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All’inizio del Novecento si mette in moto un processo di trasformazione che investe anche la definizione stessa di statistica in quanto disciplina scientifica, conducendo il mondo scientifico e universitario al rapido abbandono di quell’idea

45

Giorgio Mortara, La semiotica economica nell’opera di Maffeo Pantaleoni, in “Giornale degli Economisti e Rivista di Statistica”, Serie Quarta, Vol. 66 (Anno 40), No. 4, Aprile 1925, pag. 215. 46 Ibidem. 47 Ivi, pag. 17. 48 Ivi, pag. 21 – 22.

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ottocentesca di “scienza sociale”, volta a individuare le regolarità presenti nelle società umane. La nuova concezione individua nella statistica un metodo per lo studio quantitativo dei fenomeni collettivi di ogni genere, sociali e naturali.49 Nasce così in Italia una generazione di statistici caratterizzata da un’abilità fino ad allora inedita: essi si dimostrano capaci di creare una frattura con il passato, poiché sono in grado di “rompere con lo schema che collegava la funzione amministrativa della statistica al suo esclusivo interesse per i fatti sociali”.50 Bachi diventa l’esempio di questa nuova impostazione. Il primo dopoguerra, infatti, offre a Bachi e ai suoi colleghi la possibilità di approfondire la situazione italiana in merito soprattutto all’economia di guerra.51

Essi dimostrano l’efficacia delle loro specifiche competenze quantitative per trattare una vasta eterogeneità di elementi. Ciò che caratterizza Bachi è la consapevolezza di non poter fare previsioni economiche fondate, rendendo così difficile progettare interventi di politica economica a lungo termine.52

3.1 L’Italia economica

Bachi si rende protagonista di un lavoro inedito prima di allora in Italia: a partire dal 1908, pubblica annualmente un supplemento de “La Riforma Sociale” dal titolo Italia economica. Annuario della vita commerciale, industriale, agraria,

49

Giovanni Favero, La statistica nell’università italiana tra le due guerre, in La cultura

economica tra le due guerre, a cura di Piero Barucci, Simone Misiani, Manuela Mosca,

Franco Angeli editore, 2015, pag. 339. 50

Ivi, pag. 1. 51

Ivi, pag. 2. 52

36

bancaria, finanziaria e della politica economica. In questo ambito emerge la predilezione di Bachi per “l’applicazione del metodo deduttivo”53

circa le questioni di statistica economica, conferendogli dunque una collocazione precisa tra gli economisti applicati.54

L’Italia economica è un’opera monumentale che riceve il plauso non solo dei colleghi italiani, ma anche degli economisti esteri, i quali apprezzano lo sforzo fatto dall’autore nel reperire dati in assenza di un istituto pubblico di ricerca.55 Il pensiero generale di Bachi è estrapolabile dagli annuari che, anno dopo anno, “fotografano” la situazione economica del Paese. Einaudi, il primo dei suoi estimatori per tale impegno, definisce l’opera un

patrimonio informativo per ogni capitano d’industria e per ogni altro attore del mondo economico che avesse compreso la necessità di disporre di una conoscenza affidabile del quadro economico di riferimento.56

I volumi seguono una suddivisione specifica, con cui, prima si procede al confronto con i dati macroeconomici riguardanti l’anno precedente, poi vengono scandagliati i vari settori dell’economia. A seguire c’è la rassegna di interventi di politica economica intrapresi dal governo in quell’anno specifico e una raccolta dei passi in avanti più significativi fatti in ambito di pensiero economico.57

53

Raimondo Cagiano De Azevedo, La Facoltà di economia: cento anni di storia, 1906-

2006, Rubbettino Editore, 2006, pag. 377.

54

Ivi, pag. 378. 55

L’Istat verrà fondato soltanto nel 1926, quindi Bachi si sforza di raccogliere più dati possibile senza ricorrere all’aiuto di un ente centrale.

