L’intellettuale a confronto con il fascismo
2. La statistica: uno strumento al servizio del regime
All’inizio del Novecento nasce l’interesse circa i problemi legati alle popolazioni: tale necessità diventa la forza propulsiva capace di conferire maggiore autonomia alla statistica. La questione demografica diventa un topic ricorrente su riviste quali “La Riforma sociale” e il “Giornale degli economisti”,
102
Rosella Rettaroli, Scuola italiana di democrazia e statistica, in Il contributo italiano
alla storia del pensiero. Economia, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2012, pag.
520. 103
Paolo De Sandre, Giovanni Favero, Demografia e statistica ufficiale prima della
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ma essa appartiene anche all’ideologia di Mussolini, il quale darà un approccio demografico alla stessa “questione ebraica”.104
Già precedentemente, il riordino dei servizi statistici aveva avuto luogo nel 1923 nel contesto giuridico dello Stato liberale, quando “il richiamo all’efficienza e alla produttività non era ancora utilizzato dal fascismo come un grimaldello utile a scardinare le resistenze burocratiche all’interno dell’amministrazione”.105
Su tali basi, Mussolini procede così nel 1926 alla “creazione di un organismo che accentrasse il pubblico servizio della statistica e che fosse, come ogni altra istituzione del nuovo Stato, una emanazione dello stesso governo”.106
Da tale intento nasce l’Istat, che si configura come un “istituto di Stato, dotato di personalità giuridica e di gestione autonoma e posto alle dipendenze dirette del capo del governo”.107
Ciò dà un input decisivo agli studiosi italiani, desiderosi di accorciare le distanze con gli altri Paesi fondando due associazioni scientifiche organizzate: la SIS e la SIDS.108 Il veicolo di divulgazione preferito da questi pensatori diventa il “Giornale degli economisti e Rivista di statistica”, sotto la direzione di Giorgio Mortara e di Gustavo Del Vecchio (1911 – 1939), ma
104
Marie-Anne Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Bologna, Il Mulino, 2008, pag. 27.
105
Guido Melis, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo, Ministero per i beni culturali e ambientali - Ufficio centrale per i beni archivistici, Roma 1988, pag. 199.
106
Roberto Fracassi, Dal censimento dell’unità al censimento del centenario 1861-1961.
Un secolo di vita della statistica italiana, Istituto Centrale di Statistica, 1961, pag. 143.
107
Dora Marucco, L’amministrazione della statistica nell’Italia unita, Bari, Laterza, 1996, pag. 187. Bisogna ricordare che l’Istat venne istituito con la legge 1162/1926. 108
Nel 1938 nasce la Società italiana di demografia e statistica (SIDS), il cui scopo statutario era di contribuire al progresso degli studi demografici e statistici, con particolare attenzione al progresso qualitativo e quantitativo della popolazione italiana, e nel 1939 è la volta della Società italiana di statistica (SIS) [Cfr. Giovanni Favero, La
statistica fra scienza e amministrazione, in La cultura economica tra le due guerre, a cura
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rivestono un ruolo considerevole anche “Metron”, “Economia” e “Rivista Italiana di statistica”.
L’aspetto più interessante è il dibattito relativo alle implicazioni non solo politiche, ricavabili dall’indagine demografica e statistica, ma anche la necessità di derivazione di teorie normative. Il governo fascista in Italia diventa il più accanito sostenitore di una visione pronatalista e popolazionista. In questo contesto, la statistica si rivela una preziosa alleata nell’imperativo mussoliniano di sondare la situazione da un punto di vista “demografico quantitativo”, così da dare un ruolo cruciale alle discipline statistiche dopo il 1938. Esse, infatti, si rivelano importanti nel “dare attuazione scientifica ai provvedimenti di discriminazione razziale”.109
Dopo la data spartiacque del 1938, l’uso della statistica e della demografia dilaga per censire gli ebrei presenti sul suolo italiano, così da donare una qualche aurea di sistematicità al riconoscimento del “diverso”, in modo tale da rendere più efficace l’emarginazione. Registrare e contare gli ebrei italiani diventa “un automatismo che fa da procedura preliminare alla vera e propria persecuzione”.110
Da ciò nasce un nesso per niente trascurabile tra scienze sociali quantitative, nazionalismo e fascismo.
