione una serie di strumenti che possono essere adottati al fine di potenziare la loro efficacia nel raccogliere il punti di vista dell’altro. “Fare etnografia significa anche descrivere un particolare modo social in base a una prospettiva non scontata, cioè osservare e descrivere realtà sociali (relazioni, istituzioni, professioni…), in base a presupposti che ne illustrino aspetti poco evidenti o comunque non ovvi”79. Il saper distinguere un tic da un ammiccamento presuppone che l’etnografia non si soffermi alla sola raccolta dati ed osservazione di quello che accade, ma che vada oltre diventando pratica interpretativa che

77 Su questo argomento scrive Attila Bruni (2003): “Come una cassetta degli attrezzi, dunque,

l’etnografia non contiene strumenti giusti o sbagliati, tutto dipende dalla capacità di chi ne fa uso di individuare problemi e soluzioni. Ma la metafora della cassetta degli attrezzi rimanda anche a un’immagine della realtà non più come un tutto tondo, ma quale bricolage di frammenti di significato che non necessariamente hanno un collegamento inequivocabile e coerente e che sta all’abilità dei ricercatori ricomporre all’interno di un quadro sensato”, p. 32.

78 De Lillo A., op.cit , p. 23. 79

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sappia distinguere “il fenomeno dal significato, un segno dal suo senso; la differenza esistente tra una descrizione di tipo esiguo e una descrizione di tipo

denso”80. Il ricercatore ha la possibilità durante il fieldwork di raccogliere “un ricco materiale descrittivo” che gli consente di poter elaborare successivamente una teoria, basandosi sulle interpretazioni su come vari aspetti culturali siano collegati ad altri elementi dell’ambiente. L’etnografo, oltre alla possibilità di poter indagare direttamente un particolare aspetto chiedendo alle persone che vivono in un determinato contesto, può formulare, inoltre, una spiegazione e la può verificare raccogliendo altri tipi di informazioni su quel aspetto particolare81. Negli anni Settanta, l’antropologia ha conosciuto una nuova stagione segnata dalla svolta interpretativa che vede nella figura di Clifford Geertz il suo promotore. “Osservare e descrivere non sono più operazioni propedeutiche e marginali della ricerca sociale, ma il cuore di una relazione problematica, aperta e critica con gli

oggetti: una relazione che incorpora una continua discussione della posizione

dell’osservatore, del carattere aleatorio e parziale delle sue osservazioni e soprattutto della crucialità delle pratiche di descrizione, cioè di scrittura (Dal Lago, De Biasi, 2002, p. IX)”82. Compito quindi del ricercatore-etnografo è quello di dipanare il gomitolo di simboli significativi con cui il discorso culturale è tessuto e tradurlo in modo tale da renderlo comprensibile ad altri mondi culturali. “Nell’analisi della cultura i segni significativi non sono sintomi o aggregati di sintomi, ma atti simbolici o aggregati di atti simbolici, e lo scopo non è la terapia, ma l’analisi del discorso sociale”83. Analisi che ci permette di comprendere “la diversità dei modi in cui gli esseri umani costruiscono le loro vite nell’atto stesso di viverle”84. Perciò il ricercatore procede in maniera induttiva, dalla ricerca sul campo alla formulazione di ipotesi e successivamente di una teoria che spieghi la complessità del discorso sociale. Discorso polifonico, in cui più voci si confrontano su particolari temi, come da definizione della cittadinanza e del sentirsi cittadini. “ La prospettiva geertziana chiede all’antropologo [e più in generale al ricercatore, ndr] sull’intreccio fra sistemi simbolici e sistemi di potere

80

Fabietti U. (2001), Antropologia culturale. L’esperienza e l’interpretazione, p. 17. Come approfondimento della thick description si legga anche il volume di C. Geertz (1998), Interpretazione di culture.

81

Cfr. Ember, Ember, (1998), Antropologia culturale, pp. 76 – 79.

82

De Lillo,op. cit., p. 24.

83 Geertz C. (1998), Interpretazione di culture, p. 36. 84

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e sulla produzione e riproduzione delle forme culturali: invita a considerare chi crea a chi definisce o chi manipola nella contingenza e a quale scopo i significati culturali, attraverso quali dinamiche e quali elementi, secondo quali concezioni della cultura”85, scrive R. Malighetti nell’Introduzione al suo volume sulla figura di C. Geertz. L’antropologia interpretativa consente di cogliere la complessità del pensiero sociale nelle sue varie sfumature, “superando facili riduzionismi, vuoti universalismi o preoccupanti naturalizzazioni”86 e quindi di poter studiare e analizzare come fenomeni globali si declinino a livello locale. “Stimola l’analisi della modernità con cui le idee e le pratiche della modernità vengono appropriate e re- inserite nelle pratiche locali”, in una costante proliferazione. E in questo percorso di analisi, “le soggettività marginali e periferiche, segnate da tradizioni molteplici, possono essere comprese nelle loro potenzialità alternative di costruire le economie, di trattare i bisogni fondamentali, di formare gruppi sociali”87. La scelta perciò di adottare la prospettiva geertziana nello studio della formazione alla cittadinanza attiva, è stata dettata da questa sua intrinseca potenzialità nel cogliere come le spinte dal basso – le comunità di accoglienza, i minori, la rete degli operatori – agiscano nel ri-formulare il concetto di formazione del nuovo

