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Riccardo Bachi: dal metodo interdisciplinare alla "questione ebraica". Excursus biografico

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Indice

Abstract

Pag. 4

Introduzione

Pag. 6

Capitolo I

Storia di un uomo semplice. Cenni biografici

Pag. 8

Capitolo II

La formazione di uno studioso. Un percorso

all’insegna della contaminazione

1. Mentori intellettuali e maestri di vita

Pag. 18 Pag. 18

1.1 Luigi Einaudi Pag. 20

1.2 Scuola di Economia di Torino Pag. 23

1.3 Giovanni Montemartini Pag. 24

1.4 Alberto De Stefani Pag. 25

1.5 Augusto Osimo Pag. 27

1.6 Dante Lattes Pag. 29

1.7 Enzo Sereni Pag. 30

1.8 Maffeo Pantaleoni Pag. 31

2. La semiologia economica Pag. 33

3. Il pensiero economico generale di Bachi Pag. 34

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3.2 Bachi e la Prima Guerra mondiale Pag. 38

3.3 Gli “indici Bachi” Pag. 43

Capitolo III

L’intellettuale a confronto con il fascismo

Pag. 48

1. Breve excursus storico sulla statistica: evoluzione e sviluppo Pag. 48 2. La statistica: uno strumento al servizio del regime Pag. 49

3. Il pensiero di Bachi sul fascismo Pag. 52

4. Il rovescio della medaglia: l’idea di Mussolini su Bachi Pag. 56

Capitolo IV

Compendio bibliografico: la produzione letteraria e la

partecipazione attiva

Pag. 60

1. Gli anni precedenti al 1938 Pag. 61

2. Dopo il 1946 Pag. 74

3. Le Accademie Pag. 76

Capitolo V

La svolta sionista. Bachi e la “questione ebraica”

Pag. 79

1. Che cosa è il sionismo? Breve introduzione Pag. 79

2. La natura programmatica del sionismo Pag. 81

3. Diffusione del sionismo in Italia Pag. 82

4. Importanza della città di Torino, centro dal cuore ebraico Pag. 83

5. Bachi e l’utopia di Erez Israel Pag. 84

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7. La nuova vita in Palestina Pag. 87

Capitolo VI

Il ritorno in Italia

Pag. 92

Capitolo VII

Eredità e memoria

Pag. 97

1. Il testamento spirituale Pag. 98

2. Italkim e kibbutzim Pag. 100

Conclusioni

Pag. 103

Bibliografia di Riccardo Bachi

Pag. 105

Bibliografia essenziale

Pag. 120

Sitografia

Pag. 131

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Abstract

Riccardo Bachi è stato un economista e statistico italiano attivo dalla fine dell’Ottocento fino alla sua morte, avvenuta nel 1951. Dopo aver concluso gli studi per diventare ragioniere, egli raggiunse anche il diploma in lingua e letteratura francese; al termine di questi percorsi formativi, Bachi proseguì con la carriera accademica spaziando tra l’insegnamento della Statistica, dell’Economia Politica e di Scienze della Finanza.

Di rilievo fu un incarico ricevuto al termine della Prima Guerra Mondiale, per cui Bachi dovette analizzare la situazione italiana del dopoguerra su richiesta della neonata Società delle Nazioni. La collaborazione con Alberto De Stefani, ministro delle Finanze del primo governo Mussolini, gli conferisce la possibilità di attuare le proprie teorie nella preparazione di un progetto di riforma del suddetto Ministero basato su una riorganizzazione statistica.

In relazione ai periodi storici sopracitati va ricordata l’idea interventista di Bachi riguardo l’entrata in guerra dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale e l’approvazione dell’ascesa del fascismo, in quanto unica forza in grado di sistemare la stagnante e caotica situazione italiana al termine del conflitto.

Nonostante l’iniziale appoggio, il fascismo sconvolse lo statistico con l’emanazione delle leggi razziali. Bachi, di origine ebraica, fu costretto ad emigrare in Palestina nel 1939 e tornò in Italia nel 1946, spazzata via l’ombra non solo della guerra, ma anche del regime mussoliniano. Al suo ritorno si dedicò con

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più vigore allo studio dell’ebraismo sia da un punto di vista religioso sia secondo le tradizioni “risvegliate” dai figli di Sion. Infatti, dopo la morte del figlio Mario, Bachi aveva abbracciato la causa sionista auspicandone il successo con la nascita di uno Stato che accogliesse i reduci della millenaria Diaspora.

Al centro degli studi di Bachi vi erano le fluttuazioni e i cambiamenti dell'economia italiana con i suoi cicli economici, sempre cercando di contaminare le proprie ricerche con un punto di vista storico. I dati che egli raccolse sulla struttura e sul cambiamento dell'economia offrirono un notevole apporto alla storiografia economica, dimostrando a tutti che i fattori economici hanno un peso evidente sulla storia. Nella prima metà del Novecento, tale approccio, cioè l’analisi di un ciclo o di una situazione storica implementando dati provenienti anche da altre discipline, forniva una metodologia d’avanguardia.

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Introduzione

Il presente lavoro ha come oggetto la figura di Riccardo Bachi, statistico ed economista torinese, vissuto tra la fine del XIX secolo e la prima metà del Novecento. La memoria collettiva sembra aver dimenticato il suo contributo in vari ambiti della scienza economica e non solo. Essendo uno di quegli italiani di origine ebraica privati dei diritti civili e personali fondamentali durante gli anni del regime fascista, Bachi affronta la situazione decidendo di non rinnegare la propria fede: egli rende la spiritualità un porto sicuro in cui ritrovare la propria dimensione umana e professionale.

Obiettivo del presente lavoro è delineare un profilo attento e dettagliato di Riccardo Bachi sotto il punto di vista professionale, ma senza mai perdere di vista il lato umano. Ripercorrendo le varie tappe della sua vita, cercheremo di tracciare un ritratto soddisfacente di questo uomo, animato da una passione viscerale per la propria professione.

Questa ricerca procede su due binari di indagine paralleli e complementari: da una parte vi è l’approfondimento dell’aspetto scientifico e metodologico di Bachi, dall’altra, invece, vi è la “questione ebraica”, locuzione utilizzata anche da Hanna Arendt in Origini del totalitarismo, ove tale faccenda, pur sembrando piccola ed

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insignificante, ha avuto il potere di mettere in moto la macchina infernale dello sterminio1.

Le ricerche svolte hanno richiesto parecchio tempo di indagine e talvolta sono state complicate, perché è stato necessario scavare in un periodo storico delicato quale è stato l’arco temporale 1938 – 1945. Di tale epoca, infatti, ci restano poche testimonianze dirette, colpa forse della scarsa attenzione riservata alla conservazione delle fonti in quel periodo o alla volontà di eliminare la memoria di fatti innegabilmente esecrabili. Nella qui presente indagine è coinvolto anche un Paese estero, la Palestina: risulta quindi evidente la difficoltà nel reperire materiali utili alla ricerca per motivazioni legate alla distanza e alla comunicazione.

Questo lavoro propone una rilettura del percorso di vita e professionale di Riccardo Bachi, senza mai perdere di vista il periodo storico in cui egli opera.

1

Simon Levis Sullam, L’archivio antiebraico: Il linguaggio dell’antisemitismo moderno, Bari, Laterza, 2008, pag. 3.

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Capitolo I

Storia di un uomo semplice: cenni biografici

Come più volte viene ricordato da chi lo ha conosciuto personalmente, Riccardo Bachi è definito un uomo semplice: non perché gli sia mancata l’arguzia necessaria affinché possa essere ritenuto un intellettuale al passo con i suoi tempi, capace di seguire ed interpretare lo svolgimento degli eventi, ma soprattutto perché egli non ha mai ceduto alla tendenza a chiudersi nel proprio “bozzolo di conoscenza” senza lasciare che niente o nessuno vi penetrasse.

Bachi sceglie di perseguire un percorso di arricchimento culturale per poter essere un cronista responsabile della sua epoca, per il quale la minuziosa raccolta di dati e la ricercata creazione di strumenti sempre migliori sono necessari per contribuire all’ottimizzazione della statistica.

