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A cavallo tra gli anni ’70 ed ‘80 dello scorso secolo, si era diffusa la tendenza da parte di molte gestioni locali di presentare, in maniera sistematica, una chiusura di bilancio in

negativo.

Le amministrazioni locali erano infatti ben consapevoli che tali disavanzi sarebbero stati certamente ripianati attraverso dei trasferimenti statali, potendo usufruire di rimborsi a pié di lista, cioè sulla base di documenti giustificativi quali ad esempio conti e fatture. La tariffazione del servizio idrico agli utenti avveniva a prezzi sociali e forfetari, cioè con pagamento in base al numero di persone residenti o di rubinetti dichiarati, senza tener conto della misurazione del consumo effettivo a mezzo di contatori. In molti contesti, le amministrazioni locali proponevano tariffazioni sociali senza prendere in considerazione le variazioni dovute all’effetto dell’inflazione, mentre in altri casi veniva addirittura ignorato l’incremento dei costi operativi conseguenti al crescente degrado delle infrastrutture; tale deterioramento era dovuto, nei casi più frequenti, all’obsolescenza degli impianti di pompaggio, caratterizzati da rendimenti decrescenti, ed all’obsolescenza degli adduttori e delle reti distributive, con quote crescenti di acqua dispersa (Spadoni 2003).

Il sistema su cui era sorto il processo di municipalizzazione continuava a mostrare in maniera sempre più inequivocabile le proprie difficoltà, legate:

a) alla mancanza di personalità giuridica da parte delle aziende municipalizzate; b) all’impossibilità di disporre della proprietà del proprio patrimonio;

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d) all’esistenza di una forte regolazione non solo comunale, bensì anche governativa; e) alla presenza di un sistema di controlli amministrativi di tipo burocratico,

incompatibili con la natura di impresa;

f) ad una serie di problemi di efficienza ed economicità;

g) alla soggezione di un rapporto di dipendenza verso l’Ente Locale, il quale non di rado influenzava gli aspetti gestionali delle società.

Si continuava pertanto ad assistere ad una crescita incontrollata dei costi, ad un significativo disavanzo tra costi e ricavi, con un trend fortemente crescente col trascorrere degli anni, ed ad insufficienti risultati qualitativi e di efficienza (Spadoni 2003, Palliggiano 2009).

A parziale giustificazione delle gestioni locali, vi era da un lato la difficoltà a reperire i fondi necessari ad effettuare in proprio gli investimenti per l’ammodernamento degli impianti e la sostituzione delle condotte, dall’altro la reticenza a disporre di incrementi di tariffa per perseguire un processo di rinnovamento di opere che sarebbero comunque restate di proprietà statale e non locale ed i cui benefici si sarebbero probabilmente osservati soltanto nel lungo termine. La crescita del disavanzo e degli indebitamenti da parte delle aziende municipalizzate furono determinate anche dalla riforma tributaria del 1973, con la quale era stata sottratta ogni autonomia tributaria agli Enti Locali, consentendo loro di ripianare lo squilibrio di bilancio mediante l’accensione di mutui (Spadoni 2003). Per sopperire a questa situazione, furono introdotti una serie di emendamenti legislativi, aventi carattere di intervento straordinario e mirati: dapprima all’emersione ed al consolidamento dei disavanzi, con riferimento alla Legge 62/1977, poi alla contrazione della loro dinamica, con riferimento alla Legge 43/1978. Le suddette norme introdussero l’obbligo alla redazione di piani di riequilibrio economico-finanziario, intesi come elementi di collegamento tra la pianificazione dell’Ente Locale e quella aziendale, atti a costituire un iniziale segnale di separazione di aree di competenza e di responsabilità tra gli Enti Locali e le aziende.

Quest’ultime iniziavano così ad assumere connotazioni di sempre più marcata autonomia, tali da essere accomunate agli Enti Locali e sottoposte a rigidi parametri di vincolo economico-finanziario, tra cui l’obbligo al pareggio di bilancio, tetti alla crescita dei costi, blocco delle assunzioni di personale, divieto di contrattazione sindacale-aziendale.

Venne così avviato un vero e proprio processo di emancipazione dell’azienda pubblica locale, diretto ad affermarne crescenti margini di indipendenza e responsabilità ed a favorire una gestione più vicina alla forma di impresa.

