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La scuola dell'infanzia Michelangelo: l'organizzazione

Grazie al prezioso aiuto da parte del professor Maurizio Fabbri che ha preso contatti e presentato la mia ricerca alla presidente di Scuole e Nidi d'Infanzia, Istituzione del Comune di Reggio Emilia, Claudia Giudice, sono stata assegnata alla sezione grandi della scuola dell'infanzia Michelangelo di Reggio Emilia, nella quale ho effettuato l'osservazione dal 13 aprile 2015 al 29 maggio 2015, applicando lo strumento PraDISI. Grazie alla disponibilità e l'accoglienza da parte di tutto il personale della scuola, quali la cuoca, l'atelierista, la pedagogista e le insegnanti (soprattutto le due di sezione, Barbara e Antonella) ho potuto applicare lo strumento di osservazione e assistere a diverse attività organizzate sia nella sezione osservata sia in tutta la scuola, quali il tea time, diversi incontri con una delegazione straniera in visita, il momento di aggiornamento tra le due insegnanti di sezione, l'incontro con i genitori, riunione tra tutte le insegnante e pedagogisti, il momento di pranzo e l'uscita di sezione e intersezione. La partecipazione ad alcune attività della scuola mi ha consentito di conoscere ed esplorare la scuola e le modalità di lavoro dell'insegnante. Inoltre, l'osservazione sul campo mi ha aiutato a capire meglio l'approccio studiato nel libro.

La scuola dell'infanzia Michelangelo fu inaugurata il 4 giugno 1973: nel 2014 ha quindi compiuto quarant'anni. Come Elisabetta, l'atelierista della scuola, racconta a una delegazione straniera che visita la scuola il 15 aprile del 2015, la scuola è stata costruita negli anni '70, quindi si tratta di una struttura progettata e nata con riferimenti a quell'epoca; in un certo senso porta anche segni dell'età che sono però la sua storia, perciò potrà essere vista come una bellissima signora di quarant'anni. Nell'anno scolastico 1987/88 fu ristrutturata per rendere l'ambiente più funzionale e maggiormente rispondente alle nuove filosofie sull'ambiente. Inoltre, come dice la stessa atelierista: “La scuola di

oggi è però rivisitata, ristrutturata e modificata negli anni anche grazie a quello che i bambini ci hanno suggerito, ci hanno portato dentro, e ci hanno sollecitato”388. Ad esempio, la piazza dentro la

scuola, in alcuni momenti è uno spazio di costruttività, in altri diventa l'atelier del movimento, nel quale i bambini e le bambine possono sperimentare e sfidare le capacità e possibilità del loro corpo. L'idea di trasformare lo spazio di costruttività in atelier del movimento proviene appunto dagli interessi dei bambini e delle bambine, sostenuti dagli adulti. Difatti, nella dichiarazione d'intenti dell'ottobre 2014 della scuola Michelangelo, condivisa dal gruppo di lavoro, si legge: “Cosa sta sollecitando questo spazio? A mirare di più la ricerca, a vedere quanto uno spazio, progettato dall'adulto perché sostenga questo linguaggio, alimenti la concentrazione, chiarisca il focus: 'quando è vuoto, si viene per danzare', ci dicono i bambini”389. Inoltre, “in corso d'anno gli adulti hanno

notato che spesso i bambini sperimentano, in vari momenti e spazi della scuola e del giardino,

388 Elisabetta, presentazione nel momento della delegazione straniera del 15 aprile 2015.

389 Risonanze, scuola Michelangelo, dichiarazione di intenti – ottobre 2014. Risonanze è un progetto educativo che dura

nuclei di movimenti da loro ritenuti particolarmente interessanti”390. Così lo spazio viene connotato