Bachi non dà mai per concluso il proprio percorso di apprendimento, che invece lascia contaminare anche dalla propria vita privata. Questo elemento verrà affrontato nei capitoli successivi, ma basti adesso segnalare come sia tipico dello statistico torinese permettere che i due ambiti principali, privato e lavoro, non seguano due binari paralleli destinati a non incontrarsi mai. La passione per il proprio lavoro è il motore propulsivo di un processo di crescita in cui gli interessi personali influenzano la produzione lavorativa e viceversa.

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Acuto osservatore del suo tempo, lo statistico torinese si lascia “modellare” dalle vicende storiche, ma senza mai consentire di esserne sopraffatto. Non soccombe né in occasione della morte prematura del figlio né con l’emanazione delle leggi razziali. Egli utilizza quegli episodi dolorosi come forza motrice di rinnovamento.

Riccardo Bachi muore a Roma l’11 gennaio 1951. Accanto a lui, come in ogni altro momento della sua vita, c’è la moglie Clelia Lampronti.2 Nel 1903 la coppia convola a nozze e l’anno successivo nasce il primo figlio, Mario.3

Segno distintivo nel ménage famigliare è la capacità dei coniugi di saper influenzare i figli in modo sapiente e mai paternalistico. Della sposa sappiamo poco, se non che era una donna dedita alla famiglia e profondamente fiduciosa nelle capacità del marito: la consorte, infatti, lo seguirà ovunque nei suoi spostamenti dovuti alla carriera accademica, che porterà Bachi a vivere in diverse regioni italiane. Clelia lo appoggerà anche nel perseguire la realizzazione dell’ideale sionista con l’inizio della nuova vita in Palestina nel 1939. Con l’emigrazione in Erez Israel si evince la totale dedizione della donna alla causa privata e professionale del marito: la signora Bachi rispetta profondamente la ricerca intellettuale, costante e sapiente, che anima e sprona Riccardo a ricercare nuove sfide. Solerte e partecipativa, diventa una figura determinante anche nella cerchia di amicizie del marito: più volte, infatti, nel carteggio intercorso tra Bachi e Luigi Einaudi, conservato e

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Clelia Lampronti nasce a Venezia il 22 novembre 1880 da Augusto e Ildegarda Lampronti. Dal matrimonio con Riccardo Bachi nascono tre figli: Mario, Augusto e Roberto. La donna muore a Roma, all’età di 81 anni, il 2 marzo 1962.

Cfr. https://www.geni.com/people/Clelia-Bachi/6000000007271460598 Cfr. http://www.archivioterracini.it/archivio/subj_dett.php?pk=1577 3

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consultabile presso la Fondazione “Luigi Einaudi” di Torino, è possibile leggere nelle formule di congedo i saluti rivolti a Clelia e al resto della famiglia.

La vita di Bachi ha inizio a Torino l’11 giugno 1875. Egli nasce da Israele ed Enrichetta Levi in un contesto piccolo borghese. Il padre orefice cerca di provvedere alle necessità dei cinque figli, di cui Riccardo è il terzogenito. Le preoccupazioni di Enrichetta ed Israele è quella di consentire ai figli maschi di frequentare le scuole fino ai gradi superiori.4 La fede ebraica è una costante, ma non vi è traccia di alcun fanatismo nell’educazione impartita, che inizia presso la scuola ebraica del capoluogo torinese, il collegio “Colonna e Finzi”,5 proseguendo successivamente il proprio percorso di apprendimento con gli studi tecnici, che gli valgono nel 1894 il diploma di perito ragioniere. Dopo due anni, diventa ragioniere presso la Scuola superiore di commercio a Venezia. La sete di conoscenza, come già detto, è una fonte di dinamicità costante che stimola Bachi ad ampliare le proprie abilità: la voglia di migliorarsi ed acquisire potenzialità più elevate lo sollecitano ad ottenere nel 1897 il diploma in Lingua e Letteratura francese. Questa sua approfondita conoscenza potrà essere esibita in occasione di un incarico a livello europeo, ricevuto direttamente dalla Società delle Nazioni.

La sua prima esperienza didattica ha luogo ad Arcevia, in provincia di Ancona, ma essa dura poco, poiché passa ad insegnare all’Istituto tecnico pareggiato di Vicenza, nato da pochi anni. Nel 1899 lascia tale incarico dopo aver vinto il concorso come segretario capo presso il Regio Museo Industriale di Torino. Ciò

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Ivi, pag. 14. 5

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significa per Bachi il ritorno a casa. La città natale è motivo di stimolo soprattutto grazie agli incontri che fa presso il Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis, docente dell’ateneo torinese ed eminente personalità a livello nazionale.

Il confronto con mentalità e punti di vista differenti arricchisce il bagaglio culturale di Bachi, all’epoca poco più che 25enne e fresco di studi. Quel “banchetto di intellettuali”, che ruota attorno alla figura di Cognetti de Martiis, è un’esperienza inedita per il giovane Bachi che così ha modo di stringere rapporti che vanno al di là della sfera professionale. Solo per citarne alcuni, tra di essi vi sono Luigi Einaudi, Achille Loria e Attilio Cabiati.

L’atmosfera che si respira nella Torino di inizio Novecento è senza dubbio stimolante: il confronto è serrato, le idee fluiscono copiose e gli studiosi non si tirano indietro nel mettersi alla prova gli uni contro gli altri, incalzati dalla curiosità delle nuove leve.

Nel 1903 Bachi conosce Giovanni Montemartini che gli dà la possibilità di diventare segretario della Commissione incaricata di elaborare i regolamenti esecutivi della legge sulla municipalizzazione. Ed è proprio l’anno successivo a quella preziosa collaborazione che arriva un nuovo incarico: si tratta della direzione dell’Ufficio centrale del Lavoro, dove viene chiamato a sostituire proprio Montemartini. A Torino riesce ad ampliare i propri orizzonti anche grazie ai numerosi contatti, ai congressi e alle conferenze alle quali partecipa. Questa

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predisposizione caratterizza Bachi, il quale porta nell’attività didattica e scientifica una innata sensibilità nell’osservazione della società del suo tempo. Negli anni che Bachi trascorre presso l’Ufficio del Lavoro, si occupa di un “Bollettino di indagini statistiche, di inchieste e di saggi bibliografici” su questioni concernenti il lavoro. Tale produzione diventa successivamente una vera e propria pubblicazione ufficiale del relativo Ministero. Questo incarico sprona lo statistico torinese ad affinare le proprie tecniche metodologiche: infatti, questo è l’arco temporale in cui egli affronta soprattutto il problema della rilevazione dei fenomeni economici attraverso gli strumenti migliori.

In seguito, nel 1908, passa ad occuparsi della Biblioteca del Ministero dell’Agricoltura, dell’Industria e del Commercio in qualità di direttore. Sotto la sua guida, la Biblioteca diventa un’istituzione unica in Italia per lo studio delle scienze economiche e sociali. Grazie alle numerose risorse che tale incarico gli offre, Bachi elabora una rassegna annuale sui diversi aspetti della vita economica italiana. Tale impresa gli conferisce grande prestigio non solo a livello nazionale, ma anche all’estero.

Dopo gli anni trascorsi ad occuparsi di mansioni di tipo dirigenziale, Bachi torna al mondo dell’insegnamento nel 1915 quando viene nominato professore di Statistica presso l’Università di Macerata. Ciò avviene in seguito al conseguimento della libera docenza in legislazione industriale. Nel 1914 Bachi aveva superato anche la selezione da parte di una commissione composta da

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illustri statistici ed economisti, riunitisi presso la Regia Università di Cagliari, i quali lo avevano ritenuto degno della cattedra.

Nel 1924 è la volta dell’Ateneo di Parma, dove gli viene affidata la cattedra di Economia Politica. Bachi, però, resta poco nella città emiliana poiché nel 1926 si trasferisce a Genova in qualità di docente di Scienza delle Finanze. L’anno successivo, il professore va a Roma, dove insegna di nuovo Economia Politica, ma stavolta presso il Regio Istituto di scienze economiche e commerciali.

L’escalation universitaria si affianca ad un percorso parallelo fatto di collaborazioni importanti. Nel 1919 Bachi partecipa alla Conferenza di Pace di Parigi in veste di consulente economico. In tale occasione le potenze vincitrici della Prima Guerra mondiale danno un nuovo assetto al sistema geopolitico europeo e Bachi vi assiste da molto vicino. In seno alla Conferenza, inoltre, nasce anche la Società delle Nazioni. È da essa che parte il compito di studiare la situazione economica italiana negli anni del primo dopoguerra, aspetto che catalizzerà a lungo l’attenzione di Bachi.

