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Fino ad oggi, gli Enti Locali hanno preferito continuare ad avvalersi della possibilità di gestire i servizi pubblici locali scegliendo autonomamente i propri partner industriali o eventualmente costituendo delle imprese pubbliche. Il Decreto Legge Ronchi ha invece previsto, obbligatoriamente, la nascita di enti a capitale misto, con un tetto del 30% per la partecipazione statale, oppure l’assegnazione dell’appalto tramite gara pubblica ai privati.

L’assegnazione per gara dovrebbe pertanto divenire la normalità, straordinaria invece la procedura che concede direttamente ad una società privata la gestione delle acque. Il Decreto Legge Ronchi ha quindi aperto alla liberalizzazione del mercato dell’acqua: le società pubbliche dovranno infatti individuare entro due anni dei partner privati con

cui gestire il servizio pubblico (Valent 2011).

L’intento è quello tipico di ogni intervento liberale: aprire alla concorrenza allo scopo di conseguire preziosi benefici in termini di spesa e trasparenza. I sostenitori della teoria delle privatizzazioni sono convinti che non si possano

cheottenere dei vantaggi.

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generare un circolo virtuoso di concorrenza e di incrementare gli investimenti per migliorare il servizio (Valent 2011). Attraverso l’utilizzo di criteri di spesa ed efficienza molto diversi da quelli di qualunque ente pubblico, il quale può permettersi di risanare i costi sostenuti attraverso gli aiuti ed i ripianamenti di Stato, i privati potrebbero dunque contribuire a limitare gli sprechi, investendo in strutture più moderne e servizi più efficaci.

Sotto altri aspetti, l’obbligo di indire dei bandi pubblici dovrebbe comportare che la scelta del gestore ricada su chi offre servizi migliori a prezzi inferiori.

Teoricamente tutto a vantaggio del bene collettivo.

Tuttavia, nonostante l’acqua sia un bene demaniale, indisponibile e pertanto non cedibile dallo Stato, il timore che ha scatenato una vera e propria bufera politica è che il privato ne possa disporre a piacimento, facendo un uso improprio della gestione dell’acqua mirato ad ottenere dei privilegi a discapito della comunità. Sono pertanto i temi dell’efficienza e del rincaro delle tariffe che preoccupano maggiormente il cittadino. Una società privata infatti deve sostenere massicci costi iniziali in termini di strutture, personale e tecnologia; deve inoltre assicurare un servizio capillare e costante, affrontare la morosità cronica di alcune fasce della popolazione, difendersi dagli altri concorrenti in sede di gara d’appalto proponendo progetti ambiziosi di crescita, mantenere fede al programma di investimenti approvato.

Nel suo operato, una società privata non può richiedere fondi allo Stato.

L’alternativa all’indebitamento è rappresentata da una unica azione precisa: l’aumento

delle tariffe.

Proprio il Ministro Fitto, in risposta nel corso di una conferenza stampa al possibile rincaro delle bollette dell’acqua, ha ribadito come “i rischi sulla tariffa non sono un rischio futuro, ma la fotografia dell’esistente, se è vero che esistono differenze tra regione e regione e spesso si paga di più dove il servizio è più carente”.

L’attuale realtà dimostra come situazioni analoghe si siano già verificate nel territorio italiano.

E’ il caso del Lazio, in cui il gruppo privato Acqua Latina S.p.A., in partnership con la multinazionale francese Veolia, ha aumentato le tariffe del 300% rispetto alla

precedente gestione (Valent 2011).

Situazioni simili si sono verificate anche in altre zone in cui è presente Veolia, la quale vanta un importante controllo di molte società sparse in Italia, quale ad esempio una quota del 47% della società calabrese per la distribuzione dell’acqua Sorical. Caso paradossale è invece quello avvenuto nella città di Carrara, dove opera la privata Gaia S.p.A.

A seguito di un aumento delle tariffe del 30% rispetto a quanto deciso precedentemente dall'Autorità d’ambito, le bollette hanno subito un tale rincaro per cui vi è stato un sostanzioso aumento degli utenti morosi.

Come conseguenza, ciò ha comportato che la stessa società del servizio idrico sia divenuta morosa nei confronti del Comune di Carrara per il mancato pagamento di

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affitti per circa un milione di euro (Valent 2011).

