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Capitolo II. Costellazione simbolica della Renovatio

2.2 La Tellus Mater

Jung sostiene che, nel caso della renovatio, il «miglioramento» del soggetto può essere ottenuto tramite delle «procedure magiche»61. Nell’agrario Mito del Dying and Rising God, il compito di soglia di passaggio «magica» è assegnato alla Terra, ossia alla Dea quale «Signora della Trasformazione»62: la morte del Dio coincide, per l’appunto, con il suo «rigenerarsi attraverso il contatto con le forze della terra»63.

Tale magico contratto si traduce, letteralmente, in un «incontro» con la Dea, che denomineremo Tellus Mater, «Madre Terra». Se la pianta – di cui il Dying and Rising God è la personificazione – può ritornare alla vita dopo essere morta, è soltanto perché ha attraversato le oscure regioni ctonie: queste equivalgono al fecondo grembo tellurico della Dea, che restituisce magicamente alla vita il vegetale. Il garante dell’eternità del vegetale, e il garante della sua resurrezione, è dunque costituito dal principio Femminile, dal grande Utero infero, ricettacolo di fertilità e ripristino:

Le relazioni fra i morti e la fertilità agricola sono piuttosto importanti [...]; i morti, come i semi, sono sotterrati, penetrano nella dimensione ctonia accessibile solo a loro […]. Simili ai semi sepolti nella matrice tellurica, i morti aspettano di tornare alla vita sotto nuova forma […]. La Terra-Madre,

60 Ivi, p. 371.

61 C. G. Jung, Anima e morte. Sul rinascere, op. cit., p. 62.

62 E. Neumann, La Grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1981, p. 285.

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o la Grande Dea della fertilità, domina allo stesso modo il destino dei semi e quello dei morti64.

L’«Età della Dea» per eccellenza, in cui si delineano gli aspetti archetipici della Tellus Mater, è, naturalmente, il Neolitico – la stessa tappa della preistoria in cui il Dying and Rising God conosce la sua genesi sotto forma di «Dio Figlio». Nel Neolitico, la percezione dell’universo è eminentemente organica – come, d’altro canto, lo era nel Paleolitico. Tutte le ierofanie sono sacre e vive, perché tutte sono «contenute» nella Grande Madre65: la luna e le piante esperiscono un ciclo, nella misura in cui discendono nella Madre, vengono sigillate dal suo oscuro grembo tellurico, e infine riemergono dalla Madre, come se ne venissero di nuovo «partorite» al mondo66. Mentre la Dea del Paleolitico era gravida della vita, la Dea del Neolitico è gravida anzitutto della vegetazione: la metafora della fecondità è la medesima, ma durante il Neolitico conosce una valenza prettamente agraria67.

Poiché la Dea Tellus Mater conferisce tanto la vita quanto la morte, ha un aspetto doppio: si tratta, al contempo, di una Dea Buona e di una Dea Terribile68. La figura maschile, nel Neolitico è, secondo, alcuni studiosi, da ricondurre a una presenza ridotta a mero «stimolatore» della fecondità della Dea69. Si ipotizza che gli uomini del Neolitico non fossero nemmeno in grado di comprendere, ancora, la biologia della riproduzione, escludendo l’importanza che il ruolo maschile vi ricopre 70 . Ciò giustificherebbe il potere indiscusso della Grande Dea,

64 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., pp. 319-321. 65 Cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 47.

66 Cfr. ivi, p. 48.

67 Cfr. M. Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe: 7000-3500 B. C.: Myths, Legends and Cult Images, op. cit., p. 201; P. Lévêque, op. cit., p. 45.

68 La doppiezza della Grande Madre è anche la doppiezza dei poteri della fecondità e del sesso,

produttivi e distruttivi (cfr. E. Neumann, La Grande madre. Fenomenologia delle configurazioni

femminili dell’inconscio, op. cit., pp. 151 e sgg.). Dal punto di vista della psicanalisi, la Dea

Terribile, più comunemente detta Madre Terribile, simboleggia il lato tetro e profondo dell’inconscio (cfr. C. G. Jung, L’Archetipo della madre, Torino, Bollati Boringhieri, 1981, pp. 58- 59).

