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Trento Questione Kosovara? (21 24 agosto 2012)

4.6 La sperimentazione del LabCity

4.6.3 Trento Questione Kosovara? (21 24 agosto 2012)

Fra il 21 e il 24 agosto 2012 ho sperimentato il LabCity a Trento. I ragazzi che avevo conosciuto durante la prima visita nel corso del 2011, erano stati dimessi dalla comunità. Mi sono trovata dunque ad interagire con un gruppo totalmente nuovo, a maggioranza albanese-kosovara. Il laboratorio si è svolto presso il centro

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Soprattutto nella situazione di Bari questi elementi di contesto incidevano parecchio sulla gestione non solo del LabCity, ma anche della quotidianità dei ragazzi che vivevano in un appartamento, in una zona periferica della città.

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diurno che fungeva da punto di aggregazione fra i ragazzi soprattutto nel periodo estivo. Le attività che normalmente si svolgevano erano varie: dall'affiancamento nello svolgere compiti di scuola, alla possibilità di collegarsi ad internet, all'usufruire della sala giochi. Per la condivisione degli spazi, ho dovuto fare un piano orario con gli educatori del centro. Il primo giorno di laboratorio, l'attività si è svolta nel pomeriggio per consentire ai ragazzi di prendere parte ad una festa in montagna con tutti gli altri, operatori compresi. I ragazzi si sono presentati alla spicciolata. L'attività è iniziata come al solito con la presentazione e lo svolgimento delle fasi 1, 2 e 3 del LabCity. Tutti e cinque i ragazzi hanno partecipato con vivacità al BI e alla discussione successiva. Il gruppo comunque mi sembrava attento, partecipe, ma avevo notato anche un'eccessiva vivacità da parte di qualcuno. Dopo aver illustrato l'attività del "Come sarò fra dieci anni?", i ragazzi si sono messi attorno al tavolo dei materiali, ma iniziavano a ridere fra di loro, scherzare, tirarsi gli oggetti. L'operatrice che era stata presente fino al BI, se n'era già andata perché aveva terminato il turno. Non essendo presente nessuno dei loro educatori, qualcuno bighellonava. Solo quando ho preso la macchina fotografica per documentare l'attività, uno di loro ha commentato ad alta voce:"Dai che ci diamo da fare, così sembra che stiamo lavorando". Nel complesso comunque le attività della prima giornata erano state svolte e sebbene ci fosse questa vivacità di fondo, gli obiettivi della giornata erano stati raggiunti. Al termine della giornata, il Responsabile Pedagogico della comunità aveva voluto sincerarsi con una telefonata che tutto fosse andato per il meglio. Il secondo giorno, il LabCity si svolgeva sempre nel centro diurno che era però aperto. Altri ragazzi di appartamenti o della periferia erano presenti per prendere parte alle attività organizzate dagli operatori e soprattutto per navigare in internet. I ragazzi del laboratorio erano arrivati un po' alla volta e avevano ripreso le attività, ma avevo notato dal loro atteggiamento che erano molto più vivaci del giorno precedente: telefonavano in continuazione, ridevano e si disturbavano fra di loro. Un ragazzo, Alex, credendo di approfittare della situazione si è alzato con non chalance per raggiungere degli amici al calcio Balilla, dicendo agli operatori di turno che aveva chiesto il permesso per uscire dalla stanza del laboratorio e interrompere la sua attività. Ho quindi preso in disparte gli operatori e li ho avvisati. Per me il ragazzo aveva terminato la sua attività per quel giorno. Gli