in modo diverso e abbraccia, come sottolineato nella dichiarazione d'intenti, “significati poliedrici”. La scuola attuale ospita 104 bambini, è suddivisa in quattro sezioni, tra cui tre sono omogenee e una eterogenea che ospita i bambini di 4 e 5 anni. In ogni sezione sono compresenti i due insegnanti per la maggior parte della giornata scolastica: uno lavora dalle 8:00 alle 13:48, l'altro dalle 8:27 alle 16:00, con cambi a settimane alterne. Ci sono due sezioni dove è presente la terza insegnante che segue i bambini con bisogni speciali. La compresenza di due insegnanti nella sezione, come nella scuola dell'infanzia di Shanghai e di altre zone della Cina, è una scelta che, secondo Tiziana Filippini, responsabile dell'Unità Organizzativa Complessa fino al 2015, “riguarda la contitolarità e la corresponsabilità della sezione da parte di più insegnanti”391. La scelta di avere due insegnanti in

ogni sezione si può leggere, scrive quest'ultima,

“come un miglioramento del rapporto numerico adulto-bambini, ma a noi piace sottolineare il carattere etico e culturale che contrasta l'isolamento dell'insegnante nella sezione: in un abbinamento di due insegnanti si giocano interdipendenza e reciprocità di atti e di pensieri; le scelte, frutto di accordi, disaccordi e negoziazioni, si offrono ai bambini e alle famiglie come atti pubblici, come un modello concreto di microsistema di socialità”392.

La scuola Michelangelo offre servizio di tempo lungo, quindi rimane aperta fino alle sei e mezzo con un insegnante part-time per le famiglie che ne hanno fatto richiesta. Questa scelta evidenzia supporto e attenzione alle famiglie da parte del Comune. Nella scuola c'è una cucina con quattro persone: una cuoca e tre ausiliarie di part-time. Esse fanno parte del collettivo, si occupano del pranzo per i bambini e fanno anche altre attività, per esempio l'atelier del gusto per i bambini. Al pomeriggio sono presenti tre collaboratrici part-time che si occupano della pulizia della scuola. Per quanto riguarda gli orari di lavoro, la Carta di identità della scuola Michelangelo presenta quanto segue:

“Per il personale a tempo pieno, 36 ore settimanali così suddivise:  30 con i bambini

 2,30 aggiornamento dove si progetta il lavoro e se ne discutono i contenuti. Può essere di coppia (tra le due insegnanti della sezione più l'atelierista e la pedagogista), o collettivo (di tutto il personale insieme)

 1 progettazione e formazione: seminari, laboratori, incontri con altre scuole  1 incontro con le famiglie

 1,30 documentazione e preparazione materiali

La suddivisione degli orari si modifica a seconda delle priorità e degli impegni della scuola. La compresenza delle

390 Ibid.

391 Tiziana Filippini, Sulla natura della organizzazione, in Illaria Cavallini, Claudia Giudici (a cura di), con la

collaborazione di Michela Bendotti, Lorella Trancossi, Rendere visibile l'apprendimento. Bambini che apprendono individualmente e in gruppo, Reggio Emilia, Reggio Children, 2009, p. 54.

insegnanti in ogni sezione è estesa ad una collegialità che vede tutti coinvolti nel lavoro, nella progettazione e discussione insieme alle altre insegnanti, all'atelierista, alla pedagogista, al personale di cucina, alla cuoca ed al personale ausiliario. Questo stile di lavoro, collegiale e collaborativo, è parte integrante del progetto educativo”393.

Questo stile di lavoro richiede la disponibilità, la collaborazione, la corresponsabilità e la solidarietà di tutto il personale, dalle insegnanti alla cuoca, agli ausiliari. Essi si presentano come un team di lavoro all'interno della scuola, che va costruito non una volta per tutte, ma “promosso da iniziative di formazione professionale, e richiede tempi e opportunità all'interno dell'organizzazione del lavoro; una scelta funzionale che consente a tutti, pur con ruoli diversi, di sentirsi parte attiva alla realizzazione dell'esperienza”394. Il lavoro delle due insegnanti della sezione 'grandi' della scuola