69 Cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 26.

70 Altri studiosi sono della posizione che, invece nel Neolitico l’apporto maschile alla

procreazione si era già certamente compreso, mentre era nel Paleolitico che lo si ignorava. Ad esempio, a una placca in pietra del Neolitico mostra un uomo e una donna abbracciati; a fianco a essa, osserviamo una coppia madre-figlio: da cui apparirebbe evidente che, almeno nel tardo Neolitico, si è consapevoli del ruolo dell’uomo nella procreazione (cfr. R. Eisler, op. cit., p. 81).

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paradossalmente «vergine» e «madre»71, ma soprattutto «eterna, mai-nata, non- generata»72. Rapporti o organi sessuali espliciti non sono presenti nella maggior parte delle raffigurazioni neolitiche73, perché la Grande Madre non ha alcun rapporto con il sesso maschile, essendo una Madre partenogenetica, ossia che si riproduce da sé74. La Dea Tellus Mater non si corrompe con quel «morire a sé» che è l’accoppiamento, non invecchia e non muore: piuttosto, «finge di morire», sotterrandosi, per poi rinascere uguale a se stessa, o per dar vita ad altre piante, le quali non sono altro che parti di lei, o doppi a lei identici75.

L’idillio neolitico venne abbattuto, secondo le teorie della studiosa lituana Marija Gimbutas, da un’ondata migratoria di popoli guerrieri e organizzati in una società di stampo patriarcale76, portatori del culto di un Dio attivo e celeste, che sconfisse e sottomise la placida Dea, deviando l’evoluzione della sua figura77. Venne abbattuto, così, il mondo immateriale, statico e perpetuo della Grande Dea, la quale fu relegata a «corpo» mostruoso e alieno da cui la vita prende forma78. Ciononostante, il sostrato dell’Età della Dea sopravvisse visibilmente in tutte le religioni di età storica. Inoltre, la potenza della Dea Tellus Mater, spadroneggiante nell’infanzia dell’umanità, entrò a costituire un significativo strato dell’inconscio

71 A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 145.

72 G. Sermonti, Il Mito della Grande Madre: dalle amigdale a Çatal Hüyük, Milano, Mimesis,

2002, p. 13.

73 Cfr. J. Mellaart, Çatal Hüyük: A Neolithic Town in Anatolia, New York, McGraw-Hill,

1967, p. 201.

74 Cfr. G. Sermonti, Il Mito della Grande Madre: dalle amigdale a Çatal Hüyük, op. cit., pp.

37-38.

75 Cfr. ivi, pp. 82-83.

76 Cfr. M. Gimbutas, The Goddesses and Gods of Old Europe: 7000-3500 B. C.: Myths, Legends and Cult Images, op. cit., p. 238. Per un approfondimento, cfr. M. Gimbutas, La Civiltà della Dea, op. cit., vol. II, pp. 150 e sgg.

77 Sul piano mitico, Joseph Campbell denomina questa transizione «vittoria dei figli della

luce», in quanto molto spesso le società patriarcali delle Età del Bronzo e del Ferro hanno «solarizzato» il proprio essere supremo (cfr. J. Campbell, Occidental Mythology, op. cit., pp. 72 e sgg; M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, op. cit., pp. 112 e sgg, pp. 124 e sgg.).