109
Daniela Cocchi, Giovanni Favero, Gli statistici italiani e la “questione della razza”, in
Le leggi antiebraiche del 1938, le società scientifiche e la scuola in Italia: atti del convegno, Roma, 26-27 novembre 2008, Accademia Nazionale delle Scienze detta dei
XL, Roma, pag. 209. 110
Marie-Anne Matard-Bonucci, L’Italia fascista e la persecuzione degli ebrei, Il Mulino, 2008, pag. 27.
52 3. Il pensiero di Bachi sul fascismo
In questo paragrafo la ricerca pone l’attenzione su quale fosse l’opinione di Bachi in merito al fascismo. Come altri membri della scuola einaudiana, anche Bachi approva la “rivoluzione” dell’ottobre 1922 che porta con sé un rinnovamento della classe politica, triste espressione di una “penuria di capacità e volontà”.111
Essendo Bachi di origine ebraica, ciò potrebbe creare qualche incertezza nel lettore, ma in realtà si tratta di una consuetudine di quel periodo, in cui “il rapporto fra il numero degli ebrei antifascisti e quello, considerevolmente più alto, di coloro che non lesinarono consenso al regime è un elemento che non può essere trascurato”.112
L’opinione dello statistico nei confronti del Movimento dei fasci non è tuttavia priva di critiche. Ad esempio, egli esprime alcune riserve sull’applicazione pratica poco democratica della Marcia su Roma, sebbene saluti positivamente la conseguente restaurazione della pubblica autorità. Da ciò deriva l’accoglienza favorevole di Bachi per la politica economica liberista del governo Mussolini.113 Nell’entusiasmo di questa spinta di trasformazione, Bachi non può che approvare la ritrovata e ridimensionata posizione dello Stato nei confronti dell’economia nonché il freno posto agli eccessi della finanza, arrivando addirittura a non
111
Riccardo Bachi, L’Italia economica nell’anno 1921, Città di Castello, Lapi, 1922, pag. 8.
112
Alberto Cavaglion, Ebrei e antifascismo, pag. 1. 113
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considerare preoccupanti le pratiche violenti del biennio nero.114 È innegabile la leggerezza di giudizio con cui osserva l’escalation di violenza fascista: in tali fatti, Bachi elogia la nascita del sindacalismo fascista, con cui è possibile il ristabilimento di un normale confronto dialettico fra le parti sociali.115
Le posizioni di Bachi in merito alla condotta fascista cambiano drasticamente nel 1925 e la lettera che invia da Parma a Luigi Einaudi, datata 4 dicembre, lo testimonia:
[…] Si ha sempre l’illusione che il precipizio in cui è caduta la vita italiana sia ormai così profondo da non consentire ulteriori discese. Invece si discende ancora. Dopo che ci siamo veduti è avvenuta la catastrofe del Corriere della Sera, che quel giorno tu ritenevi impossibile. È questo, sotto certi riguardi, l’evento più amaro di questi tempi e reca un senso di tanta angoscia. Nel mutamento triste avvenuto nel giornale, è motivo di rimpianto vivissimo la cessazione dell’opera magnifica di divulgazione dell’economia, che tu hai svolta da decenni con tanto beneficio per l’intelligenza e col frequente risultato di ostacolare errori di politica economica e trionfi di particolari interessi.
In essa, lo statistico mostra tutto il suo sconforto per l’estromissione dalla direzione de “Il Corriere della Sera” di Luigi Albertini e della sua famiglia116 per volere di Mussolini, intenzionato a far tacere la stampa “scomoda”. Se a rammaricare profondamente Bachi è la situazione degli Albertini, altrettanto triste
114
Ivi, pag. 101. 115
R. Bachi, L’Italia economica nell’anno 1921, Città di Castello, Lari, D. Alighieri, 1922, pag. 11.
116
Gaspare De Caro, Albertini, Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 1, 1960.