dell'infanzia Michelangelo mi fa pensare a quello che fanno gli insegnanti della scuola dell'infanzia Yiyi e Yilin di Shanghai. Si assomigliano in quanto lavorano con uno spirito di abnegazione: in particolare nella scuola dell'infanzia Yiyi alcuni insegnanti mi dicono che quando c'è da lavorare escono tardi da scuola, trascurando la loro famiglia, anche se l'uscita dei bambini e delle bambine della scuola è alle quattro di pomeriggio. Nella scuola dell'infanzia Michelangelo, mi sembra di avere visto le insegnanti sempre impegnatissime, a volte, anche un po' sovraccariche. È vero che lavorare in scuola dell'infanzia è un impegno, soprattutto quando uno vuole lavorare bene, poiché c'è anche chi cerca di lavorare poco. Importante sarebbe mantenere un equilibrio tra entrambe le parti: collettività e individualità.

Fin qui mi sembra di non avere ancora presentato la figura dell’atelierista che è assai importante per la scuola dell'infanzia comunale di Reggio Emilia. Prima di conoscerla, analizziamo la parola “atelierista” che proviene appunto da “atelier” che, secondo Enzo Catini, docente di educazione artistica, “è un termine storico preciso, indica il luogo di lavoro degli artisti tra la seconda metà dell'800 e i primi del '900 e nel linguaggio comune, spesso in modo retorico, è associato all'immagine dell'artista bohèmien”395. Tuttavia, secondo Loris Malaguzzi, “il concetto di atelier non

spiega ma viene spiegato, spiegato dal suo uso, dalla sua pratica”396. Quindi, come viene visto

l'atelier dal suo introduttore che l'ha fatto nascere fisicamente negli anni '60 nella scuola dell'infanzia e nei nidi dagli anni '70 a Reggio-Emilia?397 A proposito, dice Loris Malaguzzi:

“[L'atelier è] parte di un disegno complesso, luogo aggiunto dove affondare e abilitare la mano e la mente, affinare l'occhio, l'applicazione grafica e pittorica, sensibilizzare il buon gusto e il senso estetico, decentrarsi in progetti congiunti con le attività disciplinari di sezione, ricercare motivazioni e teorie dei bambini dallo scarabocchio in su, variare strumenti, tecniche e materiali di lavoro, favorire trame logiche e creative, familiarizzare con le sintonie e le

393 Carta di identità della scuola Michelangelo

394 Tiziana Filippini, Sulla natura della organizzazione, cit., p. 53.

395 Enzo Catini (a cura di), Se l'atelier è dentro una lunga storia e ad un progetto educativo, intervista a Loris Malaguzzi

in “Bambini”, dicembre, 1988, p. 27.

396 Ibid. 397 Cfr. Ibid.

discrepanze dei linguaggi verbale e non, l'atelier non poteva delinearsi che come soggetto-tramite di una pratica polivalente, provocatoria di eventi specifici e interconnessi: trasferendo forme e contenuti nella proposta educativa quotidiana”398.

Il fatto di attribuire tale interpretazione all'atelier è strettamente legato al modo di vedere, da parte di Loris Malaguzzi, la grafica e le competenze espressive che il bambino ottiene. L'espressività secondo lo stesso pedagogista,

“è un arte e una costruzione combinata (affatto immediate e spontanee, affatto isolate, affatto subalterne) che hanno motivazioni, forme, procedure, contenuti (formali e informali) e comunicatività, prevedibili e imprevedibili, che attingono sia dal gioco che dall’ esercizio, dallo studio, all'apprendimento visivo, sia dai soggettivismi interpretativi dell'emozione, dell'intuizione, del caso come dell'immaginazione razionale e delle sue possibili trasformazioni e trasgressioni”399.

Quindi, i bambini e le bambine, tramite il disegno e la pittura, esprimono la loro esperienza, la loro esplorazione della vita, la ricerca di senso e di significato. La loro espressione può essere, come diceva Loris Malaguzzi, “di urgenza, desideri, conferme, ricerche, ipotesi, adeguamenti, costruttività e invenzioni”400.