78 Cfr. G. Sermonti, Il Mito della Grande Madre: dalle amigdale a Çatal Hüyük, op. cit., pp.

67-69. Anche nella storia, probabilmente, la successione matrilineare lasciò allora spazio a quella patrilineare, di sangue, dinastica, trasmessa di padre in figlio e legata alla forza bruta e al culto della guerra, della ricchezza, delle armi di metallo (cfr. ivi, pp. 65 e sgg.). Anche Eisler (op. cit., pp. 69-73) fa notare come nell’arte del Neolitico c’è la totale assenza di «immagini di dominio maschile o di guerra», di «deità maschili colleriche, di sovrani con armi e folgori, o di grandi conquistatori che trascinano schiavi abietti in catene». Per tale motivo, l’Età della Dea è considerata pacifica: non è la «potenza» delle divinità, bensì il loro «mistero» e il loro dono della vita che l’immaginario neolitico enfatizza.

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collettivo – che si nutrirebbe, in prevalenza, di miti e simboli risalenti alla perduta Età della Pietra79.

Il Dio Figlio «vegetale» – il primo Dying and Rising God – fa la sua comparsa nella storia delle religioni come controparte secondaria, semivisibile e «succube» della Dea Tellus Mater – apice assoluto della religione del Neolitico. È una figura di natura divina, ma di sesso maschile, e soprattutto – qui sta la differenza essenziale dalla Dea – dalla parvenza non antropomorfa, ma ancora zoomorfa, relegata ancora allo stadio primordiale e bestiale: ciò lo mantiene su un rango inferiore a quello della Dea. Tale Dio costituisce un’incarnazione essenziale del principio Maschile80; il Dio Figlio è subordinato e inferiore alla Grande Dea nella misura in cui intrattiene con lei un rapporto impari di dipendenza – per l’appunto, nella forma della filiazione81. L’immensa importanza della coppia divina neolitica, costituita dalla Dea Madre e dal Dio Figlio, raggiunse l’apice nel sito anatolico di Çatal Hüyük, (VII millennio a. C. – VI millennio a. C.), che costituisce l’esempio più spettacolare della manifestazione artistico-religiosa della visione del mondo neolitica82. Numerose rappresentazioni plastiche rinvenute a Çatal Hüyük hanno come soggetto la Dea Tellus Mater, principale entità mitica del Neolitico, la quale, in quanto «Dea che partorisce»83, dà vita a un «torello»84. Il Dio Figlio

79 Cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., pp. 41-45; R. Ruether, Goddesses and the Divine Feminine: A Western Religious History, Berkeley, University of California Press, 2005, p. 22; M.

Gimbutas, Le Dee viventi, op. cit., pp. 232 e sgg.

80 Cfr. A. Baring, J. Cashford, op. cit., p. 75.

81 Ignoriamo se la coppia divina Dea-Toro fosse protagonista di una mitologia tramandata

oralmente, dai popoli neolitici, di millennio in millennio, sino a lasciare tracce sporadiche, ma ben individuabili, nelle mitologie di età storica e nel vivo folklore europeo. Di contro all’ipotesi che Dea e Toro potessero essere protagonisti di «miti» in quanto «narrazioni drammatico-dinamiche», menzioniamo la teoria per la quale il Neolitico sarebbe ancora uno stadio in cui il «divino» non è altri che un’«idea»; tant’è vero che, nel caso esposto, non risulta sempre antropomorfizzato: la Dea è umana, il Dio non lo è ancora. In base a tale teoria, la mente primitiva elaborerebbe solo simboli, i quali sono ben più eloquenti del «dinamico» pensiero mitico (ossia narrativo), e i quali, nella loro pregnanza, esauriscono in sé tutto il loro senso – senza che qualche «storia» ne esplichi le potenzialità semantiche. Per un approfondimento in merito, cfr. J.-P. Vernant, Figures, Idoles et

Masques, Paris, Juilliard, 1990.

82 Cfr. J. Mellaart, op. cit., pp. 27-30. 83 Ivi, p. 122.

84 Il motivo del parto dell’animale (e del bambino) sarà dominante anche nel sito anatolico

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taurino di Çatal Hüyük rappresenta la prima manifestazione, a livello simbolico, non esplicito, del Dying and Rising God85.