essere cittadini di un paese che appartiene all’ecumene globale, così come

definito da Ulf Hannerz. “Oggi”, scrive l’antropologo norvegese, “esiste una cultura mondiale , ma occorre precisare cosa questo significhi: non si intende una replica uniforme di modelli unici, bensì un’organizzazione della diversità, un’interconnessione crescente di culture locali differenti, così come lo sviluppo di culture senza un netto ancoraggio in un particolare territorio. E la gente si rapporta in modi differenti a questa varietà correlata”88. Lo studio della realtà dei MSNA porta alla luce il fatto che questi ragazzi provenienti da altri mondi e culture, costituiscono mondi locali nella nostra cultura che comunque è meticcia e ogni giorno di più questo è un dato di realtà. Ma questi piccoli mondi locali sono agenti di cambiamento culturale, sociale e quindi promuovono modifiche a livello politico, economico, legislativo e rimettono in discussione le categorie con cui noi siamo abituati a vedere il mondo e a formare le persone che poi agiscono in questa

85

Malighetti R. (2008), Clifford Geertz Il lavoro dell’antropologo, p. 23.

86

Ivi, p. 23.

87 Ivi, p. 23. 88

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parte del mondo. Ma qual è il nesso fra antropologia e formazione in questo contesto di ricerca? E perché si è voluto intrecciare questi due piani disciplinari per lo studio dei percorsi di cittadinanza attiva per i MSNA? Nel periodo che ha preceduto la vera e propria ricerca sul campo, svolgendo un’attività di volontariato presso la comunità per minori di Venezia, ho ipotizzato l’utilizzo di vari metodi di ricerca e ho cercato di capire quale fosse il vero problema da indagare. In questo periodo di prova che ha occupato buona parte del primo anno di Dottorato, ho provato anche a comprendere come averi potuto utilizzare le differenti tecniche delle varie metodologie qualitative e comprendere la loro efficacia nella raccolta dati. Man mano che la ricerca proseguiva sia con l’esperienza sul campo, sia con gli approfondimenti teorici (lezioni, convegni, letture personali), è emersa la necessità di supportare gli studi pedagogici con una metodologia che consentisse di raccogliere le varie sfumature dei singoli contesti che formavano il fieldwork e di entrare in profondità dei singoli discorsi sociali, per trovare le varie voci che li componevano e comprendere come il percorso di formazione alla cittadinanza fosse costruito a partire dall’accoglienza, per passare attraverso l’integrazione e la promozione di progettualità future. “La ricerca educativa fa ricorso al metodo etnografico quando vuole studiare dall’interno i meccanismi che regolano le interazioni tra gli individui e i gruppi per comprendere le regole tacite che li orientano”89. Il motivo per cui un pedagogista- ricercatore sceglie la ricerca etnografica è da cercare nella volontà di studiare in profondità i fenomeni che si indagano. Secondo Chiara Bove, sono sostanzialmente tre le ragioni che spingono un pedagogista ad accostarsi ed integrare il suo approccio con il metodo etnografico:

1) “perché offre un paradigma metodologico flessibile che permette di studiare i processi e le interazioni educative rispettando la loro connotazione culturale”;

2) “perché ci restituisce un’idea di ricerca empirica non unilaterale […] L’articolazione metodologica e la scelta degli strumenti si definiscono, insieme alla domanda di ricerca, nel corso della ricerca stessa secondo modalità non lineari e flessibili”;

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3) “perché propone una causalità rigorosa che sollecita l’uscita dalla dimensione etnocentrica della conoscenza”90.