Il superamento della contabilità finanziaria, tipica degli enti pubblici, in favore dell’adozione di quella economica, più vicina alla realtà dei soggetti imprenditoriali, rappresenta un passaggio significativo nella separazione effettiva nei criteri e nelle concrete modalità di amministrazione e gestione dell’azienda municipalizzate rispetto

all’Ente Locale.

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mediante l’introduzione del Bilancio tipo che avvenne con il Decreto Ministeriale del 04

febbraio 1980.

Più tardi, tale schema fu adeguato alla IV Direttiva CEE con il Decreto Ministeriale del

26 aprile 1995, (AA.VV. 1995).

L’introduzione di tali provvedimenti consentiva ora di misurare il costo industriale del servizio e di confrontare i bilanci e la contabilità delle aziende pubbliche con quelli di altri gestori, sia pubblici che privati: tutto questo ha rappresentato il presupposto per un sistema decisionale e di regolazione orientato all’efficienza e all’economicità e per passare dalla tradizionale condizione di isolamento “autarchico” delle aziende municipalizzate a forme di yardstick competition.

In linea generale, la yardstick competition si pone come obiettivo la simulazione di un mercato competitivo, attraverso due assunti:

1. se un imprenditore introduce una nuova invenzione, la quale favorisce una riduzione dei costi, anche gli altri concorrenti arriveranno ad un simile miglioramento, attraverso l'apprendimento e gli spillovers (esternalità). Se tale processo si manifesta in maniera continua, la frontiera efficiente dei costi si sposterà sempre più in basso;

2. il regolatore deve necessariamente regolamentare la dinamica dei prezzi per evitare che le asimmetrie informative a favore dei regolati favoriscano comportamenti strategici; per superare il problema di agenzia presente tra impresa regolata e regolatore, si possono mettere in competizione le imprese regolate. Attraverso questa competizione il principale (il regolatore) può estrarre delle utili informazioni dai propri agenti (le imprese regolate) e quindi superare il suo problema di agenzia.

La competizione che viene a formarsi tra le diverse imprese regolate porterà a una diminuzione nei costi; grazie poi alla regolazione si avrà di conseguenza anche una diminuzione nei prezzi.

La yardstick competition è stata utilizzata per la prima volta in Gran Bretagna, dove da più di vent'anni viene particolarmente usata nella regolazione del settore idrico (Schumpeter 1954, Marzi 2011).

Con il successivo Decreto del Presidente della Repubblica 902/1986, recante il nuovo “Regolamento delle aziende pubbliche locali”, i cambiamenti adottati negli anni precedenti trovarono un importante disegno di riorganizzazione. In particolare, il Regolamento introdusse uno strumento di indirizzo e di programmazione per le aziende, costituito dal Piano Programma, il quale delineava espressamente un sistema di rapporti tra gli Enti Locali e le aziende municipalizzate, ispirato al principio del confronto tra distinte pianificazioni: la prima, quella degli Enti Locali, volta a definire il quadro di compatibilità economico-finanziarie, la seconda, quella delle aziende, volta a delineare le traiettorie di recupero di efficienza, il trend dei costi ed i piani di investimento, nel rispetto del suddetto quadro di compatibilità.

Ciononostante, i rapporti tra Enti Locali ed aziende non erano ancora così evoluti al punto da superare la relazione di organicità e la situazione stava divenendo

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insostenibile, poiché estesa a molte gestioni di servizi pubblici locali, non solo delle risorse idriche, ma anche dei trasporti e del gas.

Inoltre il tentativo di affermare il principio della sostenibilità finanziaria della gestione, mediante il passaggio dal sistema di rimborso dei costi "a pié di lista" al criterio del "costo standard" si era scontrato con molte resistenze da parte delle aziende municipalizzate.

Solamente con la Legge 8 giugno 1990, n. 142, riguardante “L’ordinamento delle autonomie locali”, furono introdotte delle modalità di gestione più adeguate a quei servizi pubblici locali che avessero fini sociali e rilevanza economica.

La legge 142/1990 ha segnato una decisa evoluzione al sistema delle autonome locali, riconoscendo potestà statutaria a Comuni e Province ed aprendo la strada verso una differenziazione tra le diverse realtà territoriali, seppur sempre nel rispetto dei principi generali ed unitari dell’ordinamento.