In Italia, nel frattempo, è in atto un grande cambiamento: sono gli anni del governo Mussolini e nel 1922 il ministro delle Finanze Alberto De Stefani chiama direttamente Riccardo Bachi per offrirgli l’incarico di redigere un progetto di riforma riguardante l’organizzazione statistica del suo ministero. La collaborazione con De Stefani sancisce, in primo luogo, l’appoggio di Bachi al fascismo nella sua fase iniziale, ma al contempo definisce ufficialmente l’interesse dello statistico per la ricerca fondata sullo studio minuzioso della realtà

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economica e sociale. È possibile supporre che sia per questa motivazione se nelle sue ricerche, oggetto di numerose pubblicazioni, Bachi si occupa di problematiche legate al lavoro, prendendo ad esame i cambiamenti più accentuati e ricorrenti dell’economia italiana, i cicli economici e le loro caratteristiche principali, soffermandosi poi sui metodi più efficaci per analizzare le differenti congiunture.

Ciò che rende particolarmente valido il lavoro di indagine di Bachi è il procedimento tramite cui egli raccoglie i propri dati: egli non studia i fenomeni solo sotto il profilo esclusivamente economico, ma anche storico, radicando profondamente le loro conseguenze al contesto. Questo contributo risulta essere così preciso perché riesce ad arricchire una disciplina puramente numerica di elementi che ad alcuni osservatori potrebbero sembrare estranei; in verità, egli integra e rende complementari due aspetti che spesso possono essere distinti. Bachi, invece, ritiene che i due “mondi” debbano essere collegati per ottenere così un’analisi realistica e soddisfacente di un contesto economico: ciò spiega perché il contributo che lo statistico dà all’analisi della struttura e dell’evoluzione dell’economia italiana sia stato decisivo nel campo della storiografia economica, sottolineando come gli elementi dell’economia possano decidere il ruolo della storia.

Il 1938 è un anno di svolta: mentre Bachi è ordinario di Economia Politica corporativa all’Università di Roma, Mussolini preannuncia la promulgazione delle leggi razziali in un discorso che tiene a Trieste. Con quella dichiarazione si concretizzano tutte le paure che la comunità ebraica italiana aveva iniziato a coltivare nel clima di tensione divenuto sempre più serrato dall’inizio di quello

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stesso anno. Infatti, vi era stata una vera e propria crescente escalation di antisemitismo a partire dal 1937. Dopo il proclama del dux nella città friulana, il varo della normativa ha luogo tra il settembre e il novembre 1938.6 Si tratta della fase finale di una violenta ondata di odio razziale. Bachi, il quale aveva collaborato in prima persona con Mussolini e di cui aveva appoggiato alcune scelte politiche, ne rimane profondamente deluso. Tale legislazione ha come effetto la drastica riduzione dei diritti civili degli italiani di origine ebraica. Lo statistico torinese viene colpito direttamente dalla normativa: egli, infatti, è allontanato dall’insegnamento a partire dal 1938. Con tale privazione viene meno anche la possibilità di continuare a collaborare con alcune testate giornalistiche, con cui Bachi intratteneva rapporti lavorativi più o meno longevi. Di conseguenza arriva anche l’espulsione dalle accademie nazionali di cui era membro, in particolare dell’Accademia nazionale dei Lincei, di cui era socio corrispondente dal 1935.7

In questo quadro storico, in cui vita privata e professionale vengono spogliate della libertà morale di cui ogni individuo necessita per vivere dignitosamente, egli non si sente più parte di quell’Italia che con il suo contributo ha cercato di arricchire. Diventa uno straniero in casa propria e non gli resta che osservare il desolato panorama italiano all’inasprirsi della morsa del regime. L’unico conforto gli arriva dalla famiglia, con cui condivide la profonda devozione alla causa del

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Michele Sarfatti, La decisione politica. La legislazione antiebraica nell’Italia fascista, in “Meridiana”, n. 29 (maggio 1997), pag. 103.

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sionismo. Questo sarà un tema fondamentale nella vita di Bachi e nei capitoli successivi sarà possibile approfondire tutte le varie implicazioni ad esso connesse.

Già negli anni Venti, il sionismo era diventato l’ancora di salvezza alla quale Bachi si era aggrappato per superare un momento difficile della propria vita, legato alla morte del figlio. Nella riscoperta delle proprie radici ebraiche, Bachi si avvicina al sionismo, movimento politico – religioso nato in Europa alla fine XIX secolo, che diventa così una fonte di consolazione così vivida da indurlo a trasferirsi in Palestina con la moglie nel 1939, iniziando così una nuova avventura che lo rende protagonista prima come colono e poi come professore. Un’esperienza simile lo segna profondamente, poiché gli dimostra ciò che prima aveva solo ipotizzato: il sionismo può diventare realtà. Quella prova gli testimonia come l’impegno di un popolo possa cambiare un assetto che attende una soluzione da tanto tempo. Fisicamente lontano dalla sua terra, Bachi segue comunque come gli è possibile lo svolgersi della Seconda Guerra mondiale e la partecipazione dell’Italia alle varie fasi.

Nel 1946 Riccardo Bachi torna in Italia. Le sue residue energie si riversano completamente sulla causa dell’ebraismo, di cui si preoccupa di scrivere la storia nel modo più dettagliato e scrupoloso possibile. È innegabile che la ripresa a pieno dell’attività scientifica, didattica e pubblicistica gli dia uno slancio, che si rafforza nel 1947, quando la ricostituita Accademia dei Lincei lo nomina membro ordinario: si tratta di una testimonianza di fiducia che non può che onorarlo.

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Potremmo chiudere questa sommaria descrizione biografica di Bachi utilizzando le parole che compaiono sul fascicolo speciale de “La Rassegna Mensile di Israel”, pubblicato in occasione del suo pensionamento: “Riccardo Bachi è un uomo di scienza, un uomo di coscienza e un uomo di fede”.8

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AA. VV., Scritti in onore di Riccardo Bachi, in “La Rassegna Mensile di Israel”: Fasc. speciale, vol. 16, n. 6-8, Città di Castello, Unione Arti Grafiche, 1950.

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Capitolo II

La formazione di uno studioso. Un percorso all’insegna della

contaminazione

In filosofia la contaminazione è l’invasione di un organismo culturale da parte di agenti esterni. Per fronteggiare tale pericolo, una tattica di difesa prevede l’isolamento, mentre il suo esatto opposto promuove il contagio. Incorporare l’altro e convivere con il suo diverso patrimonio culturale rende l’individuo più forte poiché è proprio nella diversità che troviamo una fonte di ricchezza.

Potremmo identificare in Bachi uno strenuo sostenitore di questa filosofia di vita vissuta all’insegna della contaminazione. Per lo statistico non esiste una sola strada da percorrere, sia per ciò che concerne la sua erudizione sia per tutto quello che riguarda il raggiungimento di un obiettivo. In un insieme eterogeneo Bachi sa cogliere ogni elemento nella sua distintiva diversità analizzandone sempre il contesto di cui fa parte.

1. Mentori intellettuali e maestri di vita

Gli studi compiuti gli danno la qualifica prima di perito ragioniere poi di ragioniere, arricchendo il proprio curriculum con un diploma in Lingua e Letteratura francese. Si tratta di un argomento di non trascurabile importanza:

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all’inizio del Novecento il francese gode sempre dello status di lingua di riferimento per gli eventi ufficiali e diplomatici che venivano tenuti: anche i testi espositivi scritti in francese potevano così conoscere maggiore diffusione a livello europeo e non.9 Possiamo supporre che Bachi, attento e scrupoloso, volesse possedere le abilità necessarie a confrontarsi direttamente con le pubblicazioni estere dell’epoca, sapendo scrivere lui stesso in francese se ce ne fosse stata la necessità. Basti pensare a L’application des principes de la Conférence internationale financière de Bruxelles, documento autografo redatto da Bachi nel 1922 per la Commissione economica e finanziaria della Società delle Nazioni. Per sedere ai tavoli di confronto estero si rivela essere una dote indispensabile per chi, come Bachi, aveva già partecipato alle consulte del Trattato di Versailles come consulente.10

Se fino ad ora abbiamo parlato della formazione che avviene sui banchi di scuola, il vero processo di crescita intellettuale di Bachi avviene a partire dal 1900, quando inizia a frequentare il Laboratorio di Economia Politica di Salvatore Cognetti de Martiis. Si tratta di un momento decisivo nel percorso di crescita dello studioso. Il Laboratorio di Cognetti de Martiis è il prodromo di quella che diventerà la Scuola di Economia di Torino, appellativo ufficioso di una scuola di

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Cfr. www.eurasia-rivista.org, “La geopolitica delle lingue”, sommario numero XXXI (3-2013).