Per comprendere a fondo il legame archetipico tra due mitologemi apparentemente tanto diversi e contraddittori, che indagheremo a breve – la Catabasi e la Ierogamia, ossia la morte e il matrimonio – bisogna individuare la genesi ultima di queste vicende mitiche nella sensibilità e nel simbolismo agrario, che affonda le proprie radici proprio nella «magica» età del Neolitico, in cui l’uomo valorizzava e illustrava il potere della fecondità e della procreazione della vita – tanto agraria quanto umana. La religiosità di Çatal Hüyük, che gioca sulla dialettica presenza-assenza, scomparsa-riapparizione, alla quale sottende il perenne ciclo vita-morte-rinascita86, si rivelerà il nucleo fondamentale dei futuri miti agrari del Dying and Rising God, il cui Dio protagonista muore, o scompare, o si nasconde, per poi ritornare trionfante alla vita.

I due tratti fondamentali, che provano la discendenza dei miti del Dying and Rising God dallo stesso Mito originario, sono il suo destino di morte, seguito da una più o meno esplicita rinascita, e il fatto che tale destino è sempre profondamente legato al potere di una Dea, superiore al Dio protagonista, e di cui questi è l’amante:

Certe figure maschili dell’area culturale medio-orientale, come Attis, Adone, Tamuz e Osiride vengono sì partoriti dalla madre, però […] diventano gli amanti della madre e vengono da questa amati, uccisi, seppelliti, pianti e rigenerati […]. I giovani fallici, gli dèi della vegetazione […] sono […] la vegetazione stessa […]. Sono dèi della primavera, condannati a essere uccisi e a morire, per essere pianti e ridati alla […] Grande Madre87.

La morte violenta di tali dèi e il loro conseguente accesso al regno degli Inferi costituisce il mitologema della Catabasi, trasposizione mitica della reale sorte del Seme nella cattiva stagione. Il punto chiave per acquisire la piena comprensione di tale mitologema è l’equivalenza tra Inferi e principio Femminile: il regno infero

85 Mellaart (op. cit., p. 201) nega, tuttavia che l’idea del Dying and Rising God possa essersi

generata nell’Anatolia neolitica a livello cosciente. Sicuramente, però, essa inizia a prendervi forma (cfr. J. Campbell, Occidental Mythology, op. cit., pp. 54 e sgg.).

86 Cfr. H. Whitehouse, I. Hodder, «Modes of Religiosity at Çatalhöyük», in I. Hodder (ed.), Religion in the Emergence of Civilization: Çatalhöyük as a Case Study, op. cit., p. 134; W. Keane,

«Marked, Absent, Ritual», in ivi, p. 188.

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non è altri che l’utero della Dea Tellus Mater archetipale sul piano mitico. La Catabasi, così, coincide archetipicamente con un altro importante mitologema, quello della Ierogamia, ossia il Matrimonio Sacro con la Dea – a sua volta, isomorfo al Regressus ad uterum, ossia il ritorno al ventre della Dea sotto forma di «regressione incestuosa della libido»88. Tale corrispondenza − che è identica a quella più celebre tra Eros e Thanatos − trova la sua base recondita proprio nello schema agro-ciclico, per il quale il vegetale (ossia, il principio Maschile) muore nel momento in cui penetra e si unisce amorevolmente alla Terra (il principio Femminile). Pertanto, i due rites de passage della Morte e del Matrimonio coincidono: la morte del Dio come Discesa agli Inferi e il matrimonio del Dio con una rilevante Dea dagli aspetti tellurici sono mitologemi isomorfi.