La nascita dell'atelier nella scuola dell'infanzia e nei nidi, è “innanzi tutto come recupero di un bambino più ricco di risorse e interessi, interazionista e costruttivista”401. Prendendo in prestito la

metafora di Freinet che vede la scuola tradizionale come una persona che costringe a bere un cavallo (bambino) che non ha sete, Loris Malaguzzi crede che “il cavallo (il bambino) nasca (anche) con la sete e ami con le sue forze trovare le fonti. Tocca a noi non disseccarle e, semmai, dare una mano al cavallo (al bambino) quando esse sono solo nascoste o troppo lontane”402. Questo perché è

un bambino visto competente fin dalla sua nascita, come sosteneva anche Maria Montessori, competente nell'apprendere e nel costruire le relazioni tra il sé e l'ambiente circostante che può essere rappresentato dall'adulto, dai compagni di sezione, dai materiali trovati nello spazio e dallo spazio stesso. Tale visione del bambino, scrive Loris Malaguzzi, “un organismo (una creatura fra creature” direbbe Bateson), titolare di un forte dinamismo evolutivo, espansionistico, interattivo”403

chiede da parte dell'adulto “l'adozione di una strategia relazionale e comunicativa del tutto diverse dagli stererotipi”404 e “porta con sé una nuova visione sinergica e complementare tra i due ordini dei

biologico e dell'ambientale, mandando in soffitta la vecchia antinomia tra innato e acquisito”405.

398 Ibid. 399 Ivi, p. 31. 400 Ibid. 401 Ivi, p. 27. 402 Ivi, p. 29.

403 Loris Malaguzzi, Un'immagine dell'infanzia, cit., p. 8. 404 Ibid.

Ma non solo. Coincidendo con la genesi di un nuovo progetto educativo, sistemico, laico e moderno l'atelier, secondo lo stesso pedagogista, fin dalla sua nascita, è in battaglia “contro la vecchia cultura delle antinomie che oppone e gerarchizza discipline, comportamenti, intelligenze, moralità, ragione, fantasia, immaginazione, individualità e socialità, espressività e cognitività”406. In effetti,

contrariamente all'idea dominante di acquisizione del sapere che vede il sapere “come progressione lineare, determinto e deterministico, a fasi progressive e prevedibili”, “dove la metafora è l'albero”, Loris Malaguzzi considera il sapere come “un groviglio di spaghetti”407 che “cresce in tante

direzioni senza un principio ordinante generale”408. Tale immagine si avvicina, secondo Gunilla

Dahlberg e Peter Moss, “a un'immagine della conoscenza come di un rizoma”. Scrivono infatti questi ultimi:

“È un immagine sviluppata dai filosofi francesi Gilles Deleuze e Felix Guattari come soluzione per superare concetti quali universalità, modelli di domanda e risposta, giudizi semplici, riconoscimento e idee corrette. In un rizoma non esiste gerarchia tra radice, tronco e rami. Non è come una scala dove occorre fare il primo gradino per salire e raggiungere il successivo, cosa che rimanda alla mente la metafora dell'albero dell'acquisizione del sapere ancora molto diffusa nel campo dell'educazione”409.

Il rizoma, come un “groviglio di spaghetti”, “germoglia in tutte le direzioni, senza inizio e senza fine ma sempre in mezzo, con aperture in altre direzioni e luoghi”410.

Nella scuola dell'infanzia Michelangelo, in ogni sezione si trova un mini-atelier, nella quale di solito i bambini e le bambine possono lavorare con diversi materiali, ad esempio, diversi tipi di carta, molti colori, i pennelli, tanti prodotti finiti dai bambini e dalle bambine, il computer con cui i piccolini possono disegnare, ecc. Oltre ai mini-atelier, ci sono altri due atelier in comune nella scuola: l'atelier di movimento e di costruttività, nel quale si sperimenta il progetto educativo “Risonanze” e i piccolini costruiscono gli oggetti tridimensionali video-proiettati sullo schermo bianco; e un atelier molto più grande, dove lavora, di solito, l'atelierista insieme a un gruppetto di bambini e bambine e l'insegnante di sezione e dove troviamo una marea di materiali, molti di più di quelli a disposizione nel mini-atelier.