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Jean – Guy Prévost, Total science: Statistics in liberal and fascist Italy, McGill-Queen’s University Press, 2009, pag. 110.

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pensiero, ma non solo, creatasi attorno ai personaggi più ambiti in ambito economico nell’Italia di inizio XX secolo.11

1.1 Luigi Einaudi

L’ispirazione più viva arriva da Luigi Einaudi, inizialmente come collega, in seguito anche come amico. A testimoniare tale prezioso rapporto resta il ricco carteggio tra i due intellettuali, conservato presso l’Archivio Storico della Fondazione “Luigi Einaudi” di Torino. Dalle lettere si evince un legame che valica i confini della reciproca stima professionale e porta all’instaurazione di un vincolo solidaristico, in cui entreranno a far parte anche le rispettive famiglie. Le lettere rimaste vanno da 1897 al 1947 e sono la testimonianza di un legame che dura cinquanta anni.

Nella recensione che Einaudi fa nel 1931 di Un sognatore del ghetto: David Lubin,12 l’economista dedica parole commosse all’amico:

Se questo è Lubin, bisogna aggiungere che soltanto Riccardo Bachi poteva raffigurarlo così. Conosco Bachi da tanti anni e di anno in anno la stima verso lo

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Roberto Marchionatti, Francesco Cassata, Giandomenica Becchio e Fiorenzo Mornati,

Quando l’economica italiana non era seconda a nessuno. Luigi Einaudi e la Scuola di Economia di Torino, Working Paper Series, Dipartimento di Economia “S. Cognetti de

Martiis”, Centro di Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni” (CESMEP), Working Paper No. 10/2009, Università di Torino, pag. 2. Gli autori affermano che si può parlare di “scuola” dal momento che tutti i componenti condividono la dimensione spaziale e temporale, la visione culturale la dimensione teorica e di metodo. Essi sono quindi figli del liberalismo politico e del liberismo politico, di cui diventano la maggiore espressione di inizio Novecento.

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Riccardo Bachi, Un sognatore del ghetto: David Lubin, in “La Rassegna Mensile di Israel”, V, 10-11, Città di Castello, 1931.

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studioso scrupolosissimo, lo storico e lo statistico sicuro, il cesellatore di rara penetrazione è andata via via crescendo; e nel tempo stesso imparavo ad apprezzarne le qualità morali elevate di amore verso la sua famiglia e verso la patria italiana.13

Come già sottolineato precedentemente, le leggi razziali promulgate dal regime fascista nel 1938 mettono Bachi in condizione di scegliere l’esilio volontario trasferendosi in Palestina. Anche negli anni di lontananza dalla madrepatria, Bachi riesce a mantenere constante il rapporto con l’amico Einaudi, anch’egli fuggito volontariamente in Svizzera a partire dal settembre 1943. Nelle poche lettere che ci restano di quegli anni, viene descritta la difficoltà che tale corrispondenza riscontra nel superare i confini europei e giungere in Palestina. Ritornando ai primi anni della loro conoscenza, Bachi incontra Einaudi frequentando il Laboratorio di Cognetti de Martiis; da lì inizia la collaborazione di Bachi con “La Riforma Sociale”, per cui scrive alcuni articoli dedicati alla storia della ragioneria. In questa trattazione è possibile notare lo spirito ancora acerbo dello statistico torinese, che si mantiene su un campo di indagine di cui è competente. Dopo questo inizio, egli comincia a spaziare ampliando gli orizzonti dei propri interessi culturali e arrivando a condurre alcuni studi sulle questioni del lavoro, sulla municipalizzazione, sull’amministrazione municipale, sulla contabilità pubblica e sull’istruzione tecnica. Tale sodalizio è possibile poiché Einaudi è uno dei direttori de “La Riforma Sociale” dal 1901 assieme a Luigi La Roux e Francesco Saverio Nitti. Ne diventerà poi direttore unico nel 1908 con il supporto di

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Luigi Einaudi, recensione in “La Riforma Sociale”, Torino, Arti Grafiche ditta fratelli Pozzo, 1931.

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Giovanni Prato, Alberto Geisser e Pasquale Jannaccone. “La Riforma Sociale” diventa il “trampolino di lancio” di Bachi. È singolare pensare che tra Einaudi e Bachi ci sia un solo anno di età di differenza, eppure il futuro Presidente della Repubblica ha una grande influenza su Bachi, il quale guarda al collega come costante fonte di ispirazione. Ritroviamo traccia di ciò se analizziamo le linee guida del pensiero einaudiano: liberista e liberale, egli è un grande sostenitore dell’europeismo. Il liberalismo dovrebbe svilupparsi concretamente in tutti gli aspetti della vita politica, sociale ed economica di una nazione che vuole ritenersi tale. Le libertà civili e quelle economiche, infatti, sono interdipendenti poiché ogni forma di libertà emerge laddove ne esistono già altre. L’autorealizzazione dell’individuo, mosso da interessi personali ed egoistici, porta sì allo scontro visto che deriva da interessi concorrenti, ma si tratta di un tipo di lotta favorevole poiché produce progresso. Bachi pone in atto l’insegnamento di Einaudi ogni volta che si scaglia contro ogni tipo di politica protezionistica.14

Per Einaudi il progresso si verifica anche grazie alla lotta per la libertà delle idee e delle opinioni. Agendo egli stesso in prima linea per tale obiettivo, come testimonia l’attività da editorialista a “La Stampa” e a “Il Corriere della Sera”, la carta stampata ha la missione di diffondere tra gli individui e le associazioni la passione per il confronto e il dibattito, basato sulla maggiore conoscenza possibile di tutte le sfumature del tema affrontato, così come delle tesi portate avanti dai propri antagonisti. Fino al 4 gennaio 1925 in Italia c’è una grande stampa

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Francesco Cassata, La “dura fatica” dei numeri: Riccardo Bachi e la statistica

economica, in La Scuola di Economia di Torino. Co-protagonisti ed epigoni, a cura di

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indipendente,15 che dopo quella data vede diminuire le proprie capacità di azione a causa delle misure, sempre crescenti, messe in atto dal governo Mussolini contro la libertà di stampa. il punto di vista di Einaudi è totalmente condiviso da Bachi: egli vede nell’attività di pubblicista la possibilità di esprimere il proprio punto di vista. Quando la scure della censura cala su di essa, viene meno quella tanto desiderata libertà. Come soleva dire Einaudi, ogni società lentamente muore se vive solo di idee vecchie.16

1.2 Scuola di Economia di Torino

Attorno alla figura di Luigi Einaudi nasce un convivio di intellettuali e liberi pensatori che prende il nome di Scuola di Economia di Torino. In essa si aggrega una nuova generazione di intellettuali, che popolerà la classe di professori ed accademici del secondo dopoguerra. Questi studiosi sono l’espressione di una commistione precisa che risponde ai dettami del liberalismo politico e del liberismo economico. Con il loro modo di analizzare la realtà, essi si dimostrano vicini ai giovani antifascisti degli anni Venti.17 In un clima di fruttuoso fermento il punto di riferimento di questa giovane “famiglia di intellettuali” diventa Einaudi, che racchiude in sé tutte le caratteristiche di quella Scuola, oltre che un innato carisma.

15

Luigi Einaudi, Il problema dei giornali, “Nuova Antologia”, vol. 434, 1945, n° 1735 ora in Id., Riflessioni di un liberale sulla democrazia 1943-1947, a cura di P. Soddu, Leo Olschki editore, 2001, pag. 67 – 170.

16

Ivi, pag. 167. 17

R. Marchionatti, F. Cassata, G. Becchio e F. Mornati, Quando l’economica italiana

(24)

24

Fino al 1914 la Scuola di Torino riveste il ruolo di “palestra di studi sociali di impronta neoclassica su fondamenta marshalliano – paretiane”.18 Jannaccone, in una lettera indirizzata proprio ad Einaudi, definisce quel luogo di confronto come l’ultimo baluardo di liberalismo in Italia durante l’era fascista. Il massimo canale di diffusione del pensiero torinese diventa “La Riforma Sociale”, su cui appare il fior fiore della cultura economica di quegli anni.