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si dimostra in seguito la chiusura de “La Riforma Sociale”, dovuta ad un decreto prefettizio dell’autorità fascista nel maggio 1935.117
La fascistizzazione dello Stato, iniziata nel 1925, raggiunge l’apoteosi con l’emanazione delle leggi razziali nel 1938: si realizza così la totale azione alienante nei confronti del “diverso”, categoria di cui Bachi fa parte in quanto ebreo. La sua mutata condizione all’interno della società gli impedisce di scrivere e pubblicare su qualsiasi testata giornalistica, come invece gli era stato possibile fino ad allora. L’unica soluzione applicabile è l’utilizzo dello pseudonimo di Bernardo Chira118 fino al momento in cui deciderà di trasferirsi all’estero.
Sebbene Bachi venga ritratto dalla Ratti come un appassionato dei movimenti sociali dell’epoca, ma mai schierato politicamente perché “troppo era uomo di scienza”,119
possiamo comunque dedurre da numerosi elementi quale fosse il pensiero dello statistico in merito all’aria che si respira in Italia durante il primo ventennio fascista. tale ritratto può essere arricchito anche da altre testimonianze. Infatti, in Croce e lo spirito del suo tempo,120 Riccardo Bachi appare come uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti. Esso, scritto dal filosofo Benedetto Croce e pubblicato su il “Mondo” il 1° maggio 1925,121
raccoglie il punto di vista di quegli uomini di cultura che si oppongono ai mutamenti in atto in Italia. In un discorso tenuto in Parlamento il 3 gennaio dello stesso anno,
117
F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri…, pag. 102.
Cfr. anche Riccardo Faucci, Einaudi, Luigi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 42, 1993.
118
Ivi, pag. 102. 119
A. M. Ratti, Vita e opere di Riccardo Bachi, pag. 3. 120
Giuseppe Galasso, Croce e lo spirito del suo tempo, Bari, Laterza, 2002. 121
Ester Capuzzo, Gli ebrei italiani dal Risorgimento alla scelta sionista, Mondadori Education, 2004, pag. 5.
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Mussolini aveva annunciato la fine dei diritti civili e politici, decretando così l’abbandono dell’impianto liberale in favore di quello autoritario. Ottantacinque personalità, esponenti della migliore espressione culturale nazionale, mostrano la loro opposizione al manifesto degli intellettuali fascisti, redatto da Giovanni Gentile ed apparso sui principali quotidiani il 21 aprile 1925. L’iniziativa di una simile contro-protesta raccoglie anche l’approvazione di Riccardo Bachi,122 che va abbandonando l’iniziale simpatia per il fascismo. D’altronde, la firma dell’antimanifesto arriva poco dopo essersi conclusa la collaborazione attiva dello statistico torinese con il governo Mussolini, iniziata nel 1922 quando Bachi aveva risposto alla chiamata del ministro Alberto De Stefani, responsabile delle Finanze. Abbiamo già detto brevemente in precedenza di tale incarico: si tratta di una modifica che il governo Mussolini, su proposta dello stesso De Stefani, vuole apportare al Dicastero, così da renderlo più funzionale secondo uno schema ripetibile tale da poter essere applicabile anche ad altri contesti. Alberto De Stefani si avvale della collaborazione di Bachi, ritenuto un luminare in materia, per preparare un progetto di riforma dell’organizzazione statistica del suo ministero.123
Bachi accoglie positivamente le proposte economiche e liberali solo dei primi anni dopo la conquista del potere da parte di Mussolini, poiché in seguito sarà uno di coloro i quali si scaglieranno contro qualsiasi forma di protezionismo. Senza affrontare adesso la “questione ebraica” che sarà il tema centrale del capitolo
122
J. G. Prévost, Total science: Statistics in Liberal and Fascist Italy, pag. 119. 123
Franco Bonelli, Riccardo Bachi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1963.
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sesto, Bachi conferma con il proprio lavoro di essere un osservatore acuto del proprio tempo, capace di assistere alla trasformazione del Movimento dei fasci, in cui inizialmente egli ripone alcune speranze. Infatti, il carisma di Mussolini appare agli occhi di Bachi come un mezzo in grado di imprimere nuovo vigore ad un’Italia stagnante e incapace di reagire dopo la Prima Guerra mondiale. Tale opinione muterà con la svolta antisemita del Duce.