L’articolo 22 della Legge 142/1990 disponeva che i pubblici servizi potessero essere gestiti nelle seguenti forme:

 in economia: in quei casi in cui le caratteristiche oppure le modeste dimensioni del servizio rendessero non opportuna la costituzione di un’azienda o di un’istituzione;  concessione a terzi: qualora fossero sussistite ragioni di carattere tecnico (vale a dire

il fatto che le attrezzature tecnologiche di gestione avessero richiesto professionalità, esperienze o ingenti capitali di cui l’amministrazione non potesse disporre) ovvero di natura economica (allorché il costo del servizio affidato a terzi comportasse un costo di gran lunga inferiore);

 a mezzo di azienda speciale: quando lo svolgimento del servizio avesse implicato una attività imprenditoriale caratterizzata da snellezza, managerialità ed autonomia;  a mezzo di istituzione: per l’esercizio di servizi sociali che non avessero rilevanza

imprenditoriale;

 a mezzo di società per azioni a prevalente capitale pubblico: qualora si fosse ravvisata l’opportunità di far partecipare alla gestione altri soggetti pubblici o privati, in relazione alla natura del servizio da erogare;

 a mezzo dell’unione fra più comuni: come fase transitoria, la gestione poteva essere assicurata tramite convenzione fra comuni in vista della definitiva fusione degli stessi.

Era stato quindi fornito all’Ente Locale una scelta più ampia per la gestione dei servizi pubblici di cui fossero titolari; accanto alle forme tradizionali contemplate nella precedente normativa, quali la gestione diretta, l’azienda municipalizzata e l’affidamento in concessione a terzi, sono state infatti introdotte nuove possibilità: l’istituzione, idonea per i servizi di natura sociale, la società per azioni ed a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico locale.

Fatta salva la gestione in economia per i servizi di entità modesta, si stabiliva la separazione giuridica e contabile tra l’Ente Locale e l’ente strumentale adibito alla gestione del servizio pubblico, quest’ultimo nella forma di istituzione o in quella di azienda speciale, in entrambi i casi di diritto pubblico.

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L’istituzione era munita di propria autonomia gestionale, mentre l’azienda speciale era dotata di soggettività giuridica e costituiva un soggetto funzionale all'ente locale, munito di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale.

L’azienda speciale, concepita quale ente pubblico economico, poteva quindi disporre del proprio capitale di dotazione ed era titolare di diritti patrimoniali; disponeva della facoltà di stipulare tutti i contratti necessari per lo svolgimento della gestione e contrarre mutui assistiti da garanzie reali sui propri beni patrimoniali ovvero da delegazioni sulle proprie entrate.

Grazie alla propria autonomia patrimoniale ed all’agilità della gestione, l’azienda speciale costituiva senza alcun dubbio lo strumento più idoneo per lo svolgimento dei

servizi pubblici di tipo imprenditoriale.

Essa era inoltre legittimata ad agire e resistere in giudizio, senza autorizzazione da parte del Comune (Parente 1967, Palliggiano 2009).

Ai sensi dell’articolo 32 della Legge 142/1990, alla costituzione dell’azienda speciale si procedeva con delibera consiliare.

Gli organi amministrativi dell’azienda speciale erano il consiglio di amministrazione, il presidente, il direttore.

L’ordinamento dell’azienda speciale era disciplinato da uno statuto aziendale, approvato dal consiglio comunale o provinciale (art. 23, comma 1), il quale non poteva essere in contrasto con le norme dello statuto comunale; per l’azienda speciale, il consiglio comunale approvava solamente lo statuto, mentre per l‘istituzione, approvava lo statuto ed il regolamento.

Sotto il profilo oggettivo, le aziende speciali potevano essere costituite solo per quei servizi per i quali la legge consentiva la municipalizzazione: acquedotti, illuminazione, trasporti, farmacie, nettezza urbana, trasporti funebri, macelli, mercati, affissioni, il servizio delle centrali del latte.

La delibera di assunzione del servizio mediante azienda speciale doveva essere corredata da un progetto di massima tecnico-finanziario, il quale poneva in evidenza i mezzi con i quali il comune intendeva fare fronte alle spese di impianto e di gestione del

servizio.

Se in precedenza il servizio era stato gestito da privati, era necessario fornire indicazioni in ordine al personale dipendente dall’impresa privata, che sarebbe stato trasferito all’azienda municipalizzata e la cui consistenza non poteva essere aumentata.

Con la stessa delibera, poteva essere disposta previa intesa con gli enti interessati l’estensione del servizio al territorio di altri comuni.