1.3 Giovanni Montemartini

Attento osservatore dei fenomeni del mercato del lavoro, del costo degli scioperi e degli standard di vita della classe lavoratrice, Montemartini è allievo di Pantaleoni, ma se ne distacca dal punto di vista ideologico, avvicinandosi sempre di più al socialismo.19 Egli viene eletto nel consiglio della Società Umanitaria20 di Milano nel dicembre 1901, ma è presso l’Ufficio del lavoro del Ministero dell’Agricoltura industria e commercio e del Consiglio superiore del Lavoro in qualità di direttore, che gli conferisce grande prestigio. In tale occasione, egli ha modo di utilizzare i dati del censimento del 1901 per diffondere alcuni dati ufficiali sulla disoccupazione nazionale. Con la pubblicazione di un bollettino mensile, vengono diffuse per la prima volta informazioni costanti sul mercato del

18

Ivi, pag. 4. 19

Marco De Nicolò, Montemartini, Giovanni, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 76, 2012.

20

La Società Umanitaria è una delle istituzioni storiche di Milano. Ente morale, è nata nel 1893 grazie al lascito testamentario di Prospero Moisè Loria, mecenate mantovano. Da allora, l’Umanitaria si è fatta conoscere con oltre cento anni di battaglie sociali, coniugando assistenza e lavoro, impegno sociale ed istruzione, progresso e formazione, emancipazione e cultura.

(25)

25

lavoro in Italia. L’esperimento di Montemartini e di un gruppo di studiosi, di cui fa parte anche Bachi, mira a colmare un vuoto che l’Italia aveva rispetto ad altri paesi esteri.21

Il rapporto che viene a crearsi tra Bachi e Montemartini è relativo solamente all’aspetto professionale, in cui viene ad instaurarsi un vincolo di stima reciproca. Infatti, sarà proprio Bachi nel 1904 che prenderà il controllo dell’Ufficio del lavoro, sostituendo Montemartini e curando personalmente il bollettino.22 Bachi segue l’esempio del “mentore” per ciò che riguarda la tematica della municipalizzazione, in cui Montemartini è senza dubbio “il più autorevole teorico del movimento delle municipalizzazioni”,23

che viene affrontata dallo statistico torinese soprattutto nei primi anni di produzione letteraria.

1.4 Alberto De Stefani

Altro personaggio decisamente influente nella vita professionale di Bachi è Alberto De Stefani. Economista veronese dedito all’arricchimento della propria erudizione, ma con velleità politiche vicine al nazionalismo dissidente, egli lascia talvolta trasparire nelle sue collaborazioni con alcune testate giornalistiche, quali ad esempio L’Azione, tali volontà. Combattente sul fronte del Cadore, dopo

21

Manfredi Alberti, Senza lavoro: La disoccupazione in Italia dall’Unità a oggi, Editori Laterza, 2016, pag. 81 - 82.

22

Oscar Gaspari, L’Italia dei municipi: il movimento comunale in età liberale (1879 –

1906), Donzelli Editore, 1998, pag. 72.

23

Marco Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra, in La

guerra e gli economisti, a cura di Luca Michelini, Pisa – Roma, Fabrizio Serra Editore,

(26)

26

l’esperienza bellica, torna a dedicarsi alla ricerca, in particolare modo esponendo il proprio punto di vista negativo sulla scuola statistica padovana, incarnata in modo speciale da Corrado Gini. Il 1921 segna l’adesione di De Stefani al movimento fascista: ciò determina l’inizio di un periodo di vera e propria politica militante, partecipando ad azioni squadriste a Fiume, Genova e Trento.24 In breve tempo diventa l’economista ufficiale del fascismo. Fedele agli insegnamenti del maestro Maffeo Pantaleoni, De Stefani conduce alla luce di tali dettami la sua politica ministeriale nel 1922, quando diventa ministro delle Finanze del primo governo Mussolini, riuscendo a imprimere grande slancio alla vita economica italiana. Portavoce del fascismo tecnocratico, De Stefani è caratterizzato da concretezza operativa e da pragmatismo politico. Proprio per queste doti, egli diventa la “testa di ponte del fascismo” verso la cultura liberale, a cui appartenevano anche gli altri collaboratori più prestigiosi del Dicastero.25 Quando De Stefani chiama Bachi e gli affida il compito di stilare una lista di linee guida per una riforma dell’organizzazione statistica del ministero delle Finanze, lo statistico torinese accetta di buon grado l’incarico. De Stefani è un uomo di grande cultura e la sua posizione economica viene condivisa da Bachi vista l’impostazione liberale che li accomuna. Non solo in tale occasione egli può fare un lavoro di ricerca che apprezza, ma collabora con De Stefani che all’epoca è sicuramente una delle personalità più influenti dell’epoca.

24

Franco Marcoaldi, De Stefani, Alberto, in Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 39, 1991.

25

(27)

27 1.5 Augusto Osimo

Augusto Osimo è uno degli amici più stretti di Riccardo Bachi. Anch’egli ebreo, segue l’esempio dell’amico e si iscrive al Laboratorio di Economia Politica di Cognetti de Martiis nel 1899,26 appena trasferitosi a Torino dalla campagna piacentina. Bachi ed Osimo si erano conosciuti presso la Scuola superiore di commercio Ca’ Foscari di Venezia, ove Osimo aveva conseguito il diploma in diritto. Tra i due uomini di cultura si instaura un sodalizio che non ha solamente i tratti dell’amicizia personale, ma va al di là.

Osimo si avvicina subito agli ambienti del socialismo di Filippo Turati, personaggio con il quale avrà contatti anche lo stesso Bachi e di cui sarà amico.27 Attraverso il carteggio che oggi ci resta, è possibile leggere le parole che Bachi e Turati si scambiano: da ciò emerge come lo statistico torinese avesse in comune il medesimo punto di vista nei confronti della società.28 In questo frangente emerge una contraddizione con il Bachi che poi sosterrà l’adozione delle pratiche di politica economica fasciste, ritenute necessarie per risvegliare l’Italia dal torpore in cui è caduta dopo la Prima Guerra mondiale. Probabilmente ciò rientra nel profilo di Bachi quale uomo di scienza, che osserva la natura delle misure economiche dei primi anni di Mussolini nella loro prospettiva esclusivamente benefica o no, senza mai prendere una posizione politica specifica.

26

Manfredi Alberti, Osimo, Augusto, in Dizionario biografico degli Italiani, Volume 79, 2013.

27

A. M. Ratti, Vita e opere di Riccardo Bachi, cit., pag. 3. 28

Per avere un’idea più completa è possibile approfondire questo argomento con Filippo

Turati e i corrispondenti italiani (1899-1906) – VOL. III a cura e con introduzione di

(28)

28

Osimo diventa un’ispirazione per Bachi soprattutto nel momento in cui egli approda alla Società Umanitaria, ente filantropico milanese rinato nel 1901. Con la nascita dell’Ufficio del lavoro, nel 1902, l’Umanitaria si dedicò ad un’approfondita e innovativa indagine statistica sull’economia e la società del Nord Italia, che Osimo riassumerà nel saggio Il fenomeno della disoccupazione e la “Società Umanitaria”. Bachi celebra la direzione oculata dell’amico presso l’Umanitaria, con cui cerca di creare condizioni migliori per il proletariato italiano.29

La coppia Osimo-Bachi parteciperà anche ad un congresso parigino nel 1910 dedicato alla disoccupazione e all’uso di metodologia statistica specifica per abbattere gli ostacoli principali.30 È proprio la questione della disoccupazione che catalizza gli interessi di Osimo e Bachi in questo periodo. I due intellettuali si influenzano a vicenda, arricchendosi l’uno delle esperienze dell’altro.

Le parole più commoventi che, però, Bachi dedica all’amico fraterno si trovano in Un sognatore del ghetto: Augusto Osimo. In esso, infatti, celebra il compagno come un uomo buono, guidato da tale bontà in tutte le opere che hanno costellato la sua esistenza. Come qualsiasi altro sionista, anche Osimo si è prodigato affinché l’ideale della solidarietà sociale del popolo di Abramo si realizzasse anche dal punto di vista politico nella concretizzazione di un certo benessere

29

Riccardo Bachi, Un sognatore del ghetto: Augusto Osimo, in “La Rassegna Mensile di Israel”, terza serie, Vol. 14, No. 1, (Aprile 1948), Unione delle Comunità ebraiche italiane, pag. 40.