56

M. Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra…, pag. 5. 57

37

I diversi volumi dell’annuario variano molto tra il 1909 e il 1921.58 L’annuario del 1910 presenta una divisione in due parti, che invece non caratterizza il primo volume.59 In questo modo Bachi divide i dati dalla compilazione degli obiettivi dell’azione politica dello Stato, enti pubblici e associazioni nei vari rami della vita economica.60 Per Bachi, però, l’annuario è in continua fase di evoluzione e la comparsa dell’annuario statistico ufficiale ad opera di Giovanni Montemartini lo induce a modificarne la struttura. Il volume del 1911 presenta una maggiore attenzione all’analisi storica della situazione economica nazionale.61 Einaudi mette in luce i punti forti dell’opera bachiana che, a differenza di quella ufficiale, può permettersi il lusso di dare commenti del tutto personali. L’annuario del 1913 dà testimonianza di questa svolta: Bachi vi inserisce un saggio storiografico dedicato ai lineamenti della recente evoluzione dell’economia italiana.62

Se risulta essere variabile dal punto di vista editoriale, L’Italia economica presenta comunque un’impostazione liberista, ma su base conservatrice, che l’autore condivide con gli altri membri della Scuola di Torino. Inoltre, dagli annuari è possibile tracciare il pensiero di Bachi sugli effetti della guerra sull’economia italiana e cogliere la sua opinione negativa sulla politica protezionistica.

58

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri…, pag. 89. 59 Ivi, pag. 90. 60 Ivi, pag. 91. 61 Ivi, pag. 92. 62 Ivi, pag. 93.

38 3.2 Bachi e la Prima Guerra mondiale

Bachi è uno degli osservatori più acuti della Prima Guerra Mondiale, tanto da essere annoverato come uno degli “interventisti”63 all’interno del dibattito di quel periodo. Egli scruta il fenomeno bellico come se fosse lo strumento migliore di rinascita per riemergere da una situazione di stallo. Ne sa scorgere le implicazioni sociali, come è tipico della sua condotta di indagare anche gli effetti che superano l’aspetto economico. Ne L’economia italiana alla vigilia della guerra, libro edito nel 1918, Bachi osserva come la condizione dell’Italia sia quella di una nazione che assiste impotente al proprio declino, a causa dello “sfruttamento economico della neutralità”. Nei suoi molteplici lavori, infatti, è possibile cogliere la grande capacità di Bachi nell’analizzare le conseguenze sia positive sia negative dell’economia di guerra, ma già con lo sguardo rivolto al nuovo protagonista che sarebbe sorto con il conflitto, cioè lo Stato-imprenditore.64 Da fine osservatore qual è, Bachi analizza la situazione nazionale anche dal punto di vista storico, dando un’interpretazione liberale della storia economica italiana.65 La condizione italiana che muta con la guerra non compare solo ne L’Italia economica, ma anche in altri testi di Bachi quali Economia di guerra e L’economia dell’Italia in guerra. La guerra di cui parla Bachi è un evento totale, in cui la mobilitazione riguarda ogni aspetto della vita sociale, economica e culturale dell’Italia. Nell’arco temporale antecedente il 1914, l’Italia stava

63

Paride Rugafiori, Nella Grande Guerra, in Nicola Tranfaglia (a cura di), Storia di

Torino, VIII, Dalla Grande Guerra alla Liberazione (1915 – 1945), Torino, Einaudi,

1998, pag. 38. 64

Marco Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra…, pag. 2. 65

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vivendo una fase recessiva e così anche altri Paesi esteri. Il Belpaese, inoltre, aveva ritardi strutturali che divennero evidenti con l’abbandono del neutralismo. Il panico venutosi a creare determinò un “rallentamento delle attività industriali”,66

per poi lasciare spazio alla fase di preparazione all’economia di guerra. È a questo punto che si delinea il profilo dello Stato come attore primario nel commercio. Egli distingue due fasi in tale processo: il primo stadio è quello in cui lo statistico nota la cessazione dei rapporti creditizi con l’estero e la contrazione dei traffici; il secondo, invece, presenta la riscossione dei crediti, la conversione dei beni e dei valori in moneta, arrivando alla sostituzione dell’economia in contanti a quella creditizia.67

In questo contesto, Bachi sottolinea il rinnovato ruolo dello Stato che diventa “il centro, il perno, il motore dell’economia tutta”.68

L’economia di guerra presenta “una grande dilatazione nel traffico, i subiti guadagni, la tendenza a creare nuove imprese, i forti investimenti in società anonime, l’incremento nel commercio con l’estero, il rialzo nei prezzi, nel saggio dei profitti e degli interessi, l’ingrossarsi dei depositi bancari, una maggiore velocità nella circolazione monetaria, un più intenso movimento ferroviario, la tendenza al rialzo nelle quotazioni dei titoli a reddito variabile, un pertinace senso di ottimismo nel mondo dei produttori, che provoca certe singolari audacie, che anima molte speranze e vela le tante incognite del futuro”.69

Il soggetto pubblico così aumenta l’idea fallace che il flusso di ricchezza sia realmente incrementato, ma di fatto si tratta di una illusione che avviene mediante

66

Ivi, pag. 7. 67

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 94. 68

Ibidem. 69

Riccardo Bachi, Economia di guerra, Roma, L’Universelle Imprimerie Polyglotte, 1918, pag. 8.