L’Ente Locale avrebbe avuto la funzione di indirizzo e controllo a fini di tutela dell’interesse generale, mentre l’ente strumentale avrebbe avuto l’obiettivo del pareggio di bilancio sotto i vincoli imposti dall’Ente Locale: “L'azienda e l'istituzione informano la loro attività a criteri di efficacia, efficienza ed economicità ed hanno l'obbligo del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l'equilibrio dei costi e dei ricavi, compresi i trasferimenti. […] L'ente locale conferisce il capitale di dotazione;

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determina le finalità e gli indirizzi; approva gli atti fondamentali; esercita la vigilanza; verifica i risultati della gestione; provvede alla copertura degli eventuali costi sociali”. L’ordinamento giuridico indicava l’azienda speciale come un ente pubblico, definito quale “ente strumentale dell'ente locale dotato di personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale e di proprio statuto, approvato dal consiglio comunale o provinciale". La legge contemplava anche la trasformazione dell’azienda speciale in un’azienda a capitale misto pubblico-privato, purché fosse garantita la maggioranza dell’Ente Locale, e consentiva inoltre la possibilità di affidamento del servizio in concessione, ove ciò risultasse conveniente da un punto di vista economico-gestionale e sociale. L’articolo 22 della Legge 142/1990 prevedeva infatti esplicitamente che i Comuni e le Province potessero gestire i servizi pubblici a mezzo di società per azioni.

Se l’azionariato di Stato era già da tempo sottoposto a disciplina da parte del legislatore, era invece assente un formale riconoscimento normativo dell’azionariato degli Enti Locali, benché ammesso dalla prassi e dalla giurisprudenza (Roversi e Monaco 1973, Mazzarelli 1987, Cammelli 1988, 1989, Palliggiano 2009). La costituzione di società a partecipazione azionaria comunale era consentita solamente nei casi in cui avesse trovato giustificazione, in merito al servizio da erogare, la partecipazione di soggetti pubblici o privati.

Generalmente, il soggetto, sia privato sia pubblico, che fosse in possesso di una quota minoritaria, doveva essere già presente nel settore operativo di riferimento del servizio pubblico, affinché fosse in grado di fornire un apporto non solo finanziario, ma anche di

esperienza e di capacità.

Secondo quanto indicato dall’articolo 32 della legge, la delibera con la quale si decideva di disporre la costituzione di una nuova società oppure la partecipazione ad una società già esistente, era di competenza consiliare ed era soggetta al necessario controllo da parte del comitato di controllo; la delibera doveva espressamente indicare le motivazioni che consigliavano la costituzione di una società per lo svolgimento del servizio, in quanto non era sufficiente il solo motivo di reperire nuove risorse finanziarie.

La partecipazione dell’Ente Locale ad una società per azioni di pubblico servizio incontrava le seguenti limitazioni:

1. era obbligatoria la prevalenza del capitale pubblico; infatti non era sufficiente che l’ente pubblico disponesse di una situazione di comando, era indispensabile il possesso del pacchetto costituito da almeno il 51% delle azioni, non necessariamente da parte di un solo ente pubblico, ma anche attraverso la compresenza di più enti pubblici, anche non territoriali;

2. era essenziale la compresenza di altri soggetti; quindi anche successivamente alla costituzione della società, la composizione pluralista dell’assetto proprietario tra soggetti pubblici e privati doveva essere garantita. Pertanto, era vietato l’acquisto dell’intero pacchetto azionario da parte di un solo ente pubblico, cosa che avrebbe generato la creazione di una società unipersonale, non potendo essere l’Ente Locale l’unico responsabile dell’insolvenza;

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3. era basilare l’attinenza ai fini istituzionali dell’ente pubblico; in altre parole, la generica capacità di diritto privato che era stata riconosciuta agli enti pubblici, trovava un limite nei fini istituzionali dell’ente pubblico stesso. La società pertanto non avrebbe potuto svolgere delle attività estranee ai fini istituzionali dell’Ente Locale e doveva inoltre essere circoscritta al territorio di quest’ultimo, anche se gli effetti potevano eccezionalmente prodursi in altri comuni. Riguardo alla natura giuridica, la società a partecipazione pubblica era un soggetto di diritto privato, sottoposta alle norme del codice civile in materia di società commerciali. L’affidamento del pubblico servizio avveniva tramite concessione, il cui conferimento doveva salvaguardare l’osservanza delle norme tese ad assicurare la selezione del concessionario, non potendosi privilegiare la società per il solo fatto di esser stata costituita con prevalente capitale pubblico.