Data l'abbondanza dei materiali e gli attrezzi tecnici predisposti nell'atelier, ci si potrebbe chiedere: “Ma non c'è una sorta di sovraeccitazione visiva”? In effetti è un problema che non sfugge a Loris Malaguzzi. Al riguardo quest'ultimo dice: “c'è molta roba nei nostri atelier. Lo spazio è scoppiato col crescere delle idee. Poi la tecnologia ha portato dentro all'atelier e alla scuola la macchina

406 Enzo Catini (a cura di), Se l'atelier è dentro una lunga storia, cit., p. 28.

407 Gunilla Dahlberg e Peter Moss, La nostra Reggio Emilia (2006), in Carla Rinaldi, In dialogo con Reggio Emilia, cit.,

p. 17.

408 Ivi, p. 18. 409 Ibid. 410 Ibid.

fotografica, la videocassetta, il registratore, il videoregistratore, la fotocopiatrice, il computer e altro”411. Oltre alla predisposizione di molti materiali e attrezzi tecnici, sulla parete della scuola

vediamo diversi disegni, opere d'arte, idee di fantasia dei bambini e delle bambine che hanno frequentato la scuola nel passato; mentre nella Casa dei Bambini, di solito, la parete della sezione e del corridoio è “pulita”. Il motivo per cui non si trova nulla sulla parete potrebbe avere a che fare con la qualità dell'ordine insito nell'ambiente che favorisce la concentrazione dei bambini e delle bambine. In effetti, i materiali di sviluppo Montessori si caratterizzano per l'isolamento di una qualità unica nel materiale. Ad esempio, scrive Maria Montessori, “se si vogliono preparare oggetti che servano a fare distinguere i colori, bisogna costruirli della medesima sostanza, forma e dimensione: e farli differire solo nel colore”412. Inoltre, precisa: “il processo d'isolazione può

dunque essere duplice: nel soggetto, isolato da ogni altra impressione dell'ambiente; e nel materiale, con un sistema graduato secondo una sola qualità”413. E dopo questa precisazione, scrive ancora,

“rende possibile un lavoro di analisi interno ed esterno, adatto a dare ordine alla mente infantile”414.

Nonostante i rischi che potrebbe apportare l'abbondanza dei materiali e attrezzi nell'atelier, secondo Loris Malaguzzi, “nessun rischio è più grande di quello di immobilizzare nel tempo la scuola e l'esperienza e di lasciare orfane le conoscenze che occorrono”415.

E’possibile quindi notare una differenza tra il concetto di laboratorio e atelier. L'atelier di Reggio si è venuto sviluppando, secondo Carla Rinaldi, “sempre più come metafora non dei linguaggi espressivi, ma di una strategia conoscitiva, una modalità di strutturare la conoscenza e di organizzare l'apprendimento”416.

Dopo avere esplorato la genesi, le caratteristiche e le funzionalità dell'atelier, passiamo ora alla figura dell’atelierista. Secondo Elisabetta, rispetto alla presenza temporanea di una figura artistica esterna in alcune scuole dell'infanzia all’estero, l'inserimento fisso dell'atelierista nella scuola dell'infanzia consente di lavorare con gli stessi bambini per un periodo di tre anni, nei quali conosce meglio i bambini e le bambini: sulla base della conoscenza, cambia anche la proposta educativa. Ma chi è questa figura? In che modo lavora a scuola ogni giorno dalle 8:30 alle 15:33? A differenza dell’ insegnante di sezione, che in passato era in genere diplomato alla scuola Magistrale e ora deve essere laureato in Scienze dell'educazione, l'atelierista è un insegnante diplomato dai licei o dalle accademie d'arte. Non ha perciò nessuna formazione in pedagogia ma apprenderà lavorando insieme con le insegnanti di sezione. Nello stesso tempo, l'insegnante di sezione, laureato nel campo educativo, attingerà ispirazione artistica dall'atelierista. Si tratta quindi di due figure complementari che insieme sostengono lo sviluppo dei bambini e delle bambine, offrendo loro molteplici

411 Enzo Catini (a cura di), Se l'atelier è dentro una lunga storia, cit., p. 29. 412 Maria Montessori, La scoperta del bambino, cit., p. 112

413 Ivi, p. 113. 414 Ibid.

415 Enzo Catini (a cura di), Se l'atelier è dentro una lunga storia, cit., p. 29. 416 Carla Rinaldi, In dialogo con Reggio Emilia, cit., p. 159.

possibilità di esplorazione e stupore, dal quale proviene appunto la creatività.