30

Maria Grazia Meriggi, La disoccupazione come problema sociale. Riformismo,

conflitto e “democrazia industriale” in Europa prima e dopo la Grande Guerra, Franco

(29)

29

collettivo. Così Bachi definisce l’amico non solo un apostolo, ma anche un realizzatore di tale ideale.31 Grazie alla bontà, Augusto Osimo ha avuto la “potente volontà di realizzare il sogno”32

di migliorare le condizioni di vita degli operai. Per Bachi l’amico Osimo è un “sognatore del ghetto”, poiché, come tutti coloro che si possono fregiare di tale appellativo, anch’egli ha cercato di rendere migliori gli uomini contemporanei e quelli del futuro.

1.6 Dante Lattes

Questo personaggio del Novecento diventa uno degli amici più fidati di Riccardo Bachi, con cui condivide la fede religiosa. In egli è forte il concetto di missione del popolo ebraico tale da abbandonare la semplice valenza spirituale per assumere sfumature dal valore politico, culturale e morale.33 Per questa particolare attitudine, si ritaglia uno spazio del tutto personale nel novero degli intellettuali impegnati nelle comunità ebraiche tra l’Ottocento e il Novecento. La grande propensione per le questioni di carattere politico la riversa ne “La Rassegna Mensile di Israel”, periodico culturale da lui fondato nel 1925, in cui si aprono dibattiti e divulgazioni storico-filosofiche sull’ebraismo italiano. Nonostante la predisposizione per gli affari di natura politica, Lattes evita di occuparsene esplicitamente per non suscitare l’attenzione della censura del regime

31

Riccardo Bachi, Un sognatore del ghetto: Augusto Osimo, in “La Rassegna Mensile di Israel”, terza serie, Vol. 14, No. 1 (Aprile 1948), pag. 39.

32

Ivi, pag. 43. 33

Gadi Luzzatto Voghera, Lattes, Dante, in Dizionario Biografico degli Italiani, volume 64, 2005.

(30)

30

fascista. Sebbene Mussolini avesse creduto che il sionismo potesse essere la soluzione alla presenza inglese in Palestina, il fascismo dimostra comunque una strenua avversione nei confronti di qualsiasi idea dal potenziale eversivo, quindi anche per l’ideale dei figli di Sion. “La Rassegna Mensile di Israel”, vittima di quell’autoritarismo liberticida, infatti potrà riprendere le pubblicazioni solamente nel 1948, anno in cui Lattes farà ritorno in Italia dopo il periodo trascorso in Palestina. Egli, infatti, nel febbraio 1939 si imbarca da Brindisi con un passaporto ottenuto grazie alle cellule antifasciste clandestine34 alla volta di Gerusalemme. Molti elementi accomunano Bachi e Lattes, uniti non solo da una profonda amicizia, ma anche dalla passione viscerale per la causa sionista,35 di cui si renderanno attori in prima persona con le rispettive esperienze.

1.7 Enzo Sereni

Enzo Sereni viene ricordato come il primo chaluz d’Italia, cioè un colono ebreo giunto in Palestina,36 tale non solo in ordine di arrivo, ma anche come grado di importanza. Riccardo Bachi guarda all’esempio impavido di Sereni in quanto

34

Ibidem 35

Per approfondire la concezione che Lattes ha del sionismo può essere utile Apologia

dell’ebraismo, opera da lui composta nel 1923. Nel libro sono presenti le linee guida

dell’ebraismo che già l’autore aveva propugnato, finalizzando la lotta alla rinascita nazionale e culturale del popolo ebraico.

36

Umberto Nahon, Enzo Sereni, primo Chaluz d’Italia, in “La Rassegna Mensile di Israel”, terza serie, Vol. 35, No. 12, (Dicembre 1969), pag. 548.

(31)

31

promotore di un sionismo inscritto in una cornice culturale volta a rendere attivo tutto ciò che fino ad allora l’ebraismo aveva conquistato solo a livello ideale.37

Nel 1927 Sereni si trasferisce con la moglie Ada in Palestina, ove diventa uno dei fondatori del kibbutz Givat Brenner.38 Egli diventa uno di quei braccianti che combatte contro il deserto e strappa con il sudore l’aridità da quelle terre che riescono a dare frutti inaspettati ai nuovi inquilini. Sereni è la parte attiva del sionismo, quella che non teme le avversità, mettendo a rischio la propria esistenza. È presumibile pensare che Bachi abbia potuto incontrare Sereni dopo la sua aliyah in Palestina, ma ciò resta solo una supposizione. Sacrificando la sua vita39 per l’ideale sionista, Sereni diventa una delle fonti di ispirazione di Bachi, il quale mette a servizio di quella causa tutta la propria capacità divulgativa.

1.8 Maffeo Pantaleoni

Se da una parte c’è il liberalismo che contribuisce in modo preponderante alla formazione di Bachi, esiste anche una parte contraria, quella che ha il volto di Maffeo Pantaleoni.

Spregiudicato pensatore di inizio Novecento, Pantaleoni cerca di superare il sostanziale ostracismo promosso da alcuni economisti verso la

37

Vincenzo Pinto, Kadima. Saggi sull’identità ebraica contemporanea (1998 – 2012), Vincenzo Pinto, 2013, pag. 492.

38

http://www.jewishvirtuallibrary.org/jsource/biography/sereni.html 39

Enzo Sereni si paracaduta nel nord Italia nel 1944, durante una missione antifascista clandestina, ma viene catturato e deportato a Dachau, dove morirà il 18 novembre di quello stesso anno.

(32)

32

contestualizzazione storica dei pensieri e degli atti. Come ha efficacemente descritto il professore Luca Michelini nel libro Alle origini dell’antisemitismo nazional-fascista. Maffeo Pantaleoni e “La Vita italiana” di Giovanni Preziosi (1915 – 1924), Pantaleoni non è solamente il cattedratico più in voga all’epoca, conosciuto anche per le sue tesi all’estero, ma è anche annoverato tra i pensatori più arguti di inizio Novecento. Egli è un antisemita della prima ora, quando nell’aria non ci sono né leggi razziali né odio xenofobo. Possiamo quindi sostenere, che al di là del proprio credo intellettuale, Pantaleoni è uno dei promotori di quella campagna antiebraica italiana del primo dopoguerra, che diventa “componente essenziale di quel moto politico, culturale, economico e sociale che portò Mussolini al potere”.40

L'antisemitismo economico di Pantaleoni non è soltanto uno strumento di propaganda politica, ma ha alle spalle un piano politico ben preciso. In questo contesto, “La Vita italiana”41 non appare solo come una rivista antisemita, ma diventa il “centro di una rete culturale, politica e mediatica di assoluto protagonismo nell'ascesa del fascismo al potere”.42

Bachi non condivide la presa di posizione pantaleoniana contro il “nemico semita”, ma del mentore approva la ricerca scientifica, dalla cui base parte per quella che sarà una vera e propria sfida: la semiotica economica.

40

Luca Michelini, Alle origini dell’antisemitismo nazional-fascista. Maffeo Pantaleoni e

“La Vita italiana” di Giovanni Preziosi (1915 – 1924), Venezia, Marsilio, 2011, pag. 20.

41

La rivista di Giovanni Preziosi e i contenuti in essa veicolati sono approfonditi nella tesi di laurea di Stefano Fiorucci, Giovanni Preziosi (1881-1945). L’antisemitismo nei

suoi articoli su “La Vita Italiana” 1919-1943.

42

(33)

33 2. La semiotica economica

Bachi è senza dubbio un debitore intellettuale di Maffeo Pantaleoni43 e della sua semiotica economica. In questo ambito di studio diventa importante anche il ruolo di Rodolfo Benini, economista e statistico, che crea una disciplina nuova, la “semiotica empirica”, dando applicazione a quella puramente teorica di Pantaleoni, quindi approfondendola.