Da una prospettiva psicoanalitica, la morte del Dio Figlio – che, in quanto principio maschile, «si identifica con la coscienza»89 – è la trasposizione mitica del torturante «desiderio di tornare alle profondità materne per rinnovarsi»90. L’uomo, infatti, tende continuamente a ritornare all’inconscio, il quale «viene esperito in relazione […] alla coscienza come materno-femminile»91: in altre parole, «chi si separa dalla madre, brama di ritornare a lei»92. Il ventre di ogni madre e la vagina di ogni donna, corrispettive dell’utero della Dea Terra, sono cavità e contenenti isomorfi alla tomba: è per questo che la morte del Dio Figlio – principio Maschile – è, simultaneamente, un discensionale seppellimento e un estatico amplesso, un atto erotico e un atto funereo:

La Grande Madre accoglie e riprende in sé il piccolo bambino e l’incesto […] è sempre visto come segno di morte, di dissoluzione definitiva nell’unione con la madre. Caverna, terra, sepolcro, sarcofago, bara sono i simboli di questo rito di riunione93.

88 M. E. Harding, I Misteri della donna, Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1973, p. 191.

89 E. Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, op. cit., p. 151.

90 M. E. Harding, op. cit., p. 191.

91 E. Neumann, La Grande madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, op. cit., p. 151.

92 C. G. Jung, Simboli della trasformazione, op. cit., p. 236. 93 E. Neumann, Storia delle origini della coscienza, op. cit., p. 36.

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Il Dio Figlio e la Dea Tellus Mater, difatti, costituivano un tempo un’unità: in termini agrari, si tratta dell’unità della terra con il Seme che ne è seppellito all’interno e che ne sboccia – la cui natura dialettica è stata esacerbata dai miti del Dying and Rising God di età storica, giungendo ad apparire un dualismo polare (Dio-Dea), la cui riconciliazione si può però già intravedere nel mito e rito della Ierogamia. In altre parole, essi costituiscono archetipicamente un’unità mistica e totalizzante, che in termini mitico-drammatici si tramuta in una «peripezia» di amore e morte.

Il simbolismo della Catabasi è quello che meglio si presta a descrivere il destino del vegetale: per poter rinascere in primavera, i semi devono imprescindibilmente essere «sepolti» sotterra, sicché anche loro esperiscono, come il Dio che li rappresenta, una vera e propria Discesa agli Inferi. La morte è funzionale alla rinascita, l’oscurità alla luce, la sventura al miracolo resurrezionale. Il Dio non desidera mai la propria Catabasi: vi è quasi sempre costretto da una morte violenta. Questa può, a propria volta, essere causata da una funesta iniziativa presa da parte di un secondo personaggio e da una conseguente reazione a catena di eventi, come nel caso vicino-orientale di Dumuzi/Tammuz; oppure, può essere causata da una disgrazia non prevista, come nel caso ellenico di Kore, o prevista invano, come nel caso nordeuropeo di Balder. Nei miti della rinascita ellenico-mediterraneo e nordeuropeo, in particolare, possono individuarsi dei veri e propri assassini divini del Dying and Rising God, vale a dire Ade e Loki, i quali ingaggiano dei complici più o meno volontari, ossia Zeus e Hother.

L’equivalenza tra gli Inferi e il principio Femminile, garante della rinascita, offre una giustificazione archetipica alla collocazione dell’Oltretomba in una posizione ctonia; rafforza, così, la corrispondenza tra destino di morte/discesa e rinascita/risalita del Dying and Rising God e quello del Seme – il quale deve essere sotterrato per poter fiorire. La valenza archetipica femminile degli Inferi costituisce il trait d’union tra il mitologema della Catabasi del Dio e l’altro mitologema fondamentale relativo al Dying and Rising God, che ci apprestiamo a indagare: la Ierogamia tra il Dio e la Dea.