L'atelierista organizza l'attività dopo l'assemblea del mattino e lavora, in genere, insieme a un gruppetto di bambini e di bambine e a una delle due insegnanti di sezione. Prima dell'attività, predispone nell'atelier i relativi materiali e attrezzi da usare. Naturalmente, i bambini e le bambine possono anche chiederne altri, data l'abbondanza e la disponibilità dei materiali. Durante l'attività, l'atelierista, insieme all'insegnante di sezione, documenta la processualità di sviluppo, con la matita e la penna, con il registratore, con la videocamera, con la macchina fotografica. Oltre a documentare, lancia, ogni tanto, proposte ai bambini e alle bambine e gli fa anche delle domande sulla base dell'osservazione e della prefigurazione da parte dell'adulto. Queste domande rivestono particolare importanza in quanto le aspettative dell’adulto potrebbero non combaciare con le effettive capacità, atteggiamenti ed abilità del bambino. Tutto ciò viene raccolto per una rilettura, una riflessione e una ricostruzione del percorso. Quindi non si documenta per riporre i diversi materiali nelle cassettiere ma per una revisione e una reintrepretazione. Come scrive Carla Rinaldi, “ciò che è accaduto è ricostruito, interpretato/reinterpretato attraverso i documenti che testimoniano le tappe salienti di un percorso predefinito dall'insegnante, il percorso cioè che ha reso possibile il raggiungimento degli obiettivi”417. Più che percorso predefinito dall'insegnante, direi che è un

percorso co-costruito dall'insegnante e dai bambini, poiché l'insegnante parte da una prefigurazione, ma quest’ultima si modifica sulla base dell'osservazione e intrepretazione valutativa dei comportamenti dei bambini e delle bambine.

Dopo l'attività svolta insieme ai bambini, l'atelierista fa il confronto - questo tipo di confronto, trattato successivamente nella tesi, viene chiamato aggiornamento professionale nella scuola di Reggio - con l'insegnante che ha documentato lo stesso percorso, partendo dalla sua osservazione e interpretazione, poiché anche la documentazione è un processo di interpretazione e di valutazione. La valutazione è, secondo Carla Rinaldi, “parte intrinseca della documentazione e quindi della progettazione”. I dati raccolti vengono utilizzati dopo l'attività, non durante il processo. Insomma il modo di documentare e l'utilizzo delle tracce documentate viene considerato “parte integrante delle procedure per favorire l'apprendimento e per modificare la relazione apprendimento- insegnamento”418.

A questo punto mi chiedo però: che cosa si sceglie di documentare? Come viene letta e interpretata la documentazione? All’interno della sezione le due insegnanti collaborano tra di loro. Durante le assemblee, ogni tanto una delle due prende un quaderno per scrivere quello che dice il bambino, oppure utilizza un registratore quando ci sono molti bambini che parlano insieme, mentre l'altra è più attenta nell'ascoltare per sollecitare e sostenere i bambini e le bambine tramite delle domande,

417 Carla Rinaldi, Documentazione e valutazione, quale relazione?, in Ilaria Cavallini, Claudia Giudici (a cura di), con la

collaborazione di Michela Bendotti, Lorella Trancossi, Rendere visibile l'apprendimento, cit., p. 76.

basandosi su quello che dicono i bambini e le bambine. Quando è necessario, si fa anche ricorso alla macchina fotografica. Naturalmente, non ha senso scrivere tutto quello che dice il bambino, di