Se seguiamo la definizione data da Bachi, con semiotica economica (detta altresì semiologia) si indica l'applicazione sistematica di dati statistici per la formazione di termometri economici, allo scopo di conoscere la situazione economica di una popolazione o di un territorio in un determinato arco temporale oppure il movimento degli affari. Come i barometri, anche i termometri economici possono essere generali o speciali: ciò dipende dal fatto se “i fenomeni economici che avvengono in un dato ambiente, numerosi, vari, complessi, sono fra loro interdipendenti”.44

Esiste un coordinamento fra i numerosissimi prezzi che si formano in un mercato in un dato istante e che segnano per quel mercato il raggiungimento di una condizione di equilibrio. Similmente, rispetto a un dato intervallo di tempo, esiste un coordinamento fra le quantità di beni e servizi che sono scambiati e fra i prezzi che si formano per questi scambi.

43

Francesco Cassata, La scuola di Economia di Torino e la statistica economica:

Pasquale Jannaccone e Riccardo Bachi, Working Paper Series, Dipartimento di

Economia “S. Cognetti de Martiis” – Centro di Studi sulla Storia e i Metodi dell’Economia Politica “Claudio Napoleoni” (CESMEP), Working Paper No. 07/2009, pag. 14.

44

Si tratta della definizione che Bachi stesso scrive per l’Enciclopedia italiana nel 1936 per chiarire il concetto di semiologia economica.

(34)

34

Pantaleoni, in un articolo pubblicato sulla “Revue d’économie politique” nell’ottobre 1892, ritiene che l’affermazione della cosiddetta semiotica economica abbia quale obiettivo quello che fino ad allora gli economisti hanno perseguito, cioè riunire i fatti economici, di cui la coesistenza è un fenomeno economico, suscettibili di espressione statistica, in gruppi che servano “per indurne la presenza di un determinato fenomeno economico”.45

La semiologia constata la presenza o assenza di fenomeni economici che sono indizi della presenza o imminenza o dello svolgimento di una crisi o dell’altra.46

Sul terreno preparato in parte da Pantaleoni e Benini, Riccardo Bachi innesta le sue riflessioni, concentrandosi tra il 1913 e il 1921 sull’analisi e sulla progettazione di termometri e barometri economici, ossatura teorico-metodologica della futura L’Italia economica.47 Successivamente, attenendosi sempre ai suoi numeri-indice, lo statistico torinese si propone di analizzare la presenza di fluttuazioni stagionali dei fenomeni economici.48

3. Il pensiero economico generale di Bachi

All’inizio del Novecento si mette in moto un processo di trasformazione che investe anche la definizione stessa di statistica in quanto disciplina scientifica, conducendo il mondo scientifico e universitario al rapido abbandono di quell’idea

45

Giorgio Mortara, La semiotica economica nell’opera di Maffeo Pantaleoni, in “Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica”, Serie Quarta, Vol. 66 (Anno 40), No. 4, Aprile 1925, pag. 215. 46 Ibidem. 47 Ivi, pag. 17. 48 Ivi, pag. 21 – 22.

(35)

35

ottocentesca di “scienza sociale”, volta a individuare le regolarità presenti nelle società umane. La nuova concezione individua nella statistica un metodo per lo studio quantitativo dei fenomeni collettivi di ogni genere, sociali e naturali.49 Nasce così in Italia una generazione di statistici caratterizzata da un’abilità fino ad allora inedita: essi si dimostrano capaci di creare una frattura con il passato, poiché sono in grado di “rompere con lo schema che collegava la funzione amministrativa della statistica al suo esclusivo interesse per i fatti sociali”.50 Bachi diventa l’esempio di questa nuova impostazione. Il primo dopoguerra, infatti, offre a Bachi e ai suoi colleghi la possibilità di approfondire la situazione italiana in merito soprattutto all’economia di guerra.51

Essi dimostrano l’efficacia delle loro specifiche competenze quantitative per trattare una vasta eterogeneità di elementi. Ciò che caratterizza Bachi è la consapevolezza di non poter fare previsioni economiche fondate, rendendo così difficile progettare interventi di politica economica a lungo termine.52

3.1 L’Italia economica

Bachi si rende protagonista di un lavoro inedito prima di allora in Italia: a partire dal 1908, pubblica annualmente un supplemento de “La Riforma Sociale” dal titolo Italia economica. Annuario della vita commerciale, industriale, agraria,

49

Giovanni Favero, La statistica nell’università italiana tra le due guerre, in La cultura

economica tra le due guerre, a cura di Piero Barucci, Simone Misiani, Manuela Mosca,

Franco Angeli editore, 2015, pag. 339. 50

Ivi, pag. 1. 51

Ivi, pag. 2. 52

(36)

36

bancaria, finanziaria e della politica economica. In questo ambito emerge la predilezione di Bachi per “l’applicazione del metodo deduttivo”53

circa le questioni di statistica economica, conferendogli dunque una collocazione precisa tra gli economisti applicati.54

L’Italia economica è un’opera monumentale che riceve il plauso non solo dei colleghi italiani, ma anche degli economisti esteri, i quali apprezzano lo sforzo fatto dall’autore nel reperire dati in assenza di un istituto pubblico di ricerca.55 Il pensiero generale di Bachi è estrapolabile dagli annuari che, anno dopo anno, “fotografano” la situazione economica del Paese. Einaudi, il primo dei suoi estimatori per tale impegno, definisce l’opera un

patrimonio informativo per ogni capitano d’industria e per ogni altro attore del mondo economico che avesse compreso la necessità di disporre di una conoscenza affidabile del quadro economico di riferimento.56

I volumi seguono una suddivisione specifica, con cui, prima si procede al confronto con i dati macroeconomici riguardanti l’anno precedente, poi vengono scandagliati i vari settori dell’economia. A seguire c’è la rassegna di interventi di politica economica intrapresi dal governo in quell’anno specifico e una raccolta dei passi in avanti più significativi fatti in ambito di pensiero economico.57

53

Raimondo Cagiano De Azevedo, La Facoltà di economia: cento anni di storia,

1906-2006, Rubbettino Editore, 1906-2006, pag. 377.

54

Ivi, pag. 378. 55

L’Istat verrà fondato soltanto nel 1926, quindi Bachi si sforza di raccogliere più dati possibile senza ricorrere all’aiuto di un ente centrale.

56

M. Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra…, pag. 5. 57

(37)

37

I diversi volumi dell’annuario variano molto tra il 1909 e il 1921.58 L’annuario del 1910 presenta una divisione in due parti, che invece non caratterizza il primo volume.59 In questo modo Bachi divide i dati dalla compilazione degli obiettivi dell’azione politica dello Stato, enti pubblici e associazioni nei vari rami della vita economica.60 Per Bachi, però, l’annuario è in continua fase di evoluzione e la comparsa dell’annuario statistico ufficiale ad opera di Giovanni Montemartini lo induce a modificarne la struttura. Il volume del 1911 presenta una maggiore attenzione all’analisi storica della situazione economica nazionale.61 Einaudi mette in luce i punti forti dell’opera bachiana che, a differenza di quella ufficiale, può permettersi il lusso di dare commenti del tutto personali. L’annuario del 1913 dà testimonianza di questa svolta: Bachi vi inserisce un saggio storiografico dedicato ai lineamenti della recente evoluzione dell’economia italiana.62

Se risulta essere variabile dal punto di vista editoriale, L’Italia economica presenta comunque un’impostazione liberista, ma su base conservatrice, che l’autore condivide con gli altri membri della Scuola di Torino. Inoltre, dagli annuari è possibile tracciare il pensiero di Bachi sugli effetti della guerra sull’economia italiana e cogliere la sua opinione negativa sulla politica protezionistica.

58

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri…, pag. 89. 59 Ivi, pag. 90. 60 Ivi, pag. 91. 61 Ivi, pag. 92. 62 Ivi, pag. 93.