Da sottolineare come anche società a capitale misto tendano ad aumentare il prezzo di vendita dell’acqua: il pareggio di bilancio è infatti priorità sia della componente privata che di quella statale degli amministratori, cosicché lo Stato finirebbe per accettare tariffe più alte in cambio di progetti più altisonanti ed ambiziosi. Secondo gli analisti a favore della privatizzazione, l’aumento delle tariffe dovrebbe avere una parabola discendente nel medio-lungo periodo, quando gli investimenti iniziali dei privati vengono ripagati in termini di efficienza e pertanto i prezzi iniziano a

scendere, grazie anche alla concorrenza.

Tuttavia su questa analisi permangono dei forti dubbi.

Infatti, una società privata che ha costruito una rete propria oppure adattato quella esistente alle proprie strutture, apparentemente non ha motivo di abbassare le proprie tariffe; è provato come il consumo di acqua sia normalmente uno dei meno flessibili nel tempo, i volumi acquistati non crescono al diminuire del prezzo, né viceversa. Pertanto mantenere alte le tariffe costituisce un guadagno netto. La concorrenza tra società diverse poi non avverrebbe sul campo del prezzo dell’acqua venduta, ma sul controllo societario dell’impresa già attiva: per fare un esempio, la situazione alla quale l’utente dovrà assistere non è Veolia che concorre con Acqua Latina abbassando i prezzi, ma Veolia che cerca di comprare Acqua Latina in borsa. Il vincitore della lotta in borsa, una volta in sella, è tentato di mantenere le stesse politiche tariffarie per sanare i costi della scalata. Per il consumatore, alla fine, tutto rimane variato. Esiste poi la possibilità, per niente remota, che le società private non investano in nuove reti, ma si limitino ad appoggiarsi alla rete pubblica esistente e datata, preferendo concentrarsi sul marketing del proprio nome (Valent 2011). Si tratta di una circostanza che vanta già dei precedenti nella telefonia fissa: per tutte le località non raggiunte dalla fibra ottica, Fastweb sfrutta la vecchia rete Sip, mantenuta in vita dallo stesso canone che la società Fastweb non fa pagare. Per quanto concerne la gestione delle infrastrutture, gli utenti si aspettano che ACEA, HERA, IREN, A2A o ACEGAS, cioè i soggetti industriali che nei prossimi anni saranno protagonisti dell’acquisizione degli acquedotti, possano intervenire più efficacemente degli operatori pubblici, soprattutto se l’analisi viene condotta con dei criteri fondamentali come quello delle perdite di rete, cioè l'acqua immessa

nell'acquedotto e non fatturata (Martinelli 2009).

Tuttavia, se da un lato il caso più eclatante di gestione inefficiente sembra essere quello dell'acquedotto pugliese, il più grande d'Europa, appartenente ad una S.p.A. di proprietà pubblica, che perde circa il 37,7% dell'acqua, l'ultimo rapporto Civicum Mediobanca sulle società controllate dai maggiori Comuni italiani permette di scoprire che la gestione privata della rete non è sempre migliore di quella pubblica (Debenedetti 2009). Se è vero che l'Acquedotto pugliese guida la classifica delle perdite, in graduatoria è seguito da ACEA con il 35,4% delle perdite; l'ex municipalizza romana oggi gestisce il servizio idrico in diverse città toscane, ma non si preoccupa di ridurre le perdite della

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rete idrica nella capitale.

Anzi, se si misura la dispersione media per chilometro di rete gestita, il dato è superiore a quello del lunghissimo Acquedotto pugliese. Il valore più basso é quello di A2A: le perdite di rete per la S.pA. pubblica del Comune di Milano sono ferme al 10,3%, livelli eccellenti su scala europea. Inoltre l’acqua di A2A è notoriamente una delle meno care d'Italia. Alla prova dei fatti, dunque, gestione pubblica, contenimento dei costi ed efficienza del

servizio possono coesistere senza problemi (Martinelli 2009). È difficile prevedere se il Decreto Ronchi aumenterà o ridurrà le inefficienze del

sistema idrico italiano.

Tutto dipenderà da quanto saranno trasparenti le gare d’appalto, dalla serietà degli amministratori e dall’attenzione dell’Authority pubblica.

Proprio in questo senso, appare fondamentale anche l’introduzione di una autorità di controllo, indipendente ed efficace, che monitorizzi le tariffe applicate e la loro congruità rispetto agli investimenti e la qualità del servizio fornito; purtroppo di questo

il testo del Decreto Ronchi non tratta minimamente. Una cosa che tuttavia appare certa è che aumenteranno i costi per i consumatori ed il

potere delle società erogatrici.