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operatori quindi gli hanno detto di tornare nel suo appartamento e che sarebbe stato avvisato l'educatore di turno. Dopo circa un'ora, mentre gli altri erano in pausa, Alex è ritornato, concordando questa scelta con il suo educatore ed è venuto a scusarsi e chiedere di essere riammesso. Io non volevo accettare perché questo avrebbe creato un precedente, che avrebbe potuto destabilizzare la quiete ritrovata e comprometteva soprattutto il risultato complessivo del laboratorio. Dopo varie insistenze, ho deciso di riammettere Alex non senza qualche perplessità. I fatti mi avrebbero dato ragione all'indomani, nella giornata conclusiva del laboratorio. Tutti i ragazzi si erano presentati puntuali alle 10.00 e si erano seduti sul divano della sala giochi. Ho pensato per un attimo che la ramanzina del giorno prima avesse sortito il suo effetto. Ma in realtà si erano coalizzati fra loro e assieme hanno iniziato da subito a disturbare: uscivano con la scusa di telefonate da parte di fantomatici parenti, ridevano e interrompevano le attività del laboratorio. Il centro diurno era aperto, ma gli operatori erano impegnati con gli altri ragazzi nella visione di un film. Qualcuno era nella sala centrale per controllare chi entrava ed usciva. Io mi ero trovata da sola a gestire una situazione che via, via si faceva insostenibile. Mi sono zittita un paio di volte durante la discussione sulla cittadinanza, ma era servito a poco. Purtroppo le attività sono state interrotte, quando uno dei ragazzi mi ha rivolto un'ingiuria e tutti gli altri si sono messi a ridere fragorosamente. Furibonda sono uscita dalla stanza e ho avvisato gli operatori, che a quel punto sono entrati nella stanza a chiedere spiegazioni. Nessuno voleva rispondere. Speravano benissimo che le conseguenze non sarebbero state leggere e che anzi avrebbero aggravato la posizione di qualcuno, che aveva creato problemi anche in appartamento. Il gruppo che mi era stato assegnato rassicurandomi che era formato da "bravi ragazzi", si è rivelato per quello che era nella realtà, anzi nella quotidianità. Gli operatori quando un po' alla volta nel corso della mattinata hanno saputo dell'accaduto, mi rincuoravano dicendo che anche loro non sapevano cosa fare perché il gruppo era alquanto problematico. Li mettevano in punizione o li facevano parlare con l'assistente sociale ma non serviva a molto. Poi il ragazzo che mi aveva offesa, aveva dei problemi di ritardo mentale135. Per certi versi il

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Purtroppo per questioni legare al momento non felice in cui la comunità si è ritrovata nei mesi successivi, sebbene ci siano state varie richieste da parte mia, non è stato più possibile ripetere il laboratorio e concludere le attività di ricerca presso Trento.

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problema di relazione con la componente albanese e kosovara, ma anche magrebina, è stato trasversale a quasi tutti i contesti. Anche negli altri laboratori, i ragazzi provenienti da quest'area geografica forse meglio dire culturale, sono stati quelli che hanno dato le maggiori difficoltà in termini di rispetto dei tempi, delle attività da svolgere e del rapporto sia di genere, ma soprattutto con l'autorità, ossia con le figure degli educatori, operatori e volontari, che venivano provocati con supponenza. A un iniziale condizione, per cui mi veniva di volta , in volta detto che il gruppo di minori era quello che partecipava di più, che aveva una migliore conoscenza dell'italiano, man mano che emergevano le mie difficoltà nel gestire determinate situazioni, emergevano al contempo le crepe del sistema educativo delle comunità. Da queste esperienze si evidenziava lo scollamento fra la cittadinanza considerata da un punto di vista normativo, che non si occupa dell'aspetto culturale di un individuo, ma stabilisce con un iter ben preciso quali sono le tappe e le pratiche burocratiche da svolgere per ottenere la cittadinanza di un certo paese e la cittadinanza da un punto di vita formativo, la cittadinanza attiva, si deve gioco-forza scontrare con l'aspetto culturale perché deve relazionarsi con le persone e le persone si formano in medium ecologico-culturali particolari. L'educazione è un processo culturale perché si apprende a comportarsi in una certa maniera che varia da cultura a cultura. S'impara come portare rispetto e a chi portarlo. E s'impara anche il suo contrario, ossia, come mancare di rispetto e a chi. Oltre alla questione culturale, vi è un altro aspetto da non trascurare nella valutazione complessiva di questo atteggiamento, ossia, il fatto che ormai le migrazioni di MSNA sono un fenomeno strutturato. Questo significa che esistono rotte ormai consolidate verso il nostro paese, di cui una via mare, con attracco a Lampedusa o nelle coste pugliesi, e l'altra via terra, attraverso i Balcani, Slovenia e Croazia per entrare poi nei porti di Trieste o di Venezia oppure attraverso i valici alpini per giungere in Trentino. Ma soprattutto esiste sul territorio italiano una rete consolidata di migranti di prima generazione, arrivati negli anni Novanta e poi via, via le generazioni successive, fino alle odierne. Perciò la maggior parte dei minori, soprattutto proveniente dall'area balcanica, ha qui parenti di vario grado o amici che li hanno istruiti sulle modalità per arrivare in Italia e come comportarsi per poter essere inseriti in una certa comunità. Ma questo fatto era riscontrato più o meno nei vari contesti studiati con questa ricerca. Gli stessi