I rappresentanti del comune nella società erano soggetti a responsabilità nei confronti sia della società sia del comune che li aveva designati.

Spettava al consiglio comunale nominare e revocare i rappresentanti del comune nelle società per azioni alle quali il comune partecipava; per il fatto che l’ente pubblico disponesse del controllo di osservanza delle norme del capitolato di concessione del servizio alla società concessionaria, la carica di consigliere comunale o provinciale era incompatibile con quella di rappresentante dell’ente nella società a prevalente partecipazione pubblica.

Per favorire l'ingresso di capitali privati nel settore idrico e per incentivare il processo di fusione delle gestioni nell'ottica di superare la realtà della frammentazione, in un primo momento le società a maggioranza pubblica, anche se di diritto privato, erano state esentate dal pagamento dell'I.V.A.

Tuttavia, ciò è stato chiaramente vietato dalla disciplina antitrust nel momento in cui tali società iniziavano ad entrare in competizione con società private per l'affidamento di

servizi in concessione.

Infatti, il quadro normativo disposto dalla Legge 142/90 (e più tardi dalla Legge 36/94) aveva previsto la possibilità per l'Ente Locale, vale a dire l'Autorità d’ambito, di indire un affidamento del servizio idrico integrato mediante gara ad evidenza pubblica; tale procedimento ricade tuttavia nella competenza della disciplina europea antitrust, che stabilisce che i lavori pubblici ed i servizi devono essere affidati secondo principi di concorrenza e libero mercato.

Gli importanti principi introdotti dalla Legge 142 del 1990, poi ripresa nel Testo Unico 267 del 2000, hanno avuto seguito nella normativa successiva. Con la Legge 498/1992 è stata prevista la società per azioni a partecipazione minoritaria degli Enti Locali, a cui il servizio può essere affidato in forma diretta, nell’ambito di condizioni e procedure definite nel successivo Decreto del Presidente della Repubblica 533/1996 (Tessarolo 2001, Spadoni 2003).

Con la Legge 95/1995, i principi di autonomia delle aziende pubbliche locali sono stati efficacemente riaffermati, creando le condizioni per una loro ulteriore emancipazione dal legame di organicità con gli Enti Locali.

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Già la Legge 142/90, aveva provveduto a modificare significativamente il sistema dei controlli rispetto al passato: pur essendo infatti confermato il potere comunale di vigilanza e di verifica dei risultati, l’esercizio del controllo era stato attenuato, in quanto poteva essere esercitato esclusivamente sugli “atti fondamentali” della società.

Ora la Legge 95/1995 aveva ulteriormente alleggerito tale controllo, attraverso la definizione degli atti fondamentali formulata in maniera tale da consentire una elevata discrezionalità gestionale dell’azienda, entro linee guida definite e verificate dall’Ente

Locale.

In questo modo, il rapporto tra Ente Locale ed Ente Strumentale si è spostato dal precedente piano di sovraordinazione del controllore sul controllato ad un piano più paritetico fondato su logiche negoziali e incardinato sul nuovo strumento del Contratto di servizio (AA.VV 1999, Spadoni 2003).

L’introduzione di questa serie di norme, il nuovo sistema di gestione delle società municipalizzate in quegli anni, il modello delle relazioni tra il momento politico e quello gestionale, hanno acquisito una connotazione di totale distacco rispetto al

passato.

L’Ente Locale ha intrapreso sempre più esclusivamente il proprio ruolo di soggetto di governo e di regolazione, limitando le proprie interferenze nei fatti gestionali, mentre all’azienda sono stati di conseguenza riconosciuti margini più vasti di autonomia e di

responsabilità.

In questo quadro, il contratto di servizio è divenuto lo strumento principale della regolazione dei rapporti tra governo e gestione, assicurando ai soggetti titolari delle rispettive funzioni la possibilità di affermare esplicitamente i propri specifici obiettivi nell’ambito del confronto negoziale. Si è quindi delineata la tendenza a trasformare le vecchie aziende municipalizzate in imprese a tutti gli effetti, superando anche quel carattere di “specialità” che ne ha connotato l’origine e la storia e avviando un processo di inserimento nel diritto comune. Da questo punto di vista, di notevole rilievo è il fenomeno di “privatizzazione formale”