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la riduzione del “fondo”, provocando una riduzione del flusso futuro. Ecco perché l’utilizzo di questi fondi per fini economicamente riproduttivi non produce ricchezza reale.70 L’inflazione ne diventa una diretta conseguenza: si crea uno stimolo alle speculazioni e un aumento della produzione che non trova uno sbocco reale.71 Come qualsiasi altro evento economico, anche questo processo ha degli effetti sociali, elemento a cui Bachi tiene in modo particolare, quali “la redistribuzione della ricchezza e la creazione di una élite di nuovi ricchi”.72

Questi ultimi hanno “la deplorevolissima tendenza alla dilatazione dei consumi e taluni altri atteggiamenti mentali che prevalgono in alcuni ambienti”.73

Bachi dedica grande attenzione anche al movimento bancario, soprattutto per ciò che concerne l’attività degli istituti di emissione.74

Se inizialmente le banche assistono ad un prelievo “folle” da parte dei clienti, superata la fase iniziale, gli istituti hanno poi finanziato le imprese di impronta bellica, anche grazie alle ingenti commesse pubbliche.75 Dopo il momento iniziale di sconcerto, dai dati raccolti, Bachi evidenzia come la “mobilitazione industriale” abbia suscitato un aumento dei profitti, l’ampliamento degli impianti e il miglioramento dei cicli produttivi.76

Dall’annuario del 1915 Bachi inizia la sua “battaglia” contro il protezionismo, che si manifesta nell’esagerata ingerenza statale. Infatti, ne L’Italia economica

70

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 94. 71

Ivi, pag. 95. 72

Ibidem. 73

R. Bachi, Economia di guerra, pag. 33-34. 74

M. Santillo, La “città assediata” come metafora dell’economia di guerra… , pag. 8. 75

R. Bachi, L’economia dell’Italia in guerra, pag. 15. 76

41

nell’anno 1915, lo studioso osserva che si va affermando quella pratica che rende stabile il ruolo dilatato ed ingombrante dello Stato rispetto al naturale funzionamento dell’economia. Secondo Bachi, il mercantilismo riscoperto in questo momento storico non può far altro che minare le basi della tenuta sistemica dell’Italia. Lo statistico non solo si scaglia contro le norme protezionistiche, ma anche contro la burocrazia, eccessivamente lenta, e i costi derivanti dall’invasivo intervento dello Stato anche laddove dovrebbe essere lasciato ampio spazio di manovra alla libera iniziativa.77

Nel 1918, Bachi pubblica Economia di guerra, in cui si sottolinea quanto siano fittizi i segnali di ricchezza che stanno caratterizzando quel determinato periodo.78 Nella sua efficace analisi, Santillo paragona la situazione economica descritta da Bachi a quella di “città assediata”, riprendendo una locuzione utilizzata dallo stesso statistico: lo Stato, “imprenditore di guerra”,79 schiera in campo una “economia sempre più simile a quella di una “città assediata”, tanto il fenomeno della guerra polarizza ogni attività, ogni opera, sposta e determina ogni situazione”.80

In tale contesto, la combinazione della riduzione del fondo e dell’inflazione monetaria aumenta l’illusione di prosperità, del tutto fittizia. Determinando così un aumento generalizzato dei prezzi delle merci, si arriva ad alterare i meccanismi mercantili di libero scambio, ledendo il pubblico erario.81

77

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 97. 78

M. Santillo, La “città assediata”…, pag. 10. 79

Ivi, pag. 11. 80

Riccardo Bachi, Economia di guerra, pag. 9. 81

42

Nel numero di ciò che viene mutato dalla guerra, Bachi conta anche il mercato del lavoro, che è diventato una calamita in grado di attrarre molta manodopera. Grazie all’aumento dei salari, una buona parte della popolazione si è riversata nelle industrie, le quali hanno proceduto nell’intenso sfruttamento della manodopera.82

Il dopoguerra continua a seguire i vincoli protezionistici tanto osteggiati da Bachi e da lui denunciati anche negli annuari del 1919 e del 1920. Il “doloroso fenomeno” dell’inflazione monetaria e creditizia prosegue anche nel 1919, quando avrebbe invece dovuto essere smantellata l’economia di guerra e cavalcata l’ondata di rinnovamento.83