Per quanto concerne il primo punto si è già spiegato sopra quali siano le motivazioni che hanno spinto alla scelta dell’accostamento dei percorsi teorici e formativi a quelli del metodo etnografico. Si può aggiungere che questo intreccio permette di porre su un piano relazionale e dialogico il ricercatore con i soggetti osservati, in cui il primo media l’accesso al campo e dell’essere capace di accettare la sua presenza. Mentre le persone osservate hanno l’opportunità di poter divenire più consapevoli rispetto alle logiche che le portano a dare senso a determinati simboli che sono alla base della costruzione dei loro atteggiamenti, comportamenti e discorsi personali e sociali. In merito al secondo e terzo punto, essendo la ricerca sul campo più simile ad un testo da interpretare e da tradurre, che ad un esperimento condotto in laboratorio, diventa momento di negoziazione e di continua revisione. Non solo perché con ciclo iterativo di teoria-pratica-teoria, si rivede il complesso della metodologia utilizzata, ma allo stesso tempo si definiscono gli strumenti di ricerca. Dopo un primo periodo di tentativi e prove, la ricerca sul campo ha iniziato a prendere corpo e ad essere strutturata sia da un punto di vista di contesti da studiare, sia di attori sociali da coinvolgere e quindi di strumenti utilizzati per poter raccogliere, comprendere il problema di ricerca che era stato messo a fuoco in modo più puntuale. Infatti il baricentro della ricerca era passato dallo studio del curricolo scolastico, allo studio del progetto educativo tout court che il complesso di attori sociali definivano assieme al singolo minore. Per poter indagare i vari contesti di ricerca che hanno composto il fieldwork complessivo, mi sono avvalsa dei seguenti strumenti:

Interviste: sono state condotte delle interviste semi-strutturate91 ai vari operatori delle comunità, delle scuole, assistenti sociali e centri per

90 Bove C., op. cit.,p. 44. 91

La scelta della tipologia della ricerca semi-strutturata è stata dettata dal più fattori. Innanzitutto, le interviste volevano essere sia uno strumento per la raccolta di informazioni da parte degli operatori, ma allo stesso tempo non dovevano sentirsi ingabbiati in una batteria di domande alle quali rispondere in un preciso periodo di tempo (questionario). Piuttosto le interviste volevano assumere le connotazioni di un tempo a disposizione dell’operatore per poter parlare liberamente e senza vincoli di tempo su dei temi che ricorrevano nelle varie interviste svolte in modo tale da poterle comparare, ma senza una scaletta fissa (intervista strutturata). In questo modo ho cercato di mettere a loro agio le varie persone intervistate che non dovevano subire la pressione di un’intervista a carattere giornalistico, ma dovevano confrontarsi con la sottoscritta in merito a determinate dinamiche, a certi problemi e temi sulla realtà sondata a

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l'impiego. A volte queste interviste sono state registrate con il consenso da parte dell'intervistato, altre volte, soprattutto nella fase iniziale di presa contatti, sono state delle chiacchierate informali in cui ci siamo reciprocamente presentati e abbiamo parlato delle problematiche legate alla realtà dei MSNA.

Studio di casi: dov'è stato possibile ho chiesto che gli operatori entrassero

nel merito di alcuni casi di ragazzi ospiti di una comunità illustrandomi a grandi linee la sua storia di vita, il percorso formativo che stavano svolgendo e le prospettive future d'inserimento sociale. Questo materiale è stato anche raccolto mediante documenti che mi sono stati inviati per mail dalle comunità e che si rifanno al PEI del singolo ragazzo (paragrafo 3.6).

Osservazione partecipante: questo strumento si è rivelato fondamentale

per reperire informazioni sui contesti studiati, lì dove c'è stata difficoltà nel poter interagire con i ragazzi o partecipare attivamente alle loro attività, in particolare di alfabetizzazione (paragrafo 3.5 e cap. 4).

Diario di campo: non regolarmente, ma nei momenti di rientro dai campi

di ricerca ho cercato di fissare le impressioni, le particolarità dei contesti nonché certi particolari situazioni che ho vissuto con gli operatori e i ragazzi. Mi è servito in sede di stesura di questo report a ricostruire alcuni momenti della ricerca.

Raccolta di documenti: in base alla disponibilità degli operatori, sono

riuscita a raccogliere dati statistici, report di ricerche condotte a livello locale o regionale. Inoltre le tre realtà indagate sono visibili anche in internet e quindi parte del materiale è stato ricavato anche dai materiali pubblicati on-line.

Laboratorio creativo sulla cittadinanza: per ovviare all'inconveniente

che la maggior parte delle comunità preferisce in modo più o meno diretto che non vengano effettuare interviste ai ragazzi e io stessa ritenendo non

360° dei MSNA e a fornire in qualche caso dei feedback rispetto alle attività che proponevo ai ragazzi di svolgere e alla mia presenza in comunità. Per stabilire la tipologia di intervista da adottare ho studiato i seguenti volumi: Bichi R.(2002), L’intervista biografica; Bianco C. (2004), Dall’evento al documento; De Lillo (a cura di),(2010), Il mondo della ricerca qualitativa, cap.2; Trinchero R. (2004), I metodi della ricerca educativa, cap.4; Richards, Morse (2009), Fare ricerca qualitativa, cap. 5; Bruni A.(2003), Lo studio etnografico delle organizzazioni.