(38)

38 3.2 Bachi e la Prima Guerra mondiale

Bachi è uno degli osservatori più acuti della Prima Guerra Mondiale, tanto da essere annoverato come uno degli “interventisti”63 all’interno del dibattito di quel periodo. Egli scruta il fenomeno bellico come se fosse lo strumento migliore di rinascita per riemergere da una situazione di stallo. Ne sa scorgere le implicazioni sociali, come è tipico della sua condotta di indagare anche gli effetti che superano l’aspetto economico. Ne L’economia italiana alla vigilia della guerra, libro edito nel 1918, Bachi osserva come la condizione dell’Italia sia quella di una nazione che assiste impotente al proprio declino, a causa dello “sfruttamento economico della neutralità”. Nei suoi molteplici lavori, infatti, è possibile cogliere la grande capacità di Bachi nell’analizzare le conseguenze sia positive sia negative dell’economia di guerra, ma già con lo sguardo rivolto al nuovo protagonista che sarebbe sorto con il conflitto, cioè lo Stato-imprenditore.64 Da fine osservatore qual è, Bachi analizza la situazione nazionale anche dal punto di vista storico, dando un’interpretazione liberale della storia economica italiana.65 La condizione italiana che muta con la guerra non compare solo ne L’Italia economica, ma anche in altri testi di Bachi quali Economia di guerra e L’economia dell’Italia in guerra. La guerra di cui parla Bachi è un evento totale, in cui la mobilitazione riguarda ogni aspetto della vita sociale, economica e culturale dell’Italia. Nell’arco temporale antecedente il 1914, l’Italia stava

63

Paride Rugafiori, Nella Grande Guerra, in Nicola Tranfaglia (a cura di), Storia di

Torino, VIII, Dalla Grande Guerra alla Liberazione (1915 – 1945), Torino, Einaudi,

1998, pag. 38. 64

Marco Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra…, pag. 2. 65

(39)

39

vivendo una fase recessiva e così anche altri Paesi esteri. Il Belpaese, inoltre, aveva ritardi strutturali che divennero evidenti con l’abbandono del neutralismo. Il panico venutosi a creare determinò un “rallentamento delle attività industriali”,66

per poi lasciare spazio alla fase di preparazione all’economia di guerra. È a questo punto che si delinea il profilo dello Stato come attore primario nel commercio. Egli distingue due fasi in tale processo: il primo stadio è quello in cui lo statistico nota la cessazione dei rapporti creditizi con l’estero e la contrazione dei traffici; il secondo, invece, presenta la riscossione dei crediti, la conversione dei beni e dei valori in moneta, arrivando alla sostituzione dell’economia in contanti a quella creditizia.67

In questo contesto, Bachi sottolinea il rinnovato ruolo dello Stato che diventa “il centro, il perno, il motore dell’economia tutta”.68

L’economia di guerra presenta “una grande dilatazione nel traffico, i subiti guadagni, la tendenza a creare nuove imprese, i forti investimenti in società anonime, l’incremento nel commercio con l’estero, il rialzo nei prezzi, nel saggio dei profitti e degli interessi, l’ingrossarsi dei depositi bancari, una maggiore velocità nella circolazione monetaria, un più intenso movimento ferroviario, la tendenza al rialzo nelle quotazioni dei titoli a reddito variabile, un pertinace senso di ottimismo nel mondo dei produttori, che provoca certe singolari audacie, che anima molte speranze e vela le tante incognite del futuro”.69

Il soggetto pubblico così aumenta l’idea fallace che il flusso di ricchezza sia realmente incrementato, ma di fatto si tratta di una illusione che avviene mediante

66

Ivi, pag. 7. 67

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 94. 68

Ibidem. 69

Riccardo Bachi, Economia di guerra, Roma, L’Universelle Imprimerie Polyglotte, 1918, pag. 8.

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40

la riduzione del “fondo”, provocando una riduzione del flusso futuro. Ecco perché l’utilizzo di questi fondi per fini economicamente riproduttivi non produce ricchezza reale.70 L’inflazione ne diventa una diretta conseguenza: si crea uno stimolo alle speculazioni e un aumento della produzione che non trova uno sbocco reale.71 Come qualsiasi altro evento economico, anche questo processo ha degli effetti sociali, elemento a cui Bachi tiene in modo particolare, quali “la redistribuzione della ricchezza e la creazione di una élite di nuovi ricchi”.72

Questi ultimi hanno “la deplorevolissima tendenza alla dilatazione dei consumi e taluni altri atteggiamenti mentali che prevalgono in alcuni ambienti”.73

Bachi dedica grande attenzione anche al movimento bancario, soprattutto per ciò che concerne l’attività degli istituti di emissione.74

Se inizialmente le banche assistono ad un prelievo “folle” da parte dei clienti, superata la fase iniziale, gli istituti hanno poi finanziato le imprese di impronta bellica, anche grazie alle ingenti commesse pubbliche.75 Dopo il momento iniziale di sconcerto, dai dati raccolti, Bachi evidenzia come la “mobilitazione industriale” abbia suscitato un aumento dei profitti, l’ampliamento degli impianti e il miglioramento dei cicli produttivi.76

Dall’annuario del 1915 Bachi inizia la sua “battaglia” contro il protezionismo, che si manifesta nell’esagerata ingerenza statale. Infatti, ne L’Italia economica

70

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 94. 71

Ivi, pag. 95. 72

Ibidem. 73

R. Bachi, Economia di guerra, pag. 33-34. 74

M. Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra… , pag. 8. 75

R. Bachi, L’economia dell’Italia in guerra, pag. 15. 76

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nell’anno 1915, lo studioso osserva che si va affermando quella pratica che rende stabile il ruolo dilatato ed ingombrante dello Stato rispetto al naturale funzionamento dell’economia. Secondo Bachi, il mercantilismo riscoperto in questo momento storico non può far altro che minare le basi della tenuta sistemica dell’Italia. Lo statistico non solo si scaglia contro le norme protezionistiche, ma anche contro la burocrazia, eccessivamente lenta, e i costi derivanti dall’invasivo intervento dello Stato anche laddove dovrebbe essere lasciato ampio spazio di manovra alla libera iniziativa.77

Nel 1918, Bachi pubblica Economia di guerra, in cui si sottolinea quanto siano fittizi i segnali di ricchezza che stanno caratterizzando quel determinato periodo.78 Nella sua efficace analisi, Santillo paragona la situazione economica descritta da Bachi a quella di “città assediata”, riprendendo una locuzione utilizzata dallo stesso statistico: lo Stato, “imprenditore di guerra”,79 schiera in campo una “economia sempre più simile a quella di una “città assediata”, tanto il fenomeno della guerra polarizza ogni attività, ogni opera, sposta e determina ogni situazione”.80

In tale contesto, la combinazione della riduzione del fondo e dell’inflazione monetaria aumenta l’illusione di prosperità, del tutto fittizia. Determinando così un aumento generalizzato dei prezzi delle merci, si arriva ad alterare i meccanismi mercantili di libero scambio, ledendo il pubblico erario.81

77

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 97. 78

M. Santillo, La “città assediata”…, pag. 10. 79

Ivi, pag. 11. 80

Riccardo Bachi, Economia di guerra, pag. 9. 81

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Nel numero di ciò che viene mutato dalla guerra, Bachi conta anche il mercato del lavoro, che è diventato una calamita in grado di attrarre molta manodopera. Grazie all’aumento dei salari, una buona parte della popolazione si è riversata nelle industrie, le quali hanno proceduto nell’intenso sfruttamento della manodopera.82

Il dopoguerra continua a seguire i vincoli protezionistici tanto osteggiati da Bachi e da lui denunciati anche negli annuari del 1919 e del 1920. Il “doloroso fenomeno” dell’inflazione monetaria e creditizia prosegue anche nel 1919, quando avrebbe invece dovuto essere smantellata l’economia di guerra e cavalcata l’ondata di rinnovamento.83

Egli auspica un cambiamento repentino nell’atteggiamento invadente dello Stato, che non fa altro che indebolire lo spirito nazionalistico della massa. Infatti, già a partire dal 1917, Bachi scrive con particolare attenzione circa l’invocazione di una politica monetaria e fiscale rigorosa e deflazionistica, poiché l’eliminazione della mano invasiva dello Stato nella vita economica italiana potrebbe solo donare giovamento all’intero sistema. Sostiene, inoltre, la necessità di misure di politica fiscale in grado di favorire una redistribuzione della ricchezza. Se già nel 1917 Bachi aveva messo in guardia dal connubio industria-banca portato sulla scena dall’economia di guerra, nel 1920 egli nomina l’Ilva e l’Ansaldo come esempi negativi della ricerca dei profitti nella speculazione di borsa. Bachi punta il dito anche contro la Banca Italiana di Sconto, propulsore di un’esagerata espansione.84

Con toni ostili, lo statistico

82

Ivi, pag. 12. 83

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 98. 84

Riccardo Bachi, Le grandi banche ordinarie italiane attraverso il decennio 1909-1918, “Supplemento economico del Tempo”. A. II, 5 ott. 1919, pag. 2.

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