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operatori mi raccontavano che presso le loro comunità erano passati un cugino, un fratello o qualche amico di un ragazzo presente in quel momento in comunità. Altre volte, all'approssimarsi della maggior età spuntavano dal nulla parenti, amici e anche la stessa famiglia, che magari abitavano a pochi kilometri di distanza, ma che fino ad allora era rimasta nell'anonimato più totale, per non sobbarcarsi l'onere di un figlio in più da mantenere e assicurargli un posto dove stare, l'istruzione, controlli sanitari e quant'altro. Questo situazione produceva due atteggiamenti diversi: da una parte l'apatia dei ragazzi delle ultime generazioni verso un percorso educativo e formativo, dove sia richiesto impegno, responsabilità. Questo fattore è determinato dal fatto di poter contare su contatti fidati all'esterno della comunità. Questa rete riguarda soprattutto il flusso proveniente da Kosovo e Albania. In questo modo si spiegherebbe l'atteggiamento che questi ragazzi hanno nei confronti delle loro comunità, della scuola e più in generale verso i vari attori sociali che interagiscono con loro. Dall'altra parte, gli operatori soprattutto delle comunità si sentono usati da questi minori. A fronte di un notevole impegno nel progettare percorsi educativi ad hoc per i singoli minori, il tutto può essere vanificato dall'improvvisa comparsa di un parente che agisce un'influenza più forte nelle scelte di un ragazzo, anche nell'interrompere magari un percorso formativo (scuola-lavoro) dalle buone prospettive, per altri tipi di sistemazione lavorativa. Quello che emergeva durante il LabCity come contrasto, apatia, volontà nell'entrare in contrasto, era una nota che quotidianamente gli operatori dovevano fra fronte nella vita di comunità. Da qui poi i problemi delle varie équipe nel capire e formulare delle soluzioni educative e formative che permettono una serena accoglienza dei minori e della gestione della quotidianità. Dopo l'esperienza di Trento, ho apportato ulteriori modifiche al LabCity riguardanti l'ultima giornata.

Giornata Fasi

...

Terza giornata .... Fase 5: presentazione lavori

Fase 6: discussione sulla cittadinanza Fase 7: BF sulle 4 keywords iniziali

Il BF che fino ad allora avevo sperimentato era formulato come una sorta di sunto delle attività delle tre giornate in quanto in un unico cartellone i ragazzi scrivevano i termini che collegavano alla prospettiva di: "Il mio futuro come

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cittadino" (sperimentazione a Venezia), ovvero, come integrazione dei termini dei cartelloni "adulto" e "cittadino" del BI sulla base di nuovi concetti che emergevano dalla presentazione dei lavori (Bari e Trento). Questa strutturazione non consentiva però un'esaustiva comparazione fra BI e BF. Perciò ho deciso di concentrare l'ultima giornata su tre azioni:

 la presentazione da parte di ciascun ragazzo del proprio lavoro;

 la discussione sulla cittadinanza da un punto di vista normativo e da un punto di vista formativo;

 il BF sulle stesse quattro keywords iniziali.

Inoltre, con autorizzazione dei responsabili delle comunità, ho iniziato ad audio- registrare l'ultima giornata, tutelando la privacy dei ragazzi. Quest'attività era però indispensabile in quanto: 1) mi permetteva di documentare l'attività svolta e rappresentava un valore aggiunto ai fini della completezza della raccolta dati. 2) Mi permetteva di poter riascoltare ciò che i ragazzi avevano detto anche a distanza di tempo, soprattutto in sede di analisi e rielaborazione dei dati.