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opportuno lo strumento dell'intervista per parlare con i ragazzi, vorrei per il prossimo anno di ricerca, elaborare un laboratorio con delle attività artistiche non ancora definite, da proporre alle comunità in modo tale da raccogliere la voce dei ragazzi e soprattutto cosa si aspettano per il loro futuro (paragrafi 4.5, 4.6 – 4.9).

La metodologia etnografica e la prospettiva pedagogica permettono nello studio di un contesto di creare una sorta di circolarità interpretativa. Infatti, se da una parte, il ricercatore ha bisogno di entrare nel campo di ricerca e di svolgere determinate attività al fine di comprendere come i suoi interlocutori danno senso a determinati comportamenti, dall’altra parte le persone osservate si trovano nella posizione di spiegare le proprie opinioni e le ragioni del loro agire. Tutto questo ha una forte valenza formativa perché costituisce uno sforzo di comprensione di significati che vede ricercatore e interlocutori impegnati nel tentativo di comprendere il modo in cui interpretano i fenomeni e renderli comprensibili ad altri. “La tensione alla comprensione e alla rappresentazione del punto di vista dei soggetti, pedagogicamente, attiva dei processi di pensiero e di riflessione su di sé attraverso l’attenzione che gli altri accordano agli stessi”92. Inoltre gli eventi educativi e formativi sono fenomeni complessi da studiare e necessitano di strumenti flessibili per essere analizzati. Il metodo etnografico con la sua cassetta degli attrezzi permette di concretizzare questa flessibilità di strumenti da adottare. Strumenti e tecniche che possono essere modificati durante lo svolgimento del lavoro nel campo di ricerca. Come già descritto, nel caso di questa ricerca sui MSNA, se il metodo etnografico era stato giudicato come il più adatto rispetto al problema da indagare, sia gli strumenti, sia l’ipotesi di ricerca sono stati rivisti più volte e messi a punto mano a mano che il lavoro sul campo procedeva e venivano studiati contesti che fra loro erano molto differenti sia per risorse a disposizione, sia per la struttura delle comunità e della rete sociale di operatori con cui gli educatori erano in contatto, oltre al gruppo dei minori che variava nello stesso contesto con un turnover abbastanza sostenuto. Il carattere formativo della ricerca condotta con il metodo etnografico si evidenzia nella figura stessa del ricercatore che può essere visto come una risorsa a volte dalle persone che incontra nei suoi contesti di studio. Nel mio caso, quasi tutte le comunità mi hanno richiesto di avere poi un

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feedback rispetto al lavoro svolto con loro alla fine della mia ricerca. E durante il campo di ricerca, sia nella comunità di Venezia, mi sono confrontata con l’educatrice su dei laboratori che erano stati svolti assieme e anche sulla mia permanenza per una settimana intera presso la comunità. Anche a Bari, il gruppo degli educatori mi ha chiesto di essere loro da supporto per un percorso formativo per l’équipe, per migliorare il gruppo di lavoro e il lavoro di gruppo. La presenza di un ricercatore, se in prima battuta è difficile da accettare, da integrare in una routine di una comunità o più in generale in un contesto, diventa poi una figura che può portare a riflettere sui propri atteggiamenti, comportamenti e a capire perché venga attribuito un particolare valore a pratiche che si svolgono quotidianamente, rispetto ad altre. E proprio perché il ricercatore-etnografo riesce ad instaurare un rapporto di fiducia, di familiarità con le persone che vivono un determinato contesto e assieme a loro lo studia, cerca di comprendere dinamiche, pratiche, processi di significazione, può formulare anche soluzioni nuove a vecchi problemi, può proporre anche soluzioni formative che migliorino o quanto meno facciano riflettere coloro i quali sono stati osservati, intervistati e hanno preso parte ad attività programmate93.

SUNTO DELLA FORMULAZIONE DEL PROBLEMA DI RICERCA Problema di ricerca

Il sistema attuale di accoglienza e di tutela dei MSNA permette loro, oltre all'inserimento lavorativo, anche di diventare cittadini attivi della società contemporanea nella loro adultità? Ipotesi di ricerca

Riformulando il progetto educativo dei MSNA a partire da quelle che sono le capacitazioni proprie di ogni singolo ragazzo e potenziandole, si potranno formare futuri cittadini di democrazie cosmopolite.

Obiettivi

 Analisi dei rapporti fra i tre attori sociali – comunità di accoglienza, mondo della scuola, mondo del lavoro;

 Analisi dei rapporti fra MSNA con i vari attori sociali;

 Analisi delle competenze formali, non formali ed informali dei MSNA;

 Analisi delle metodologie di valutazione e di orientamento adottate dai diversi attori sociali che progettano e verificano il percorso formativo di un minore;

 Proposta di formulazione di nuovi percorsi formativi alla cittadinanza, basati su alcuni indici di formatività:

 ricostruzione del sé;

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 l'autonomia;  responsabilità;

 riconoscimento delle competenze  riconoscimento delle capacitazioni