Egli auspica un cambiamento repentino nell’atteggiamento invadente dello Stato, che non fa altro che indebolire lo spirito nazionalistico della massa. Infatti, già a partire dal 1917, Bachi scrive con particolare attenzione circa l’invocazione di una politica monetaria e fiscale rigorosa e deflazionistica, poiché l’eliminazione della mano invasiva dello Stato nella vita economica italiana potrebbe solo donare giovamento all’intero sistema. Sostiene, inoltre, la necessità di misure di politica fiscale in grado di favorire una redistribuzione della ricchezza. Se già nel 1917 Bachi aveva messo in guardia dal connubio industria-banca portato sulla scena dall’economia di guerra, nel 1920 egli nomina l’Ilva e l’Ansaldo come esempi negativi della ricerca dei profitti nella speculazione di borsa. Bachi punta il dito anche contro la Banca Italiana di Sconto, propulsore di un’esagerata espansione.84

Con toni ostili, lo statistico

82

Ivi, pag. 12. 83

F. Cassata, La “dura fatica” dei numeri… , pag. 98. 84

Riccardo Bachi, Le grandi banche ordinarie italiane attraverso il decennio 1909-1918, “Supplemento economico del Tempo”. A. II, 5 ott. 1919, pag. 2.

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torinese accusa il legame illecito venutosi a creare tra grandi banche e concentrazioni industriali, finanziate con i depositi dei risparmiatori.85

Finito il primo conflitto mondiale, egli auspica un “pronto ritorno alla tradizione della severa finanza, con la revisione di tutti le voci di spesa”.86

L’Italia ha bisogno di ritrovare la propria dimensione al di là dei lasciti della guerra, sebbene tra le conseguenze vi sia stata “la creazione di un sistema industriale più complesso e articolato”.87 Nonostante la guerra fosse stata la forza propulsiva che aveva permesso all’Italia di progredire, lo statistico vede nel risanamento economico la chiave per riparare moralmente un paese afflitto: la ricostruzione deve prendere il posto del lucro, ma questo naturale ed auspicato meccanismo sembra non essere possibile, a causa dell’intransigenza del movimento operaio.88

3.3 Gli “indici Bachi”

Nei primi anni del Novecento, la riflessione teorico-metodologica della Scuola di Torino nel campo della statistica economica viene affidata soprattutto ai nomi di Riccardo Bachi e di Pasquale Jannaccone. Quest’ultimo è molto critico nei confronti dei numeri-indici del collega, basati sulla “media geometrica fra i

85

Raffaele Mattioli, I problemi attuali del credito, in M. Balestrieri, G. Gambieri, G. La Volpe et alii, I fidi nelle aziende di credito, Milano, Giuffrè, 1962, pag. 226-227.

86

Riccardo Bachi, L’Italia economica nell’anno 1919, pag. 11. 87

M. Santillo, La “città assediata”…, pag. 13. 88

44

rapporti che esprimono le variazioni dei singoli prezzi”.89 Così costruiti, sostiene Jannaccone, gli indici “non permettono di misurare esattamente le variazioni avvenute nel livello generale dei prezzi in dipendenza dalle variazioni della massa monetaria”.90

Jannaccone ritiene errate le approssimazioni di Bachi, dal momento che esse presentano variazioni del livello generale dei prezzi superiori a quelle realmente accadute, lasciando in ombra anche ciò che concerne il potere d’acquisto in generale.91

Come già è stato sottolineato precedentemente, Bachi è uno strenuo difensore della raccolta di dati secondo la metodologia preferita da Pantaleoni e ritiene che la creazione di indici mirati possa solo facilitare il lavoro dell’osservatore economico. Su tali basi è possibile dedurre la totale contrapposizione di pensiero tra Bachi e Jannaccone, i quali, seppur partendo da basi simili, adottano punti di vista differenti.

Gli indici non sono propriamente un’invenzione di Bachi, perché all’epoca ogni Paese era solito possedere i propri. All’estero, però, tali valori erano stabiliti da istituti pubblici che si occupavano della loro stesura e li redigeva più o meno tenendo conto dei medesimi criteri. Nel primo ventennio dell’Italia, vi è un gap in questo senso, poiché non esiste alcun ente pubblico che si occupi di una mansione

89

Idem, La scuola di Economia di Torino e la statistica economica: Pasquale

Jannaccone e Riccardo Bachi, Working Paper Series No. 07/2009, Dipartimento di

Economia “S. Cognetti de Martiis”, CESMEP, pag. 13. 90

Pasquale Jannaccone, Lezioni di Statistica Economica, R. Università di Torino, a. a. 1925-26, Giappichelli, Torino 1926, pag. 427.