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La Ierogamia, o Matrimonio Sacro, è presente in «quasi tutte le tradizioni religiose»94: si identifica, generalmente, con l’unione tra due divinità, la quale feconda e rinnova la natura. Trattandosi di un’Unione amorosa, presuppone la presenza di due entità divine, le quali incarnano principi opposti, ossia il principio Maschile e il principio Femminile95. La Ierogamia è onnipresente nel Mito del Dying and Rising God, in quanto è l’effetto della drammatizzazione antropomorfizzata del ciclo di vita-morte-rinascita del Seme in rapporto alla Terra. La vicenda di morte e resurrezione del Dio protagonista, difatti, implica anche la presenza di una Dea, la quale gli è sempre superiore in autorità e potere. Il caso in cui la Dea è totalmente dominatrice e il Dio non autonomo è quello del Dio Figlio taurino del Neolitico, totalmente subordinato alla Dea Tellus Mater tramite il rapporto di filiazione96, o anche quello del vicino-orientale di Dumuzi/Tammuz, succube delle prepotenze di Inanna/Ishtar. Nel caso ellenico di Kore, invece, in cui il Dying and Rising God è biologicamente di sesso femminile, il ruolo della Dea è raddoppiato (Madre e Figlia). Si tratta di un caso-limite, caratterizzato, come già spiegato, da una distribuzione differente dei ruoli biologici97, che tuttavia non sconvolgono il significato archetipico del Mito: il matrimonio forzato di Kore equivale, difatti, alla sua morte. Un caso in cui la Dea riveste un ruolo meno preponderante è quello nordeuropeo di Balder, in cui Hel, la sovrana del regno dei trapassati, è meno rilevante: tuttavia, senza il suo consenso il Dio non può lasciare il regno dei morti, e ciò è sufficiente per riconoscerne un ruolo essenzialmente dominante. Sebbene ciò non sia esplicito nelle fonti di cui disponiamo, le dimensioni della morte e del matrimonio coincidono anche nel mito nordeuropeo della rinascita: Balder è detto, infatti «sposo di Hel»98. La morte e lo smarrimento agli Inferi del Dio coincide dunque, anche qui, con la sua penetrazione della Dea degli Inferi.

94 J. Chevalier, A. Gheerbrant, op. cit., vol. II, p. 78. 95 Cfr. ivi, vol. II, p. 78.

96 Nel caso della religione neolitica, addirittura, si può escludere, secondo alcuni studiosi, la

presenza di vero e proprio un Matrimonio Sacro, in quanto la Dea Tellus Mater agisce da sola e crea senza bisogno di essere ingravidata dal maschio. Tuttavia, le grandi potenzialità fecondatrici del Dio figurano, latenti, nell’attributo delle corna taurine (cfr. P. Lévêque, op. cit., p. 48).

97 Cfr. infra, par. 1.2. 98 Cfr. infra, nota 240, cap. I.

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Il mitologema della Ierogamia equivale archetipicamente con quello della Catabasi: tale corrispondenza è identica a quella, più nota ai moderni, tra Eros e Thanatos. La paradossale coincidenza di Morte e Matrimonio è permessa dalla paradossale coincidenza tra il Figlio e lo Sposo, le quali sono due manifestazioni differenti del medesimo archetipo − il Dio. Tali coincidenze sono però ammissibili unicamente alla condizione in cui la «morte» non viene vista come termine ultimo, bensì concepita come una fase del Ciclo99. Nel momento in cui il Seme compie l’amplesso con la Dea Tellus Mater e nello stesso istante subisce la morte in seno alla Dea (ossia, negli Inferi), questi è pronto a procedere per lo stadio successivo, ossia ad esperire il parto, fuoriuscendo dalla Dea – ossia, dal suo Utero infero. Alla base di queste fitte corrispondenze sta – lo ribadiamo – l’identità tra Amore e Morte, tra amplesso e sepoltura, tra lo stadio di dissoluzione e putrefazione (temporaneo) e quello di fecondità e resurrezione:

Le due metà, per così dire, dell’androgino non perdono, a seguito della separazione, la loro relazione ciclica: la madre dà luce al figlio, il quale diviene amante della madre, in una sorta di uroboro eredo-sessuale. Il Figlio [...] svolgerà sempre il ruolo del mediatore [...]. Egli è partecipe di due nature: maschile e femminile, divina e umana100.

L’ inevitabile Morte del Dio è, dunque, la Discesa del Dio negli Inferi, i quali