91

45

simile. Bachi ritiene inaccettabile questa deficienza istituzionale e decide di colmare tale lacuna.

Analizzando la situazione italiana, già dal 1881 al 1914, Achille Necco aveva curato una serie di indici riguardanti i prezzi delle merci pubblicati come supplemento de “La Riforma Sociale”. Successivamente, essi erano passati nelle mani di Attilio Garino Canina, ma quel filo di indagine presentava molte lacune agli occhi di Bachi, poiché Necco basava la sua analisi sul “metodo de Foville”,92 reo di permettere il computo di indici annuali e non mensili.93 Reduce da tale esperienza, Bachi progetta un indice mensile, “basato sull’individuazione di quaranta merci, sul metodo della media aritmetica semplice e sull’adozione come base (100) della media dei prezzi lungo il quinquennio 1901-1905”.94 Quindi, gli indici di Bachi riportano mese per mese le variazioni che si verificano nel bilancio della spesa di una famiglia tipo o nei prezzi all’ingrosso, adeguando sempre il computo a “The Economist”.95

E’ implicito che una compilazione simile richiede un impegno quotidiano e una costante ricerca tale da rendere possibile la creazione di strumenti il più possibili accurati. Considerato che tali indici devono osservare costantemente l’attualità, Bachi è guardingo nel tenerli aggiornati sostituendo quegli elementi diventati desueti con altri più adatti a fotografare la realtà italiana. Inoltre, le oscillazioni delle merci, la fissazione dei prezzi, la revisione dei contratti non sono semplici da eseguire in un contesto di instabilità

92

Ivi, pag. 18. 93

Riccardo Bachi, Il numero-indice per il movimento dei prezzi all’ingrosso delle merci

in Italia, in “Supplemento statistico del Corriere Economico”, I, 1, giugno 1916, pag. 1.

94

F. Cassata, La Scuola di Economia di Torino…, pag. 18. 95

46

economica determinata anche dalla parentesi bellica: gli indici sono strettamente connessi a queste “altalene” economiche. Ecco perché per un lungo periodo numerosi giornali, mese dopo mese, riportarono puntualmente gli indici Bachi, commentandoli e usandoli come compendio alle proprie previsioni.

Nel 1921 Bachi adotta una rinnovata serie di indici, superato ormai il momento di crisi susseguente la Prima Guerra mondiale. Egli migliora la metodologia avvalendosi di alcune innovazioni. Infatti, i nuovi indici-Bachi rappresentano “un’evoluzione, poiché sono costruiti su base mobile e con il metodo della media geometrica”,96

che si distanzia dai metodi consueti dell’epoca. La scelta della media geometrica si manifesta come “una scelta all’avanguardia per il periodo, visto che risultava essere concretamente applicata soltanto dal Ministero del commercio britannico”.97

Il processo di rinnovamento che Bachi mette in moto nella redazione degli indici coinvolge anche la riflessione sui barometri economici. Egli, infatti, “prende le mosse dalla tradizione semiologica italiana per poi ispirarsi sempre più alle pioneristiche esperienze statunitensi e britanniche”.98

In questo frangente, Bachi propone “un’analisi sistemica dell’importazione di materie prime e dell’esportazione di prodotti finiti, attraverso l’uso di coefficienti che escludano gli effetti delle variazioni stagionali e secolari”.99

L’applicazione di uno schema simile può essere l’unica strada idonea nella formazione di barometri economici

96

M. Santillo, La “città assediata”…, pag. 14. 97

F. Cassata, La Scuola di Economia di Torino…, pag. 20. 98

Ivi, pag. 21. 99

47

“speciali”, che dovrebbe spettare a “un organismo destinato a svolgere lo studio di fenomeni della congiuntura e ad effettuare uno studio quantitativo del generale movimento degli affari”.100

Bachi resta comunque perplesso sull’eventuale efficacia pratica di tali strumenti nella previsione statistica delle crisi economiche, a meno che non si giunga a poter utilizzare “sintomi premonitori” sicuri.

I metodi di previsione e gli indici Bachi, intesi quindi come scale di valori redatte da un privato e non da un istituto pubblico, sono stati per lungo tempo i mezzi privilegiati dagli osservatori dell’epoca per la loro natura curata e scrupolosa. Sono proprio questi ultimi due aggettivi che delineano alcuni tratti distintivi della